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Sunday, April 28, 2013

Bonino ministro Esteri


di MAURO SUTTORA

Libero, 28 aprile 2013

Nel 1994 il neopremier Berlusconi aveva deciso: i suoi due commissari italiani alla Ue sarebbero stati Giorgio Napolitano e Mario Monti. A quel punto, però, Marco Pannella piombò a palazzo Chigi, litigò con Giuliano Ferrara ministro dei Rapporti col Parlamento e sponsor di Napolitano, e impose la nomina a Bruxelles di Emma Bonino al posto del presidente uscente pds della Camera.

Risale a quell’episodio, paradossalmente, l’amicizia politica fra Napolitano e la Bonino. Che si concretizza oggi con la nomina di quest’ultima a ministro degli Esteri, caldeggiata dal presidente. Napolitano infatti, per nulla offeso dallo scippo radicale, frequentò Bruxelles negli anni seguenti come membro dell’assemblea parlamentare Nato. E apprezzò molto la Bonino commissario Ue. La stima è cresciuta nel biennio 2006-8: lui presidente, lei ministra del Commercio estero e Politiche europee che riuscì a trascinarlo alla marcia radicale per l’amnistia, e a fargli appoggiare la campagna di Pannella contro il sovraffollamento delle carceri.

Il biennio nel governo Prodi è alla base anche del buon rapporto fra la Bonino ed Enrico Letta. Proprio mentre i radicali si scontravano con i segretari Pd Veltroni e Franceschini, il pragmatismo governativo ha unito Emma al sottosegretario alla Presidenza.

Ma il vero, grande sponsor della Bonino sono i sondaggi popolari. Nonostante il suo partito sia all’1-2% (nessun eletto il 25 febbraio), lei risulta regolarmente in testa da anni. Ha vinto tutti quelli indetti online dai giornali prima delle presidenziali. E si è piazzata sesta alle ‘quirinalie’ di Grillo, davanti a Prodi, il magistrato Caselli e Dario Fo.

La Bonino mette d’accordo la sinistra (Bersani è un altro suo sponsor, ultimamente perfino il Manifesto tifa per lei), la destra (Berlusconi da vent’anni cerca inutilmente di separarla di Pannella) e il centro: Monti la apprezza come bocconiana (anche se laureata non in economia: tesi su Martin Luther King nel ‘72 in lettere straniere, corso poi abolito perché gli studenti erano troppo di sinistra), ottimi rapporti con l’ex radicale Benedetto Della Vedova oggi montiano (unico senatore ex finiano sopravvissuto), e battaglia comune contro la pena di morte con Sant’Egidio del ministro uscente Andrea Riccardi.

Papa Francesco e l’impegno sulle carceri hanno avvicinato i radicali alla Chiesa: la loro radio dedica al Vaticano un programma domenicale condotto da Giuseppe Di Leo dai toni quasi edificanti. Sono lontani gli scontri su aborto e fecondazione assistita.

È rimasto solo qualche complottista di estrema sinistra o grillino a contestare sia alla poliglotta Bonino (inglese, francese, spagnolo, arabo) che a Letta la partecipazione a due riunioni del club Bilderberg: lei nel ’98, invitata da commissaria Ue, lui l’anno scorso a Chantilly (Usa) come vicesegretario Pd. Ma quanto sia pericoloso questo raduno accusato di «massoneria» lo dice il nome di uno degli altri 5 partecipanti italiani del 2012 (oltre a John Elkann, Bernabè di Telecom e Conti dell’Enel): Lilli Gruber.
Mauro Suttora  

     

Monday, April 15, 2013

Finocchiaro, Severino, Cancellieri: meglio di no


Sono azzoppate da conflitti d'interesse tre delle quattro donne candidate alla presidenza della Repubblica. E tutte, curiosamente, per colpa di uno stretto familiare.

La ministra della Giustizia Paola Severino ha un marito un po' ingombrante: Paolo Di Benedetto, 66 anni, gran navigatore del sottobosco del potere romano: ex commissario Consob, attualmente consigliere d'amministrazione Acea (la municipalizzata squassata dalla mala gestione di Alemanno e nel mirino di Francesco Caltagirone, suocero di Casini e padrone del Messaggero, e che ora raddoppia. E' stato infatti appena nominato consigliere d'amministrazione di Edison, colosso multinazionale dell'energia.

La ministra dell'Interno Anna Maria Cancellieri ha invece un figlio imbarazzante: Piergiorgio Peluso, che nel 2012 ha preso 5 milioni da Fonsai, società di Ligresti che ha lasciato in rosso per quasi un miliardo, e di cui ci siamo già occupati qui. Ora Peluso è alto dirigente Telecom.

Anna Finocchiaro, infine, è stata danneggiata dalle foto che l'hanno ritratta mentre andava a fare la spesa all'Ikea con la scorta. Ma, soprattutto, il marito Melchiorre Fidelbo è stato incriminato lo scorso ottobre per truffa aggravata e abuso d'ufficio (un appalto da 1,7 milioni affidato senza gara a Catania).

Fra le candidate donne, quindi, non resta che Emma Bonino. Altrimenti si rischia un replay di Giovanni Leone, che negli anni '70 fu vittima delle stravaganze di moglie e figli.  

Wednesday, April 10, 2013

Emma ce la fa questa volta?

 Se il presidente della Repubblica fosse eletto dal popolo, la Bonino sarebbe al Quirinale già da 14 anni. Anche adesso è in testa ai sondaggi. Ma per i politici lei è ancora una donna scomoda: radicale, laica, poco diplomatica. Ecco la sua storia

Oggi, 10 aprile 2013

di Mauro Suttora

Più facile una donna cardinale che al Quirinale: è lo slogan provocatorio dell’associazione femminista Pari e Dispare, guidata dalla radicale Valeria Manieri. E che naturalmente ha Emma Bonino come presidente onoraria.

Ci sembra di conoscerla da sempre, la zia Emma da Bra (Cuneo). E in effetti sono passati quasi quarant’anni da quel 1974 quando, laureata alla Bocconi (ma non in Economia: Lingue straniere, corso abolito nel ’73 perché gli studenti erano troppo di sinistra) con  tesi su Martin Luther King e professoressa a Codogno (Lodi) dopo sei mesi da commessa a New York in un negozio di scarpe, rimase incinta.

Per il codice fascista Rocco l’aborto era un reato gravissimo: «contro l’integrità della stirpe». Le ragazze finivano direttamente in carcere. Lei si rivolse ad Adele Faccio, perché i radicali erano gli unici che si preoccupavano delle interruzioni di gravidanza. I sessantottini rivoluzionari di sinistra disprezzavano aborto e divorzio come «problemi borghesi». Emma si autodenunciò, scappò in Francia, tornò da latitante per vedere sua madre.

Si fece arrestare nel giugno ’75 al suo seggio di Bra durante le elezioni, per provocare più clamore. Ma altro che «disobbedienze civili» in stile Luther King: come tutto in Italia, la cosa fu abbastanza tragicomica, perché nessuno voleva arrestarla. Fu lei a insistere, spiegando ai Carabinieri che era ricercata.

L’anno dopo, ingresso a 28 anni in Parlamento con Marco Pannella e altri due radicali. Erano loro i grillini del 1976: referendum, democrazia diretta, contro la partitocrazia, contro il finanziamento pubblico. E, nel 1978, legge sull’aborto.
Sorride, Emma, quando ricorda quei tempi: «Feci scandalo solo perché osai entrare alla Camera con gli zoccoli e la gonna lunga da femminista».

Fece scandalo anche una sua intervista del luglio ’76 proprio a Oggi, in cui spiegò a Neera Fallaci (sorella di Oriana) come aveva praticato aborti «autogestiti» col metodo Karman (per aspirazione, meno rischioso rispetto al raschiamento delle mammane).

Le lamentele dei bigotti

Qualche bigotto le rinfaccia ancor oggi quei trascorsi. Ma fra i cattolici più evoluti sembra ormai tramontato il «niet» contro i radicali anticlericali, ravvivato dal referendum per la procreazione assistita del 2005. Molte volte, infatti, la Bonino e Pannella hanno condotto campagne accanto ai cattolici: contro la fame nel mondo dal ’79 all’85, per l’istituzione della Corte penale internazionale dell’Onu sui crimini di guerra, contro la pena di morte (con la Comunità di Sant’Egidio del ministro montiano Andrea Riccardi).

Oggi poi, con l’elezione di Papa Francesco, i radicali sono diventati quasi papisti. La loro radio ospita ogni domenica una rassegna stampa vaticana (condotta da Giuseppe Di Leo) entusiasta per il nuovo corso della Chiesa.

Cosicché la Bonino, sempre in giro per Africa e Medio Oriente a battersi contro le mutilazioni genitali femminili (l’escissione del clitoride nelle ragazzine), sembra avere più possibilità che nel 1999 e nel 2006 di essere eletta presidente della Repubblica.

«È l’unica che mette d’accordo destra, sinistra e grillini», spiega il Fatto Quotidiano. A destra le ex ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo la sostengono, con la collega del Pdl Micaela Biancofiore, così apertamente da essere redarguite dal capogruppo Renato Brunetta.

A sinistra la vogliono Pippo Civati, Ermete Realacci, Alessandra Moretti, Ivan Scalfarotto. E la indicano anche i 5 Stelle Luis Orellana (già candidato di parte alla presidenza del Senato), Carlo Sibilia, Paola Pinna e Andrea Colletti. I grillini, comunque, fanno decidere il nome del loro candidato presidente direttamente ai propri elettori, con un sondaggio on line l’11 aprile.

Quanto ai centristi, Mario Monti si scioglie di fronte a tutti i bocconiani, ed è diventato amico della Bonino quando entrambi erano commissari europei a Bruxelles dal 1994 al 1999. Il senatore Benedetto Della Vedova, unico finiano sopravvissuto, è un ex radicale. E apprezzano Emma anche i laici montezemoliani.

"Popolarissima. Quindi sconfitta"

Ma la forza più grande, per la Bonino, deriva dai sondaggi. Che la vedono costantemente in testa da 15 anni fra i politici più amati. Nel 1999 la lista a suo nome ottenne il 12 per cento al Nord, con punte del 18 a Monza e Treviso. Quasi come Grillo oggi.

«È popolarissima», dice Pannella, «quindi non verrà eletta neppure questa volta». In effetti, il voto per il presidente della Repubblica è sempre una partita a poker. Come per il Papa, chi entrerà favorito nell’aula dei mille e passa elettori (deputati, senatori, rappresentanti delle Regioni) probabilmente verrà sconfitto.

Lei, Emma, agli alti e bassi della politica è abituata. Un giorno l’Economist la loda come «la politica più brava d’Europa» (salvò i rifugiati kosovari nel ’99, fu la prima a denunciare il pericolo dei talebani finendo arrestata a Kabul), il giorno dopo Silvio Berlusconi (che pure l’aveva nominata commissaria Ue preferendola a Giorgio Napolitano nel ’94) la insulta: «È solo la protesi di Pannella».

Così la Bonino, per scappare dai miasmi della politica italiana, da 12 anni si è trasferita al Cairo. Lì ha imparato l’arabo, oltre al francese, inglese e spagnolo che parla perfettamente. E in Egitto proprio lei, filoisraeliana in nome della democrazia, ha assistito felice alla Primavera araba. Ci sarà ora una Primavera italiana che manderà la prima donna sul Colle più alto? Lo capiremo da giovedì 18 aprile.
Mauro Suttora   

Sunday, April 07, 2013

Grillini complottisti

VITA ALL'INTERNO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), 5 aprile 2013

«Lo avevo individuato come un povero cretino. Invece è un miserabile stronzo». Non ho mai preso tanti insulti in vita mia come dopo l'articolo che ho scritto quattro mesi fa su Sette, raccontando la mia vita di attivista nel Movimento 5 stelle (M5S). Non ho subìto volantinaggi sotto la redazione, come fecero quelli del Poe (Partito operaio europeo) negli anni '80 dopo un mio articolo sull’Europeo. Ma online si è scatenato l'inferno.

Poco male. Un titolista mi aveva definito «infiltrato», e i grillini si eccitano davanti a questa parola. Vedono infatti complotti dappertutto. Beppe Grillo ora si sente addirittura assediato da «orde di troll»: quelli che lo criticano sul suo blog, e che lui accusa di essere pagati dagli avversari.

Pensavo che i troll fossero solo personaggi di Ibsen finché non sono stato definito così pure io. Pazienza. Ho continuato a frequentare il movimento e a partecipare ai dibattiti online sul Meetup lombardo, sul sito pbworks di Milano, sulle pagine Facebook. M5S infatti non ha sedi fisiche. E alla fine ho votato Grillo.

Si è verificato però un fenomeno curioso: quando si è diffusa la mia fama di «eretico» ho cominciato a ricevere mail private di attivisti che denunciano soprusi interni, manovre, scorrettezze. Ho chiesto a due dirigenti che farne. Quelli mi hanno risposto: «Pubblicale online. La Rete non perdona».

Così ho inguaiato un povero ex assessore Pdl di Como che si era candidato alle regionali: il riciclato, dopo lunga diatriba, non è stato eletto. Poi una mail anonima ha rivelato una «cordata» monzese alle primarie online, dov'era possibile dare tre preferenze. Controllo: in effetti il trio ha sbaragliato tutti i candidati della provincia di Milano, che pure ha il quadruplo degli abitanti. Nulla di strano, le cordate sono una vecchia usanza: per impedirle un referendum impose la preferenza unica nel 1991 (segnando l'inizio della fine per Bettino Craxi, che invitò invano gli elettori ad «andare al mare»). Ironico che Grillo, antisocialista, subisca ora trucchi tipici del Psi.

Denuncio, e subisco di nuovo una marea di «vaffa». Perché i grillini saranno anche nuovi e simpatici, però nei dibattiti intestini sono abbastanza simili agli altri. E così ecco i pusillanimi che in privato ti danno ragione ma in pubblico non si esprimono, i carrieristi che vogliono mantenere buoni rapporti con tutti, i furbi che si arrampicano sui vetri, i fedeli alla linea…

Alla fine una dei tre, senatrice di Monza, si dimette alla prima seduta. Ma i dirigenti lombardi riescono comunque a non mandare a Roma la senatrice più votata alle primarie di Milano, Paola Bernetti, considerata «dissidente» e mobbizzata. Insomma, anche il M5S non è composto solo da verginelle.

Ma la mossa più buffa di Grillo e del guru Gianroberto Casaleggio è stata quella di nominare due blogger, Claudio Messora e Daniele Martinelli, «consulenti» per la comunicazione dei gruppi parlamentari. Badanti, commissari politici, addetti stampa? Dopo qualche giorno di gaffes, i malcapitati sono stati retrocessi al punto di partenza: consulenti. Di non si sa bene che. Quel che si sa, invece, è quel che contengono i loro blog. Messora ha raggiunto la notorietà con la bufala dei terremoti che si potrebbero prevedere. E in fatto di complottismo non lo batte nessuno. Tutta colpa dei massoni: la crisi dell’euro, il disastro Moby Prince, Ustica, i bimbi che scompaiono in Italia e nel mondo, il traffico di organi… È massoneria Emma Bonino, naturalmente (dal blog Byoblu, 15 marzo 2013).

Messora è spesso invitato a L’Ultima parola di Gianluigi Paragone su Rai2 (programma vietato a tutti gli altri grillini, in quanto talk show), dove abbondano pittoreschi blogger che diffondono teorie complottiste degne di Roberto Giacobbo nella parodia che ne fa Maurizio Crozza («Kazzenger»). Si azzuffa su Trattato di Lisbona, Mes o Fiscal Compact con un altro soggettone, l’economista «alternativo» Paolo Barnard, in un clima alla Funari.

Il secondo «consulente» degli eletti grillini, il bergamasco Martinelli, predilige invece il salotto di Barbara D’Urso su Canale 5. La sua nomina ha sollevato proteste dei suoi conterranei M5S di Bergamo: «Trombato con Idv alle regionali 2010, alle comunali di Milano 2011 e contemporaneamente a quelle di Treviglio. Ci ha provato anche con noi, alle primarie lo scorso dicembre. Ha preso pochissimi voti. Poi è sparito».

In compenso, Martinelli appena nominato ha messo subito le cose a posto con l‘Euro: «È un complotto massonico», ha sparato. Le bestie nere del paranoici antieuropeisti si chiamano Bilderberg e Trilateral. Chiunque abbia osato accettare un invito di questi club internazionali, così segreti che pubblicano gli elenchi dei partecipanti sui loro siti, è marchiato per sempre. Per spaventarsi basta qualsiasi nome inglese, quindi vanno bene anche Aspen o Goldman Sachs.

È un sottobosco contiguo ma in parte sovrapposto ai grillini, che non leggono i giornali (molti neanche i libri), si abbeverano solo su internet, e quindi sono facile preda dei cialtroni. Per esempio Gian Paolo Vanoli, che ha imperversato per mesi sul Meetup lombardo demonizzando i vaccini, finché ha dichiarato «Provocano l’omosessualità, che è una malattia». E anche: «L’Aids non esiste» (complotto delle multinazionali per vendere medicine, lo conferma Messora). «L’urinoterapia cura tutte le malattie, così a mia moglie sono tornate le mestruazioni a 70 anni; basta bere la seconda della giornata, non la prima». E infine: «L’ipnosi è un buon metodo contraccettivo».

I cospirazionisti del web negano l’11 settembre (il crollo delle Torri di New York fu una messinscena ebraica), vogliono curare il cancro col bicarbonato, si preoccupano per le «scie chimiche» (quelle degli aerei, che verrebbero irrorate apposta per alterare il clima). 

Ma la mania attualmente più gettonata è quella contro il «signoraggio bancario». La crisi dell’euro, infatti, ha fatto rinascere la polemica sulla sovranità monetaria iniziata vent’anni fa dal professor Giacinto Auriti, con qualche buon argomento contro le banche centrali. Una battaglia fatta propria da Grillo, che però negli ultimi tempi l’ha un po’ abbandonata. I suoi «economisti», invece, hanno buon gioco nel constatare che i Paesi di Eurolandia hanno perso la potestà di battere moneta, assunta dalla Bce. E quale bersaglio più facile della Banca centrale europea, «potere forte non eletto»? I Meetup grillini ribollono di invettive.

Nella famosa puntata di Servizio pubblico a gennaio con Silvio Berlusconi, Michele Santoro invitò una certa Francesca Salvador, signora veneta che si lanciò nel solito lamento contro le banche che strozzano i poveri imprenditori. La Salvador è attiva nell’associazione Salusbellatrix che tiene conferenze sugli argomenti più disparati. Tutti però accomunati da un mistero mondiale da scoprire o una truffa planetaria da svelare, dall’Aids alla pedofilia. 
Non manca l’antisemitismo, con un’accusa di nazismo a Israele, e con la spiegazione della strage dei ragazzini in Norvegia nel 2011: Oslo punita per essere stata la prima a riconoscere lo stato palestinese…

Anche nei Meetup M5S ogni tanto qualche sciagurato definisce Israele «fascista», e non sempre viene zittito all’unanimità come ci si aspetterebbe. Questo mi tocca vedere nei siti grillini, assieme alle tante cose belle che mi hanno spinto a votarli. Ma se oso scriverlo su Sette, sono guai: complotto!
Mauro Suttora

www.cinquantamila.it

Wednesday, December 19, 2012

Ma quando si vota?


di Mauro Suttora

Oggi, 19 dicembre 2012


Mancano soltanto 45 giorni al 3 febbraio, data fissata dal Tar per le elezioni regionali del Lazio, ma non si sa ancora nulla. Si voterà, non si voterà? «Richiami nei prossimi giorni», rispondono sconsolati al ministero degli Interni. In nessun Paese di democrazia occidentale era mai successo un disastro del genere. Siamo nell’incertezza più assoluta.

Sono in ballo quattro elezioni: le politiche nazionali (Camera e Senato), più le regionali in Lombardia, Lazio e Molise. Per nessuna di queste, a pochissime settimane dal voto, è fissata una data. Per i partiti già rappresentati in Parlamento e nei tre consigli regionali, poco male: presenteranno le liste dei candidati anche all’ultimo minuto.

Ma tutti gli altri (Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, i Radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino, Verso la Terza Repubblica di Luca Cordero di Montezemolo, La Destra di Francesco Storace ed altri) devono raccogliere moltissime firme. Per le Politiche addirittura 160 mila. Impossibile che ce la facciano. L’unico senza problemi sembra Grillo: ai suoi banchetti c’è la fila per sottoscrivere.

E pensare che, per legge, la raccolta firme dovrebbe iniziare sei mesi prima. Ma la regola salta in caso di voto anticipato. E questo è il caso di tutte e quattro le elezioni. Le politiche arrivano due mesi prima la scadenza naturale (aprile) per non accavallarsi con il voto per il nuovo presidente della Repubblica. 

L’unica cosa sicura, adesso, è che andremo alle urne in febbraio. Naturalmente la soluzione più logica è che si voti nello stesso giorno dappertutto: risparmio di soldi per lo stato e di tempo per i cittadini. Ma per gli azzeccagarbugli la semplicità non è una virtù. Possiamo solo sperare che prima o poi il Consiglio dei ministri si svegli e decida. Deve  comunque farlo, prima di Natale. Altrimenti si slitta a marzo.     

Friday, December 07, 2012

La democrazia secondo Grillo

VITA QUOTIDIANA NEL MOVIMENTO 5 STELLE RACCONTATA DA UN GIORNALISTA CHE SI È ISCRITTO E PARTECIPA ALLE ATTIVITA'

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), 7 dicembre 2012

Maledetto neon. Quello nella sala sotterranea dell'albergo La Rotonda di Saronno (Varese), dove il 18 novembre partecipo alla conferenza regionale lombarda del Movimento 5 Stelle (M5S), è squallido quanto la luce bianca da obitorio che quarant’anni fa mi fece scappare dalla mia prima riunione politica, al ginnasio di Bergamo.

Sono un "grillino". Qualche mese fa mi sono "registrato" nel portale di Beppe Grillo: un po' per simpatia personale, un po' per curiosità professionale. È gratis, basta mandare la scansione di un documento. E ora eccomi qua a fare la vita del militante semplice, anzi del "cittadino attivo" come si dice in grillese. 

Quasi tutta l'attività del movimento si svolge online, questa è una delle rare riunioni in cui ci si incontra di persona. Delusione: poche donne e giovani, maggioranza di maschi 40-50enni. Siamo 200, molti sono attirati dalla possibilità di candidarsi alle regionali lombarde anticipate del 10 marzo.

Per fortuna Grillo ha ristretto la candidatura alle politiche a chi era già in lista nelle elezioni passate: un giusto riconoscimento agli ante-marcia, per evitare l'assalto degli opportunisti. Alle regionali invece possono candidarsi tutti i registrati al 30 settembre. Risultato: lo hanno fatto in oltre 300 per gli 80 posti da consigliere regionale lombardo. 

Perché questa valanga? Anche se gli eletti M5S si ridurranno lo stipendio da 11mila a 2.500 euro netti mensili, sono soldi appetibili per molti: un affare da 600mila lordi in dieci anni, visto che un'altra regola di Grillo è il limite di due mandati per gli eletti. Questo tetto sembra a tutti l'antidoto perfetto per evitare la professionalizzazione dei «portavoce del movimento» (come vengono definiti pudicamente gli eletti): «Massimo dieci anni e poi fuori dai c…», ribadisce sempre il simpatico Beppe.

«Ma lo sapete che gli eletti radicali e verdi trent'anni fa ruotavano a metà mandato?», provo a proporre. «Erano quattro volte più "democratici" di noi. A casa dopo due anni e mezzo, sostituiti dai primi dei non eletti. Se vogliamo evitare la nascita di un'altra casta dobbiamo fare così anche noi, perché dopo dieci anni di politica a tempo pieno è quasi impossibile tornare al lavoro di prima». Qualcuno è d'accordo; ma Grillo ha deciso per i due mandati, e pochi hanno voglia di contraddirlo riaprendo la questione.

In luglio ho partecipato al voto semestrale di conferma per il consigliere comunale M5S di Milano Mattia Calise, 22 anni. Tutti gli eletti lo devono fare. Una sala di periferia, diretta streaming sulla sua relazione, poi voto online nei tre giorni successivi. Promosso con 235 sì e un solo no, «per non sembrare il politburo di Breznev».

Una sera sono andato col mio consigliere di zona 4 a una riunione sul verde nell’area dove non verrà più costruita la Biblioteca europea di Porta Vittoria, di fronte a casa mia. È arrivato in bici sotto la pioggia: bene, un politico che pratica quello che predica. Preso dall’entusiasmo, qualche giorno dopo l’ho aiutato a organizzare un banchetto di propaganda nel quartiere Santa Giulia (Rogoredo), martoriato dalla speculazione edilizia.

L’8 settembre faccio un salto a una manifestazione in piazza XXV Aprile che ripete la richiesta del primo Vaffa-day, cinque anni fa: via i pregiudicati dal Parlamento. Purtroppo c’è poca gente, e in più tanto nervosismo perché è appena scoppiato il caso di Giuseppe Favia, consigliere regionale M5S emiliano beccato in un fuorionda di Piazza pulita ad accusare Grillo e il suo consulente Gianroberto Casaleggio di ogni nefandezza.

Mi stupisco: avevo intervistato Favia pochi mesi prima, era la punta di diamante del movimento. I militanti sono assediati dai giornalisti che chiedono se è vero che nel M5S manca la democrazia interna, come denunciato da Favia.

Il fatto è che in quasi tutti i grillini c’è un fervore palingenetico: sono convinti di essere i primi a voler «fare politica in modo pulito». Io invece ne ho già visti tanti, con questo lodevole proposito. Non so se è un primato da guinness (o da ricovero), ma ho partecipato dall'interno a tutti i movimenti "antipolitici" degli ultimi 40 anni: extraparlamentari di sinistra, radicali, verdi, leghisti (frequentati per conto di Vittorio Feltri, mio direttore all'Europeo), dipietristi.

Con una certa regolarità infatti, ogni 8-10 anni, in Italia nascono formazioni che proclamano di essere «diverse». Da tutti gli altri partiti del passato, del presente e anche del futuro. Il M5S non sfugge a questo ottimismo eroico da stato nascente: «Non siamo un partito, vogliamo la democrazia diretta, permettiamo ai cittadini di decidere in prima persona». 

Il programma, in realtà, assomiglia molto a quello radicale e verde di 30-40 anni fa: no al finanziamento pubblico (il primo referendum radicale - perso per poco – risale al 1978, quello vinto al '93); sì a energie alternative e raccolta differenziata dei rifiuti, no al nucleare (primo referendum radicale tentato nel 1980, vinto con i verdi nell'87, rivinto l'anno scorso), no a inceneritori e grandi opere (Tav, ponte di Messina).

Poi c'è il rifiuto della forma-partito. I verdi ne hanno sempre aborrito sia il nome (nacquero come "liste” verdi nell'85) sia le procedure: «Facciamo politica in modo diverso, siamo biodegradabili», promettevano, fino al degrado poco bio di Alfonso Pecoraro Scanio nel 2008. 

Anche i radicali hanno sperimentato un partito libertario, "liquido": congresso annuale aperto a tutti, tessera perfino a Cicciolina e al capo della 'ndrangheta Giuseppe Piromalli. La parola «partitocrazia» è © di Marco Pannella. Il quale, proprio come Grillo, comanda col carisma. Senza espulsioni, però; mentre Beppe ha già fatto fuori metà dei suoi quattro consiglieri regionali eletti appena due anni fa. «Più che carisma, caserma», mormora qualcuno.

Tutti i movimenti contestatori hanno avuto leader forti: i sessantottini Mario Capanna e Adriano Sofri, i radicali Pannella ed Emma Bonino, i verdi Alex Langer e Grazia Francescato. Per non parlare di Umberto Bossi e Antonio Di Pietro, che hanno eliminato tutti gli avversari interni.

È per questo che oggi osservo con tenerezza il crescendo di purghe con cui Grillo tartassa i suoi eletti. Il M5S non è ancora entrato in Parlamento, non ha tessere, quote d’iscrizione, soldi pubblici, sedi, non ha neppure uno statuto (solo un “non Statuto” proprio per dileggiare la burocrazia dei partiti tradizionali), ma lui lancia anatemi con l’unico risultato di rendere famose le vittime: Favia, poi Federica Salsi (consigliere comunale a Bologna) perché è andata a Ballarò, infine il consigliere regionale piemontese Fabrizio Biolé.

Nelle nostre riunioni non se ne parla. Gli incontri sono sempre molto operativi, “concreti”: bisogna organizzare i banchetti o i criteri per le liste elettorali, le “graticole” per selezionare i candidati o la lista dei “referenti” provinciali del gruppo regionale comunicazione, sottogruppo ufficio stampa.

Non si parla quasi mai di politica, in realtà. Per quello ci sono i post quotidiani di Grillo sul suo portale nazionale. Scritti a volte da lui (o chi per lui: alcune finezze lessicali come “mesmerismo mediatico”, nel famoso post sul punto G della Salsi del 31 ottobre, non gli appartengono) o appaltati ad altri: il polemista Massimo Fini, l’anarchico Ascanio Celestini, l’economista della “decrescita felice” Maurizio Pallante, l’esperto di servizi segreti Aldo Giannuli, il prof universitario di matematica torinese Beppe Scienza che vent’anni fa dava consigli ai risparmiatori sull’Europeo. Ora fustiga le banche, e in effetti è stato uno dei pochi a prevedere la fregatura delle pensioni integrative private rispetto alle vecchie liquidazioni garantite dallo stato. Paolo Becchi, docente di Filosofia del diritto a Genova, ha candidamente confessato a Piazza pulita che sta con Grillo perché è l’unico che gli dà retta.

Nel variopinto parterre dei maitres-à-penser grilleschi ogni tanto s’intrufola qualche pataccaro, come l’attempato blogger romano Sergio Di Cori Modigliani diventato famoso lo scorso luglio per la “bufala Hollande”: un post in gran parte inventato da lui in cui magnificava risultati apparentemente ottenuti dal nuovo presidente francese nei primi cento giorni di governo (da una presunta abolizione totale delle auto blu a stipendi tagliati del 40% agli alti dirigenti statali). Per giorni impazzò sul web, rimbalzato dagli utenti di Facebook, finché qualcuno si prese la briga di controllare le fonti e scoprì il falso. È diventato un caso di scuola sulla capacità manipolatoria e autosuggestiva della Rete.

E qui si arriva al punto dolente. La cosa che m’infastidisce di più nel M5S è la fede assoluta in internet. «La Rete risolve ogni problema», tuona Grillo dai palchi dei comizi, ed è piacevole starlo ad ascoltare. «Grazie alla Rete scopriremo gli arrivisti che cercano di fare carriera nel M5S», dicono sicuri i miei compagni di riunione. Poi però basta che si candidi un qualsiasi Gianni Colombo a Milano, lo si googla per controllare e, panico: ce ne sono centinaia! Come scoprirne i passati misfatti, le candidature in altri partiti? 

Il povero Biolé è stato fatto fuori perché aveva già fatto il consigliere comunale in una lista civica apartitica del  suo paesino di 500 abitanti sulla montagna cuneese negli anni ’90, volontario ambientalista benemerito con vent’anni d’anticipo rispetto a molti grillini neofiti; ma  oggi, a scoppio ritardato di due anni, è diventato un reprobo da espellere, con tanto di lettera degli avvocati Squassi e Montefusco di Milano per conto del signor Grillo Giuseppe, “proprietario unico del marchio 5 Stelle”.

«Non ci può essere democrazia diretta sotto un dittatore», taglia corto il mio amico Luciano Lanza, vecchio libertario, fondatore di A-Rivista anarchica. Ci rimango male, le mie speranze vacillano.
     
«Di questo discuteremo in rete», mi rispondono gli attivisti M5S quando cerco di parlare per una volta non virtualmente, nella riunione di Saronno. «Immagino sia proibita la propaganda personale dei candidati» avevo detto, «perché ho visto orrendi ‘santini’ in Sicilia, e anche qui a Milano l’anno scorso alle comunali era permessa. Niente guerra intestina delle preferenze, spero, e inoltre non vogliamo rischiare che i clan della ’ndrangheta nell’hinterland appoggino qualche candidato sfuggito alla nostra attenta selezione…»

Niente da fare. Non c’è mai tempo per parlare guardandosi negli occhi. Solo web, computer e smartphones per gente sempre “connessa”. Ma connessa a cosa, mi domando. Sempre lì a smanettare come zombies. È online che si svolge la vita vera dei grillini, mica nella realtà così deludente, catastrofica e piena di ladri… Eppure uno dei nostri ispiratori è Ivan Illich, il cantore della convivivialità.

Grillo predica la Rete non più come mezzo ma come fine, e i seguaci più pedissequi la mettono sull’altare come i rivoluzionari francesi sostituirono Dio con la Dea Ragione, a fanatismo inalterato.
Così per seguire il M5S ora devo collegarmi con sei piattaforme diverse: il portale di Grillo, i meetup regionale e comunale, Pbworks, Facebook, Googlewiki per discutere e infine Liquid Feedback per votare.

Una sovrabbondanza elettronica ci succhia via la vita, ci fa litigare con mogli la sera perché sospettano che chattiamo nei siti erotici, o fa crollare drasticamente le nostre produttività sul luogo di lavoro.
Detto questo, ammetto che Liquid Feedback è geniale. È un sistema di votazione adottato dal partito tedesco dei Pirati, ma potrebbe esserlo anche in ogni condominio o consiglio di zona, su su fino all’Europarlamento. Se Clistene o Pericle lo avessero avuto, altro che agorà dell’antica Atene. 

Forse si avvererà la profezia di Erich Fromm: nel ’76, in Avere o essere, propose di votare con referendum sulle dieci questioni più importanti ogni anno, come gli svizzeri nella piazza del cantone di Appenzell, evitando l’intermediazione parassitaria dei politici a tempo pieno. «La politica, come l’amore, è troppo bella per lasciarla a professionisti», diceva lo slogan che invitava alla partecipazione negli anni ’70.

Quindi, ora ci riprovo. Dopo aver frequentato e votato per sessantottini, radicali, verdi, leghisti e dipietristi, mi affido abbastanza disperato a Grillo. Perché, nonostante tutte le critiche e quindi anche questo articolo, il M5S mi sembra l’unica cosa nuova nella vita pubblica italiana oggi. Probabilmente sbaglio, e dopo la sesta illusione arriverà come sempre la delusione. In effetti, il neon delle riunioni è orrendo come 40 anni fa.
Mauro Suttora

Wednesday, February 08, 2012

I politici laureati "sfigati"

DAVVERO CHI SI LAUREA DOPO I 26 ANNI DEVE VERGOGNARSI? ECCO A CHE ETA' HANNO FINITO GLI STUDI MINISTRI ED EX

di Mauro Suttora

Oggi, 1 febbraio 2012

Giorgio Napolitano e Mario Monti in testa alla classifica dei superveloci: laurea ad appena 22 anni. Subito dopo gli altri leader della politica italiana: Gianfranco Fini a 23, Pier Luigi Bersani a 24, Silvio Berlusconi a 25. Dopo l’uscita di Michel Martone, neo-viceministro del Lavoro che ha bollato come «sfigati» i laureati dopo i 26 anni, abbiamo controllato quanti, fra i suoi colleghi in politica, potrebbero sentirsi offesi. E abbiamo scoperto che sono ben pochi, perché la maggioranza dei politici ha compiuto studi regolari. Poi ci sono quelli che non si sono neppure laureati (girate la pagina per scoprire chi), e a giudicare dai nomi nessuno soffre di complessi d’inferiorità.

Martone voleva condannare i figli di papà fuoricorso che si baloccano fra donne, sport e motori. Così come il ministro Tomaso Padoa Schioppa definì «bamboccioni» i giovani che vivono in famiglia dopo i 30 anni, e Renato Brunetta insultò i precari («Siete la peggiore Italia»).

Ma, andando sul concreto, in politica chi si è laureato in ritardo ha avuto ottime scuse. Antonio Di Pietro, per esempio: emigrato in Germania, poi studente-lavoratore, di giorno era impiegato civile all’Aeronautica e la sera affrontava gli esami universitari di Legge. Nichi Vendola ha discusso la sua tesi di Lettere su Pasolini fuori tempo massimo, ma un lavoro già ce l’aveva: dirigente dei giovani comunisti e dell’Arcigay.

Più accidentato il percorso accademico di Alessandra Mussolini: accusata con altri 180 studenti romani di aver «comprato» due esami nel 1982 (reato di falso, prescritto), dieci anni dopo quando entrò in Parlamento si dichiarò dottore in Medicina, ma si laureò solo nel ‘93. Un anno fa è stata bocciata all’esame di abilitazione; l’ha ripetuto, e alla fine ce l’ha fatta.

Fra gli ex ministri Stefania Prestigiacomo ha conquistato nel 2006 una laurea triennale in Scienza dell’amministrazione alla Lumsa (Libera università Maria Santissima Assunta) di Roma, con una tesi sulle adozioni. Ma, figlia di imprenditori, divenne presidente dei giovani industriali di Siracusa a soli 23 anni, e quattro anni dopo entrò alla Camera. Stessa università privata anche per Mario Baccini (Udc): 110 e lode in Lettere due anni fa, tesi su Amintore Fanfani.

Il «non è mai troppo tardi» del sindaco di Roma Gianni Alemanno si è concluso nel 2004 a Perugia, dov’è diventato «ingegnere dell’ambiente» con tesi sulle biomasse. Ma il record di chi ha voluto conquistare una laurea fuori tempo massimo, a questo punto solo per orgoglio e prestigio, va a Claudio Scajola: ce l’ha fatta nel 2000 in Legge a Genova, dove aveva cominciato a studiare nel 1967, prima di essere attratto dalla politica che gli affidò ad appena 27 anni la direzione di un ospedale.

Ha sforato solo di un anno, invece, secondo il parametro-Martone, Maria Stella Gelmini: si è laureata nel 2000 in Legge a Brescia con 100/110 e una tesi un po’ «sciatta» sui referendum regionali, secondo il relatore.

Mara Carfagna ha ottenuto la laurea in Legge nella sua Salerno lo stesso anno (2001) in cui ha posato nuda sulla copertina del mensile Maxim: studentessa-lavoratrice. Daniela Santanchè, dottore in Scienze politiche a Torino, ha fatto notizia perché sul sito ufficiale del governo si vantava di avere un «master» alla Bocconi. In realtà era un corso di una ventina di giorni aperto anche ai diplomati con licenza media.

Silvio Berlusconi si è laureato con lode nel 1961 alla Statale di Milano con una tesi, manco a dirlo, sul contratto di pubblicità. Stessa età di laurea e stessa facoltà (Legge) per Marco Pannella, il quale però nel ’55 dovette emigrare da Roma a Urbino e sfangò un 66 grazie a una tesi sul Concordato scritta da amici. La sua collega radicale Emma Bonino invece è stata una delle ultime a laurearsi in Lingue straniere alla Bocconi: proprio quell’anno (1972) il corso venne soppresso.

Pier Luigi Bersani ha potuto esibire online il suo notevole curriculum universitario (30 in tutti gli esami tranne un 28, laurea con lode in Filosofia con tesi su san Gregorio Magno) dopo che nel 2010 la Gelmini lo accusò di essere un «ripetente». Stessa età e università (Bologna) per Pierferdinando Casini, laureato in Legge.

Fini esibisce una laurea in Pedagogia ottenuta a pieni voti a Roma nel 1975, ma senza poter frequentare le lezioni: in quel periodo i neofascisti del Msi venivano picchiati se osavano mostrarsi a Magistero, feudo dell’ultrasinistra. Molto più calma la laurea in Bocconi per il neoministro Corrado Passera, seguita da un master a Filadelfia. Quanto a Brunetta, pure lui laureato 23enne, la sua università era Padova, facoltà di Scienze politiche ed economiche.

Ed ecco infine i «mostri» laureati a soli 22 anni: traguardo matematicamente impossibile senza una «primina» (elementari anticipate a cinque anni d’età) o il salto di un anno alle medie. Napolitano diventa dottore in Legge nel 1947 con una tesi di Economia politica sul «mancato sviluppo del Mezzogiorno». Durante la guerra salta la prima liceo ed entra nel Pci.

Monti si laurea alla Bocconi nel ’65, poi si specializza a Yale (Stati Uniti), fa la leva nell’Aeronautica e a 26 anni è già professore ordinario a Trento, dove lo chiama il rettore Francesco Alberoni. Romano Prodi è dottore in Legge nel ’61 alla Cattolica di Milano, con tesi sul protezionismo industriale. Laureato prodigio anche l’ex ministro Franco Frattini: Legge a Roma. E nel nuovo governo brilla anche il curriculum del sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà, pure lui laureato in Giurisprudenza a Roma.
Mauro Suttora

Monday, February 07, 2011

I radicali salvano Berlusconi

Pannella stangherà i pm per conto del Cav

Sempre in bilico fra destra e sinistra, il leader radicale promette nove voti al premier

di Mauro Suttora

Libero, 7 febbraio 2011

Se Silvio Berlusconi cerca l'elisir della giovinezza, meglio Marco Pannella di Ruby. L’ottantunenne leader radicale esibisce l’energia di un ventenne, in questi giorni. Con la sua coda di cavallo bianca da capo indiano, è felice per essere tornato a fare notizia. E che notizia: sarà lui a nominare il prossimo ministro della Giustizia. Se Alfano diventerà coordinatore unico del Pdl, di fatto delfino di Berlusconi, il candidato potrebbe essere un «tecnico d’area radicale»: Mario Patrono, consigliere Csm di area socialista negli anni ‘90. Il quale in via Arenula si occuperà dei tre argomenti che stanno a cuore a Pannella: carceri, separazione delle carriere e responsabilità civile dei magistrati (referendum vinto nell’87 sull’onda del caso Tortora, ma depotenziato da legge poco applicata).

In cambio, nelle votazioni topiche Berlusconi avrà nove voti in più: i sei radicali alla Camera, e i tre senatori. Difficile per Emma Bonino seguire Marco anche in questo suo ultimo giro di valzer: lei è vicepresidente del Senato, in quota centrosinistra. Con qualche obbligo in più verso chi l’ha eletta, quindi. Ma se Fini ha fatto il salto della quaglia, può farlo anche lei in direzione opposta. Magari astenendosi, oppure con qualche provvidenziale assenza. Già adesso Emma risulta fra i senatori meno presenti. Gli altri parlamentari radicali obbediranno, come sempre. Anche quelli col mal di pancia.

Sbaglia chi carica il «tradimento» radicale di significati politici. Come sempre, Pannella agisce soprattutto in base a umori personali. Gli dà fastidio che Bersani lo snobbi. Mentre lo hanno galvanizzato i due incontri personali con Berlusconi, e poi quello con Alfano.

Il premier è in difficoltà? In Pannella scatta immediatamente l’istinto della crocerossina: «Io ti salverò», gli promette hitchcockianamente. Lo aveva fatto anche con Craxi nel ‘93: «Consegnati, fatti incarcerare, stai in prigione qualche settimana, e alla fine verrai liberato a furor di popolo». Con tutti i parlamentari inquisiti di Tangentopoli, Marco si era dimostrato accogliente. Li aveva combattuti per trent’anni, democristi e socialisti, ma di fronte alla procura di Milano li aveva difesi, respingendo il voto anticipato che li privava dell’immunità: «Riuniamoci all’alba, resistiamo».

Anche adesso, gli piace apparire come il «salvatore». È tornato a fare il consigliere di Berlusconi, come ai bei tempi del ‘94-96, quando i radicali si allearono a Forza Italia. Poi una rottura parziale, quando non raggiunsero il quorum e rimasero fuori dal Parlamento per dieci anni (1996-2006). E una rottura totale nel 2000, dopo che la lista Bonino conquistò il 14 per cento al nord alle europee, ma Berlusconi la liquidò come «protesi di Pannella».

I radicali sono sempre stati in bilico fra destra e sinistra. Liberisti in economia, ma libertari sui diritti civili. Portafogli a destra, cuore a sinistra. Sessant’anni fa Pannella cominciò nella corrente di sinistra del partito liberale con Eugenio Scalfari. Assieme fondarono il partito radicale nel ‘55, per separarsi sette anni dopo: Scalfari guardava al Psi, Pannella al Pci.

Fino al ‘92 i radicali sono rimasti a sinistra. Poi hanno svoltato a destra organizzando referendum liberisti con la Lega Nord, cui aderì anche Berlusconi. Il ritorno a sinistra è del 2006, dopo il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita. Si allearono con i socialisti, riesumarono il simbolo della Rosa nel pugno, ma non andarono oltre il tre per cento. Nel 2008 Veltroni rifiutò di l’”apparentamento” con loro (come con Rifondazione), costringendoli a un’umiliante contrattazione di posti all’interno delle liste Pd. Ancor peggio l’anno dopo, quando Franceschini li cancellò anche dall’Europarlamento alzando la soglia-ghigliottina al 4 per cento.

L’orgoglioso Pannella non ha dimenticato gli affronti degli «imbecilli del loft», e ora gliela fa pagare.
Con Bersani i rapporti sono rimasti agrodolci fino a poche settimane fa. Il capo Pd ha incontrato Pannella prima del 14 dicembre, quando già c’erano le avvisaglie del cambiamento con i primi abboccamenti dei radicali col centrodestra. Si è sorbito due ore di incontro, in cui ha parlato quasi sempre Pannella. Ma i radicali ce l’hanno con lui perché non li ha appoggiati nella loro battaglia contro le firme false di Formigoni alle regionali della Lombardia la scorsa primavera. «E quando cerchiamo di parlare di giustizia con il Pd, come interlocutori troviamo solo magistrati», si lamenta il deputato radicale Marco Beltrandi.

Ora una cosa è sicura: alle prossime elezioni sarà difficile che il Pd offra nove seggi ai radicali. Fa niente: Pannella li otterrà dal Pdl. Si ritroverà con Daniele Capezzone, suo delfino fino al 2007. E a chi lo accusa di trasformismo, risponde sorridendo: «Omnia immunda immundis. Io lotto per il bene del Paese».

Thursday, April 08, 2010

Rutelli andrà con Berlusconi?

Dopo il flop della sua Api potrebbe finire in braccio al premier

di Mauro Suttora

Libero, 8 aprile 2010

«Ah Berlusco’... Perché ce l’hai co’ mme? Io sto a lavora’ pe’ te! Ricordati deji amici! Di chi t’ha voluto bene!» Così Francesco Rutelli implorava Silvio Berlusconi nove anni fa, nell’indimenticabile satira di Corrado Guzzanti all’Ottavo Nano. L’avversario del Cavaliere alle politiche 2001, mandato allo sbaraglio in elezioni già perse, sembrava intento più a ingraziarselo che a combatterlo.

Oggi quella che sembrava soltanto una fantasia comica sta per diventare realtà: Rutelli finirà con Berlusconi. La sua Api (Alleanza per l’Italia), fondata pochi mesi fa, ha infatti ottenuto risultati deludenti al voto del 28 marzo. È riuscita a presentarsi in sole quattro regioni, raccattando il due per cento in Calabria e nelle Marche, il tre in Campania e il quattro in Basilicata, grazie a qualche capataz locale.
È vero, ha trionfato a San Nicola da Crisse (Vibo Valentia) con il 42%, e a Marcianise (Caserta) con il 23. Ma forse di queste percentuali c’è più da preoccuparsi che da rallegrarsi. In tutto il nord Api continua a voler dire solo Associazione piccole imprese. E nel resto d’Italia è una catena di pompe di benzina.

Così fra poco Rutelli compirà l’ottavo giro di valzer della sua carriera politica. Ricapitoliamo. Per quasi vent’anni radicale. Poi è cominciato il pellegrinaggio: verdi, Centocittà (movimento sindaci), Asinello con Prodi e Di Pietro, Margherita, Pd. Infine l’Api: doveva essere la grande scissione a destra del Pd, e invece quasi nessuno dei suoi lo ha seguito. Gentiloni, Realacci, Zanda e Giachetti sono rimasti con gli ex comunisti; Carra, Lusetti e la Binetti si sono rifugiati nell’Udc.

Ora mancano tre anni al prossimo contatto con la realtà (le elezioni), momento sempre più spiacevole per il bel Francesco. Quindi c’è tutto il tempo per «riposizionarsi» senza dare troppo nell’occhio. In fondo, se l’ex capo di uno schieramento passa dalla parte opposta, sarebbe come se Bush diventasse democratico, o Berlusconi socialista. Uno scandalo. Ma per Rutelli nulla è impossibile.

Ha già cominciato Francesco Carducci Artenisio, 47 anni, fedelissimo del Piacione quand’era sindaco di Roma: si è fatto eleggere consigliere regionale del Lazio nel listino personale di Renata Polverini. La quale potrebbe nominarlo assessore alla Cultura, così come Rutelli quand’era ministro dei Beni culturali lo fece amministratore delegato della società Cinecittà Holding (gran posto di potere nel superassistito cinema italiano).

Entro la fine dell’anno Pierferdinando Casini dovrebbe sciogliere la sua Udc e far nascere un non meglio precisato Pdn (Partito della nazione). Tramontato il sogno centrista di un rapido tramonto di Berlusconi, è svanito anche l’asse Casini-Fini-Montezemolo su cui Rutelli puntava. Non gli resta che accomodarsi nella «nuova» formazione centrista, contrattando buone posizioni per se e i pezzi di classe politica in cerca di ricollocazione che si porta appresso.

A quel punto, se Berlusconi com’è del tutto probabile nel 2011 sarà ancora saldamente al potere, attraverso Carducci le doti rabdomantiche di Rutelli potrebbero spingersi fino al Pdl. Come? L’ex compagno di lotte di Emma Bonino si farà portare fra le braccia del Cavaliere da colei che l’ha sconfitta: la Polverini. Per lo meno questo è il disegno della neogovernatrice del Lazio, secondo un articolo pubblicato ieri dal quotidiano Italia Oggi. Fantascienza? Figuriamoci: l’anno prossimo l’Italia festeggia i 150 anni. Ma il trasformismo dei suoi politici, dal «connubio» di Cavour a Depretis, ha più o meno la stessa età.

Wednesday, March 31, 2010

Radicali, geniali perdenti

LE MOSCHE COCCHIERE DELLA SINISTRA

di Mauro Suttora

Libero, 31 marzo 2010

Negli stessi minuti in cui Emma Bonino ha perso per 77 mila voti la sfida laziale con Renata Polverini, una sua omonima trionfava: Emma Marrone, vincitrice di ‘Amici’ su Canale 5. Così ora sono tre le Emme nazionali: non va dimenticata la Marcegaglia di Confindustria.

Ma proprio in quei momenti dopo mezzanotte nei quali è apparso chiaro che i postfascisti ciociari e i reazionari reatini restituivano la transnazionale Emma B. al suo ambiente naturale (Bruxelles, New York, Davos, L’Aia), i radicali si erano già rialzati dal k.o.: riuniti nella loro sede nazionale dietro al Pantheon, ascoltavano Marco Pannella il quale, immune da depressioni e autocritiche, descriveva fino alle tre di notte le «iniziative di lotta che ci impegneranno da domattina».

È questa la terapia che i pannelliani adottano dopo ogni sconfitta: far finta di niente, e ricominciare immediatamente a macinare politica «contro il regime». Hanno fatto così l’anno scorso, quando per la prima volta dopo trent’anni sono stati eliminati dall’Europarlamento (colpa della tagliola veltroberlusconiana al 4%): il giorno dopo stavano già pianificando l’attuale voto regionale. È successo nel 2006, quando la rediviva Rosa nel pugno con i socialisti abortì in un pugno di mosche. L’allora segretario radicale Daniele Capezzone ripartì come un razzo a criticare il suo non ancora capo Berlusconi e, per par condicio, i propri (in teoria) allora alleati Prodi e Fassino. E fu così anche nel 2005, quando dopo la sconfitta del referendum sulla fecondazione assistita concepirono, appunto, la Rosa nel pugno.

È da sessant’anni che Pannella perde. All’inizio degli anni ’50 esordì già in minoranza nel Pli di Malagodi. Con Eugenio Scalfari se ne andò e fondò il partito radicale. Subito batoste: zero eletti al comune di Roma nel ’56, e due anni dopo alle politiche l’1,4%, ma con il Pri. In pratica, votarono per loro solo i lettori dei due settimanali «laici»: Il Mondo e L’Espresso. Non domi, i radicali da allora hanno sempre preteso di dettare la linea politica a tutti (Pci, Psi, Pri, Pli, Psdi) dall’alto del nulla del proprio consenso popolare. «Mosche cocchiere»: così, citando la favola di Fedro, Togliatti liquidava gli intellettuali che volevano comandare, o almeno consigliare e ammonire i capi, senza però sporcarsi le mani con il «sangue e merda» (© Rino Formica) della politica reale, dei voti conquistati porta a porta nelle periferie (anche a Frosinone), del contatto con le miserie della gente e i suoi vizi. Perché il vizio di tutti gli idealisti illuminati d’Italia, da Pisacane al partito d’Azione a Ugo La Malfa, è sempre stato quello che gli scienziati della politica definiscono «minoritarismo».

Ancor oggi, i radicali sono onestamente convinti di aver ragione pur essendo una microminoranza. Vendola è riuscito a strappare il 10% per il suo partitino in Puglia, sull’onda della vittoria personale? I radicali in Lazio si sono fermati al solito tre per cento, nonostante il traino della Bonino.

Nel ’99 Emma & Marco agguantarono il loro unico successo: otto per cento alle europee con punte del 18% in varie città del nord, secondo partito dopo Forza Italia. Allora stavano a destra, liberali e liberisti. Poi però non si accordarono con Berlusconi, e ripiombarono alle percentuali abituali. Chiunque, al loro posto, si sarebbe ritirato da un pezzo. Loro invece, geniali e coriacei, ora vogliono insegnare al povero Bersani come guidare il Pd. Perché solo i radicali sono il sale della democrazia, i partigiani della legalità. Non per nulla stanno dietro al Pantheon, casa di «tutti gli dei».

Mauro Suttora

Monday, March 01, 2010

Radicali e popolo viola

GARANTISTI O GIUSTIZIALISTI?

di Mauro Suttora

Libero, 28 febbraio 2010

Che c’entrano Emma Bonino e Marco Pannella con il «popolo viola»? Che ci facevano ieri i radicali in piazza a Roma assieme ai cascami dell’ultrasinistra, ai residuati comunisti, alle tricoteuses che da quindici anni sognano la ghigliottina per Silvio Berlusconi?

Davvero la politica impone inversioni a U così spregiudicate? La Bonino si sente veramente così a corto di voti, per l’elezione in Lazio fra un mese, da dover corteggiare una frangia di piazza che è sempre stata, da quando i radicali esistono, agli antipodi del loro garantismo?

Si può dire che il partito radicale sia nato, come ragione sociale, assieme alla tutela dei diritti degli inquisiti. Sono passati 41 anni dal gennaio 1969, quando organizzarono la loro prima polemica “controinaugurazione” dell’anno giudiziario di fronte al “Palazzaccio” di giustizia di Roma. Invitarono magistrati e avvocati, ma soprattutto semplici cittadini danneggiati dalla giustizia. Segretario radicale era allora l’avvocato Mauro Mellini (poi deputato per dieci anni), che assieme al collega Giuseppe Ramadori, anch’egli dirigente del partito, fondò il gruppo “Rivolta giudiziaria”. Precursori: la corrente “Magistratura democratica” non era ancora nata.

Pannella faceva controinformazione sul caso di Aldo Braibanti, un intellettuale condannato a nove anni per plagio ed emarginato perché anarchico e omosessuale. Fu subito incriminato per diffamazione dei giudici. Ne nacque un caso nazionale: con il capo radicale solidarizzarono Pier Paolo Pasolini ed Elsa Morante. Alla fine il reato di plagio venne cancellato dal codice penale.

Dagli anni ’70 la magistratura è stata costantemente nel mirino dei radicali e dei loro referendum contro reati d’opinione, legge Reale, ergastolo, codici e tribunali militari. Walter Chiari e Lelio Luttazzi, incarcerati per droga nel 1970, furono difesi da Pannella, che nel ’75 effettuò la sua prima fumata di spinello in pubblico. Una lotta andata avanti fino ad oggi: alle prossime elezioni il leader radicale non si può presentare perché ha perso i diritti politici passivi (farsi eleggere alle amministrative) a causa della condanna per «cessione di droga» subita con la deputata Rita Bernardini.

Ma tutte le battaglie per i diritti civili (divorzio, aborto, obiezione di coscienza al servizio militare) possono essere considerate affermazioni della libertà individuale contro l’intromissione di stato, leggi, carabinieri, manette e giudici nella vita privata dei cittadini. Finché negli anni ’80 arrivò la campagna per Enzo Tortora, eletto eurodeputato nell’84, e quella conseguente per la «giustizia giusta», con il referendum vittorioso per la responsabilità civile dei giudici.

Il garantismo di Pannella non è mai stato peloso. Ha rasentato l’autolesionismo quando ha difeso i diritti dei parlamentari inquisiti in Tangentopoli, e perfino del boss calabrese Piromalli. E gli ha fatto definire «prostituzionale» la Corte costituzionale, oltre che «cupola della mafia partitocratica».

Viene tristezza quindi adesso nel vedere il libertario Pannella assieme a Paolo Flores D’Arcais (che come direttore della rivista Psi Mondo Operaio prendeva soldi da Craxi), ai giustizialisti e agli altri «amici di Spatuzza», il mafioso che sputazza accuse non provate contro Berlusconi. Perché i radicali sono sempre stati girondini, mai girotondini. Rivoluzionari sì, ma di centro: contro gli opposti estremismi giacobini e vandeani.

Mauro Suttora

Precisazione della signora Rossana Luttazzi, moglie di Lelio:

Gentile Signor Mauro Suttora,
mi è stato segnalato oggi sul Suo blog un articolo sui "radicali".
Ad un certo punto Lei scrive: ".....e Lelio Luttazzi incarcerati per droga".

Vede, quando si trattano argomenti tanto delicati, bisognerebbe fare uno sforzo in più, e documentarsi, rimanere nel vago non aiuta nessuno. Nel 1970 mio marito fu arrestato con un'accusa infondata di detenzione e spaccio di droga. Fu un errore giudiziario! Lo sanno tutti! Forse una delle prime vittime " illustri" del grande orecchio delle intercettazioni.. come ha ben scritto Susanna Tamaro sul "Corriere della Sera" di venerdì 26 febbraio 2010.

Chi legge "incarcerati per droga" e basta, secondo Lei, che cosa deve pensare?? E allora non è meglio chiarire un po' di più se proprio si vuol fare il nome di mio marito?

La pregherei di chiarire nel Suo blog "il concetto".

Nel ringraziarLa Le porgo cordiali saluti
Rossana Luttazzi

Se Lei vuole, può ricopiare questa mia rettifica e inserirLa nel Suo blog.


Mia risposta inviata alla signora Luttazzi:

Gentile signora,
lei completamente ha ragione. Ovviamente suo marito era perfettamente innocente, e così come per Enzo Tortora, che ho citato poco dopo come altro beneficiario del benemerito garantismo di Pannella, non ho neanche sentito il bisogno di precisarlo.
Ho sbagliato? Può darsi, ma non volevo appesantire l'articolo aggiungendo l'avverbio "ingiustamente".

Io personalmente sono antiproibizionista, non dovrebbe proprio esserci reato (come per altre droghe tipo alcol o tabacco). Ma capisco che dia fastidio a suo marito essere tirato in ballo ancora 40 anni dopo per un "reato" mai commesso!

Me lo saluti molto, quando ero piccolo ascoltavo sempre Hit Parade a pranzo, e ho avuto il piacere di rivederlo in teatro con Fiorello.

Mi scusi per il disturbo, aggiungerò questa sua lettera al mio blog, per quel che può servire. Proprio leggendo l'articolo della Tamaro mi era tornata in mente la sua vicenda

Cordiali saluti

Friday, February 19, 2010

La Bonino fa ingelosire Pannella

MARCO SI SENTE TRASCURATO, LA DELFINA È SEMPRE IN TV

di Mauro Suttora

Libero, 19 febbraio 2010

Non sarà che Marco Pannella è geloso di Emma Bonino? Perché il capo radicale tuona contro la censura, lamenta che non lo fanno parlare in tv, minaccia di chiedere asilo politico all’estero. Dati alla mano, ha ragione: le sue ultime apparizioni risalgono a quasi un anno fa, quando disse «Hai la faccia come il c…» a Dario Franceschini durante Ballarò, e per rimediare un invito ad Anno Zero dovette fare uno sciopero della sete. Poi nient’altro, tranne un picco d’ascolto la settimana scorsa con la «iena» Lucci che lo provocava: «Fatti visitare l’ano, che ne ha viste di cotte e di crude». Pronta la risposta del tremendo ottantenne: «Fattelo esaminare tu, frocione».

Però la Bonino non è colpita dallo stesso ostracismo Rai-Mediaset. Difficile che lo sia, essendo la massima protagonista della sfida più importante del voto del 28 marzo: quella sul filo del rasoio con Renata Polverini per la regione Lazio. Quindi tanti inviti per lei, nessuno per Marco. Pannella ne soffre. La coppia più longeva della politica italiana (lottano assieme da 35 anni) rischia di incrinarsi causa jalousie? Emma, per non peggiorare le cose, ha rifiutato una comparsata da Porta a porta offertale a titolo di briciola risarcitoria dal detestato Vespa.

Ma è fatale: nelle prossime settimane tutti i riflettori punteranno su lei, e superMarco resterà in ombra. Anche perché, incredibilmente, Pannella alle regionali non si può candidare. È stato condannato per «cessione di droga»: pena accessoria, la perdita dell’elettorato passivo. Le famose «disubbidienze civili», quando con l’ora 87enne Stanzani e la deputata Rita Bernardini distribuiva spinelli in piazza Navona.

Intanto, con il fido Beltrandi è riuscito a piazzare il siluro del regolamento pre-elettorale Rai nella commissione di Vigilanza. La sinistra strepita, perché il deputato radicale se l’è fatto votare dal centrodestra. Mentre la Bonino deve mediare: da candidata Pd, non può litigare sempre con tutti (il passatempo preferito di Marco).

Eppure, la coppia sembra inossidabile. Ci aveva provato Berlusconi a farla scoppiare dieci anni fa, bollando la Bonino come «protesi di Pannella». Emma era reduce dall’exploit del ’99: otto per cento alle europee, dodici per cento al Nord con punte del 18 in molte città, da Monza a Treviso, secondo partito dopo Forza Italia. Mettere il nome «Bonino» sulla lista radicale, invece del «Pannella» condannato al 2-3 per cento perenne, aveva provocato il miracolo. Propiziato anche da una valanga di spot con l’immagine efficiente e moderna della commissaria Ue.

Ma l’insulto berlusconiano ha sortito l’effetto opposto: appiccicare ancor più Emma a Marco. Una lealtà autodistruttiva ma ammirevole, quella della Bonino «governativa» al vecchiaccio incorreggibilemte anarchico. Perché tutti, per spiccare il volo, hanno prima o poi abbandonato il libertario logorroico: da Rutelli a Capezzone, da Quagliariello al ministro Elio Vito. Lei no, fedelissima nei decenni come quella coriacea cuneese che è. Non si è mai sentita appesantire le ali dalla zavorra pannelliana.

Così Emma svolazza disinvolta da Davos a Frosinone, da Soros a Esterino Montino, e accumula poltrone: ministra con Prodi, ora vicepresidente del Senato. Rendendo un po’ duro per Pannella l’atteggiarsi a «partigiano anti-regime», mentre alla Bonino lo stesso regime offre le massime cariche. Matteotti non fece una gran carriera sotto Mussolini…

Non esiste spiegazione politica alla coppia Emma-Marco. Forse un buon psicanalista. Ma naturalmente Pannella ha sbattuto la sua telegenica nuova coda di cavallo bianca in faccia anche a Fagioli, l’ex guru di Bertinotti del quale si era invaghito un anno fa. Lo spettacolo continua. Faville e scintille garantite, come sempre fra i radicali.

Wednesday, January 27, 2010

Emma Bonino e Renata Polverini

LAZIO, LA DISFIDA DELLE RAGAZZE

Chi sono (davvero) le due donne che si contendono Roma

Da una parte c'è la sindacalista di Destra spesso apprezzata anche dalla Sinistra. Dall'altra, la radicale valorizzata da Berlusconi. Ecco le protagoniste delle Regionali

di Mauro Suttora

Oggi, 27 gennaio 2010

La sede del suo sindacato, l'Ugl, è in via Margutta, la strada più chic di Roma. Come se a Milano i metalmeccanici stessero in via Montenapoleone. Ma non è l' unico miracolo compiuto da Renata Polverini, capa dell'Unione generale del lavoro (l'ex Cisnal neofascista). Milena Gabanelli, in Report, ha formulato dubbi sul numero reale dei suoi iscritti. La Ugl ne vanta più di due milioni. Qualcuno mormora che a questa cifra bisognerebbe togliere uno zero. E lei, Renata, non smentisce: «Non fatemi parlare, ne avrei di cose da raccontare...», minaccia. Come dire: così fan tutti, controllate anche i cinque milioni di iscritti alla Cgil, i quattro della Cisl, i due della Uil. Con tanto di moltiplicazione di poltrone (e stipendi) nei consigli di amministrazione Inps e di tutti gli altri enti dove ai sindacati spettano posti.

Il palazzo di via Margutta è di proprietà, come l'attiguo Hotel de Russie, dei conti Vaselli: palazzinari in affari per centinaia di milioni con il Comune di Roma. Uno di loro è stato condannato a quattro anni come complice di Ciancimino, e ha latitato per tre anni. Il canone d' affitto all'Ugl non è noto, ma potrebbe diventare fonte di conflitto d'interessi se Renata Polverini fosse eletta governatrice.

Emma Bonino, invece, di iscritti ne ha solo 200: tanti erano quelli al suo partito radicale a metà gennaio. C'è da dire che la tessera va rinnovata ogni anno e costa parecchio: 200 euro. Ma i numeri non sono mai stati un problema per lei e Marco Pannella. Anche con tremila iscritti e solo il tre per cento dei voti, negli ultimi quarant' anni hanno cambiato l' Italia: divorzio, aborto, obiezione di coscienza, diritti gay, nucleare, finanziamento pubblico ai partiti... Ora lottano per il testamento biologico, sull' onda dei casi di Piero Welby ed Eluana Englaro.

Il periodo d'oro di Emma (così la chiamavano tutti, finché la sua omonima Marcegaglia è diventata presidente Confindustria: ora bisogna specificare) è stato dal 1994 al '99, quando fu commissaria europea ai Diritti umani. Andò in Afghanistan nel '97, quando nessuno si preoccupava di al Qaeda e talebani. Ci litigò subito, loro la arrestarono. Per dieci anni ammonì invano sulle stragi nella ex Jugoslavia, finché la Nato dovette intervenire in Kosovo. Tutto il mondo la lodò, l'Economist scrisse addirittura che era stata la migliore commissaria Ue. Risultato: il governo italiano non le rinnovò il mandato. Altrimenti ci sarebbe lei ora sulla poltrona del Segretario generale Onu, al posto dell'incolore Ban Ki Moon.

«E pensare che in Europa l'ho mandata io, peccato ora averla contro», sospira Silvio Berlusconi. È vero: sedici anni fa, quando fu premier la prima volta, la preferì a (indovinate chi?) Giorgio Napolitano, anche lui in lizza per Bruxelles. Poi però nel ' 99 Silvio s'ingelosì perché alle Europee la Bonino pigliò l'8 per cento dei voti (con punte del 18 nelle città del Nord, secondo partito dopo Forza Italia). E le stroncò la carriera, insultandola come «protesi di Pannella».

Così i radicali si ributtarono a sinistra, dov' erano già stati fino agli anni ' 80, e nel 2006 Romano Prodi nominò Emma ministro delle Politiche comunitarie. Oggi la Bonino è vicepresidente del Senato, e sta simpatica a tutti: dagli industriali a Rifondazione comunista, dalle sorelle Fendi ai profughi uiguri del Turkestan cinese. Sarà un po' difficile per lei occuparsi di Frosinone dopo aver volato per vent' anni fra Il Cairo e New York. Ma a sinistra nessun altro se l'è sentita di candidarsi nel Lazio dopo lo scandalo trans di Piero Marrazzo.

Oltre all'inedito duello fra donne, quel che è incredibile è che la Polverini e la Bonino si stimano. Quindi, una volta tanto, niente risse sul nulla, e molta concretezza. Entrambe sono «trasversali», parola assai quotata nella Casta politica: di solito è sinonimo d' inciucio o trasformismo (oggi a destra, domani a sinistra, e viceversa). Nel loro caso, invece, è ammirazione sincera quella che gli avversari provano per le due «ragazze». Anche perché la Polverini si dichiara di destra, «ma socialista e antiliberista»: non per nulla, il Msi si chiamava Movimento «sociale». Per lei voteranno i diseredati delle borgate romane, ma forse non tutti i forzitalioti perché è finiana.

LIBERISTA DI SINISTRA
La Bonino, viceversa, anche se candidata della sinistra è liberista (contro l'articolo 18 ha promosso un referendum) e filo-Stati Uniti. Ma Paolo Ferrero (Rifondazione) dice: «Emma ci piace». Prima don na a capo di u n sindacato in Europa, la frangetta di Renata assomiglia a quella di un altro volto emergente della politica italiana: Debora Serracchiani, parrocchia opposta (democratica). Di solito le riunioni e le trattative sindacali vanno avanti per ore, fino a notte fonda. La Polverini ha introdotto una nuova regola: tutti a casa entro le cinque. Per non escludere le donne, con i figli che tornano da scuola. Un piccolo accorgimento che vale quanto un'intera legge per le pari opportunità. Insomma, quella fra Polverini e Bonino sarà una sfida tra due vere femministe.
Mauro Suttora


Figlia di sindacalista
RENATA POLVERINI
Nata a Roma nel 1962, sua madre era sindacalista Cisnal nel supermercato Sma dove lavorava. Cresciuta in collegio a Focene (Roma). Sposata senza figli, ha sempre lavorato come funzionaria Cisnal, il sindacato vicino al Msi che nel ' 95 si trasforma in Ugl. Nel 2006 diventa segretaria dell' Ugl, prima donna in Europa a guidare un sindacato nazionale. Vicina a Gianfranco Fini, è criticata dal Giornale di Feltri, ma appoggiata dall'Udc di Casini.
STA CON FINI, MA LE PIACE D' ALEMA
Renata Polverini, 47 anni, a una manifestazione Ugl al Circo Massimo. Ha seguito Gianfranco Fini nello sdoganamento dell' estrema destra. Ma le piace anche D' Alema (Pd): «È strutturato, dimostra ciò che pensa».

EMMA BONINO
Nata nel 1948 a Bra (Cuneo) da una famiglia di agricoltori. Nubile, laureata alla Bocconi, abortisce e finisce in carcere con Adele Faccio. Da sempre con i radicali, è entrata in Parlamento nel '76 in jeans e zoccoli da femminista. Due anni dopo con Adelaide Aglietta fa passare la legge sull' aborto. Eurodeputata dal 1979, è stata commissaria Ue. Si è battuta contro la fame nel mondo, per il tribunale Onu, contro l'infibulazione e per i diritti delle donne arabe.
COPPIA (POLITICA) CON PANNELLA
Emma Bonino, 61, con Marco Pannella, 79. La Bonino è una dei pochi radicali rimasti fedeli al capo. Tutti gli altri (Rutelli, Capezzone, Teodori, Quagliariello) se ne sono andati. Nel '99 l' exploit: 8 per cento alle Europee.

Wednesday, June 24, 2009

Anna Maria Corazza eurodeputata

Amore e parmigiano: così ho conquistato la Svezia

PROTAGONISTE E SORPRESE DELLE ELEZIONI

Emiliana purosangue, è famosa a Stoccolma per il suo sito gastronomico e un marito importante. E ora si è fatta eleggere all' Europarlamento

di Mauro Suttora

Oggi, 24 giugno 2009

Abbiamo un'altra Carla Bruni in Europa . Un'altra donna italiana che ha sposato un importante uomo politico straniero, ed è diventata un personaggio nel suo nuovo Paese. Ma Anna Maria Corazza, 45 anni, ora ha perfino superato Carlà Sarkozy di Francia: ha infatti trionfato alle elezioni europee in Svezia, salendo dall' ottavo posto in lista del suo partito al secondo posto fra gli eletti. Da undici anni la signora Corazza è moglie di Carl Bildt, uno dei principali politici svedesi: ex premier, capo del Partito moderato (26 per cento dei voti, fa parte dei popolari europei), prestigiosi incarichi internazionali, e dal 2006 ministro degli Esteri. Oggi Bildt è una delle «tre B» in corsa per i massimi incarichi dell'Unione europea, con Tony Blair e José Manuel Barroso.

L' INCONTRO IN JUGOSLAVIA

Galeotta fu la ex Jugoslavia. Che negli anni Novanta non era proprio uno dei posti più romantici del mondo: guerre dappertutto, dalla Slovenia alla Croazia, dalla Bosnia al Kosovo. Ma è lì che Anna Maria, allora funzionaria Onu, incontrò nel 1996 Bildt per ragioni di lavoro. Allora lui era Alto rappresentante dell' Unione europea in Bosnia, la prima grande missione di pace gestita dalla Ue. La signora Corazza, nata a Roma, è emiliana purosangue: la sua famiglia era proprietaria delle terme di Tabiano, vicino a quelle di Salsomaggiore, e lì conserva un castello trasformato in hotel de charme. Dopo la laurea in Scienze politiche a Roma è andata a specializzarsi in California e alla Columbia University di New York.

«Poi ho lavorato alla Cooperazione col ministero degli Esteri italiano, all'Ocse, all'Unesco e alla Banca mondiale», ci dice. Infine l'Onu: prima al Commissariato dei rifugiati a Ginevra, poi dal 1992 nell'inferno della ex Jugoslavia: due anni in Serbia, due anni in Croazia e due anni in Bosnia. Nella Sarajevo crivellata dai colpi dei cecchini l'ambasciatore italiano Michele Valensise celebrò il matrimonio. Poi, la vita tranquilla di Stoccolma. Anche troppo, per l'intraprendente Anna Maria. Che mette su un sito Internet ( www.italiantradition.com ) per pubblicizzare i prodotti italiani. Innanzitutto quelli della sua Parma: il grana e il prosciutto. Nel 2002 scrive un libro, Da Parma con amore, che diventa un best seller in Svezia. Le affibbiano il soprannome «signora Parmigiano». «La mia famiglia aveva un'azienda agricola, sono cresciuta andando a prendere il latte in fattoria per portarlo al caseificio. E poi le mucche, i maiali...». Al figlio della signora Corazza, Gustav, 5 anni, è venuta una strana allergia: alle arachidi. E allora lei si è messa a studiare le etichette dei cibi per scopri re qual i componenti possono essere dannosi. «Il cibo è collegato alle quattro principali malattie dei tempi moderni: tumori, infarti, diabete e obesità. Di questo voglio occuparmi a Bruxelles», annuncia battagliera.

La campagna elettorale non è stata una passeggiata. «Ovviamente tutti i miei avversari, sia all'interno del partito sia all' esterno, mi hanno subito bollata come "la moglie del ministro". E essere raccomandati in Svezia, contrariamente a quanto accade troppo spesso in Italia, è peccato mortale. Qui c'è democrazia di base. Per questo ho dovuto sudare il doppio. Ma ce l'ho fatta». Le dispiace che Emma Bonino non sia più eurodeputata: «L' avevo conosciuta quand' era commissaria ai diritti umani della Ue, negli anni Novanta. Allora era l'unica a battersi per le donne oppresse dai talebani a Kabul, e ho cercato di aiutarla». Due mesi fa ha accompagnato i reali svedesi nel loro viaggio a Roma. La rivedremo presto, e spesso.
Mauro Suttora