Thursday, May 09, 2013

prefazione a 'Il lavoro nobilita' di Michele Boselli (alias miss Welby)

John Patel & Virginia Welby
IL LAVORO MOBILITA

Prefazione di Mauro Suttora

Poche cose nella vita mi hanno procurato piacere quanto il privilegio di leggere per primo quest’Opera e l’onore di scriverne la prefazione”. Prefazione che avrei dovuto cominciare con queste parole, secondo i due sciagurati autori di questo indigeribile minestrone cucinato a quattro mani, che hanno sadicamente osato propinarmi per avvelenarmi un fine settimana. Trattasi, gli autori, di due miserabili individui privi di talento che hanno voluto sommare le loro esperienze lavorative col solo risultato di moltiplicare dolore e sconforto del lettore. L’uno provincialotto piazzista di aspirapolvere, uomo di bassa statura anche morale; l’altra una blogger drogata, dall’ambigua identità sessuale, alternativamente precaria nei call centre o più spesso disoccupata per pigrizia. Insomma due falliti che vogliono trarre profitto dalla notorietà della mia firma per cercare di vendere un libercolo il cui unico merito è di poter duplicemente funzionare in gabinetto sia come lassativo che come carta igienica. Altro sul loro “capolavoro” non ho da aggiungere, ma ho accettato di scriverne la prefazione per mio dovere di giornalista nell’informare il pubblico di cotanta pericolosa sconcezza narrativa.

Mauro Suttora, maggio 2013

Wednesday, May 01, 2013

1.200 stanze per un uomo solo

QUIRINALE: LUSSO NON GIUSTIFICABILE

di Mauro Suttora

Roma, 24 aprile 2013

Andate a vedere il film Benvenuto, Presidente! con Claudio Bisio. Scoprirete un mondo sconosciuto di velluti e ori, maggiordomi in livrea che si inchinano, lussi inimmaginabili e pompa borbonica. Benvenuti al Quirinale. Non vogliamo offendere nessuno, ma non è possibile che una Repubblica fondata sul lavoro e devastata dalla crisi peggiore della sua storia si permetta sprechi simili.
Quest’anno il Quirinale ci costa 245 milioni. Il doppio rispetto a 15 anni fa, il triplo sul 1986. Ma è soprattutto il confronto con l’estero a far capire l’assurdità di questa spesa.

I tedeschi spendono un decimo
In Germania la presidenza della Repubblica costa 20 milioni di euro. A Buckingham Palace la regina Elisabetta se la cava con 60 milioni annui: un quarto dell’Italia. Il presidente francese, che ha compiti ben più importanti del nostro, riceve 90 milioni. 
Noi invece manteniamo un esercito di 1.720 dipendenti: 901 civili e 819 militari. Ci sono i 260 corazzieri a cavallo,  ma per non far torto agli altri corpi anche centinaia di poliziotti, una settantina di guardie di finanza, 21 vigili e 16 guardie forestali (per la tenuta di Castelporziano).
L’imperatore giapponese ha mille dipendenti, il presidente degli Stati Uniti e il re spagnolo mezzo migliaio, a Londra ce ne sono 300, a Berlino 160.
Al Quirinale, invece, ci sono due persone solo per controllare gli orologi a pendolo, due doratori, tre ebanisti, sei tappezzieri, 14 addetti all’ufficio postale interno, 41 autisti per 35 auto blu. Nelle cucine una decina di cuochi, e 26 camerieri.
«Abbiamo ricevimenti di Stato con decine di ospiti, a volte centinaia», spiegano i dirigenti quirinalizi (un’ottantina, con stipendi medi da 10 mila euro al mese, buona presenza di parenti di politici). Certo, ma non tutti i giorni. E flessibilità vorrebbe che per questi pranzi saltuari si ricorresse, come nel resto del mondo, al catering.

542.000 euro al segretario generale
Un paradosso: il segretario generale Donato Marra, guadagna il doppio dello stesso presidente: 542 mila euro contro 239 mila. Perché i presidenti passano, ma i grandi burocrati restano.
L’elefantiasi del Quirinale ha una causa precisa: nel tempo, ma soprattutto negli ultimi vent’anni, quelli che un tempo erano semplici consiglieri del presidente, con un piccolo ufficio, si sono trasformati in veri e propri ministeri. Così oggi abbiamo il consigliere giuridico con uno staff degno del dicastero della Giustizia, quello militare per la Difesa, il diplomatico per gli Esteri, e poi gli Affari interni, e così via.
Obietta l’ufficio stampa del Quirinale (anch’esso sovradimensionato): «Il presidente guida anche il Csm (Consiglio superiore della magistratura) e il Csd (Consiglio supremo della difesa)». Certo, ma magistrati e forze armate dispongono già di fior di palazzi in centro a Roma, con strutture e funzionari.
L’aspetto più incredibile è che il Quirinale, nonostante le sue 1.200 sale e stanze, ha avuto bisogno di espandersi in vari palazzi limitrofi: apparentemente, infatti, non riesce ad accomodare le proprie sempre crescenti esigenze (comprese quelle per appartamenti privati graziosamente concessi a vari dirigenti). E così, giù in via della Dataria verso la fontana di Trevi, ecco i palazzi San Felice e della Panetteria. Dal 2009 anche palazzo Sant’Andrea in via del Quirinale, per l’archivio. Quanto ai corazzieri, caserma e stalle per i 60 cavalli stanno poco più in là, nell’ex convento di Santa Susanna.

Un velo di deferenza
Insomma, il nuovo presidente ha ampli margini per risparmiare e tagliare. Sono  ormai passati sei anni da quando Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, con il libro La Casta, hanno squarciato il velo di deferenza e quasi omertà sulle spese del Quirinale. Napolitano è riuscito a fare a meno di 460 dipendenti rispetto al 2006. Ma fra quelle 1.200 stanze, in quelle vuote ci sarebbe spazio per molti uffici pubblici.
Mauro Suttora

Pochi giorni dopo la pubblicazione di questo articolo sul settimanale Oggi il Quirinale ha annunciato tagli del 15% all'indennità del Segretario generale, del 12% ai Consiglieri del Presidente, e del 5% al personale comandato e distaccato. Risparmio complessivo: 800 mila euro l'anno.
Il Presidente ha inoltre annullato il ricevimento per il prossimo 2 giugno. Bravo Napolitano! (m.s.) 


Pd nella polvere


NAPOLITANO SUL TRONO: I 10 ERRORI DI BERSANI

di Mauro Suttora

Oggi, 24 aprile 2013
«Ora mi incrimineranno anche per strage»: la battuta più crudele, dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani e Rosy Bindi da segretario e presidente del Partito democratico, è di Silvio Berlusconi. Che calcola, allegro, di avere sepolto (politicamente) ben sedici segretari del Pd e dei partiti precedenti (Pds, Ds, Ppi, Margherita) che lo hanno avversato dal 1994 (lista completa sotto). Più la figuraccia rimediata dall’eterno rivale Romano Prodi, tradito da cento dei suoi nel segreto dell’urna.

Quel che resta di Dc e Pci, fusi nel 2007 dopo che per mezzo secolo avevano dominato l’Italia con il 70% dei voti, si è liquefatto negli ultimi giorni. Più che di una strage da parte dei berlusconiani o dei grillini, si è trattato di un suicidio di massa. «O di un’eutanasia», ammette Andrea Carugati, giornalista dell’Unità, organo ufficiale del partito.
Ma cos’è successo, esattamente? Com’è possibile che la prima formazione politica d’Italia, favorita da mesi in tutti i sondaggi, sia scivolata così malamente in poche settimane? Proviamo a individuare le possibili cause del disastro: dieci errori che hanno portato al vuoto odierno.

1) PRIMARIE BERSANI-RENZI: erano necessarie?
A norma di statuto del Pd, no. Il segretario è automaticamente candidato alla premiership. Ciononostante, Bersani in autunno ha accettato di misurarsi in una competizione interna. Pensava che sarebbe stata una passeggiata, come per Prodi nel 2006 e Veltroni nel 2008: qualche avversario pro-forma, una mobilitazione galvanizzante, tanta pubblicità gratis sui media. Invece è sbucata la stella di Matteo Renzi. All’inizio il sindaco di Firenze era accreditato di un innocuo 20%. Poi però, con il giro d’Italia in camper (come Grillo), la voglia di rottamazione lo ha fatto salire a un inquietante 40%.

2) APPARATO BUROCRATICO: perché scatenarlo contro Renzi?
La Casta politica italiana è composta da circa centomila persone stipendiate dalla politica, dagli eurodeputati ai consiglieri di zona. Di questi, quasi la metà appartengono al Pd. Di fronte alla sfida di Renzi, contrario al finanziamento pubblico ai partiti, gran parte di loro si sono schierati con Bersani. Mossa tragica: contro i burocrati dell’apparato la voglia di nuovo si è rafforzata.

3) PRIMARIE DI NATALE: comincia la rincorsa a Grillo
Per ovviare alle legge elettorale «Porcellum», che impedisce di esprimere preferenze ai singoli eletti, trasformandoli così in «nominati» dalle segreterie di partito (motivo inconfessabile per cui non è stata cambiata), a Natale il Pd ha organizzato in fretta e furia primarie anche per i candidati. Si voleva così rispondere alle primarie online di Beppe Grillo. Ma troppi raccomandati e paracadutati (più di cento) hanno avuto comunque un seggio sicuro senza passare il vaglio popolare, fra «listino del segretario», capilista decisi a Roma e deroghe alla regola del massimo di tre legislature.

4) GIA’ SICURI DI VINCERE: campagna elettorale supponente
Tutti i sondaggi danno il Pd trionfante su un Pdl sfasciato e un Grillo al 15%. Ma, poco a poco, il margine si assottiglia. Esattamente come il Pds nel 1994, il Pd è troppo sicuro di vincere, e conduce con supponenza la campagna elettorale. Circolano già elenchi dei futuri ministri. Berlusconi e i 5 stelle, invece, fanno propaganda porta a porta alla ricerca di ogni singolo voto. E rimontano, fin alla quasi parità col Pd.

5) “SIAMO PRIMI MA ABBIAMO PERSO”: e niente dimissioni
La sera del 25 febbraio appare già chiaro che il Pd non ha la maggioranza al Senato. Ma Bersani, invece di dimettersi, inventa la famosa frase: «Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto». E lancia la proposta di «governo del cambiamento» strizzando l’occhio a Grillo.

6) CORTE DISPERATA A GRILLO: ma lui rifiuta
Bersani comincia una corte disperata al Movimento 5 stelle di Grillo, che però fin dall’inizio risponde picche. Di fronte al primo «Vaffa» chiunque avrebbe lasciato perdere. Lui invece va avanti, sottoponendosi all’umiliazione dello streaming con i capi grillini e lasciando intendere di poter far cambiare idea a una ventina di loro senatori («scouting»).

7) BERSANI ALLUNGA LE CONSULTAZIONI: tempo perso
Strappato l’incarico a Napolitano, Bersani conduce consultazioni lunghissime, sentendo perfino lo scrittore Roberto Saviano, preti e il Wwf. Continua a dire no al Pdl che lo vuole e sì a Grillo che non lo vuole. Risultato: dà a tutta Italia la sensazione di stare perdendo tempo.

8) CONTRORDINE: MARINI CON BERLUSCONI: virata a 180 gradi
Dopo 50 giorni passati a dire no a Berlusconi, improvvisamente Bersani si mette d’accordo con lui per far eleggere presidente della Repubblica Franco Marini. Il Pdl vota compatto l’ex avversario, ma nel segreto dell’urna i franchi tiratori Pd silurano l’ex sindacalista democristiano.

9) BRUCIATO ANCHE PRODI: schiaffo a Berlusconi
Seconda giravolta nel giro di 24 ore: Bersani propone ai 490 grandi elettori Pd di votare Romano Prodi, arcinemico di Berlusconi. Unanimità, acclamazione. Ma l’ex premier viene umiliato: sono ben 101 i suoi colleghi di partito che lo tradiscono, uno su quattro.

10) AFFIDIAMOCI A NAPOLITANO: fuga dalle responsabilità
Invece di trovare altre soluzioni («Stefano Rodotà candidato di Grillo, oppure Emma Bonino anch’essa nella rosa dei 5 stelle», suggerisce il ministro pd Fabrizio Barca, candidato alla segreteria) Bersani e Rosy Bindi si dimettono implorando l’ultraottuagenario Napolitano di accettare un altro mandato. Il quale accetta, ma comprensibilmente ottiene in cambio un’ampia delega nella scelta del governo, vista l’inconcludenza dei partiti. E si profilano di nuovo «larghe intese» con Berlusconi, detestate da buona parte della base di sinistra. Il Pd abdica così completamente alle proprie responsabilità di primo partito (seppure con appena lo 0,3% più del Pdl alla Camera).
Mauro Suttora



Tutti i segretari di Pd e partiti predecessori confluiti nel Pd sepolti (politicamente) da Berlusconi:

1) Mino Martinazzoli (Ppi 1994)
2) Rocco Buttiglione (Ppi ’94-’95)
3) Gerardo Bianco (Ppi ’95-’97)
4) Franco Marini (Ppi ’97-’99)
5) Pierluigi Castagnetti (Ppi ’99-2002)
6) Lamberto Dini (Rinnovamento ’96-’02)
7) Arturo Parisi (Democratici ’99-’02)
8) Clemente Mastella (Udeur ’99-’02)
9) Francesco Rutelli (Margherita 2002-’07)
10) Achille Occhetto (Pds ’91-’94)
11) Massimo D’Alema (Pds ’94-’98)
12) Walter Veltroni (Ds ’98-2001)
13) Piero Fassino (Ds 2001-’07)
14) Walter Veltroni (Pd 2007-’09)
15) Dario Franceschini (Pd 2009)
16) Pier Luigi Bersani (Pd 2009-’13)

a questi il Cavaliere può aggiungere i rivali Romano Prodi, Rosy Bindi e Gianfranco Fini

Sunday, April 28, 2013

Bonino ministro Esteri


di MAURO SUTTORA

Libero, 28 aprile 2013

Nel 1994 il neopremier Berlusconi aveva deciso: i suoi due commissari italiani alla Ue sarebbero stati Giorgio Napolitano e Mario Monti. A quel punto, però, Marco Pannella piombò a palazzo Chigi, litigò con Giuliano Ferrara ministro dei Rapporti col Parlamento e sponsor di Napolitano, e impose la nomina a Bruxelles di Emma Bonino al posto del presidente uscente pds della Camera.

Risale a quell’episodio, paradossalmente, l’amicizia politica fra Napolitano e la Bonino. Che si concretizza oggi con la nomina di quest’ultima a ministro degli Esteri, caldeggiata dal presidente. Napolitano infatti, per nulla offeso dallo scippo radicale, frequentò Bruxelles negli anni seguenti come membro dell’assemblea parlamentare Nato. E apprezzò molto la Bonino commissario Ue. La stima è cresciuta nel biennio 2006-8: lui presidente, lei ministra del Commercio estero e Politiche europee che riuscì a trascinarlo alla marcia radicale per l’amnistia, e a fargli appoggiare la campagna di Pannella contro il sovraffollamento delle carceri.

Il biennio nel governo Prodi è alla base anche del buon rapporto fra la Bonino ed Enrico Letta. Proprio mentre i radicali si scontravano con i segretari Pd Veltroni e Franceschini, il pragmatismo governativo ha unito Emma al sottosegretario alla Presidenza.

Ma il vero, grande sponsor della Bonino sono i sondaggi popolari. Nonostante il suo partito sia all’1-2% (nessun eletto il 25 febbraio), lei risulta regolarmente in testa da anni. Ha vinto tutti quelli indetti online dai giornali prima delle presidenziali. E si è piazzata sesta alle ‘quirinalie’ di Grillo, davanti a Prodi, il magistrato Caselli e Dario Fo.

La Bonino mette d’accordo la sinistra (Bersani è un altro suo sponsor, ultimamente perfino il Manifesto tifa per lei), la destra (Berlusconi da vent’anni cerca inutilmente di separarla di Pannella) e il centro: Monti la apprezza come bocconiana (anche se laureata non in economia: tesi su Martin Luther King nel ‘72 in lettere straniere, corso poi abolito perché gli studenti erano troppo di sinistra), ottimi rapporti con l’ex radicale Benedetto Della Vedova oggi montiano (unico senatore ex finiano sopravvissuto), e battaglia comune contro la pena di morte con Sant’Egidio del ministro uscente Andrea Riccardi.

Papa Francesco e l’impegno sulle carceri hanno avvicinato i radicali alla Chiesa: la loro radio dedica al Vaticano un programma domenicale condotto da Giuseppe Di Leo dai toni quasi edificanti. Sono lontani gli scontri su aborto e fecondazione assistita.

È rimasto solo qualche complottista di estrema sinistra o grillino a contestare sia alla poliglotta Bonino (inglese, francese, spagnolo, arabo) che a Letta la partecipazione a due riunioni del club Bilderberg: lei nel ’98, invitata da commissaria Ue, lui l’anno scorso a Chantilly (Usa) come vicesegretario Pd. Ma quanto sia pericoloso questo raduno accusato di «massoneria» lo dice il nome di uno degli altri 5 partecipanti italiani del 2012 (oltre a John Elkann, Bernabè di Telecom e Conti dell’Enel): Lilli Gruber.
Mauro Suttora  

     

Wednesday, April 17, 2013

Lo stipendio del deputato


Qual è lo stipendio giusto per un parlamentare? I grillini alla prova
2.500 netti al mese, avevano promesso. Ma l’affitto a Roma?
Così attingono all’odiata diaria


di Mauro Suttora


Oggi, 10 aprile 2013

Avevano promesso: «Prenderemo solo 2.500 euro al mese». Ma i 163 parlamentari grillini, all’impatto con la realtà, si trovano in difficoltà. Perché oltre allo stipendio (che loro dimezzano) la paga degli altri parlamentari è composta anche dalla diaria (3.500 netti) e dalle spese per collaboratori (altri 3.500).
Che farne? Chi viene da fuori deve trovare un posto per dormire a Roma. I vecchi democristiani andavano a dormire nei conventi, e non spendevano quasi niente. Ma un monolocale in semicentro è sui mille al mese. E così ne restano 1.500. Che per molti eletti a 5 stelle non è un problema: studenti, disoccupati, precari, per loro è comunque manna dal cielo.
Qualcuno però, soprattutto fra i senatori over 40, storce il naso: «Io una mia attività ce l’avevo, perché ora dovrei perderci? Va bene non arricchirsi, ma...»
Cade quindi la prima diga: attingere alla diaria. Ma quanto? E se uno volesse un bilocale in centro a 2.000, può affittarlo? Chi decide i tetti massimi? E i romani? Loro la casa già ce l’hanno, ma perché penalizzarli rispetto agli altri?
I più disinvolti non vorrebbero neppure rendicontare tutte le spese con ricevute online. Ma allora, che differenza ci sarebbe con Fiorito & company?
M.S.  

Monday, April 15, 2013

Finocchiaro, Severino, Cancellieri: meglio di no


Sono azzoppate da conflitti d'interesse tre delle quattro donne candidate alla presidenza della Repubblica. E tutte, curiosamente, per colpa di uno stretto familiare.

La ministra della Giustizia Paola Severino ha un marito un po' ingombrante: Paolo Di Benedetto, 66 anni, gran navigatore del sottobosco del potere romano: ex commissario Consob, attualmente consigliere d'amministrazione Acea (la municipalizzata squassata dalla mala gestione di Alemanno e nel mirino di Francesco Caltagirone, suocero di Casini e padrone del Messaggero, e che ora raddoppia. E' stato infatti appena nominato consigliere d'amministrazione di Edison, colosso multinazionale dell'energia.

La ministra dell'Interno Anna Maria Cancellieri ha invece un figlio imbarazzante: Piergiorgio Peluso, che nel 2012 ha preso 5 milioni da Fonsai, società di Ligresti che ha lasciato in rosso per quasi un miliardo, e di cui ci siamo già occupati qui. Ora Peluso è alto dirigente Telecom.

Anna Finocchiaro, infine, è stata danneggiata dalle foto che l'hanno ritratta mentre andava a fare la spesa all'Ikea con la scorta. Ma, soprattutto, il marito Melchiorre Fidelbo è stato incriminato lo scorso ottobre per truffa aggravata e abuso d'ufficio (un appalto da 1,7 milioni affidato senza gara a Catania).

Fra le candidate donne, quindi, non resta che Emma Bonino. Altrimenti si rischia un replay di Giovanni Leone, che negli anni '70 fu vittima delle stravaganze di moglie e figli.  

Wednesday, April 10, 2013

Grillo: bilancio del primo mese

di Mauro Suttora

Oggi, 3 aprile 2013

Può l’ottava potenza economica mondiale dipendere dal ragionier Beppe Grillo? In tutte queste settimane Pier Luigi Bersani, capo Pd, ha proposto un’alleanza al suo Movimento 5 Stelle. Niente da fare. «Vogliamo distruggere i partiti», dicono i grillini. Attenzione, non dicono: «Questi partiti». O «i politici ladri». O «la partitocrazia», come ripetono da quarant’anni i radicali. No, Grillo vuole proprio «superare i partiti». Arrivare alla «democrazia diretta», come spiega Gianroberto Casaleggio.

Qualcuno si preoccupa. Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, mormora: «Anche Hitler voleva cancellare i partiti». In effetti, non si conosce al mondo una democrazia senza partiti. Ma i grillini si sentono alfieri di un rinnovamento epocale. Guidato dal simpatico uomo ritratto in queste pagine. Che trascorre le vacanze di Pasqua in una delle sue tre ville: quella di Marina di Bibbona (Livorno). Le altre stanno a Sant’Ilario, sulle colline eleganti sopra Nervi (Genova) e a Porto Cervo, vicino al golf del Pevero. Poi c’è la quarta villa («Una capanna») da 300 mila euro che sua moglie avrebbe appena comprato a Malindi (Kenya), accanto al resort di Flavio Briatore che spesso ospita Silvio Berlusconi.

Vuole fare la rivoluzione
Cosa farà ora l’«uomo in ammollo», dopo che il presidente Giorgio Napolitano ha trovato una soluzione per il nuovo governo? La rivoluzione, naturalmente. Non gli credete? Ma lo ripete da anni. È solo un comico? Non più: ha avuto il voto di quasi 9 milioni di italiani. I quali sono talmente schifati da tutti gli altri partiti da affidarsi a un miliardario che promette la povertà (soprannominata «decrescita felice») e proclama: «Non lasciamo indietro nessuno».

Per ora gli unici lasciati indietro, a sbrigarsela da soli, sono Pd e Pdl. Condannati a stare insieme, visto che Grillo non vuole governare con nessuno di loro. L’alternativa sarebbe tornare a votare. Ma i sondaggi dicono che il risultato sarebbe uguale a quello del 25 febbraio: un Paese spaccato in tre. Anzi in quattro, se si conta il 28 per cento di astenuti e schede bianche e nulle.

Quindi, a calcolare esattamente i voti, Grillo raccoglie il 18 per cento degli elettori. Questo significa che 82 italiani su cento non si fidano di lui. Tuttavia, Beppe ha in mano l’Italia. O comunque, si comporta come se ce l’avesse. Tratta i suoi 163 parlamentari con la delicatezza del satrapo mesopotamico. Dodici di loro hanno osato votare Piero Grasso presidente del Senato? Minacciati di espulsione. Il senatore Marino Mastrangeli di Frosinone si è fatto intervistare in tv da Barbara D’Urso a Pomeriggio 5? I colleghi più «talebani» lo danno già per licenziato. La romagnola Giulia Sarti ha chiesto che almeno si proponessero dei nomi come premier in alternativa a Bersani? Zittita.

È un comico, ma vuole disciplina
È incredibile come dentro al movimento guidato da un comico, che fa sbellicare dalle risate tutti gli italiani da un terzo di secolo, prima in tv e oggi nei comizi, regni la disciplina e a volte addirittura il terrore. La svolta autoritaria è avvenuta un anno fa. Arrivati ormai a più di cento consiglieri comunali e regionali, alcuni grillini si erano posti il problema dell’organizzazione e si erano riuniti a Rimini. Scomunicati. Poi l’ex bonario Grillo ha espulso metà dei suoi consiglieri regionali: due su quattro, compreso l’ex pupillo Giovanni Favia. «Neanche Stalin al massimo della forma era mai riuscito a compiere una purga del 50 per cento», commentò un grillino ovviamente anonimo.

Infine, lo scorso dicembre, il dittatore libertario sbotta on line: «Vietato fare domande. La democrazia è questa. Chi non è d’accordo, se ne vada». Dopo qualche giorno ha ammesso di aver esagerato. Qualcuno si chiede da cosa siano causati questi alti e bassi. Ma alla fine, basta sentirlo parlare cinque minuti e gli vogliamo tutti bene.

Il duro impatto con la realtà 
Perché il Grillone nazionale, quando urla sudato con le sue sopracciglione a trapezio isoscele, non può non avere ragione se condanna i costi della politica. O quando si scaglia contro i bizantinismi dei politici di professione. La miglior prova del disastro dei carrieristi della politica è stata data proprio in quest’ultimo mese. Per giorni e giorni i grillini hanno ripetuto che non volevano allearsi con nessuno. Ma gli altri non ci credevano. Pensavano fossero simili a se stessi: dire una cosa, farne un’altra, possibilmente l’opposto.

L’impatto con la realtà però è duro anche per loro. Scoprono che non si possono trasmettere tutte le proprie riunioni in diretta streaming sui computer, perché quando discutono a volte - come tutti - litigano. Scoprono che i capigruppo non possono ruotare ogni tre mesi, perché i contratti dei collaboratori sono intestati a loro. Scoprono che la democrazia diretta on line è irrealizzabile, perché chiunque può iscriversi falsando i risultati.  Grillo ora si scaglia perfino contro chi gli lascia commenti contrari sul blog, accusandoli di essere «pagati» dagli altri partiti. Come se gli «influencer» grillini non eccellano nel sommergere di «bombe mail» e «spam» gli avversari. Chi la fa, l’aspetti.
Mauro Suttora

Luca Beatrice: 'Sex'

Il critico fa il punto sul rapporto eros-porno nell'arte contemporanea
di Mauro Suttora
Oggi, 3 aprile 2013

La storia dell’arte è ricca di dipinti  ad alto tasso erotico: dalla Venere di Urbino di Tiziano (1538) alle Tre grazie  di Rubens di un secolo dopo, fino alla Venere allo specchio di Velazquez (1648). Ma è con L’origine du monde di Gustave Courbet del 1866 che avviene la svolta epocale: sesso femminile in primo piano, e viso della donna fuori dal quadro. È pornografia?

«L’EROS È COLTO E RAFFINATO»
Se lo sono domandati in tanti, nell’ultimo secolo e mezzo. Per ultimo il critico Luca Beatrice, che schiaffa lo scandaloso quadro sulla copertina del suo ultimo libro: Sex (Rizzoli). «Dipende da dove poniamo il confine fra erotismo e pornografia», risponde Beatrice. «Il primo è non solo tollerato, ma anche intrigante, perché colto, raffinato e privo di volgarità. La seconda, invece, è pratica illecita, appannaggio di un pubblico che si nasconde o quanto meno non si dichiara».
Dal 1995 il quadro di Courbet è tranquillamente in bella vista al museo d’Orsay a Parigi, e nessuno lo bolla più con l’etichetta del porno. Me se lo mettessimo in un sito web a luci rosse, verrebbe considerato il progenitore degli attuali video di YouPorn.
«Quel che oggi differenzia il porno dall’eros sta soprattutto nella rappresentazione del membro maschile», spiega Beatrice. «Un pene in evidenza, infatti, difficilmente passa la scure della censura, mentre c’è più tolleranza per seni, glutei e vagine. Un tempo accadeva il contrario: dalle antiche statue greche fino al XIX secolo ai nudi maschili veniva concessa l’esposizione senza veli del membro».
E oggi? A che punto siamo? Una delle opere erotiche più celebri degli ultimi anni è Siren dello scultore Marc Quinn (2008). Ritrae la modella Kate Moss in posa da contorsionista: «Non esattamente un archetipo di sensualità ed erotismo», commenta Beatrice.
«Cercavo l’incarnazione attuale dell’archetipo di Venere Afrodite», spiega Quinn, «uno specchio di noi stessi, delle nostre ossessioni, dei nostri desideri e sogni». Ma perché proprio questa posa? «Kate è scolpita dal desiderio collettivo, quindi immortalarla mentre si contorce ha a che fare con il modo in cui la società rivolta e manipola la sua immagine».
La scultura originale è in oro e pesa quanto la stessa Kate Moss: circa 50 chili. Valore: un milione di sterline. La Moss è stata anche ritratta distesa sul letto con le gambe aperte da Lucian Freud: una replica de L’origine du monde. Il dipinto è stato acquistato nel 2005 per 3,9 milioni di dollari da un misterioso collezionista privato. Qualcuno pensa sia la stessa Moss.

FREUD NONNO E NIPOTE
Il nonno di Lucian Freud, Sigmund, affermò: «Dove c’è un tabù c’è un desiderio». «L’arte figurativa ha raccontato per prima storie di corpi e desideri che altri linguaggi hanno affrontato senza una rappresentazione esplicita», scrive Beatrice, «ed è quindi grazie ad essa che oggi il porno ha definitivamente concluso il processo di accettazione nell’ufficialità».



Emma ce la fa questa volta?

 Se il presidente della Repubblica fosse eletto dal popolo, la Bonino sarebbe al Quirinale già da 14 anni. Anche adesso è in testa ai sondaggi. Ma per i politici lei è ancora una donna scomoda: radicale, laica, poco diplomatica. Ecco la sua storia

Oggi, 10 aprile 2013

di Mauro Suttora

Più facile una donna cardinale che al Quirinale: è lo slogan provocatorio dell’associazione femminista Pari e Dispare, guidata dalla radicale Valeria Manieri. E che naturalmente ha Emma Bonino come presidente onoraria.

Ci sembra di conoscerla da sempre, la zia Emma da Bra (Cuneo). E in effetti sono passati quasi quarant’anni da quel 1974 quando, laureata alla Bocconi (ma non in Economia: Lingue straniere, corso abolito nel ’73 perché gli studenti erano troppo di sinistra) con  tesi su Martin Luther King e professoressa a Codogno (Lodi) dopo sei mesi da commessa a New York in un negozio di scarpe, rimase incinta.

Per il codice fascista Rocco l’aborto era un reato gravissimo: «contro l’integrità della stirpe». Le ragazze finivano direttamente in carcere. Lei si rivolse ad Adele Faccio, perché i radicali erano gli unici che si preoccupavano delle interruzioni di gravidanza. I sessantottini rivoluzionari di sinistra disprezzavano aborto e divorzio come «problemi borghesi». Emma si autodenunciò, scappò in Francia, tornò da latitante per vedere sua madre.

Si fece arrestare nel giugno ’75 al suo seggio di Bra durante le elezioni, per provocare più clamore. Ma altro che «disobbedienze civili» in stile Luther King: come tutto in Italia, la cosa fu abbastanza tragicomica, perché nessuno voleva arrestarla. Fu lei a insistere, spiegando ai Carabinieri che era ricercata.

L’anno dopo, ingresso a 28 anni in Parlamento con Marco Pannella e altri due radicali. Erano loro i grillini del 1976: referendum, democrazia diretta, contro la partitocrazia, contro il finanziamento pubblico. E, nel 1978, legge sull’aborto.
Sorride, Emma, quando ricorda quei tempi: «Feci scandalo solo perché osai entrare alla Camera con gli zoccoli e la gonna lunga da femminista».

Fece scandalo anche una sua intervista del luglio ’76 proprio a Oggi, in cui spiegò a Neera Fallaci (sorella di Oriana) come aveva praticato aborti «autogestiti» col metodo Karman (per aspirazione, meno rischioso rispetto al raschiamento delle mammane).

Le lamentele dei bigotti

Qualche bigotto le rinfaccia ancor oggi quei trascorsi. Ma fra i cattolici più evoluti sembra ormai tramontato il «niet» contro i radicali anticlericali, ravvivato dal referendum per la procreazione assistita del 2005. Molte volte, infatti, la Bonino e Pannella hanno condotto campagne accanto ai cattolici: contro la fame nel mondo dal ’79 all’85, per l’istituzione della Corte penale internazionale dell’Onu sui crimini di guerra, contro la pena di morte (con la Comunità di Sant’Egidio del ministro montiano Andrea Riccardi).

Oggi poi, con l’elezione di Papa Francesco, i radicali sono diventati quasi papisti. La loro radio ospita ogni domenica una rassegna stampa vaticana (condotta da Giuseppe Di Leo) entusiasta per il nuovo corso della Chiesa.

Cosicché la Bonino, sempre in giro per Africa e Medio Oriente a battersi contro le mutilazioni genitali femminili (l’escissione del clitoride nelle ragazzine), sembra avere più possibilità che nel 1999 e nel 2006 di essere eletta presidente della Repubblica.

«È l’unica che mette d’accordo destra, sinistra e grillini», spiega il Fatto Quotidiano. A destra le ex ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo la sostengono, con la collega del Pdl Micaela Biancofiore, così apertamente da essere redarguite dal capogruppo Renato Brunetta.

A sinistra la vogliono Pippo Civati, Ermete Realacci, Alessandra Moretti, Ivan Scalfarotto. E la indicano anche i 5 Stelle Luis Orellana (già candidato di parte alla presidenza del Senato), Carlo Sibilia, Paola Pinna e Andrea Colletti. I grillini, comunque, fanno decidere il nome del loro candidato presidente direttamente ai propri elettori, con un sondaggio on line l’11 aprile.

Quanto ai centristi, Mario Monti si scioglie di fronte a tutti i bocconiani, ed è diventato amico della Bonino quando entrambi erano commissari europei a Bruxelles dal 1994 al 1999. Il senatore Benedetto Della Vedova, unico finiano sopravvissuto, è un ex radicale. E apprezzano Emma anche i laici montezemoliani.

"Popolarissima. Quindi sconfitta"

Ma la forza più grande, per la Bonino, deriva dai sondaggi. Che la vedono costantemente in testa da 15 anni fra i politici più amati. Nel 1999 la lista a suo nome ottenne il 12 per cento al Nord, con punte del 18 a Monza e Treviso. Quasi come Grillo oggi.

«È popolarissima», dice Pannella, «quindi non verrà eletta neppure questa volta». In effetti, il voto per il presidente della Repubblica è sempre una partita a poker. Come per il Papa, chi entrerà favorito nell’aula dei mille e passa elettori (deputati, senatori, rappresentanti delle Regioni) probabilmente verrà sconfitto.

Lei, Emma, agli alti e bassi della politica è abituata. Un giorno l’Economist la loda come «la politica più brava d’Europa» (salvò i rifugiati kosovari nel ’99, fu la prima a denunciare il pericolo dei talebani finendo arrestata a Kabul), il giorno dopo Silvio Berlusconi (che pure l’aveva nominata commissaria Ue preferendola a Giorgio Napolitano nel ’94) la insulta: «È solo la protesi di Pannella».

Così la Bonino, per scappare dai miasmi della politica italiana, da 12 anni si è trasferita al Cairo. Lì ha imparato l’arabo, oltre al francese, inglese e spagnolo che parla perfettamente. E in Egitto proprio lei, filoisraeliana in nome della democrazia, ha assistito felice alla Primavera araba. Ci sarà ora una Primavera italiana che manderà la prima donna sul Colle più alto? Lo capiremo da giovedì 18 aprile.
Mauro Suttora   

Sunday, April 07, 2013

Grillini complottisti

VITA ALL'INTERNO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), 5 aprile 2013

«Lo avevo individuato come un povero cretino. Invece è un miserabile stronzo». Non ho mai preso tanti insulti in vita mia come dopo l'articolo che ho scritto quattro mesi fa su Sette, raccontando la mia vita di attivista nel Movimento 5 stelle (M5S). Non ho subìto volantinaggi sotto la redazione, come fecero quelli del Poe (Partito operaio europeo) negli anni '80 dopo un mio articolo sull’Europeo. Ma online si è scatenato l'inferno.

Poco male. Un titolista mi aveva definito «infiltrato», e i grillini si eccitano davanti a questa parola. Vedono infatti complotti dappertutto. Beppe Grillo ora si sente addirittura assediato da «orde di troll»: quelli che lo criticano sul suo blog, e che lui accusa di essere pagati dagli avversari.

Pensavo che i troll fossero solo personaggi di Ibsen finché non sono stato definito così pure io. Pazienza. Ho continuato a frequentare il movimento e a partecipare ai dibattiti online sul Meetup lombardo, sul sito pbworks di Milano, sulle pagine Facebook. M5S infatti non ha sedi fisiche. E alla fine ho votato Grillo.

Si è verificato però un fenomeno curioso: quando si è diffusa la mia fama di «eretico» ho cominciato a ricevere mail private di attivisti che denunciano soprusi interni, manovre, scorrettezze. Ho chiesto a due dirigenti che farne. Quelli mi hanno risposto: «Pubblicale online. La Rete non perdona».

Così ho inguaiato un povero ex assessore Pdl di Como che si era candidato alle regionali: il riciclato, dopo lunga diatriba, non è stato eletto. Poi una mail anonima ha rivelato una «cordata» monzese alle primarie online, dov'era possibile dare tre preferenze. Controllo: in effetti il trio ha sbaragliato tutti i candidati della provincia di Milano, che pure ha il quadruplo degli abitanti. Nulla di strano, le cordate sono una vecchia usanza: per impedirle un referendum impose la preferenza unica nel 1991 (segnando l'inizio della fine per Bettino Craxi, che invitò invano gli elettori ad «andare al mare»). Ironico che Grillo, antisocialista, subisca ora trucchi tipici del Psi.

Denuncio, e subisco di nuovo una marea di «vaffa». Perché i grillini saranno anche nuovi e simpatici, però nei dibattiti intestini sono abbastanza simili agli altri. E così ecco i pusillanimi che in privato ti danno ragione ma in pubblico non si esprimono, i carrieristi che vogliono mantenere buoni rapporti con tutti, i furbi che si arrampicano sui vetri, i fedeli alla linea…

Alla fine una dei tre, senatrice di Monza, si dimette alla prima seduta. Ma i dirigenti lombardi riescono comunque a non mandare a Roma la senatrice più votata alle primarie di Milano, Paola Bernetti, considerata «dissidente» e mobbizzata. Insomma, anche il M5S non è composto solo da verginelle.

Ma la mossa più buffa di Grillo e del guru Gianroberto Casaleggio è stata quella di nominare due blogger, Claudio Messora e Daniele Martinelli, «consulenti» per la comunicazione dei gruppi parlamentari. Badanti, commissari politici, addetti stampa? Dopo qualche giorno di gaffes, i malcapitati sono stati retrocessi al punto di partenza: consulenti. Di non si sa bene che. Quel che si sa, invece, è quel che contengono i loro blog. Messora ha raggiunto la notorietà con la bufala dei terremoti che si potrebbero prevedere. E in fatto di complottismo non lo batte nessuno. Tutta colpa dei massoni: la crisi dell’euro, il disastro Moby Prince, Ustica, i bimbi che scompaiono in Italia e nel mondo, il traffico di organi… È massoneria Emma Bonino, naturalmente (dal blog Byoblu, 15 marzo 2013).

Messora è spesso invitato a L’Ultima parola di Gianluigi Paragone su Rai2 (programma vietato a tutti gli altri grillini, in quanto talk show), dove abbondano pittoreschi blogger che diffondono teorie complottiste degne di Roberto Giacobbo nella parodia che ne fa Maurizio Crozza («Kazzenger»). Si azzuffa su Trattato di Lisbona, Mes o Fiscal Compact con un altro soggettone, l’economista «alternativo» Paolo Barnard, in un clima alla Funari.

Il secondo «consulente» degli eletti grillini, il bergamasco Martinelli, predilige invece il salotto di Barbara D’Urso su Canale 5. La sua nomina ha sollevato proteste dei suoi conterranei M5S di Bergamo: «Trombato con Idv alle regionali 2010, alle comunali di Milano 2011 e contemporaneamente a quelle di Treviglio. Ci ha provato anche con noi, alle primarie lo scorso dicembre. Ha preso pochissimi voti. Poi è sparito».

In compenso, Martinelli appena nominato ha messo subito le cose a posto con l‘Euro: «È un complotto massonico», ha sparato. Le bestie nere del paranoici antieuropeisti si chiamano Bilderberg e Trilateral. Chiunque abbia osato accettare un invito di questi club internazionali, così segreti che pubblicano gli elenchi dei partecipanti sui loro siti, è marchiato per sempre. Per spaventarsi basta qualsiasi nome inglese, quindi vanno bene anche Aspen o Goldman Sachs.

È un sottobosco contiguo ma in parte sovrapposto ai grillini, che non leggono i giornali (molti neanche i libri), si abbeverano solo su internet, e quindi sono facile preda dei cialtroni. Per esempio Gian Paolo Vanoli, che ha imperversato per mesi sul Meetup lombardo demonizzando i vaccini, finché ha dichiarato «Provocano l’omosessualità, che è una malattia». E anche: «L’Aids non esiste» (complotto delle multinazionali per vendere medicine, lo conferma Messora). «L’urinoterapia cura tutte le malattie, così a mia moglie sono tornate le mestruazioni a 70 anni; basta bere la seconda della giornata, non la prima». E infine: «L’ipnosi è un buon metodo contraccettivo».

I cospirazionisti del web negano l’11 settembre (il crollo delle Torri di New York fu una messinscena ebraica), vogliono curare il cancro col bicarbonato, si preoccupano per le «scie chimiche» (quelle degli aerei, che verrebbero irrorate apposta per alterare il clima). 

Ma la mania attualmente più gettonata è quella contro il «signoraggio bancario». La crisi dell’euro, infatti, ha fatto rinascere la polemica sulla sovranità monetaria iniziata vent’anni fa dal professor Giacinto Auriti, con qualche buon argomento contro le banche centrali. Una battaglia fatta propria da Grillo, che però negli ultimi tempi l’ha un po’ abbandonata. I suoi «economisti», invece, hanno buon gioco nel constatare che i Paesi di Eurolandia hanno perso la potestà di battere moneta, assunta dalla Bce. E quale bersaglio più facile della Banca centrale europea, «potere forte non eletto»? I Meetup grillini ribollono di invettive.

Nella famosa puntata di Servizio pubblico a gennaio con Silvio Berlusconi, Michele Santoro invitò una certa Francesca Salvador, signora veneta che si lanciò nel solito lamento contro le banche che strozzano i poveri imprenditori. La Salvador è attiva nell’associazione Salusbellatrix che tiene conferenze sugli argomenti più disparati. Tutti però accomunati da un mistero mondiale da scoprire o una truffa planetaria da svelare, dall’Aids alla pedofilia. 
Non manca l’antisemitismo, con un’accusa di nazismo a Israele, e con la spiegazione della strage dei ragazzini in Norvegia nel 2011: Oslo punita per essere stata la prima a riconoscere lo stato palestinese…

Anche nei Meetup M5S ogni tanto qualche sciagurato definisce Israele «fascista», e non sempre viene zittito all’unanimità come ci si aspetterebbe. Questo mi tocca vedere nei siti grillini, assieme alle tante cose belle che mi hanno spinto a votarli. Ma se oso scriverlo su Sette, sono guai: complotto!
Mauro Suttora

www.cinquantamila.it

Friday, April 05, 2013

Gaetti, senatore m5s ex leghista

Senatore grillino ex leghista
NDO' COJO, COJO

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), 5 aprile 2013

C’è un ex leghista fra i 54 senatori del Movimento 5 stelle: Luigi Gaetti, medico 52enne eletto a Mantova. Consigliere comunale del Carroccio dal 2000 al 2005 a Curtatone, paesone di 14 mila abitanti famoso per la battaglia contro gli austriaci del 1848. Ne erano all’oscuro tutti, fra i grillini in Lombardia. Gaetti infatti non ha menzionato questo suo imbarazzante trascorso nel curriculum che tutti i candidati alle primarie avevano dovuto mettere online. Data l’idiosincrasia dei grillini per i riciclati, difficilmente avrebbe potuto racimolare i 144 voti che gli sono bastati per approdare a Roma (sette in più, comunque, del pavese Luis Orellana, candidato M5S alla presidenza del Senato).

Trombato alle regionali del 2010 con il movimento di Grillo, l’instancabile Gaetti ci riprova l’anno dopo alle provinciali di Mantova. Altro passo falso secondo le idee del M5S, che non si è presentato a quelle elezioni perché contrario alle province. E nuova bocciatura con una lista locale ecologista che prende solo il tre per cento.

Ma il caparbio dottore non si dà per vinto e cambia per la terza volta cavallo: torna ai 5 stelle grazie a Grillo che permette la candidatura alle primarie per Camera e Senato lo scorso novembre a chi si era già candidato in passato. Questa volta ce la fa. Secondo le regole M5S, però, l’attuale è il suo secondo mandato, quindi non è più rieleggibile. Quale sarà, allora, il prossimo approdo di questo simpatico rabdomante della politica? A Roma hanno già coniato un soprannome per Gaetti: «Ndo' cojo, cojo» («Dove colgo, colgo»)

Wednesday, April 03, 2013

Diario di una senatrice a 5 stelle

COSA SUCCEDE QUANDO UNA DONNA QUALUNQUE, IMPIEGATA, CON UN FIGLIO DI 10 ANNI, ENTRA NEI PALAZZI DELLA POLITICA?
ECCO IL RACCONTO, GIORNO PER GIORNO, DI PAOLA TAVERNA

a cura di Mauro Suttora

Oggi, 27 marzo 2013

















Dallo scorso 15 marzo la Repubblica italiana ha una nuova senatrice: Paola Taverna, eletta nel Movimento 5 Stelle. Le abbiamo chiesto di scriverci il diario dei suoi primi dieci giorni in Parlamento. La Taverna è anche poetessa: nella pagina seguente spiega in versi perché i grillini non vogliono allearsi con gli altri partiti.

Lunedì 11 marzo: tessere gratis
Mancano quattro giorni all’inizio. Ogni senatore fa la foto ufficiale. Il fotografo mi domanda gentile: «Qual è il profilo che preferisce?» Scoppio a ridere: «E che ne so? Guarda che finora al massimo mi hanno fatto uno scatto col cellulare…».Poi ci danno le tessere per andare gratis in treno e aereo. L’unica che mi serve, però, non esiste: quella dell’Atac per bus e tram a Roma. Possibile che nessun senatore abbia mai preso i mezzi pubblici, nell’ultimo secolo?

Martedì 12: nel bus dei pellegrini.
Mentre pranzo, sms improvviso: incontro chiesto dal senatore Zanda del Pd, fra un’ora a palazzo Madama. Lascio l’auto in un parcheggio a pagamento alla stazione Termini (me lo rimborseranno?), prendo la 64, il bus dei pellegrini per San Pietro. C’è il Conclave, vanno a vedere le fumate in piazza.

Mercoledì 13: conto corrente e dolori
Devo aprire un secondo conto corrente dove mi accreditano lo stipendio. Da lì prendo solo 2.500 euro al mese. Tutto il resto (10 mila euro) lo diamo indietro, o se abbiamo spese le rendicontiamo pubblicamente con ricevute. Molti di noi ora hanno problemi di soldi, perché ci siamo autofinanziati la campagna elettorale, ridotti lo stipendio che prenderemo comunque solo il 20 aprile, e costretti a comprarci almeno una giacchetta per non fare la figura dei peracottari in aula. Perché si sa: devi essere modesto e non pretenzioso, povero ma dignitoso, cittadino ma onorevole... Mi sfugge qualcosa?

Giovedì 14: «Mamma mi vede in tv»
È la vigilia. Inutile fingere: sono emozionata. Sono entrata nei meetup di Grillo nel 2007, mai avrei pensato che saremmo arrivati qui. Mia madre ormai mi segue in tv: «So che non possiamo vederci, hanno detto che oggi pomeriggio avete una riunione».

Venerdì 15: «Mi tocca leggere i giornali»
Seduta inaugurale. Volevo invitare mio figlio, mia madre, mia sorella. Niente da fare: noi 5 Stelle siamo 54, ma ci hanno dato solo nove posti in tribuna. Assalti dei giornalisti. Prima non guardavo i quotidiani, ora ogni mattina leggo Corriere della Sera, Repubblica e Fatto.

Sabato 16: colpo di scena per Grasso
Eleggiamo il presidente del Senato. Noi votiamo il nostro Luis Orellana. Poi, ballottaggio fra i più votati: Piero Grasso (Pd) e Renato Schifani (Pdl). Facciamo una riunione e decidiamo a maggioranza di votare scheda bianca. Ma una dozzina di noi votano egualmente Grasso, temendo che Schifani possa farcela. Lì per lì non ci preoccupiamo molto: tranquillizzo qualche attivista che protesta sul mio sito Facebook.

Domenica 17: e-mail pazzesche
Scoppia il casino sui 12 che hanno votato Grasso. I nostri elettori sono severissimi. Io stessa ricevo e-mail pazzesche di gente infuriata solo perché non li ho condannati.

Lunedì 18: quanta strana gente vedo
Riunioni su riunioni. In più noi del M5S dobbiamo conoscerci, e abbiamo la regola della “condivisione”. In Senato mi metto le scarpe coi tacchi, ma presto le porterò da casa e le metterò solo all’entrata, togliendomi quelle da ginnastica. Certe Pdl hanno i tacchi più lunghi delle gambe. I loro maschi invece sembrano tutti agenti immobiliari lampadati. Quanta strana gente mi tocca vedere ogni giorno: Ghedini, il Nano, Schifani, Quagliariello, Calderoli, Scilipoti... Così, saremmo noi la notizia? Altro che «cittadini»: sembriamo un fenomeno da baraccone sbattuto sui giornali con la nostra normalità, che in questi Palazzi diventa diversità. Siamo i «diversamente normali»: una nuova categoria, come gli esodati.

Martedì 19: percorsi di guerra
Dopo vari esperimenti scopro che il tragitto più veloce Torre Maura-Senato è in auto fino a piazza Cavour, e poi a piedi. Non posso ancora entrare in auto in centro, il permesso Ztl è a pagamento. Me lo farò rimborsare. Oppure prendo il tram 14 della Prenestina. Ma è un macello.

Mercoledì 20: putiferio traditori
Riunione congiunta con i deputati M5S sui 12 senatori che hanno votato Grasso. Mi spiace per i due laziali, Giuseppe Vacciano ed Elena Fattori, mamma di tre figli: due ottime persone assolutamente in buona fede. Ma tutto finisce per il meglio, niente dimissioni o espulsioni. Se provi a dire qualcosa hai l’intero Paese pronto a tacciarti di tradimento se ti ha votato, o a farti una bella risata in faccia se nelle urne ha scelto Pdl (i Pd per ora stanno zitti perché ci corteggiano).

Giovedì 21: niente parrucchiere
Casa mia grida vendetta. Ore 23, sono tornata da venti minuti. La seduta di oggi è stata una pagina fantasiosa, per il concetto di democrazia che esiste in questo Paese. Siamo entrati in aula alle 15 e usciti a tarda sera. Io alle 21, sapendo già che avevamo la nostra Laura Bottici come questore. Potevano deciderlo a tavolino e risparmiavamo un sacco di tempo. Pd, Pdl, Scelta civica (Monti) e perfino la Lega Nord, che ha solo il 4 per cento, si sono spartiti i vicepresidenti... A noi, col 25 per cento, nessuno.
Il mio frigo è vuoto, neanche un formaggino. Mi accontento dei plumcake di Davide, che stasera è dal padre. Sì, lo so, non posso lamentarmi. E in perfetto stile “eletta M5S” mi rifiuto di andare dal parrucchiere del Senato, nonostante abbia perso sei ore a far nulla in aula: sarebbero state sufficienti per shampoo, colore e messa in piega. Non ho il tempo di andare a farmi i capelli dal mio in zona, quindi domani mattina per le foto di Oggi mi alzo alle 7 e mi lavo i capelli da sola.
Oggi abbiamo deciso chi va in quali commissioni. Ci siamo divisi fra ambiente, lavoro, istruzione, sanità, agricoltura... Per poi renderci conto che le uniche commissioni che contano sono affari costituzionali, finanza e bilancio.
Mi chiedo cosa riusciremo a fare per questo Paese. Mi domando se ormai il sistema non sia ormai troppo vittima di se stesso per essere cambiato. Sono solo stanca. Facciamo riunioni interminabili. Siamo felici perché abbiamo prodotto una interrogazione parlamentare. Ma gli altri ne hanno pronte nei cassetti tante da affogarci di carte inutili: i presidenti di commissione sceglieranno di volta in volta qualcosa che non ci consentirà di fare un bel niente. Basta, vado a dormire, domani è un’altra lunga giornata.

Venerdì 22: «Ho tempo per Davide»
Abbiamo eletto il candidato sindaco M5S per Roma, Marcello De Vito: voto a maggio. Conferenza stampa di presentazione alla Cae (Città dell’altra economia), nell’ex Foro Boario. Sono stata invitata col deputato romano Alessandro Di Battista e il capo dei consiglieri regionali laziali Davide Barillari. Il Senato oggi non ha sedute. Così ho tempo di andare a prendere mio figlio Davide a scuola.

Sabato 23: febbre psicosomatica?
Dovevo andare alla manifestazione per la bambina Sofia (cura con cellule staminali), però mi sveglio con un raffreddore pazzesco e 38 di febbre. No, oggi ho proprio bisogno di fermarmi un attimo.

Domenica 24: «Sono stanca!»
Sono passati solo nove giorni dall’inizio del mandato, ma a me sembra già un anno. Non ho più tempo per far niente: vita personale distrutta, tempi e ritmi assurdi, non a misura di una donna che deve badare anche a casa, famiglia e figli. Ho preiscritto il mio a una scuola media vicino a dove lavoravo prima, al Prenestino, per poterlo accompagnare al mattino. Ma ora che succederà? Come si dice: hai voluto la bicicletta? E mo’ pedala... Chissà dove arriviamo.
Paola Taverna
(a cura di Mauro Suttora)


’A coerenza
di Paola Taverna

E poi de punto in bianco lo trovi in televisione
ormai protagonista e non più spettatore
Te chiedi ancora confuso, perplesso e poco attento
com’è che un cittadino sia star de ’sto momento

Guardate che ’ste cose le dicevamo pure prima,
quanno facevate finta che fosse ’na manfrina:
non esistono partiti coi quali fare apparentamenti.
Credevate fossimo finti, coi nostri intendimenti?

Mo’ ve domandate perché nun cambiamo idea
perché se ostinamo convinti a anna’ dritti pe’ sta via
ma proprio nun ve sorge er dubbio giusto e sano
che ortre voi pajacci ce sta un popolo sovrano?

Ha detto a voce arta e senza esse frainteso
che dovete annà a casa tutti perché c’avete offeso
l’ha detto nelle urne usando lo strumento
der voto sano e libbero da ogni tradimento

E noi nun semo avvezzi a fa’ i vortagabbana
c’avemo messo er core… pe voi è na cosa strana
c’avete abituati a dì e non mantenere
che se l’artri so’ coerenti è n’attentato ar potere

Io vado a dormì tranquilla, ormai è arrivato er giorno
ch’entriamo nei palazzi, andata e poi ritorno
diremo a voce arta come avete gestito ’sto paese
tra privilegi, caste, festini e troppe spese

Dormite pure voi, se ancora ce riuscite
è in atto er cambiamento, e adesso lo sentite
fuori dai giochi sporchi, giornali e televisione
pacifica ed epocale... ecco la rivoluzione



Chi sono gli eletti 5 stelle

di Mauro Suttora

Oggi, 26 febbraio 2013

COMPONE SONETTI
Paola Taverna, 43 anni, Roma

«Me rappresento solo, de te nun c’ho bisogno
anzi me fai un po’ schifo
e me riprenno er sogno
ritrovo orgoglio, stima e pure convinzione
che sto cesso che me consegni
lo ritrasformo in nazione».

La senatrice Paola Taverna è la poetessa del movimento. I suoi sonetti in romanesco sono assai apprezzati dagli attivisti. Lei vive a Torre Maura col figlio di dieci anni («è la mia vita»), ed è orgogliosa delle proprie radici popolari. Si sveglia alle 5 per andare nel laboratorio medico dov’è impiegata.
Attiva dal 2007, non credeva ai propri occhi quattro mesi fa, quando le è arrivata l’e-mail di Grillo con l’invito a candidarsi: «I 5 Stelle sono l’unica e ultima possibilità per cambiare il Paese. Non voglio andare a fare giochi di palazzo, sarò solo la portavoce di semplici cittadini come me. So quanto è difficile e ingiusta la vita che ci costringono a fare».

Mennea


Oggi, 27 marzo 2013

Chi non è stato un ragazzo del Sud negli anni Sessanta o Settanta non può capire. Non potrà mai capire cos’ha significato Pietro Mennea assieme a pochi altri personaggi suoi coetanei (il calciatore della Juventus Franco Causio, i cantanti Al Bano e Mino Reitano) e a poche altre imprese (l’Alfasud, Termini Imerese, la Siv e la Fiat di Termoli, l'industria delle scarpe di Barletta) per la grande speranza che avvolgeva quegli anni.

Un profumo di riscatto per tutto il Meridione, svanito nei decenni successivi. Tranne forse che nella Puglia di Pietro, meno zavorrata da mafia, camorra
e ’ndrangheta, e anzi diventata internazionalmente attraente grazie a masserie e tarante.

'Il ragazzo che sorride' era il titolo di una bellissima canzone di Al Bano. Mennea sorrideva, sì, ma più che altro digrignava i denti. Onestamente, non era simpatico. «De mortuis nisi bene», dei morti non si parla che bene. Però la grande qualità di Pietro era un’altra: la volontà. Un pugliese con la disciplina di un tedesco. E la voglia di emergere di un americano.

Due ragazzi guardano la villa di un ricco su una collina. L’europeo dice: «Ora vado e la brucio». L’americano dice: «Un giorno riuscirò a diventare così ricco che mela comprerò». Mennea apparteneva a questa seconda categoria. Non il meridionale piagnone, rivendicativo, vittimista. Ma quello che si allenava 350 giorni l’anno, che si aiutava perché sapeva che il cielo non lo aiutava.

Nessun atleta al mondo si allena 350 giorni l’anno. Mennea sì, lo faceva, sotto il torchio del suo allenatore-aguzzino Carlo Vittori. Che oggi, sopravvissutogli a 82 anni, lo ricorda così: «Impegno e testardaggine».

Il suo record del mondo sui 200 metri ha resistito 17 anni. Diciannove secondi e 72 centesimi. Quando il tempo apparve sullo schermo di Città del Messico, nel 1979, era così incredibile che qualcuno non capì: «Si sono sbagliati di anno, c’è scritto 1972».

Ancora oggi, un terzo di secolo dopo, Mennea è l’uomo più veloce d’Europa sui 200 metri e d’Italia sui 100. Il francese Christophe Lemaitre è riuscito a superarlo come bianco europeo più veloce sui 100, ma solo nel 2011.

Il suo carniere olimpico non è strabiliante, considerando che ha partecipato a ben cinque edizioni dal 1972 all’88: un oro (Mosca 1980, dove non correvano gli statunitensi per il boicottaggio contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan) e due bronzi. Resta ancora inspiegabile la débacle del 1976, quando a Montreal non voleva neanche andare.

In tv era famoso perché parlava di sè in terza persona. Finita la carriera sportiva si è dato all’avvocatura e alla politica. Nel 1999 è stato eletto al Parlamento europeo con l’Asinello: un’alleanza fra Antonio Di Pietro, Romano Prodi e Francesco Rutelli. Poi ha litigato, come tutti, con Di Pietro. E ha subìto due sconfitte che non gli sono andate giù: mancato sindaco della sua Barletta con Forza Italia nel 2002, e due anni dopo niente conferma all’Europarlamento con i repubblicani-liberal di Vittorio Sgarbi. Si chiamerà Mennea il primo treno Frecciarossa che nel 2014 supererà i 400 km all’ora.
Mauro Suttora