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Monday, October 04, 2021

M5s: San Francesco ce li ha dati, San Francesco ce li ha tolti


di Mauro Suttora

HuffPost, 4 ottobre 2021

San Francesco ce li ha dati e San Francesco ce li ha tolti. I grillini nacquero il 4 ottobre 2009 al teatro Smeraldo di Milano, e nello stesso giorno dodici anni dopo crollano. Non solo nel capoluogo lombardo, dove negli exit poll racimolano un imbarazzante 3%, ma anche a Roma, dove la Raggi non arriva al ballottaggio, a Torino (10%), Trieste (3%) e perfino nella Napoli di Fico e Di Maio, dove il voto di lista grillino crolla rispetto all’incredibile 50% di appena tre anni fa.

Un po’ mi spiace. Se non avessero s/governato, se fossero rimasti al 3-5%, avrebbero svolto un’utile funzione di pungolo, come Pannella. Proprio il capo radicale, ricordo, era in piazza San Paolo nel 2008 a Roma a firmare i primi referendum grillini, non ancora Cinque stelle. Lì avvertì: “Attenti a non sbagliare le date della raccolta firme”. I Casaleggio non lo ascoltarono. Risultato: mezzo milione di firme al macero.

Mi ero iscritto al blog di Grillo nel settembre 2007, il giorno dopo il primo Vaffaday e un giorno prima di Paola Taverna. Scrissi per il mio settimanale Oggi articoli incuriositi e benevoli, frequentando le loro riunioni da embedded per conoscerli bene. Sembravano la naturale conseguenza del milione di copie vendute quell’anno dal libro di Rizzo e Stella, che denunciava gli eccessi della Casta politica.

Conobbi i pionieri dei meetup romano: la futura ‘faraona’ laziale Roberta Lombardi (che perse le primarie a candidata sindaca di Roma nel 2008), il dentista Dario Tamburrano poi eurodeputato. La più simpatica era l’esuberante Taverna, così diversa dai figli di papà Di Maio e Di Battista: al lavoro a 19 anni per mantenere sé e la famiglia (da senatrice ha recuperato e si è laureata).

Alle regionali 2010 risultati scarsissimi: Vito Crimi trombato in Lombardia, Fico 1,3% in Campania. Andai a Bologna a intervistare uno dei rari eletti, Giovanni Favia, brillante pupillo di Grillo. Poi, con i primi successi, prevalse la paranoia dei Casaleggio. Chi non seguiva la linea veniva subito espulso, in un tragicomico susseguirsi di purghe: da Grillo a Stalin. Favia fu la prima vittima, anche la Lombardi rischiò. 

Tutti avevano il terrore di parlare. Io, come giornalista ‘interno’, fui messo al bando: “Spia, infiltrato!”. La Gabanelli prima fu proposta come presidente della Repubblica, poi insultata perché osò chiedere i conti della società Casaleggio. Il candidato grillino a presidente del Senato, Orellana, fu cacciato solo per aver osato proporre di trattare col Pd (con cinque anni di anticipo).

Le macchine del fango non sono state inventate da Morisi con la sua Bestia leghista. Furono i Casaleggio nel 2012, e poi gli addetti stampa Messora (Byoblu) e Casalino a inaugurare le ‘shitstorm’ con cui si seppellivano dissidenti interni e avversari esterni. Ho visto decine di parlamentari ed ex fedelissimi militanti cadere in depressione dopo questi crudeli trattamenti. L’esatto contrario della ‘Rete liberatoria’ predicata da Grillo.

I trionfi elettorali del 2013 e 2018 hanno fatto ingoiare ai grillini questi metodi fascistoidi. Gli stipendi e i posti di sotto-governo tengono tuttora legati i parlamentari.

Ma ormai il giocattolo è rotto, il gioco scoperto. Spariti gli attivisti, rimangono gli arrivisti. Evaporata l’onestà, il fu Movimento 5 stelle ora è avvolto nel fumo della logorrea di Giuseppe Conte. Sopravviverà al massimo come cespuglio del Pd.

“Casaleggio? Mai fidarsi di chi si chiama come un formaggio”, mi prendeva in giro dieci anni fa il compianto filosofo Giulio Giorello. “Cinque stelle? Nome buono per gli hotel, indegno di un partito”, li liquidò Sgarbi. Avevano ragione loro.

In pochi anni sono passato da grillofilo a neutrale grillologo a grillofobo. Ora è il turno dei disillusi ex elettori grillini. Che hanno votato coi piedi: alle urne non ci vanno più. Il boom dell’astensione è l’unica eredità dell’era Grillo.

Mauro Suttora

Wednesday, April 10, 2013

Grillo: bilancio del primo mese

di Mauro Suttora

Oggi, 3 aprile 2013

Può l’ottava potenza economica mondiale dipendere dal ragionier Beppe Grillo? In tutte queste settimane Pier Luigi Bersani, capo Pd, ha proposto un’alleanza al suo Movimento 5 Stelle. Niente da fare. «Vogliamo distruggere i partiti», dicono i grillini. Attenzione, non dicono: «Questi partiti». O «i politici ladri». O «la partitocrazia», come ripetono da quarant’anni i radicali. No, Grillo vuole proprio «superare i partiti». Arrivare alla «democrazia diretta», come spiega Gianroberto Casaleggio.

Qualcuno si preoccupa. Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, mormora: «Anche Hitler voleva cancellare i partiti». In effetti, non si conosce al mondo una democrazia senza partiti. Ma i grillini si sentono alfieri di un rinnovamento epocale. Guidato dal simpatico uomo ritratto in queste pagine. Che trascorre le vacanze di Pasqua in una delle sue tre ville: quella di Marina di Bibbona (Livorno). Le altre stanno a Sant’Ilario, sulle colline eleganti sopra Nervi (Genova) e a Porto Cervo, vicino al golf del Pevero. Poi c’è la quarta villa («Una capanna») da 300 mila euro che sua moglie avrebbe appena comprato a Malindi (Kenya), accanto al resort di Flavio Briatore che spesso ospita Silvio Berlusconi.

Vuole fare la rivoluzione
Cosa farà ora l’«uomo in ammollo», dopo che il presidente Giorgio Napolitano ha trovato una soluzione per il nuovo governo? La rivoluzione, naturalmente. Non gli credete? Ma lo ripete da anni. È solo un comico? Non più: ha avuto il voto di quasi 9 milioni di italiani. I quali sono talmente schifati da tutti gli altri partiti da affidarsi a un miliardario che promette la povertà (soprannominata «decrescita felice») e proclama: «Non lasciamo indietro nessuno».

Per ora gli unici lasciati indietro, a sbrigarsela da soli, sono Pd e Pdl. Condannati a stare insieme, visto che Grillo non vuole governare con nessuno di loro. L’alternativa sarebbe tornare a votare. Ma i sondaggi dicono che il risultato sarebbe uguale a quello del 25 febbraio: un Paese spaccato in tre. Anzi in quattro, se si conta il 28 per cento di astenuti e schede bianche e nulle.

Quindi, a calcolare esattamente i voti, Grillo raccoglie il 18 per cento degli elettori. Questo significa che 82 italiani su cento non si fidano di lui. Tuttavia, Beppe ha in mano l’Italia. O comunque, si comporta come se ce l’avesse. Tratta i suoi 163 parlamentari con la delicatezza del satrapo mesopotamico. Dodici di loro hanno osato votare Piero Grasso presidente del Senato? Minacciati di espulsione. Il senatore Marino Mastrangeli di Frosinone si è fatto intervistare in tv da Barbara D’Urso a Pomeriggio 5? I colleghi più «talebani» lo danno già per licenziato. La romagnola Giulia Sarti ha chiesto che almeno si proponessero dei nomi come premier in alternativa a Bersani? Zittita.

È un comico, ma vuole disciplina
È incredibile come dentro al movimento guidato da un comico, che fa sbellicare dalle risate tutti gli italiani da un terzo di secolo, prima in tv e oggi nei comizi, regni la disciplina e a volte addirittura il terrore. La svolta autoritaria è avvenuta un anno fa. Arrivati ormai a più di cento consiglieri comunali e regionali, alcuni grillini si erano posti il problema dell’organizzazione e si erano riuniti a Rimini. Scomunicati. Poi l’ex bonario Grillo ha espulso metà dei suoi consiglieri regionali: due su quattro, compreso l’ex pupillo Giovanni Favia. «Neanche Stalin al massimo della forma era mai riuscito a compiere una purga del 50 per cento», commentò un grillino ovviamente anonimo.

Infine, lo scorso dicembre, il dittatore libertario sbotta on line: «Vietato fare domande. La democrazia è questa. Chi non è d’accordo, se ne vada». Dopo qualche giorno ha ammesso di aver esagerato. Qualcuno si chiede da cosa siano causati questi alti e bassi. Ma alla fine, basta sentirlo parlare cinque minuti e gli vogliamo tutti bene.

Il duro impatto con la realtà 
Perché il Grillone nazionale, quando urla sudato con le sue sopracciglione a trapezio isoscele, non può non avere ragione se condanna i costi della politica. O quando si scaglia contro i bizantinismi dei politici di professione. La miglior prova del disastro dei carrieristi della politica è stata data proprio in quest’ultimo mese. Per giorni e giorni i grillini hanno ripetuto che non volevano allearsi con nessuno. Ma gli altri non ci credevano. Pensavano fossero simili a se stessi: dire una cosa, farne un’altra, possibilmente l’opposto.

L’impatto con la realtà però è duro anche per loro. Scoprono che non si possono trasmettere tutte le proprie riunioni in diretta streaming sui computer, perché quando discutono a volte - come tutti - litigano. Scoprono che i capigruppo non possono ruotare ogni tre mesi, perché i contratti dei collaboratori sono intestati a loro. Scoprono che la democrazia diretta on line è irrealizzabile, perché chiunque può iscriversi falsando i risultati.  Grillo ora si scaglia perfino contro chi gli lascia commenti contrari sul blog, accusandoli di essere «pagati» dagli altri partiti. Come se gli «influencer» grillini non eccellano nel sommergere di «bombe mail» e «spam» gli avversari. Chi la fa, l’aspetti.
Mauro Suttora

Wednesday, December 05, 2012

Grillini sulla graticola

I SONDAGGI DANNO IL MOVIMENTO 5 STELLE AL 20 PER CENTO. E LUI PROMETTE UN ESAME TRASPARENTE PER TUTTI I CANDIDATI, VOTATI DAGLI ISCRITTI E "GRIGLIATI" CON LE DOMANDE DEI I CITTADINI. SIAMO ANDATI A VEDERE SE E COME FUNZIONA

dall'inviato Mauro Suttora

Oggi, 28 novembre 2012

Che fatica, la democrazia diretta. Volevo partecipare anch’io alla grande novità della politica italiana: la prima volta che un partito (pardon: movimento...) fa scegliere i propri candidati direttamente ai cittadini. Non solo i leader, come fanno gli altri con le primarie. Proprio tutti i candidati, dal primo all’ultimo.

Così, dopo anni che scrivevo articoli su Beppe Grillo (il primo su Oggi risale al 2007, quando organizzò il Vaffaday contro i politici), mi sono «registrato» sul suo portale. Un po’ per simpatia personale, un po’ per curiosità professionale, ho mandato la scansione della mia carta d’identità, qualche dato, e sono diventato un «grillino» anch’io.

In pratica, è come iscriversi. Però è gratis (cosa da non sottovalutare), perché il Movimento 5 Stelle (M5S) si definisce «non partito». Che vuole solo fare da «tramite» fra i cittadini e gli eletti («portavoce»). Niente tessere, sedi, soldi, burocrazia, finanziamento pubblico. Solo volontariato. Insomma un paradiso, in questa Italia soffocata dai politici di professione della «casta» e dal notevole numero di ladri che opera fra loro.

Da qualche mese, quindi, posso entrare nei siti internet del M5S, partecipare alle discussioni, votare on line nei referendum che organizzano quando un consigliere comunale o regionale deve votare su un argomento che non fa parte del programma.

Così ho votato a favore del testamento biologico assieme ad altri 170 «registrati» di Milano, e poi il consigliere Mattia Calise ha riversato questa nostra decisione nel dibattito al consiglio comunale.

In luglio sono stato invitato a una riunione semestrale per giudicare l’operato di Calise. Non c’era tanta gente, il consigliere è stato «promosso». Ho anche aiutato il consigliere della mia zona a organizzare un banchetto di propaganda nel quartiere di Santa Giulia, devastato dalla speculazione edilizia.

Orgia di internet, tutto online

Poi sono cominciati i problemi. Infatti Grillo e i suoi sono un po’ fissati con la Rete, pensano che quasi tutti i problemi si possano risolvere grazie a internet. Risultato: se voglio essere informato, devo passare ore di fronte al computer. Per star dietro a tutte le notizie e i dibattiti, infatti, bisogna seguire ben sei siti diversi: il portale nazionale, Facebook, Google-Wiki, i MeetUp (gruppi cittadini o regionali), Pbworks e Liquid Feedback.

Con tutti questi nomi, chi non è appassionato di elettronica si perde. E anche la mia compagna, che mi vede smanettare  la sera col portatile sul divano invece di guardare un film in tv con lei, sospira e mi prende per matto.

Ora sono arrivate le elezioni. E dobbiamo mettere in pratica quel che predichiamo: democrazia diretta. Veramente è più in voga la parola «democrazia liquida», che però a me non piace perché mi ricorda l’Inno al corpo sciolto di Roberto Benigni.
Vado a Saronno a un’assemblea regionale. Pochi giovani e donne, molti maschi 40-50enni. Ci riuniamo nel sotterraneo di un albergo, divisi in commissioni: sanità, trasporti, energia, ecc.

Visto che sono giornalista, vado nella commissione Informazione. Non l’avessi mai fatto. Scopro che il M5S odia tutti i giornalisti. Pensavo che ce l’avessero (giustamente) solo con i giornali pagati con soldi pubblici e con i talk show tv, dove Grillo vieta ai suoi di andare. Invece l’odio è generalizzato: siamo tutti paragonati ai politici corrotti. Infatti i grillini non leggono i giornali, al massimo danno uno sguardo veloce ai siti online.

A un certo punto entra uno e annuncia: «C’è di là un giornalista del Fatto quotidiano che vorrebbe entrare, ha chiamato ieri per accreditarsi». Niente da fare: gli danno solo il permesso di stare nella hall. E pensare che il Fatto di Marco Travaglio è il giornale più vicino a Grillo.

300 candidati per 80 posti

Due giorni dopo, assemblea pubblica a Cernusco sul Naviglio (Milano): si sottopongono a «graticola» (interrogatorio pubblico) i candidati alle regionali. Sono ben 300 per 80 posti: evidentemente uno stipendio fa gola a molti, anche se il M5S lo limita a 2.500 euro al mese rispetto agli 11.000 intascati dagli eletti degli altri partiti.

Forse per paura di essere travolti da questa valanga di speranzosi, gli organizzatori non permettono però al pubblico di rivolgere domande ai candidati. Dicono che il tempo è troppo poco, e li sottopongono a un interrogatorio pre-confezionato con domande un po’ scontate, tipo: «Cosa farai se non verrai eletto?» Naturalmente nessuno ha risposto: «Sparirò, perché mi interessano solo i soldi». Eppure è proprio quel che è successo negli anni scorsi: dopo il voto molti sono scomparsi, e a tirare la carretta sono rimasti pochi volontari. Insomma: che difficile la democrazia, anche se è diretta...
Mauro Suttora


MA GRILLO HA GIA' ESPULSO LA META' DEI SUOI CONSIGLIERI REGIONALI

Il Movimento 5 stelle aveva eletto quattro consiglieri regionali nel 2010: due in Emilia e due in Piemonte. Ma Beppe Grillo ne ha già espulsi la metà. L’emiliano Giuseppe Favia è inciampato in un fuorionda tv in cui accusava Grillo e il suo consulente Gianroberto Casaleggio di metodi poco democratici.

Poi Grillo ha «licenziato» anche il piemontese Fabrizio Biolé (con lui nella foto) tramite lettera di un avvocato (sotto) che gli imputa di avere già fatto il consigliere comunale due volte nel suo paesino di 500 abitanti in provincia di Cuneo. I grillini, infatti, possono essere eletti al massimo per due mandati. Biolé obietta che tutti lo sapevano, ma che gli chiesero di soprassedere perché i candidati M5S nel 2010 erano pochi.


Wednesday, November 09, 2011

Gli eletti di Beppe Grillo

ORMAI SONO 130 IN 60 COMUNI. ARRIVANO AL 14%. BERLUSCONI LI RINGRAZIA PER LA SUA VITTORIA IN MOLISE. MA LORO AVVERTONO: PRENDIAMO VOTI ANCHE A LUI

Oggi, 2 novembre 2011

di Mauro Suttora

Lo hanno fisicamente «espulso» dal palazzo del potere: il consigliere regionale Davide Bono, medico solo apparentemente mite eletto un anno e mezzo fa per Beppe Grillo in Piemonte, ci riceve nel suo ufficio separato da tutti gli altri. Nell’edificio dei gruppi consiliari in centro a Torino non c’è posto per lui, la Regione gli ha affittato una mansarda poco più in là in via Alfieri.

Bono è famoso perché grazie al suo 4 per cento il centrodestra del leghista Roberto Cota ha sconfitto il centrosinistra. Lo stesso è capitato ora in Molise: il piccolo margine con il quale il Pdl ha vinto è stato reso possibile dal 5 per cento dei «grillini».

«Ma Berlusconi fa male a ringraziarci», sorride Bono, «perché i nostri consensi non vengono solo da sinistra. Qui in Piemonte, per esempio, ci hanno votato molti ex leghisti delusi». «E poi, chi lo dice che il Movimento 5 stelle sottrae automaticamente voti a sinistra?», aggiunge Giovanni Favia, consigliere regionale in Emilia. «I nostri elettori sono così schifati dalla casta dei politici che probabilmente, senza di noi, si asterrebbero». Sintetizza Grillo: «Pd e Pdl sono uguali». E definisce il Pd «Pdmenoelle».

Ormai hanno 130 eletti in 60 comuni

Ma, in concreto, come si comportano gli eletti 5 stelle (non amano il termine «grillini»)? Ormai sono 130 in 60 comuni, da Bolzano a Roma, e in capoluoghi come Milano, Torino, Venezia, Trieste, Bologna. Male solo al sud: appena l’1,3% alle recenti comunali di Napoli. Alcuni sono in carica già da tre anni, come David Borrelli a Treviso e i consiglieri municipali eletti a Roma nel 2008.

Le loro priorità ufficiali sono cinque, come le stelle del nome: acqua, ambiente, trasporti, connettività (internet), sviluppo. Ma è il «modo» di fare politica a cui stanno soprattutto attenti.

«Il nostro stipendio lo decide ogni sei mesi un’assemblea pubblica degli elettori, alla quale ci presentiamo dimissionari», dice Favia, che fino al 2009 era direttore della fotografia in film e documentari. Risultato: gli hanno appena aumentato il salario da 2.500 a 2.700 al mese. Stessi soldi per Bono in Piemonte. La differenza con gli 8-12mila mensili che prendono i consiglieri degli altri partiti finisce in attività politiche («Ma finanziamo altre associazioni, non noi stessi») e spese legali per le molte cause in corso.

Ci sono state lunghe discussioni nei forum online sul giusto livello di retribuzione. Alcuni proponevano 1.280 euro al mese, «lo stipendio medio italiano». Altri, più misericordiosi, concecevano che l’eletto conservasse lo stesso stipendio del lavoro precedente: «Perché per fare politica bisogna perderci?» Risposta: «Nessuno è obbligato a farla».

Eliminato il vitalizio in Emilia

I 5 stelle hanno un limite di due mandati: dieci anni al massimo di politica a tempo pieno, poi devono tornare al lavoro precedente: «Ci consideriamo dipendenti dei nostri elettori, l’attività nelle istituzioni è come il servizio di leva».

I due consiglieri emiliani sono riusciti a far abolire il vitalizio (pensione) dalla prossima legislatura, e picchiano duro sugli altri privilegi. Per esempio il rimborso di 0,8 euro a km per gli eletti di altre province: «Così uno da Piacenza incassava migliaia di euro senza controllo, e poi magari pagava solo l’abbonamento in treno». Risultato: il consiglio regionale ha abbassato le sue spese da 37 a 36 milioni di euro annui.
«Ma è nelle società partecipate e nella sanità che girano le grosse cifre», dice Andrea Defranceschi, 40 anni, collega di Favia.

I grillini non si sono presentati al voto nelle province perché ne chiedono l’abolizione («Mentre altri partiti come Sel e Idv, incoerenti, entrano pure lì»), e rifiutano il finanziamento pubblico («Un milione di rimborsi elettorali tornati allo stato»).

In Piemonte fanno opposizione dura al governo di destra, in Emilia a quello di sinistra. In Comune a Torino brilla la 26enne bocconiana (voto di laurea 110) Chiara Appendino. A Milano, nonostante la novità del sindaco Giuliano Pisapia, il consigliere comunale Mattia Calise non gli fa sconti: «Troppi portaborse assunti dalla nuova giunta», accusa il resoconto dei primi quattro mesi di lavoro.

E adesso? Pronti al grande balzo a Roma. In Parlamento sarà più difficile rispettare la «democrazia di base» delle liste civiche locali perseguita finora. Chi deciderà i candidati? «Le primarie on line», dice Bono. E chi potrà votare? «Gli aderenti al movimento». Costo della tessera? «Niente tessere, non siamo un partito». E se si iscrivono improvvisamente mille di un altro partito il giorno prima delle primarie? «Metteremo delle limitazioni...»
Mauro Suttora