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Monday, November 23, 2020

Covid: in Italia 50mila morti. Ridotti a una statistica

ORMAI CI SIAMO ASSUEFATTI: TUTTI ASSIEME IMPAURISCONO, INVECE CENTELLINATI GIORNO PER GIORNO SPARISCONO

di Mauro Suttora
HuffPost, 23 novembre 2020




“Una morte è una tragedia, un milione di morti soltanto una statistica”, disse Stalin. E 50mila? Oggi i decessi per virus in Italia raggiungono questa tremenda cifra. Ma noi sembriamo assuefatti. Anzi, a volte diciamo quasi con soddisfazione: “Oggi ‘solo’ 600 vittime, meglio delle 700 di ieri”.

Invece, 50mila bare messe una dopo l’altra sono un numero immenso: un capoluogo di provincia, un terzo di tutte le vittime civili della Seconda guerra mondiale (ma concentrati in nove mesi, non in cinque anni), i morti dell’atomica di Nagasaki.

Ci consoliamo: “Erano quasi tutti 80-90enni, anche l’influenza ne ammazza 50mila all’anno, quando fa troppo freddo d’inverno o troppo caldo d’estate ne muoiono anche di più”. E poi le famose patologie pregresse, è così in tutto il mondo, ora ci sono più asintomatici, negli Usa è peggio.

Balle. Nell’orrenda classifica vera, quella dei decessi in proporzione agli abitanti, i nostri 830 per milione troneggiano al quarto posto. Nell’intero pianeta ci superano solo Belgio, Peru e Spagna.

Chi la butta in politica e se la prendeva con i populisti Trump, Bolsonaro o Boris Johnson ora tace: Stati Uniti, Brasile e Regno Unito se la cavano meglio di noi.

E allora, come mai ci siamo abituati? Non ci accorgiamo che i nostri nonnini crepano da soli, inghiottiti dopo quel loro ultimo sguardo disperato mentre salgono in ambulanza, o quando cacciano noi parenti dal pronto soccorso?

Ci siamo commossi una sola volta, vedendo in tv la fila dei camion militari a Bergamo. Perché tutti assieme impauriscono, invece centellinati spariscono. I tremila morti delle Torri gemelle hanno fatto impressione, ma non c’è alcun 11 settembre ad accomunare i nostri 50mila. Nessun cimitero di Redipuglia a riunirli nella tragedia, ricordandoli per sempre.

Perciò ormai sono ridotti a statistica. “Dobbiamo imparare a convivere col virus”: questa è la frase più inquietante.

Oggi un esperto dell’Oms ha detto: “Dovevamo usare l’estate per attrezzare meglio le nostre strutture”. Non ha detto che forse bastava continuare a distanziarci per non impestare i nostri anziani. La curva è data per scontata, può alzarsi o abbassarsi, siamo sul picco, no sul plateau, aspettiamo la terza ondata, tranquilli ora arriva il vaccino. Si sta come d’autunno sulle statistiche le foglie. Cinquantamila.
Mauro Suttora

Thursday, September 10, 2020

De Laurentis e i vip del virus

di Mauro Suttora

10 settembre 2020

Ci mancano, in fondo, i cinepanettoni che Aurelio De Laurentiis non produce più da anni. In compenso ora c'è il virus. E dopo la surreale visita letale di Briatore a Berlusconi a Ferragosto, i vip continuano a regalarci buonumore. 

Naturalmente auguriamo a tutti il miglior lieto fine: di farsi il covid in forma blanda, come sembra stia succedendo a Mr. Billionaire chez Santanché ("Non ne posso più di averlo in casa", confessa però la pitonessa a Vanity Fair); di lasciare presto il San Raffaele scampando anche al medico personale Zangrillo, nel caso del Trilionario vero da Arcore; e che al presidente del Napoli la polmonite non sfiori neppure un interstizio.

Nel frattempo, però, la città dell'isola di Creta sinonimo di casino totale (Canea) si sta inevitabilmente scatenando in queste ore contro De Laurentis sui social.
Statisticamente c'è poco da fare: nove italiani su dieci non tifano Napoli, quindi il sarcasmo è d'obbligo fra i tifosi avversari. Imbufaliti perché Aurelione, come il cavallo di Troia, ha portato il virus proprio dentro la città delle massime meraviglie italiane: le venti squadre di serie A, i cui presidenti ieri sono stati per ore assieme a lui in una riunione della Lega Calcio a Milano.

Li ha infettati in blocco, visto che era senza mascherina? "Abbiamo rispettato la distanza sociale", giurano tutti. Il problema è che De Laurentis pare sia entrato nel consesso dell'Hilton barcollando. Ma che abbia attribuito a una fantastica indigestione di ostriche i propri sintomi già evidenti.

Lo sventurato non può neanche farsi scudo con gli affetti familiari, come la figlia di Berlusconi. Barbara si è salvata in corner dal ruolo di untrice perché alla fine perfino la sorellastra Marina è risultata impestata. E quindi diventa irrilevante che lei sia stata a pazziare mask-free per un'intera notte all'Anema e Core di Capri, mentre la prudente primogenita si era eclissata per mesi nella sua villa francese, obbligando pure il papi all'esilio terapeutico.

Pure la moglie di De Laurentis risulta infetta. Ma ai tifosi del Napoli sta a cuore la rosa dei giocatori. E quelli sono rimasti in ritiro col presidente fino a giovedì scorso. Con quanto uso di mascherine, lo si può solo immaginare. 

D'altra parte, altro che negazionisti: il colpo letale contro le fastidiose copribocca (alzarle sul naso è sempre più optional) lo ha appena sferrato la virologa Ilaria Capua: "Sono come i preservativi", ha sentenziato martedì sera. Verità da oltreoceano fuggita: il maschio italiano medio, da sempre allergico ai rapporti protetti, le schifa uguale.

Ora la parola magica è "periodo di latenza": ai presidenti delle squadre di calcio e ai giocatori del Napoli non resta che aggrapparsi alla speranza che nei prossimi giorni, se risulteranno negativi ai tamponi, lo siano veramente, e non solo perché il virus delaurentisiano tarda a palesarsi. Altrimenti, o presidente avrà mandato in vacca il campionato. E pure i diritti tv.

Perché, diciamolo con onestà: ormai nessuno ci capisce più niente. I nostri bimbi non possono andare in asilo se osano fare uno starnuto, mentre nel massimo luogo del potere italiano (che non è il consiglio dei ministri, ma la Lega calcio di serie A) sono liberi di scatarrarsi addosso.

Fra i vip dell'era virus comunque il posto d'onore se l'è conquistato il capolista pd alla regione Veneto. Il suo video in cui stramazza ben due volte al suolo durante un dibattito streaming è ormai un crudelissimo cult. Meglio di De Laurentis. Ma guai ad ammetterlo: sarebbe antipolitica.
Mauro Suttora

Incubo covid per giornalista spagnola a Milano

Lunedì 7 settembre arriva in aereo a Milano un'importante giornalista spagnola. Non aspetta l'esito del tampone fatto in patria prima di partire. Scende al Grand Hotel et de Milan, 5 stelle in via Manzoni. Fa compere nei negozi dell'albergo. Nel mattino di martedì 8 riceve il risultato dell'esame. Positiva. 

Invece di essere scortata in camera a trascorrere la triste quarantena, viene presa in carico dall'Ats, prelevata e portata subito al centro della Croce Rossa a Linate, nella zona militare dell'aeroporto. È la palazzina riservata ai contagiati che non hanno alcun posto dove passare gli almeno 15 giorni di isolamento. Dopo la chiusura dell'hotel Michelangelo accanto alla stazione, prende in carico extracomunitari, persone senza fissa dimora, soggetti disagiati o in difficoltà. Attualmente ha una ventina di ospiti, la metà della capienza massima.

Lì, con la sua maxivaligia e i sacchetti dello shopping, la signora si accascia sulla sedia, si guarda intorno, e con un filo di voce protesta che non è il suo posto, che nessuno le ha chiesto dove vivere l'isolamento. Dice che non è giusto che si premi così la sua onestà, l'aver dichiarato spontaneamente il risultato del tampone.

Non ci sono spettatori per questa sua tragedia. Sale in una camera doppia: le assegnano la migliore, quella in cui abitavano gli ufficiali dell'aeronautica. Le danno il cestino per i rifiuti, le lenzuola, coperta e cuscino. Scende dopo mezz'ora, e cosa vede davanti a sé? L'aereo privato di Felipe, il re di Spagna, incredibilmente parcheggiato nella piazzola che lo scalo militare condivide con quello vip. 

La giornalista riesce a individuare l'ambasciatore spagnolo, si sbraccia, vorrebbe superare le transenne per raggiungerlo. Riesce ad attirare l'attenzione del diplomatico, che si avvicina cautamente con la scorta. La signora è una giornalista di peso, l'ambasciatore si ferma ad ascoltarla, annuisce, telefona, le passa il suo cellulare. Viene chiamato il direttore del giornale, bisogna fare qualcosa, ci sono dei ragni in stanza, non c'è wifi. Evidentemente le autorità sanitarie milanesi non hanno capito la situazione, visto che dal grand hotel la sventurata signora è stata catapultata in una sistemazione per gente indigente. 

L'ambasciatore scompare. La signora risale in camera per organizzare l'affitto di una casa per la quarantena. E l'aereo reale spagnolo? Parte, e nessuno nel centro della Croce Rossa capisce se trasportava il re di Spagna o qualche suo familiare. Il giorno dopo la giornalista, con l'interessamento del viceprefetto di Milano, si trasferisce in un miniappartamento in affitto.
Mauro Suttora

Sunday, August 16, 2020

Nembo kid a Nembro? Quel maledetto 5 marzo



TUTTO QUEL CHE NON TORNA NEL RACCONTO DI CONTE SULLA MANCATA ZONA ROSSA A NEMBRO E ALZANO (BERGAMO)  

di Mauro Suttora

Huffington Post, 16 agosto 2020

Il premier Conte dice la verità su quel maledetto 5 marzo, sulle poche cruciali ore in cui lui afferma di avere appena saputo che i suoi scienziati gli chiedevano la zona rossa alla periferia di Bergamo, ma contemporaneamente a Bergamo già arrivavano 370 fra carabinieri, poliziotti, finanzieri e soldati per sigillarla?

Lo decideranno i magistrati. Paolo Mieli, nel suo pur rispettoso editoriale sul Corriere della Sera del 13 agosto, gli crede poco. Gabriella Cerami sull’Huffington Post dell′8 agosto ha già rilevato le contraddizioni in cui è caduto il premier dopo essere stato costretto a desecretare i verbali del Cts (Comitato tecnico scientifico).

Ha smentito le sue stesse parole. Quattro mesi fa, infatti, dichiarò al Fatto Quotidiano: “Il 3 marzo il Cts propone una zona rossa per Alzano e Nembro. Chiedo agli esperti di formulare un parere più articolato. Mi arriva la sera del 5 marzo e conferma l’opportunità di una cintura rossa per Alzano e Nembro. Il 6 marzo decidiamo di imporla a tutta la Lombardia. Il 7 arriva il decreto”.
Invece l′8 agosto, dopo la pubblicazione obtorto collo del verbale Cts, Conte dichiara: “Del verbale del 3 marzo sono venuto a conoscenza il giorno 5”.
Gli fa eco il ministro della Salute Roberto Speranza: “Ho saputo del verbale il giorno successivo. E il 5 l’ho trasmesso a Conte”.

Se fosse vero, sarebbe una illustrazione agghiacciante della lentezza della nostra burocrazia. Tutte le agenzie di stampa, i siti giornalistici e le tv riferirono la proposta del Cts sulla zona rossa di Bergamo già la stessa sera del 3 marzo. Gli unici ignari in Italia erano Conte e Speranza? Il dinamico Casalino non avvertì il suo premier?

Ma che le date non combacino lo dimostrano soprattutto gli avvenimenti in loco. Nella giornata del 5 marzo infatti arrivano ad Alzano e Nembro numerosi reparti di forze dell’ordine da tutta la Lombardia. In certi casi, gli stessi uomini che hanno già isolato con successo la zona rossa di Codogno (Lodi).
Nel primo pomeriggio cominciano i sopralluoghi. Tutti danno per scontato il blocco di Alzano e Nembro. L’unica incertezza riguarda il quando. Quella sera stessa? L’indomani mattina?
È stabilita perfino l’ora esatta e il posto del concentramento da dove partiranno le pattuglie per il blocco simultaneo delle strade in entrata e uscita della zona rossa: le 19 dal comando provinciale dei carabinieri nella circonvallazione delle Valli a Bergamo.
Contemporaneamente, i reparti prendono alloggio in due alberghi, a Osio Sotto e Verdellino.

Tutto a insaputa del premier, che adesso postdata la propria cognizione della richiesta di zona rossa al 5 marzo? Oppure la ministra dell’Interno e il prefetto di Bergamo stanno cinturando a sua insaputa Alzano e Nembro (che non sono paesini in mezzo al nulla come Vo’ Euganeo, ma una delle zone industriali più antropizzate d’Europa)?
Oppure ancora, prendendo per buona la sua seconda versione: Conte sa da Speranza del verbale soltanto  il 5 mattina, ma veloce come Nembo Kid riesce a spedire un intero gruppo interforze a Bergamo in poche ore, nonostante la lentezza della nostra burocrazia di cui sopra?

Poi c’è il mistero su chi e quando riuscì a far fare marcia indietro a Conte. La zona rossa di Bergamo abortì, probabilmente perché i bergamaschi - tutti, non solo i padroni - preferiscono rischiare di morire piuttosto che non lavorare.

Ma poiché il contagio si espande con una velocità di accelerazione al quadrato, se il 3 bastava isolare Nembro e Alzano, il 6 era necessario farlo con tutta la Lombardia (come ha giustamente detto Conte1, prima versione). E alla fine, il 9 marzo, l’intera Italia si ritrovò in lockdown proprio perché erano state persi sei giorni preziosi.
Sull’eventuale numero di infetti e morti in meno a Bergamo sorvoliamo, per buon gusto.

Il presidente Usa Nixon non dovette dimettersi per il Watergate (una piccola, insignificante effrazione), ma perché disse il falso sul Watergate. Clinton passò i guai non per quel che gli fece Monica, ma perché lo negò.
Le parole del gentile e flautato premier Conte svolazzano nell’aria. Inafferrabili come un virus.
Mauro Suttora