Monday, April 11, 2022

Anche Venezia per tre secoli ha avuto la sua Ucraina



Facevamo combattere i serbi contro i turchi, come oggi gli ucraini contro i russi

di Mauro Suttora 

HuffPost, 11 Aprile 2022 

U-krajna vuol dire 'sul confine'. E al confine fra la repubblica veneziana e l'impero ottomano, dal 1500 al 1797, c'era la regione Kraina con capolugo Knin, alle spalle di Spalato. Non era l'unica: tre infatti erano le Kraine che separavano i turchi, attestati in Bosnia, dalla Serenissima a ovest e dall'impero asburgico a nord. Funzionavano da 'antemurale', prima del muro: linee di difesa avanzata.  

Inizialmente popolate da croati, austriaci e veneziani accettarono di buon grado una fortissima immigrazione di serbi ortodossi, guerrieri temibili. E loro, spinti dall'odio sia etnico che religioso contro i turchi islamici che avevano invaso la Serbia, li combattevano con pari ferocia.

Venezia non era interessata a conquiste territoriali in Dalmazia. La costa è protetta dalle alpi dinariche, e alla Serenissima bastava il controllo dei porti: Zara, Spalato, Sebenico, Cattaro. Ma le incursioni turche la costrinsero ad ampliarsi all'interno per proteggersi, fino a inglobare la Kraina di Knin e oltre. I trattati di Carlovitz e Passarowitz a inizio '700 fissarono la frontiera dov'è ancor oggi, fra Croazia e Bosnia. Così, proprio mentre nel Mediterraneo Venezia perdeva via via posizioni (Cipro, Rodi, Creta), in Dalmazia ne acquistava, grazie alle guerre per procura combattute dai suoi serbi, lautamente armati (come noi oggi con gli ucraini) e pagati. 

Le enclaves serbe delle Kraine sono sopravvissute fino agli anni '90. Le guerre della ex Jugoslavia hanno provocato pulizie etniche reciproche, finché un'ultima offensiva croata ha fatto piazza pulita dei serbi a Knin nel 1995. 

Si potrebbe dire che anche i russi di Putin hanno fatto da 'antemurali' cristiani contro gli islamisti, combattendoli prima in Cecenia e poi in Siria. Ma questo è un altro discorso.

Mauro Suttora


Saturday, April 09, 2022

'Nuvole sul Mekong', di Alessandra Zenarola

di Mauro Suttora

9 aprile 2022

Alessandra Zenarola ha una scrittura sensoriale: leggendola si sentono odori, sapori, rumori. Attraverso le sue parole si vedono e si toccano cose, persone, paesaggi.

Nel suo bellissimo libro 'Nuvole sul Mekong' (ed. Tabula Fati, 2021) racconta viaggi in cinque Paesi: Cipro, Israele, Malesia, Thailandia e Vietnam. Quasi sempre assieme a un uomo piuttosto misterioso: "La nostra storia è caotica, imprecisa, si svuota e si riempie con la velocità di una barca con un buco sul fondo". L'impressione è che quando tornano in Italia si dicano sbrigativamente 'ciao ciao', come nella canzone di Sanremo, fino al viaggio successivo.

Ad Alessandra piacciono posti "trascurati e privi delle attrattive della modernità. Ai miei occhi emanano un fascino irresistibile".

Per esempio, il minimarket di un villaggio nella Cipro turca "che non esiste sulle carte geografiche": "Nel supermercato fa più caldo che fuori, l'aria è smossa da pale sul soffitto ma è aria torrida. La merce è esposta senza criterio, ciabatte accanto alle uova, l'aranciata vicino allo shampoo. Da ganci piantati sul soffitto penzolano polli così piatti che sembrano li abbiano passati sotto un rullo compressore".

È la vita vera del terzo mondo che la maggior parte dei turisti a pacchetto assaggia solo durante le pochissime ore di libertà concesse nei dintorni dei resort.

"Appena si aprono le porte dell'aereo vengo investita dall'odore inconfondibile della Thailandia, che esiste solo lì ed è diverso da tutti gli altri odori nel resto dell'universo. Di benzina, di incenso, di sterpaglie bruciate, un miasma agrodolce che aderisce come colla agli abiti e ai capelli".

Con l'acribia di un'entomologa, Zenarola descrive bimbi vietnamiti "grossi e rotondi. Non so se siano il nuovo benessere o gli omogeneizzati rinforzati, ma certi neonati sembrano manzetti al pascolo. Gonfi, più che paciocconi".

Sempre a Saigon si concede "una cena in un locale sulla riva del fiume con i camerieri cerimoniosi e il vino nel secchiello del ghiaccio, le candele e la luna che sparisce dietro alle nuvole. Ma ho già nostalgia dei vicoli della vecchia Saigon e dell'osteria casalinga con la cameriera che serve in tavola e intanto chatta sullo smartphone".

Perché Alessandra è così attratta dai vicoli cenciosi? "Un uomo dorme con la testa appoggiata sopra un tavolino pieno di piatti con residui di cibo. Due bambini in mutandine tormentano un gatto che si è accoccolato dentro un vaso. Altri abitanti accovacciati sull'uscio delle case ci guardano con occhi spenti. Domattina ci offriranno frutta fresca, un taglio di capelli o una batteria usata per la Nikon". Sembrano le parole di una canzone di Leonard Cohen.

Ad Ao Nang (Thailandia) "esplode un temporale spaventoso. Non ho mai visto il cielo tingersi di verde, un verde acquoso rigato di lampi arancioni. Fa impressione, è un'immagine abbacinante. Le stradine del villaggio si allagano in pochi minuti. Una bambina in piedi dentro una pozzanghera abbassa le mutandine e fa la pipì, poi le tira su e saltella nell'acqua sporca. Cartelli e merce dei negozi rotolano sui marciapiedi, i gazebo si rovesciano. Dal nulla compare un venditore di ombrelli, ma quando gli passo la banconota da 50 bath e afferro l'ombrello, l'acquazzone è già finito".

La magica aria thailandese: "Toglie il fiato, ha un potere inebriante. Spegne l'energia e lascia intatti solo i desideri".

Malesia: "Il cameriere birmano ti parla in veneto perché ogni capodanno Koh Lipe è invasa da vicentini e padovani".

Il radar di Zenarola capta i casi strani. La padrona di un'osteria "ha l'aria stanca e un occhio appannato dal glaucoma. Dietro a lei arrivano due ragazzetti che apparecchiano il nostro tavolino con tovaglie di carta e posate colore ciclamino".

Non tutto è poeticamente squallido, però: a Cipro Nord "Il sole si assottiglia fino a diventare una lamina color albicocca e tra i cespugli si intravedono spicchi di mare".

È anche un libro autoironico: "Ho mal di stomaco, colpa dei vostri liquori sturalavandini", si lamenta Alessandra in una farmacia turcocipriota di Girne. Unico suo vizio capitale: collezionare magneti per il frigorifero. 

Ed è la prima volta dopo mezzo secolo che leggo la parola 'shake': in un resort israeliano sul mar Morto "mi avvio al night e ballo uno shake anni '60 in mezzo a giovani americani, oppressa da un vago sentore di ridicolo. Il loro accompagnatore col mitra alla cintola beve acqua tonica al bancone, i liceali si stanno sbronzando con cocktail colorati".

Tuesday, April 05, 2022

Chi crederà a Putin se un giorno dovesse dire la verità?



Cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà: ogni giorno ha la sua menzogna

di Mauro Suttora 

HuffPost, 5 Aprile 2022

Ieri, dopo gli eccidi di Bucha, ho fatto un esperimento. Ho scritto su Facebook: "Se sgancerà l'atomica (tranquilli, una piccola, tattica) Putin dirà che sono stati gli Usa. E non pochi disagiati in Italia gli crederanno". I disagiati hanno subito risposto: "È più probabile che lo faccia Biden", "Gli unici a sganciare l'atomica finora sono stati gli americani", "Come le armi di distruzione di massa di Saddam", eccetera. Gran successo sui social per una cronaca quasi minuto per minuto in cui Toni Capuozzo cerca di dimostrare che lo foto di Bucha sono una montatura.

Insomma, le bugie di Putin pigliano. Fin dall'inizio è stato lui a dettare le regole, d'altronde. La sua guerra non è una guerra. L'Ucraina è piena di drogati e nazisti da estirpare, di tradizione ortodossa da salvaguardare e di russi da difendere. L'ultima menzogna, il giorno prima dell'attacco: "Rivendichiamo Donbass e Crimea". E invece invade tutta l'Ucraina.

Il ribaltamento della realtà è proseguito quando le cose si sono messe male. I suoi tank lanciati verso Kiev sono stati inceneriti? "Ora ci riposizioniamo". I suoi missili colpiscono ospedali? "Non c'erano malati, erano stati trasformati in basi del battaglione nazista Azov". Ha ammazzato civili? "Erano scudi umani usati dagli ucraini". Non permette l'evacuazione delle famiglie di Mariupol? "Sono gli ucraini a impedir loro di partire".

Sembra che Putin voglia applicare alla lettera le regole di Orwell: cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà.

Dopo le fosse comuni di Bucha si è aggiunto il ministro degli Esteri Lavrov: "È tutta una messa in scena occidentale". Il ricordo va ad Alì il Chimico, il ministro dell'informazione iracheno che nel 2003 negava l'invasione di Bagdad anche coi soldati statunitensi già per le strade. Normalmente i governanti, di fronte ad accuse raccapriccianti contro i propri militari, si rifugiano nella frase: "Istituiremo una commissione d'inchiesta". A volte si scusano, come gli Usa lo scorso agosto dopo che un loro drone uccise una famiglia a Kabul.

Invece la menzogne seriali di Putin si affastellano all'infinito. È un dramma: chi gli crederà, dovesse un giorno dire la verità? Obiettano i putiniani nostrani: in guerra tutti mentono, sempre. Alt. In Vietnam furono proprio i giornalisti embedded con gli americani (compresa la nostra Oriana Fallaci) a svelare la verità. I governi possono cercare di mentire, ma se sono democratici la verità viene fuori. Sono le dittature a basarsi sulla propaganda: sempre, in pace e in guerra. La nostra Eiar esultò perfino nel 1943, quando gli Alleati sbarcarono in Sicilia: "Li abbiamo respinti sul bagnasciuga". 

I meccanismi del consenso nei regimi totalitari sono stati svelati già nel 1941 da Erich Fromm in Fuga dalla libertà (libro tradotto solo vent'anni dopo in Italia, perché indigesto anche ai comunisti). Quel che Fromm non poteva prevedere, era la presa che la disinformazione può avere anche nel mondo libero. Qui da noi, fra grillini, leghisti, nostalgici fascisti, filosovietici e complottisti vari, sono milioni i creduloni. Tutti i testimoni a Bucha accusano Putin? Ancora peggio: è il "mainstream", il pensiero unico, i giornaloni. Che bello essere controcorrente. Mica ce la danno a bere. Chi? Loro. Cioè chi? I poteri forti. Non c'è via d'uscita dalla paranoia cospiratoria.

Tutti noi abbiamo un amico, un parente, un conoscente un po' svitato che come l'Anpi, di fronte alle foto di Bucha, chiede una "commissione d'inchiesta indipendente". O almeno cerca di salvarsi in corner con l'ecumenico "perché meravigliarsi, tutte le guerre sono così". È un vicolo cieco, Popper è sconfitto. 

Non sbaglia quindi Putin a rifugiarsi nella spudoratezza, a negare sempre anche l'evidenza come un qualsiasi traditore col coniuge, a spargere la "nebbia della guerra" su ogni sua malefatta. Gettando merda nel ventilatore, qualche schizzo produrrà qualche dubbio. Che magari lo salverà dal Tribunale internazionale dei crimini di guerra verso cui, come Milosevic, sembra agevolmente avviato. 

Mauro Suttora

Saturday, April 02, 2022

Pannella si batteva contro ogni forma di censura. Non è il caso di Orsini (sta sempre in tv)

Il professore invoca a sua difesa il leader scomparso. Tra l'altro dimentica che i radicali hanno sempre combattutto Putin

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 Aprile 2022 

Lo so, la miglior difesa dagli esibizionisti è l'indifferenza. Ma se Orsini invoca Pannella  contro la censura di cui sarebbe vittima, merita una risposta. Anche perché se mi chiamassi Orsini mi vanterei di avere scritto ben tre biografie (troppe) sul capo radicale.


È certamente vero che "Pannella si batteva contro ogni forma di censura". Non è questo il caso di Orsini, il quale in un mese è stato invitato in prime serate tv più di Pannella in vent'anni.


Ma, entrando nel merito, Orsini dimostra - ad abundantiam - di non aver "studiato abbastanza" (sempre per usare le sue parole). Il leader radicale e il suo partito, infatti, sono fra i rari politici italiani, forse gli unici, che non solo non hanno mai apprezzato né lodato Putin, ma lo hanno combattuto con decisione fin dall'inizio. Tanto che nel 2000 Lavrov, allora ambasciatore russo all'Onu, chiese l'espulsione del Partito radicale dall'Ecosoc, l'organismo delle Nazioni Unite dedicato alle ong. E quanto i microbi radicali risultassero fastidiosi per Russia e Cina (anch'essa voleva cacciarli) me lo confermò lo stesso Lavrov quando due anni dopo lo incontrai a un ricevimento al consolato russo di New York: "Chi sono veramente questi radicali italiani?", mi chiese, brillante e affabile come sempre (mieteva successi fra le signore di Manhattan).

Ma non c'è molto da scherzare, nei rapporti Pannella/Putin. Perché c'è di mezzo anche un assassinio: quello di Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale ammazzato a Tbilisi mentre indagava sui misfatti di Mosca in Cecenia. Probabili esecutori, i servizi segreti di Putin ha. Lo picchiarono fino a sfondargli gli organi interni. Negli anni seguenti il segretario radicale Olivier Dupuis denunciò il putinismo in ogni consesso internazionale, invitando i ceceni nonviolenti (sì, esistono anche loro) a parlare alla Commissione Onu per i diritti umani a Ginevra, assieme agli uiguri perseguitati dai cinesi e ai dissidenti di tutte le dittature del mondo.


Insomma, su Putin Pannella prenderebbe Orsini a pernacchie. E poi lo inviterebbe a cena, perché era anche simpatico, e gli piaceva da matti litigare (come Orsini). Ma c'è di più. Pannella nel 1991 indossò la divisa militare croata e si fece fotografare nelle trincee di Vukovar. Scandalo totale: il Gandhi italiano delle marce antimilitariste e dell'obiezione di coscienza alla naja sputava sulla nonviolenza? Anch'io barcollai. E invece aveva ragione. Aveva capito prima di tutti la natura criminale del presidente fasciocomunista serbo Milosevic. Neanche i croati erano agnellini. Ma quella volta, in quei giorni, erano loro a subire la pulizia etnica. Quindi, come dicono a Roma, "quanno ce vo', ce vo'".

Così, anche in questi giorni non pochi pacifisti accettano che gli ucraini vengano aiutati con quel che loro chiedono: armi per difendersi. E i radicali chiedono l'incriminazione di Putin al Tribunale internazionale che loro (Bonino) crearono negli anni '90. Allora per punire stragi come Ruanda e Srebrenica, oggi Mariupol. 

Pannella era filoUsa e filoGb: "Perché le democrazie anglosassoni sono le più antiche, e le uniche che non hanno mai conosciuto la dittatura". Ma questo non gli impedì di chiedere l'incriminazione di Blair per aver mentito al suo popolo durante la seconda guerra del Golfo. 

Altro insegnamento di Pannella: "Le democrazie non fanno guerra ad altre democrazie". Per non parlare del conflitto delle Falkland/Malvine, di cui proprio dopodomani cade il quarantennale: spesso i dittatori cadono grazie alle guerre che dichiarano, come i generali argentini nel 1982 o i colonnelli greci nel 1974. Ma devono trovarsi di fronte dame di ferro tipo la Thatcher. O ex comici come Zelensky. Non sociologi amanti della "complessità" e vittimisti (un po' come Pannella) tipo Orsini.

Mauro Suttora 

Thursday, March 31, 2022

Guardare i social di Salvini e scoprire che la guerra è finita



Dopo qualche figura barbina, il Capitano molla l'Ucraina e torna ai vecchi amori: immigrati e rom. E il taser è un'arma che gli piace

di Mauro Suttora 

HuffPost, 31 Marzo 2022

Per Matteo Salvini la guerra in Ucraina è finita. Da dieci giorni non ne parla più, non esiste. Cancellata. Su twitter e facebook, i suoi mezzi d'espressione preferiti e una volta pervasivi, si esprime su tutto tranne che sugli attacchi di Putin. Ultimo tweet, alle 11.30 di oggi: "Flat tax, semplificazione pagamento imposte, no a tasse su catasto e affitti, scongiurare la stangata sui titoli di stato". 

E a ritroso: solidarietà a Michele, rider sfregiato a Verona; campo rom da sgomberare in via Negrotto a Milano; anche a Firenze il taser funziona; nuovo stadio di San Siro da ricostruire in loco come vogliono Milan e Inter; disability card; ergastolo per marocchino killer di 84enne a bottigliate in testa; Mihajlovic guerriero campione; forza Fedez; sconti aerei per i sardi; preghiera per i bimbi massacrati a Varese; tre violentate a Milano in 24 ore; brava la regione leghista Marche che sanifica l'aria. L'ultimo accenno a Zelensky risale al 22 marzo: "Ho apprezzato il suo discorso alle Camere". Poi un generico "la Lega lavora per la pace". E basta.

Lontano da missili e carri armati, Salvini si tiene alla larga anche dalla questione del giorno: l'aumento delle spese militari. Si rifugia negli antichi amori come il no agli immigrati. Ma è ossessionato soprattutto da una nuova passione: il taser. Al pistolone che emette impulsi elettrici dedica lodi ogni giorno: "A Cagliari ha fermato un nigeriano violento". "Dobbiamo darlo anche ai 37mila agenti penitenziari". "L'avevo proposto da ministro degli Interni". 

Il problema è che il povero Matteo sull'Ucraina ha preso solo sberle. Dalla figuraccia col sindaco polacco che gli ha rinfacciato a tradimento la maglietta con il faccione di Putin, alle carrellate tv che ripercorrono impietosamente tutti i peana a quello che definiva "il più grande statista mondiale". Non dieci anni fa come Berlusconi, ma ancora nel 2020. Per non parlare degli abboccamenti a Mosca sui soldi ai leghisti. 
Risultato: la Lega negli ultimi sondaggi è precipitata al 16%. Meno della metà rispetto al 34% alle europee di soli tre anni fa. Pd e Fratelli d'Italia sono ormai lontani. Così, perfino i suoi prendono le distanze: "La guerra? Io mi occupo di turismo", scappa il ministro Garavaglia. 

Fugge anche Salvini. Come un rabdomante, cerca nuovi/antichi giacimenti di consenso. Si rifugia nelle polemiche sui rifugiati ucraini. Bonino lo attacca: "I profughi di colore più scuro sono falsi?". E lui: "Distinguiamo chi scappa davvero dalla guerra da chi la guerra la porta in Italia". Avverte che "122 subsahariani sono arrivati a Lampedusa in poche ore". Diventa gandhiano: "Il pugno all'Oscar dimostra che la violenza non risolve mai nulla". Accusa D'Alema mediatore per una vendita di armi alla Colombia. 

Insomma, qualsiasi cosa tranne la guerra in Ucraina. Su facebook esulta per il campionato cuochi a Rimini. E oggi pubblica il suo faccione felice assieme alla fidanzata Francesca Verdini: "Ultimo giorno di 'stato d'emergenza' covid, da domani bastaaa". Dura la vita del social media manager di Matteo.

Mauro Suttora 

Wednesday, March 30, 2022

M5s vs Draghi/ “Conte farà una sceneggiata sul riarmo, ma non può dire no”

www.ilsussidiario.net, 30 marzo 2022 

intervista a Mauro Suttora

Conte, riconfermato alla guida del M5s con il 94% dei consensi, promette battaglia. Ma sul no all’aumento delle spese militari non andrà oltre la sceneggiata 

“Gli iscritti del MoVimento 5 Stelle mi hanno riconfermato con un’indicazione forte e chiara. Un sostegno così importante è anche una grande responsabilità. Ora testa alta, ancor più coraggio e determinazione nelle nostre battaglie. Abbiamo un Paese da cambiare”. Così Giuseppe Conte ha accolto la sua riconferma alla guida del M5s dopo aver ricevuto 55.618 consensi, pari al 94,19% del totale, al termine della consultazione online sulla piattaforma SkyVote, che ha visto la partecipazione di 59.047 votanti pentastellati su 130.570 iscritti aventi diritto.

E i suoi primi passi sono stati tutti contro: prima contro Di Maio (“Le cose cambieranno, non posso accettare che ci sia chi rema contro”) e il giorno successivo, dopo l’incontro con il premier Draghi, contro il governo (“Il nostro è un no fermo al riarmo: il M5s si opporrà con tutta la sua forza parlamentare all’aumento sconsiderato delle spese militari”). Come sarà questa seconda leadership dell’ex premier? Che clima si respira all’interno del MoVimento? Quanto rischiano Draghi e il suo governo? Ne abbiamo parlato con Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost, nonché attento osservatore della caotica galassia a 5 Stelle. 

“Il problema non è Conte, ma tutti noi che prendiamo ancora sul serio queste farse con candidato unico che loro chiamano votazioni online. Le elezioni per essere democratiche devono offrire una libertà di scelta fra almeno due alternative”.

Altrimenti?

Altrimenti si chiamano ratifiche di personaggi imposti dal vertice, plebisciti. Non certo elezioni. È l’abc. C’è più democrazia in un’assemblea di condominio, o di una società quotata in Borsa, che fra i grillini. Perfino i regimi comunisti permettevano una scelta fra più candidati, anche se gli oppositori erano posticci. Perfino Putin si candida contro concorrenti. Poi magari li incarcera o avvelena, ma almeno la forma è salva.

Rispetto alla prima elezione, però, Conte ha lasciato sul campo 7mila preferenze: ad agosto erano state 62mila, oggi sono diventate 55mila. E rispetto ai 130mila aventi diritto ha espresso il voto meno della metà degli iscritti. Che cosa significano questi numeri?

Intanto mettiamo in chiaro che non si tratta di iscritti. Iscriversi al Movimento 5 Stelle non costa nulla, quindi non vale nulla. Basta mandare per mail una foto della carta d’identità, e dopo sei mesi si può votare. Una farsa anche questa. Cosicché per misurare il vero grado di consenso di questi cosiddetti “capi”, prima Di Maio, ora Conte, i grillologi devono ridursi a contare gli astenuti.

L’ex premier ha subito lanciato il suo avvertimento: “Le cose cambieranno, non posso accettare che ci sia chi rema contro”. Ci sarà la resa dei conti con Di Maio? Chi la spunterà? E i Cinquestelle rischiano davvero la scissione?

Chiaramente Di Maio e Conte sono diventati incompatibili. Il primo è più forte fra i parlamentari, il secondo fra gli iscritti. Ma in realtà sono solo personalismi legati ai sondaggi. Finché Conte godeva di un consenso del 60% fra gli elettori, tutti i grillini gli andavano dietro, sperando che li salvasse dal naufragio, visto che il M5s è invece crollato dal 32 al 14-16%. Ma ora anche Conte è sceso al 40%. Che è comunque tanto. Probabilmente a Di Maio non conviene ancora rompere, anche se è facile prevedere una strage fra i suoi fedelissimi quando Conte compilerà le liste elettorali. Dovrà sfilarsi prima, o trovare un accordo.

In un tuo recente commento sul Movimento hai parlato di “senso putiniano della democrazia” tra candidato unico, intimidazioni e purghe. Che clima si respira in casa M5s?

Il clima all’interno dei grillini è mefitico. Si confrontano i parlamentari alla seconda legislatura, che dopo dieci anni con 12mila euro di stipendio dovrebbero tornarsene a casa, e quelli alla prima che vogliono essere rieletti. Ma se i “vecchi” pretendono di cambiare la regola sul tetto ai mandati occuperanno di nuovo i posti migliori nelle liste. E dato che gli eletti si ridurranno a un quarto, per il dimezzamento dei loro voti e il taglio ai parlamentari, la lotta è al coltello.

E Grillo? Cambierà qualcosa nei rapporti con Conte?

Grillo è la grande incognita. È logorato dal processo al figlio e stanco per le diatribe nel suo Movimento, diventato irriconoscibile rispetto agli esordi. Gli attivisti si sono trasformati in arrivisti, occupati in lotte personali di potere puro, senza più ideali. Lui stesso è indeciso fra movimentismo e governismo. D’istinto è ancora attirato dall’estremismo di un Di Battista, invece deve accontentarsi di due democristiani moderati come Di Maio e Conte.

“Il nostro è un no fermo al riarmo: il M5s si opporrà con tutta la sua forza parlamentare all’aumento sconsiderato delle spese militari”. Quanto i Cinquestelle potrebbero fibrillare la tenuta del governo?

Conte non ha alcuna intenzione di far cadere il governo Draghi. Si rischierebbe il voto anticipato, ma i grillini vogliono conservare lo stipendio fino all’ultimo, ancora per un anno. Il no all’aumento delle spese militari è una mossa intelligente, perché la maggioranza degli italiani è contro il riarmo. E i grillini sono gli unici a opporsi. Ma non andranno oltre le sceneggiate verbali.

Marco Tedesco

Monday, March 28, 2022

Casaleggio, Grillo, Conte: il senso putiniano della democrazia



Candidato unico, intimidazioni, purghe. Nei giorni del voto bis sulla leadership, osservazioni sulla vita interna dei 5 stelle, sul maestro Putin e su qualche influsso nord coreano

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 Marzo 2022 

"I parlamentari della Duma condividono in pieno il video di Putin e sono stanchi di una piccola minoranza che crea spaccature. Si osserva con attenzione chi condivide e chi non condivide il video di Putin. Ormai deve essere chiaro chi abbraccia il nuovo corso e chi no". 

È un comunicato che arriva da Mosca? Macché. Sostituite Duma con M5s, Putin con Conte, e assaggerete la minaccia che incombe in questi giorni sui parlamentari grillini. Una dichiarazione anonima avverte gli avversari interni dell'ex premier: se non mettete like e non condividete sui social l'ultimo video dell'ex premier, siete fuori. Democrazia nel tempo della Rete. Per l'ennesima volta gli iscritti pentastellati provano a votare il loro nuovo leader, e per l'ennesima volta dimostrano di essere digiuni di pluralismo.

Perché perfino Putin, o Erdogan o gli Ayatollah quando indicono elezioni hanno l'accortezza di non proporre un candidato unico e un partito unico. Lo facevano anche i furbi regimi sovietici. Oltre al partito comunista sulla scheda si poteva scegliere qualche altra formazione: il fronte degli agricoltori, addirittura finti partiti liberali come quello tedesco orientale, che prendeva regolarmente il 10% ed era alleato perpetuo nel Fronte popolare con la Sed, il partito del dittatore Honecker. E anche Putin permette a tutti di sfidarlo al voto, salvo incarcerare o avvelenare chi può impensierirlo, come Navalny.

Bando alle ipocrisie: l'imprinting nordcoreano grillino non necessita di trucchi come avversari posticci. L'unica scelta permessa è fra il sì e il no al candidato unico imposto dal vertice. Perciò ai grillologhi, per misurare il suo reale consenso, non resta che contare gli astenuti. È sempre stato così, anche prima di Conte. I grillini nascono consustanzialmente totalitari, anche se questo aggettivo è comico per il partito di un comico. 

Ricordo i primi meetup nel 2006-2007, subito squassati da furibonde liti interne. A Milano c'era una spia che riferiva ogni parola ai Casaleggio, e questi facevano terra bruciata attorno ai dissidenti. A Roma tre dei quattro eletti nel 2008 nei municipi dopo pochi mesi passarono ad altri partiti, uno all'Udc di Cesa e Casini. Perfino la fedelissima Roberta Lombardi tradì come l'apostolo Pietro: osò borbottare contro i metodi antidemocratici del Movimento, poi si pentì e fu riaccolta. 

Da allora periodiche purghe staliniane hanno sempre devastato i grillini. Al posto della Siberia ci sono le shitstorm online per segare i nervi ai dissenzienti; l'olio di ricino viene somministrato con espulsioni sommarie e accuse paranoidi ("Vuoi allearti col Pd" era la più in voga prima di allearsi col Pd), senza possibilità di contraddittorio. Temendo delazioni, gli eletti si sono rifugiati in chat private sempre più segrete, prima su WhatsApp, ora su Telegram. Gli organi dirigenti interni sono sempre stati decisi da Grillo e Casaleggio, fin dal primo direttorio del 2014 con Di Maio e Di Battista da votare in blocco, prendere o lasciare. 

Ciononostante, anche in questa legislatura su oltre 300 eletti ne sono rimasti solo 200. Anche perché il principale epurato ora è lo stesso Casaleggio junior, che un anno fa ha fatto la fine di Trotsky e oggi reclama invano da Conte il saldo di 450mila euro di debiti. Ecco, così è finito il Movimento nato per portare trasparenza e pulizia in politica: nel suo esatto opposto, con plebisciti al posto dei referendum e ratifiche al posto delle elezioni. C'è più democrazia in una società quotata in borsa o in un condominio, che fra i grillini. Ma ormai tutti sembrano essersi abituati, e ci pare normale che Conte venga eletto capo senza concorrenti.

Mauro Suttora 

 

Friday, March 25, 2022

Segre e Smuraglia, partigiani veri: loro c'erano e quindi non sono equidistanti

Il ricambio generazionale dell'Anpi ha portato al disastro attuale: gli autoproclamati eredi antifascisti dei partigiani che non riescono a riconoscere i partigiani di oggi, in lotta concreta, coraggiosa e sanguinosa per la democrazia, la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Non ci resta che ascoltare i nonni della resistenza vera

di Mauro Suttora

HuffPost, 25 Marzo 2022

Carlo Smuraglia compirà 99 anni in agosto. È stato molte cose: professore universitario di diritto del lavoro, avvocato (parte civile per i morti di Reggio Emilia 1960, Pinelli, Seveso), consigliere regionale Pci e presidente del Consiglio in Lombardia dal 1970, consigliere Csm, senatore Pds. Un monumento vivente della sinistra. E soprattutto partigiano nelle sue Marche e presidente dell'Anpi.

 L'Associazione nazionale partigiani italiani ha sentito il bisogno di esprimersi contro l'invio di armi agli attuali partigiani, quelli ucraini che resistono all'invasione di Putin. Ma Smuraglia li ha fulminati: "Quella dell'Ucraina è Resistenza, e va aiutata anche con le armi".

Un'altra novantenne venerata dall'Anpi è la senatrice a vita Liliana Segre. Non ha bisogno di presentazioni. Anche lei ha bacchettato l'Anpi nel suo discorso al congresso in corso a Riccione: "La resistenza del popolo invaso rappresenta l'esercizio del diritto fondamentale di difendere la propria patria. Non è concepibile nessuna equidistanza. Se vogliamo essere fedeli ai nostri valori dobbiamo sostenere il popolo ucraino".

Cosa accomuna Smuraglia e Segre? L'età. Entrambi hanno vissuto personalmente l'esperienza della guerra, dell'invasione nazista, della deportazione e della lotta per la liberazione. Per ragioni anagrafiche, invece, il 98% degli attuali iscritti all'Anpi non è stato partigiano. La più giovane staffetta che avesse avuto 13 anni nel 1945 oggi è novantenne. 

È curioso che chi ha avuto a che fare direttamente con un'aggressione sia più solidale con l'Ucraina attaccata da Putin? No. A volte è proprio l'età a rappresentare uno spartiacque, in politica. "Don't trust anybody over thirty", non fidarti di nessuno che abbia più di trent'anni, dicevano i primi universitari contestatori a Berkeley nel 1964. 

Oggi, viceversa, nessuno si fidi di chi ha meno di 90 anni, ma pretenda di parlare a nome di una resistenza mai fatta. "Non ho l'età", cantava Gigliola Cinquetti, e neanche l'attuale presidente Anpi Gianfranco Pagliarulo, già ottimo funzionario del Pci milanese e poi senatore di Rifondazione comunista, ce l'ha. È un giovanotto 72enne che non attese le armi paracadutate dagli Alleati, con cui i partigiani si opponevano ai nazifascisti.

"Questa mattina mi son svegliato, e ho trovato l'invasor": sono gli ucraini oggi a cantare Bella Ciao. Anzi, il "glorioso popolo ucraino che resiste", come l'Anpi ha definito tutti i movimenti di liberazione degli ultimi 75 anni, e ai quali ha inviato aiuti, raccolto soldi con collette, organizzato manifestazioni. 

Oggi invece i suoi cortei e appelli sono "per la pace", indistintamente, anonimamente, e non più in concreto per il Vietnam o il Salvador o il Nicaragua. Zelensky, il Che Guevara di Kiev, è sbeffeggiato come un Grillo qualsiasi, un ex comico di Ballando con le stelle magari anche un po' vagamente nazistoide e imboccato dalla Cia.

Insomma, "questa mattina mi son svegliato e ho trovato il putinista". Anche perché negli ultimi vent'anni tutta l'area antagonista della sinistra estrema e dei centri sociali ha praticato con l'Anpi una vecchia tecnica staliniana: l'entrismo. Ovvero iscriversi in massa a un'associazione per impadronirsene. 

Cosicché il ricambio generazionale ha portato al disastro attuale: gli autoproclamati eredi antifascisti dei partigiani che non riescono a riconoscere i partigiani di oggi, in lotta concreta, coraggiosa e sanguinosa per la democrazia, la libertà e l'autodeterminazione dei popoli. Non ci resta che ascoltare i nonni della resistenza vera.

Mauro Suttora 

Monday, March 21, 2022

Mariupol tornerà Ždanov?



Chissà se Putin ribattezzerà la città ucraina, dopo averla rasa al suolo, restituendola al nome del feroce ministro simbolo della propaganda comunista e della sottomissione culturale alla linea del partito

di Mauro Suttora

HuffPost, 21 Marzo 2022 

Chissà se Putin ribattezzerà Ždanov la città di Mariupol, dopo averla rasa al suolo. 

Il porto martire sul Mar d'Azov, con le sue migliaia di bambini, donne e civili uccisi dall'armata russa, si è chiamata infatti Ždanov per volere di Stalin dal 1948 al 1989. Il dittatore sovietico la dedicò al proprio fedele e feroce ministro della Cultura, nato a Mariupol nel 1896, subito dopo la sua morte precoce per infarto, obesità ed etilismo. Da allora l'antonomasia ha trasformato il cognome di Andrei Ždanov nel simbolo della propaganda comunista e della sottomissione di ogni artista e intellettuale alla linea del partito.

Così 'Zdanovismo' rimane ancor oggi la definizione più sintetica e tremenda della politica culturale sovietica al tempo delle purghe staliniane negli anni '30, quando bastava un sospetto di deviazione per essere spedito a morire in un gulag siberiano.

Ždanov, il Goebbels di Stalin, fu anche l'inventore della parola 'agit-prop': inventò infatti il Dipartimento per l'agitazione e propaganda del partito comunista sovietico, di cui fu il primo commissario fino alla morte. Ente efficacissimo, visto che riuscì per decenni a turlupinare filosofi, giornalisti e scrittori di tutto il mondo, da Sartre in giù, convincendoli che l'Urss era il paradiso in terra. 

È Zdanov il vero inventore delle fake news. Solo qualche sprovveduto complottista può credere che la disinformazione sia nata con internet: in realtà per ben 72 anni, fino al suo suicidio nel 1989, il comunismo si è retto sulla sistematica falsificazione della realtà. Chi osava mettere in dubbio la versione ufficiale del partito, dentro e fuori l'Urss, veniva immediatamente liquidato da Zdanov come "feccia nemica della classe lavoratrice" secondo la sua famosa definizione al congresso del Pcus nel 1939.

È stata appunto la lingua russa a regalarci il termine "disinformazia", ovvero la scientifica distorsione governativa dei fatti. Ma quel che è grave è che da Solgenitsin a Sacharov, da Trotsky a Navalny, da Bucharin alla Politkovskaya, nulla sembra essere cambiato a Mosca. Il Muro può anche essere crollato un terzo di secolo fa, ma con la garanzia del kgb Putin lo zdanovismo sopravvive ancor oggi.

Quindi sarebbe giusto che Mariupol tornasse a chiamarsi Ždanov. Perché sulle rovine della città distrutta continuano a danzare le menzogne della propaganda: Putin, dopo aver vietato la parola "guerra", sarebbe capace di sostenere che i suoi palazzi sono stati rasi al suolo dagli stessi abitanti, per poter incolpare i militari russi.
Molti gli crederebbero, anche in Italia.

Mauro Suttora 

Thursday, March 17, 2022

Mio articolo dall'Ucraina del 2009

MIO ARTICOLO DALL'UCRAINA

di Mauro Suttora

ottobre 2009

I biglietti per il concerto di Christina Aguilera il 21 ottobre al Palast di Kiev costavano molto: da 250 a 9.500 grivnie, cioè 35-1.300 euro. Ma per i figli dei nuovi ricchi ucraini non è stato un problema: qui in città i soldi girano, il Pil aumenta del 7% ogni anno, e all’Arena City hanno aperto un centro commerciale di sei piani con sessanta negozi di lusso.
Per i nostalgici dell’hard rock l’autunno ucraino offre anche concerti dei Nazareth e dei Deep Purple, mentre l’ultimo film di Wim Wenders, ‘Palermo Shooting’ con la nostra Vittoria Mezzogiorno, è uscito in Ucraina addirittura un mese prima che in Italia.
Il ristorante italiano Fellini di via Gorodestkogo, nella città vecchia, è il fulcro della dolce vita ucraina. Qui non ci si accorge delle furibonde liti politiche, delle elezioni anticipate (le quarte in quattro anni) fissate per il 7 dicembre, delle divisioni fra filorussi e filoccidentali.
Davanti all’entrata ciondolano fumando gruppi di giovani con stupende ragazze bionde che non hanno più bisogno di emigrare (modelle o colf), come capitava dieci anni fa: «Ora a Kiev si sta bene, non manca nulla, ci divertiamo, al massimo prendiamo l’aereo per fare una scappata a New York o a Londra».
Questo è il posto preferito di Eugenia Timoshenko, 28 anni, la figlia della premier Yulia che ha sposato il cantante rock inglese Sean Carr. «Ogni tanto veniva anche Andrei Yushcenko, il figlio del presidente, a sfoggiare la sua Bmw da 130 mila euro, ma è da un po’ che non si vede», ci dice un ragazzo.
E certo, con tutte le polemiche contro i figli di papà che hanno infiammato per mesi i vivacissimi giornali ucraini. Altro che Mosca, dove i giornalisti scomodi li ammazzano: qui a Kiev i media sono totalmente liberi, e riempiono le pagine scorticando gli avversari politici.
Da quattro anni, tutta la vita politica ucraina ruota attorno a un triangolo: Yulia Timoshenko, 48 anni, la bella premier con il treccione biondo (tinto) ad aureola sulla nuca, il suo ex alleato nella rivoluzione «arancione» Victor Yushcenko, 54, presidente filo-Usa, e l’oppositore filo-russo Victor Yanukovich, 58, sconfitto dai cortei del 2004 ma sempre pronto alla rivincita con il suo partito fortissimo nelle regioni orientali dell’industria pesante.
La guerra Russia-Georgia dello scorso agosto ha fatto venire i brividi all’Ucraina. La nuova aggressività di Vladimir Putin, infatti, non ha preso di mira soltanto Ossezia e Abkazia, ma tutte le minoranze russe rimaste fuori dai confini dopo la caduta dell’impero sovietico. E con i suoi otto milioni di russi su 45 milioni di abitanti, l’Ucraina è la principale candidata a diventare la prossima Georgia.
A Kiev per ora non si percepiscono grandi tensioni. I maschi ucraini sono contenti che la Dinamo sia riuscita a pareggiare con l’Arsenal in Champions League. L’unica aspirazione politica che affratella tutti è entrare in Europa non solo nel calcio, ma anche nell’Unione dei 27 di Bruxelles.
Sarà dura, perché nonostante il boom economico l’inflazione è al 20% e il deficit annuo al sei, cioè il doppio dei limiti di Maastricht. Germania, Belgio e Olanda si sono opposti perfino a inserire l’Ucraina nel gruppo dei Paesi candidati, assieme alla Croazia (che entrerà nel 2010) e agli altri balcanici (Macedonia, Albania, Montenegro) che prima o poi seguiranno.
Nonostante le pressioni di Polonia e Svezia, che vogliono ammettere l’Ucraina nella Ue al più presto per sottrarla all’influenza russa, Kiev per ora rimane indietro perfino rispetto a Serbia, Bosnia e Turchia. L’hanno inserita solo negli “accordi di associazione”, assieme ai Paesi arabi rivieraschi del Mediterraneo e Israele, senza alcuna speranza di entrare.
«Certo che se battiamo i turchi del Fenerbahce di Istanbul ed entriamo negli ottavi di Champions sarà una bella rivincita», si consolano i tifosi.
Un’istituzione occidentale disposta ad aprire subito le porte ci sarebbe: la Nato. Ma l’alleanza militare è bassa nei sondaggi. In caso di adesione il partito filorusso chiederebbe un referendum e vincerebbe a man bassa. Perché, d’altra parte, provocare l’orso sovietico collaborando con gli eserciti occidentali, invece di collaborare con tutti commerciando e facendo quattrini?
E’ il ragionamento che ha preferito la Timoshenko dopo la guerra di Georgia, prendendosi della «traditrice filorussa» da Yushcenko. Eppure entrambi sono stati fra i primi ad accorrere a Tbilisi in solidarietà al presidente Michail Saakashvili, e non è un mistero che i carri armati georgiani siano stati rimessi a nuovo proprio dall’Ucraina.
Subito dopo a Kiev nel 2008 è arrivato il vicepresidente Usa Dick Cheney, in uno dei suoi rarissimi viaggi all’estero, e ha chiesto ai due ex alleati della rivoluzione arancione di smettere di litigare. I sondaggi, infatti, danno la Timoshenko prima con il 25%, ma subito dopo c’è il filorusso Yanukovich. E Yushcenko non arriva al 10%.
Vedremo cosa succederà il 7 dicembre. Il problema è che Yulia e Victor, dopo le settimane eroiche dell’autunno 2004 (ricordate? Yushcenko aveva la faccia sfigurata dall’herpes zoster, e accusò il Kgb di averlo avvelenato), non si sopportano più.
Lui l’aveva presa sotto le sue ali, nominandola premier, ma ben presto lei superò il maestro, si rese indipendente e si ribellò. Lui non ci pensò due volte a sostituirla con il rivale Yanukovich, formando una spregiudicata “grosse koalition” con i filorussi. Ma nel voto anticipato del 2007 Yulia presentò un nuovo partito col proprio nome e vinse.
Adesso è la Timoshenko ad appoggiarsi a Yanukovich per limare le unghie al presidente. Vuole una nuova legge che ne limiti i poteri. Dopo la guerra in Georgia con un bel giro di walzer si è messa a flirtare con i filo-russi.
Curioso destino, per una che ancora nel maggio 2007 fece impazzire di rabbia Putin con un suo saggio sulla rivista statunitense ‘Foreign Affairs’, bibbia della politica estera americana, titolato “Containing Russia”. La dottrina del “containement” fu quella coniata alla fine degli anni Quaranta dagli Usa per affrontare la Guerra fredda contro l’Urss, e che dopo quattro decenni gliela fece vincere. Insomma, l’esatto contrario dell’attuale appeasement.
Al povero Yushcenko non è restato che volare a Washington per farsi ricevere da Bush a fine settembre. Sfortuna delle sfortune, proprio quel giorno il Congresso aveva bocciato il famoso piano per il salvataggio della Borsa Usa, e quindi si può immaginare dove fosse l’attenzione del presidente americano. In ogni caso, con il cambio di inquilino alla Casa Bianca non è detto che Yushcenko resti nelle grazie di Washington. Anche il bellicoso georgiano Saakashvili è finito un po’ in disgrazia dopo il passo falso dell’8 agosto, quando ha attaccato per primo l’Ossezia cadendo nella provocazione russa.
Ma per capire meglio i rischi che sta correndo l’Ucraina, bisogna andare 900 chilometri a sud di Kiev. A Sebastopoli, capitale della Crimea. Regione dove la minoranza russa è maggioranza, e che quindi viene rivendicata da Mosca esattamente come l’Ossezia. Anche perché fino al 1954 faceva parte della Russia: fu Nikita Kruscev a regalarla all’Ucraina dopo la morte di Stalin.
Mosca ha già distribuito centinaia di migliaia di passaporti agli ucraini russofoni. Ma Sebastopoli è cara alla Russia soprattutto perché la sua flotta militare del mar Nero è ospitata in quel porto. Dopo lunghe trattative, nel ’97 l’Ucraina accettò di affittare il porto militare a Mosca fino al 2017, al prezzo di cento milioni di dollari l’anno.
«Niente, in confronto al debito di un miliardo e mezzo di dollari che l’Ucraina ha accumulato in questi anni con la Russia per le bollette non pagate di gas e petrolio», accusa Rinat Akhmetov, miliardario ucraino di etnia russa, gran finanziatore del Partito delle Regioni di Yanukovich.
In questo intrico di truffe, trucchi e patti firmati ma non rispettati rischia di farsi del male anche l’Europa, perché l’80 per cento del gas che importiamo dalla Russia passa attraverso l’Ucraina.
Nel 2006 i russi accusarono gli ucraini di rubare letteralmente il gas dai tubi, e chiusero il rubinetto destinato all’intero continente.
Pochi chilometri a sud di Sebastopoli, verso Jalta, scorre il fiumiciattolo Cernaia. Quello che dà il nome alla via di tante nostre città, dove nel 1855 piemontesi e francesi sconfissero i russi nella guerra di Crimea.
Morirono solo 36 piemontesi, contro 1.200 vittime francesi e 2.200 russe. Il che dimostra la furbizia di Cavour: col minimo sforzo diventò creditore dei francesi, e quattro anni dopo fece liberar loro la Lombardia dagli austriaci.
Le stesse complicate alchimie diplomatiche condiscono oggi i rapporti Europa-Ucraina-Usa-Russia: containement o appeasement? Faccia feroce o collaborazione?
Passati 150 anni, oggi i legami italo-ucraini sono stretti come non mai, grazie alle centomila badanti e ucraine che lavorano da noi, e agli altri immigrati.
Il viavai è incessante. In ottobre la compagnia Onair ha inaugurato il volo diretto Bologna-Leopoli: solo cento euro per arrivare nella leggendaria capitale della Galizia asburgica, Lvov per i polacchi, Lviv per gli ucraini. Un fantastico crocevia di popoli, tradizioni, cibi, visi, culture, minoranze. Se solo i politici non usassero le minoranze per fare le guerre…
Mauro Suttora

Saturday, March 12, 2022

Quanto spendiamo per difenderci? Tanto, ma male



Possibile che l'Europa, col suo tesoretto militare quintuplo rispetto al russo, si senta inferiore a Putin?

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 Marzo 2022

Sorpresa: l'Europa, la vecchia imbelle Europa accusata di essere un gigante economico, un nano politico e un verme militare, spende per difendersi cinque volte più della Russia. Secondo i dati Sipri 2020, infatti, le spese per la difesa dei 32 Paesi europei (tutti tranne la neutrale Svizzera e le inaffidabili Turchia, Serbia e Bosnia) ammontano a ben 300 miliardi di dollari annui, contro i 62 dell'aggressivo Putin.

Gli Stati Uniti danno al Pentagono l'astronomica cifra di 778 miliardi. Ma, come dicono i generali, hanno una "proiezione globale" con decine di basi sull'intero pianeta e portaerei in perenne movimento su ogni oceano. Seconda è la Cina, con 252 miliardi. Più che la cifra in sé, impressiona il quasi raddoppio dei suoi stanziamenti bellici nell'ultimo decennio: erano 129 miliardi nel 2010. 

In Europa i tre stati più generosi con i propri generali sono il Regno Unito (59 miliardi, ai livelli russi) e, a pari merito, Francia e Germania con 53 miliardi. Seguono Italia (29), Spagna (17) e Olanda (12). I quattordici Paesi europei dell'Est spendono 32 miliardi. In testa la Polonia con 13, seguono Romania (5,7), Cechia (3,5) e Ungheria (2,4). Macedonia del Nord e Montenegro, gli ultimi arrivati nella Nato, se la cavano rispettivamente con 100 e 200 milioni annui.

E allora, possibile che l'Europa, col suo tesoretto difensivo quintuplo rispetto al russo, si senta inferiore a Putin? Il quale con i suoi 62 miliardi non solo deve difendere un territorio immenso, undici fusi orari da Kaliningrad allo stretto di Bering, ma si lancia in guerre (Ucraina, Siria, Georgia) e finanzia mercenari in Libia o Mali. 

Il vero problema delle forze armate europee non sono i soldi, ma lo spezzettamento. Paghiamo 32 eserciti separati, ciascuno con i propri stati maggiori, apparati burocratici e spese fisse, che non si traducono in "operatività". Scarso coordinamento nonostante la Nato, soldati che parlano lingue diverse, sistemi d'arma spesso non integrati.

Da vent'anni gli Usa chiedono agli alleati europei di spendere di più. Quella per il "burden sharing", la suddivisione dei costi, è la principale guerra combattuta nel quartier generale della Nato a Bruxelles. Guardiamo allora alla tanto declamata quota del 2% sul pil, che secondo Washington noi europei dovremmo raggiungere. Sempre secondo l'istituto di Stoccolma, l'Italia non è messa male: siamo già all'1,6. Superano la quota solo Grecia (2,8%, per fronteggiare la Turchia), Francia, Regno Unito, Portogallo. E all'Est, comprensibilmente, i baltici, Polonia e Romania. 

La più pacifista è l'Irlanda: la sua spesa militare nel 2020 è stata di appena lo 0,3% sul suo pil. Dovranno aumentare anche Austria (0,8%) e Slovenia (1,1%). La Germania ha già rimpolpato il bilancio bellico dall'1,1% del 2015 all'attuale 1,4%. I cento miliardi aggiuntivi annunciati dal cancelliere Scholz le faranno raggiungere il 2%. 

Gli Stati Uniti sono al 3,7%, la Russia al 4,3%, la Cina all'1,7%. Una curiosità: il Paese che spende di più al mondo rispetto alla propria ricchezza è l'Oman, con l'11%. E non ha mai fatto guerre. Come la neutrale Svizzera, che però stanzia appena lo 0,8% per le sue forze armate.

Mauro Suttora

Thursday, March 10, 2022

Putin non rade al suolo solo l'Ucraina, ma ogni regola di guerra

Non ha neanche dichiarato guerra. Quindi non si sente tenuto a rispettare i codici bellici. Come il non attaccare i civili in fuga

di Mauro Suttora

HuffPost, 10 Marzo 2022

Come molti milioni di italiani, ho partecipato a vari cortei per la pace nella mia vita. Eravamo un milione a Roma nel 1981 contro gli euromissili atomici, e di nuovo nell'83. Craxi ci rispose cinico: "Bene, vuol dire che gli altri 59 milioni sono favorevoli". Poi bastò il buon senso di un solo uomo, Gorbacev, per smantellarli in dieci minuti e accordarsi con Reagan. 

Noi nonviolenti eravamo gentilissimi. Non urlavamo "Yankee go home!" ai militari delle basi statunitensi in Italia, ma "Cari soldati Usa, lasciate l'esercito e restate con noi". Visitai Gesualdo Bufalino, scrittore di Comiso, il paese siciliano che doveva ospitare i missili Cruise. Gli chiesi di appoggiarci, ma lui mi rispose: "Voi pacifisti dovete andare anche nei Paesi comunisti a protestare contro le loro bombe nucleari".

Detto fatto: nel 1982 aiutai i radicali a volantinare nelle capitali dell'Est, preparai fogli e ciclostili alla loro partenza in treno da Milano. Tutti arrestati ed espulsi dopo venti minuti di dimostrazioni nelle piazze di Mosca, Berlino Est e Praga. Ma avevamo dato la prova di essere equidistanti, non filosovietici. 

Negli anni '90 altre marce antimilitariste, da Perugia ad Assisi, per Sarajevo martoriata dai serbi. Dopo la strage di Srebrenica la Nato bombardò Milosevic anche con i Cruise, e lì mi vennero i primi dubbi. Bastarono due settimane di raid su obiettivi militari per costringere il capo serbo a firmare la pace di Dayton, dopo quattro anni di guerra civile e centomila morti. Certo, ci furono 27 morti civili. Ma non capii le proteste pacifiste contro la Nato 'umanitaria'. "Quanno ce vo', ce vo'", dicono a Roma. Perfino Gandhi approvò gli indiani che si arruolarono contro Hitler.


Neanche oggi capisco i pacifisti. Come nel 1995 con il fasciocomunista Milosevic, è impossibile essere equidistanti. Quindi sarebbe ipocrita non aiutare gli ucraini aggrediti anche rifornendoli di armi. Putin sta violando ogni legge internazionale violabile. Fin dall'inizio: come ha detto il generale Angioni, non ha neanche dichiarato guerra all'Ucraina. Quindi non si sente tenuto a rispettare i codici di guerra. Come il non attaccare i civili in fuga.

Il trolley della famiglia sterminata a Irpin rimarrà il simbolo del suo porsi al di fuori del consorzio civile. Oppure l'ospedale dei bimbi di Mariupol, ieri. Quando è arrivata la notizia del bombardamento, ho pensato: "Ora qualche figlio di Putin in Italia dirà che gli ucraini si sono autocolpiti". Infatti: Facebook e Telegram zeppi di finti video e obiezioni tipo: "Se fosse vero, come mai 'solo' 17 feriti?". 

Questa volta i nostri  filorussi hanno superato perfino i russi: "Indagheremo", aveva infatti promesso in un primo tempo il portavoce Peskov, senza negare il misfatto. Poco dopo tuttavia, smentendo questo lampo di onestà, il ministro Lavrov ha goebbelsizzato: "In quell'ospedale si nascondevano i fascisti ucraini del battaglione Azov".

Sono tante, purtroppo, le stragi e le scuse assurde che ci aspettano nelle prossime settimane. Perché Putin ha deciso di non rispettare alcuna regola. E di negare ogni evidenza, grazie alla sua secolare esperienza Ceka-Kgb. Ormai abbiamo a che fare con un fuorilegge. 

Il problema siamo noi, se abbocchiamo. Perché non si possono mettere sullo stesso piano le inevitabili esagerazioni bellicose del democratico Zelenski e la gelida disinformazia dell'autocrate Putin. Anche cecoslovacchi e polacchi erano fastidiosi e petulanti nel 1938/39, prima di essere inghiottiti dai nazisti. Ma ottant'anni fa i nostri nonni credevano a Radio Londra e non all'Eiar fascista, che dava Mussolini vincente fino al 24 luglio 1943. Anche se ci volle il bombardamento del quartiere San Lorenzo per convincere qualche irriducibile romano che qualcosa non andava. 

A noi non è bastato il 24 febbraio 2022, replica esatta del 1 settembre 1939, per capire che Putin sta imitando Hitler? Lo ha già fatto vent'anni fa a Grozny in Cecenia, peraltro, e poi ad Aleppo in Siria. È questa l'unica autocritica che il mondo libero deve fare, non certo quella dell'allargamento Nato. Perché, obnubilati dal pericolo dei terroristi islamici, abbiamo lasciato Putin sterminare i civili ceceni e siriani. 

Perciò quando il mio amico Mao Valpiana, dirigente del Movimento Nonviolento, dopo l'invasione dell'Ucraina mi ha invitato a manifestare "per la pace e contro tutte le guerre", ho dovuto rispondergli: "Manca il nome del responsabile. E l'indirizzo dell'ambasciata o consolato russo davanti ai quali protestare".

Mauro Suttora

Tuesday, March 01, 2022

Non sarà facile trovare un Garibaldi nelle Brigate internazionali per Kiev

Per noi italiani, dopo 77 anni di pace, la guerra è diventata impensabile, impossibile, troglodita. Figurarsi crepare per patrie altrui

di Mauro Suttora

HuffPost, 1 Marzo 2022

È nobile che venga voglia di andare in Ucraina a combattere per la libertà. Ma non si illudano i ragazzotti vogliosi di imbracciare un kalashnikov: il governo di Kiev arruola volontari, tuttavia le sue ambasciate e consolati rifiutano chi non è già provvisto di una certa esperienza. Che manca alla quasi totalità dei giovani in Italia, dove la leva obbligatoria è stata abolita 17 anni fa. 

Le Brigate internazionali ucraine nasceranno comunque, e migliaia di stranieri si arruoleranno. Andranno a combattere una guerra sporca, perché in mancanza di una tregua già ora lo scenario è da guerriglia urbana. Non esistono fronti: i russi sono in movimento e hanno paracadutato i loro temibili spetsnaz, le forze speciali, anche dietro le linee nemiche.

Peggio ancora se riuscissero a occupare l'Ucraina, parzialmente o totalmente: gli stranieri dovrebbero aggregarsi a gruppi di partigiani clandestini, con problemi pratici terribili. Basti pensare al cirillico, l'alfabeto incomprensibile per cui risulta ostico perfino decifrare i cartelli stradali. O ai tagliagole ceceni, o ai russi travestiti con divise ucraine. 

Ma tutto ciò non bloccherà i nuovi internazionalisti, che già combattono da anni nel Donbass. Compreso qualche italiano, anche se con scelte comiche. I fascisti nostrani, infatti, non sanno bene da che parte stare: quelli di Forza Nuova danno manforte ai separatisti filorussi, mentre Casa Pound ha scelto gli ucraini. L'importante per molti è soltanto  menare le mani, a volte perfino per l'Isis, anche se nel caso dell'Ucraina aggredita l'afflato romantico è rispettabile.

D'altra parte, il poeta Byron andò a morire in Grecia 26enne, e anche il nostro carbonaro Santorre di Santarosa perse la vita per l'indipendenza ellenica. Fino ad allora le guerre le facevano i re, e gli stranieri che combattevano per bandiere non loro lo facevano di professione. Erano i mercenari, spesso inquadrati in compagnie d'arme, altre volte in solitaria, come il Barry Lindon del film di Kubrick. La stessa parola 'soldato', ignota nell'antichità, significa assoldato, al soldo, a pagamento. 

La figura del volontario idealista nasce nell'800, nutrita dalle guerre nazionaliste in Italia, Grecia, Polonia. Il primo internazionalismo fu quello di Mazzini, antecedente a Marx, e se si cantasse l'inno di Mameli fino alla quinta strofa ci si imbatterebbe nel gemellaggio fra "il sangue d'Italia e il sangue polacco" già allora "bevuti" dai perfidi cosacchi (russi) e austriaci.


Garibaldi è celebrato, con Che Guevara, come l'eroe internazionalista più leggendario del mondo. Ambedue con imprese intercontinentali al limite dell'autolesionismo: il capo delle nostre camicie rosse andò a combattere per la Francia a Digione nel 1870 nonostante questa gli avesse rubato la città natale Nizza dieci anni prima.

Ma oggi "Pulchrum est pro patria mori" è un proverbio desueto: per noi italiani, dopo 77 anni di pace, la guerra è diventata impensabile, impossibile, troglodita. Figurarsi crepare per patrie altrui. O per astratti ideali: "Morire per delle idee? Sì, ma di morte lenta", cantavano sarcastici i libertari antimilitaristi Brassens e De André. 

C'è da vergognarsi, pensando ai coraggiosi che andarono in Spagna nel 1936 per combattere il nazifascismo. Trovandosi però inquadrati sotto i comunisti, i quali non esitarono ad ammazzare, assieme ai nemici franchisti, anche i propri alleati anarchici. 

Insomma, è sempre complicato scegliere la parte giusta. Ancor più quando ci si avventura all'estero: si rischia di bombardare i vietnamiti per conto degli Usa, come fecero i piloti di vari Paesi Nato (Italia compresa) in missioni ancora coperte dal top secret dopo 60 anni. O di essere ammazzati in Mozambico, come capitò al povero giornalista militante Almerigo Grilz nel 1987.

Quindi, ai giovani in cerca di adrenalina non possiamo impedire di partire allo scopo di ottenere emozioni forti in Ucraina. Ma se torneranno mutilati o in bara diano un po' di colpa anche alla propria generosa avventatezza, oltre che a Putin.

Mauro Suttora 

Sunday, February 27, 2022

Ho acceso la tv e ho trovato i figli di Putin sulla Rai

Ho visto un incredibile programma di Rai2 in cui un (finora ottimo) corrispondente da Mosca giustificava Putin, accusando il mondo libero di avere umiliato la Russia dopo il crollo del comunismo

di Mauro Suttora

HuffPost, 27 Febbraio 2022

Ieri sera ho visto un incredibile programma di Rai2 in cui un (finora ottimo) corrispondente da Mosca giustificava Vladimir Putin, accusando il mondo libero di avere umiliato la Russia dopo il crollo del comunismo, e perciò di avergli provocato la frustrazione che ora gli ha fatto invadere l'Ucraina.

Pure io a questo punto sono frustrato: davvero dobbiamo pagare il servizio pubblico per ricevere propaganda putiniana? Inconsapevole, probabilmente. Perché se a un giornalista si chiede non cronaca ma analisi, e poiché ogni misfatto ha il suo antefatto, è possibile che egli si sbizzarrisca andando a ritroso di trent'anni per "capire" e "spiegare" l'invasione dell'Ucraina (anzi dell'Ucrania, secondo la senatrice ex grillina Nugnes).

Un po' come certi ineffabili sociologi tv che commentano i crimini dando la colpa alla società o alla opprimente architettura del Corviale, invece che ai criminali. Lo speciale Tg2 ha illustrato la versione di Putin, accusando gli Usa di avere depredato la Russia negli anni '90.

Abbiamo altri ricordi. Se  gli oligarchi (vero nome: mafiosi) russi hanno approfittato delle privatizzazioni, che c'entrano gli Stati Uniti? Sono stati i vari Berezovsky e Abramovich ad arricchirsi, non miliardari o  società americane. I dirigenti di Mosca si sono fatti corrompere da loro concittadini. 

In ogni caso, è arduo trovare un rapporto causa-effetto fra accadimenti di un terzo di secolo fa e l'aggressione dell'Ucraina, se non nelle personali paranoie di Putin. Che si comporta da psicolabile fuori controllo: il botulino gli avrà dato alla testa. Insulta perfino il capo dei suoi servizi segreti in diretta tv, una scena da Fantozzi. Dà dei "tossicodipendenti" e "nazisti" ai dirigenti ucraini liberamente eletti (diversamente da lui, che incarcera o avvelena i suoi avversari). 

Sono tanti i figli di Putin in Italia: oltre al corrispondente Rai di ieri sera si stanno esprimendo al meglio Travaglio, Salvini, Lerner, Meloni, Grillo, populisti, complottisti, nostalgici fascisti e comunisti. Tutti quelli che "sì, però anche gli Usa, l'Europa, la Nato". Immagino che nel settembre 1939, dopo che Hitler e Stalin invasero la Polonia, avrebbero opinato "sì, però anche Francia e Inghilterra". Insomma: se un bandito internazionale invade l'Ucraina, è pure colpa nostra. 

Lo storico inglese A.J.P. Taylor fece risalire le cause della Seconda guerra mondiale alle angherie subìte dalla Germania col trattato di Versailles. Ma il suo libro uscì nel 1961. Se lo avesse pubblicato nel 1940, mentre le famiglie della Londra bombardata si rifugiavano in metrò così come oggi quelle di Kiev, sarebbe finito linciato dai suoi connazionali. Cari analisti, l'unico Master of war dylaniano in azione adesso è il Ras Putin. Non cercate peli nell'uovo.

Mauro Suttora

 

Tuesday, February 15, 2022

Anche noi garantisti ci arrendiamo, il romanzo di Renzi prevale sul diritto

Tanto inutile a livello processuale, quanto succulento come commedia umana, una mail spiega più della disquisizione di un politologo la politica italiana del terzo millennio

di Mauro Suttora

HuffPost, 15 febbraio 2022

Quanto ci metterà ora un pm qualsiasi ad aprire un nuovo fascicolo contro il giglio magico di Renzi? La notizia di reato c'è: babbo Renzi accusa Boschi, Bonifazi e Bianchi di essere una banda Bassotti (e complimenti per la poetica allitterazione). Al magistrato non resta che ordinare una perquisizione nella sua soffitta per trovare le relative prove sulle annate di Topolino.

Confesso che noi garantisti siamo esausti. Mica vorrete subirvi l'ennesimo predicozzo contro i magistrati che infilano fra gli atti di un'incriminazione l'e-mail privata di un padre al figlio, spacciata per indizio a carico (o a discarico, visto che Renzi senior scrive a Matteo di essersi fatto turlupinare dai soci). 

Dobbiamo invece ringraziare la procura di Firenze, perché essa conferma la superiorità della narrativa sulla saggistica. Un romanzo di Balzac o Dostoevskj vale più di dieci libri di storia su Francia o Russia. E una mail renziana senior spiega più della disquisizione di un politologo la politica italiana del terzo millennio. 

Ringraziamo come giornalisti: ci regalate titoli e copie. E siamo lieti come lettori: le vostre perquisizioni, intercettazioni e intromissioni nel privato dei potenti (come la insuperabile "sguattera guatemalteca" detta dal fidanzato di una ministra poi archiviata) risultano tanto inutili a livello processuale, quanto succulente come commedia umana.

Infatti l'altro passaggio saliente della mail senior-junior è il lamento del padre settantenne: "Quando devo pensionarmi lo decide il buon Dio, non tu". Ecco un doppio dramma: quello del padre ancora pimpante che il crudele figlio vorrebbe ridurre a umarell, a faccendiere sfaccendato. E quello del junior diventato presidente del Consiglio, ma danneggiato dalle imprese del padre.

Mai eleggere governanti troppo giovani. Finora erano i figli a danneggiare i politici: Piccioni, Leone, Donat-Cattin, Bossi, Lupi. Ora invece sono i genitori iperattivi a creare imbarazzo. L'anziano Tiziano Renzi, non contento di essere indagato per la bancarotta della sua ditta, nel 2014 si era messo a scorrazzare per tutta l'Italia, da Sanremo a Fasano in Puglia, allo scopo di propagandare progetti di outlet. Ovvio che il figlio, da palazzo Chigi, gli avesse chiesto di calmarsi: l'accusa impalpabile ma onnicomprensiva di "traffico d'influenze" era dietro l'angolo.

E adesso babbo Tiziano glielo rinfaccia: chi è stato il fesso? Io, o te che ti sei fatto incantare dal bel faccino di Maria Elena? 
Tutte questioni con scarsa o nulla rilevanza giudiziaria. Come il milione elargito dal satrapo saudita a Renzi, d'altronde. Al massimo ci sarà qualche fratello del satrapo assai irritato per codesta dilapidazione delle finanze del regno. Invece di inutili consulenze, si comprasse la Fiorentina. Allora sì che Renzi si solleverebbe dal suo attuale deprimente due per cento, e verrebbe rieletto con trionfi superiori a quelli di dieci anni fa.

Mauro Suttora 

Tuesday, February 08, 2022

Caos M5s, Conte decaduto/ “Un danno anche per il Pd, alle Comunali sarà scontro con Di Maio”

L’elezione di Conte alla guida di M5s è illegittima: lo ha detto ieri un’ordinanza del Tribunale di Napoli. Lo scenario 

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 8 febbraio 2022

È un fulmine a ciel sereno. L’elezione di Conte alla guida del Movimento 5 Stelle del 3 (modifica dello statuto) e 5 agosto 2021 (nomina del presidente) è illegittima. Lo ha detto ieri un’ordinanza della settima sezione civile del Tribunale di Napoli, che ha dato ragione a tre attivisti, Liliana Coppola, Renato Delle Donne e Steven Hutchinson, assistiti dall’avvocato Lorenzo Borrè.

I tre avevano impugnato la decisione di estromettere dal voto gli iscritti da meno di 6 mesi, circa 81mila persone, nella votazione che aveva eletto Conte leader dei 5 Stelle. In violazione dello statuto: “l’assemblea dell’Associazione Movimento 5 Stelle che ha deliberato il 3 agosto del 2021 non era correttamente costituita perché risulta che vi hanno partecipato un numero di iscritti inferiore a quello richiesto in prima convocazione. I 60.940 iscritti che vi hanno partecipato erano di numero inferiore alla metà più uno del totale degli iscritti all’associazione (che come visto era 195.387)” si legge nell’ordinanza. 

Insomma, tutto da rifare. E adesso il reggente è di nuovo Vito Crimi. Un duro colpo per la creatura di Grillo, già provata da rivalità interne, espulsioni, consensi in calo. Il punto di Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost, attento osservatore della caotica galassia a 5 Stelle.

Oltre ai ricorrenti e all’avvocato Borrè, oggi chi ride in M5s?

Nel M5s nessuno ride. Al massimo i dimaiani possono sghignazzare sulla scarsa abilità di Giuseppe Conte nello scrivere statuti inattaccabili, che non possano essere impugnati e dichiarati nulli. Eppure Casaleggio junior, che Conte e Di Maio avevano appena estromesso dal Movimento 5 Stelle, creatura di suo padre, li aveva avvertiti: quelle votazioni erano irregolari. Anche l’avvocato Borrè ha subito fatto ricorso. Ma Conte aveva sprezzantemente risposto: “Fatelo pure”. 

Si legge sui siti che alla guida di M5s, per effetto dell’ordinanza, tornano Crimi e Grillo. Perché?

Perché tutto torna a luglio 2021. Erano Crimi e Grillo il reggente e il garante dei grillini con la versione precedente dello statuto. E dovranno indire il voto per eleggere un nuovo direttorio, come previsto dal vecchio statuto. Soltanto in seguito, con un’ulteriore votazione, i capi del M5s potranno essere ridotti da cinque a uno, tornando a Conte.

La decisone del Tribunale chi avvantaggia politicamente? Di Maio? Altri con lui?

È un colpo a Conte. Quindi Di Maio e i suoi – Spadafora, Castelli, Di Stefano, Fraccaro – godono.

Però le lancette dell’orologio politico non tornano mai indietro. Si può mettere da parte la leadership contiana come se non ci fosse mai stata?

No. È quasi sicuro che Conte verrà riconfermato capo unico. Però in quest’anno fuori dal potere la sua popolarità si è già dimezzata, nei sondaggi, dal 60 al 30%. Non c’è stato bisogno di Di Maio per logorarlo.

Chi darà la linea politica e con quali iniziative?

Conte continuerà a essere il capo de facto, anche se formalmente verrà riesumato il reggente Vito Crimi.

Cosa puoi dirci dei ricorrenti?

Conosco l’avvocato Borrè dal 2015, cioè da quando fu espulso dal Movimento. Da allora ha giurato di vendicarsi, e ha fatto causa per conto di tutti i dissidenti espulsi che si sono rivolti a lui. È figlio di un romano e di una tedesca, quindi unisce il brio del legale italiano alla metodicità di quello teutonico. È la bestia nera di Grillo.

In tanti hanno scommesso su Conte. Poteri dello Stato, parlamentari, giornali. Cosa faranno i contiani?

I più danneggiati sono i dirigenti piddini, alcuni dei quali – Zingaretti, Bettini – si erano avventatamente spinti a considerare Conte come il prossimo candidato premier del centrosinistra. Invece si tratta di un trasformista che è stato capace di passare da un giorno all’altro dalla Lega al Pd, pur di conservare la poltrona da premier.

Anche Letta ha basato molti calcoli sull’interlocuzione con Conte. Cosa succederà nel centrosinistra?

Il Pd di Letta non si schioda dal 20%. I grillini scivolano verso il 10%. L’estrema sinistra resta al 2-3%. Ci vorrà tutto il centro per eguagliare il centrodestra.

Adesso che cosa accadrà in M5s? Faide interne, repulisti, espulsioni? O una convivenza forzata?

Ne vedremo di tutti i colori. Ormai contiani e dimaiani si odiano. Prossima puntata della faida, le candidature alle amministrative di primavera a Genova, Palermo e in un’altra ventina di capoluoghi di provincia. Un test importante.

I contiani hanno delle contromosse, magari in tribunale?

Dovranno semplicemente ottemperare alle regole sulle votazioni online che conoscevano ma hanno violato lo scorso agosto. Tutte le associazioni devono rispettare i propri statuti, ancora di più se si tratta di partiti che determinano la politica nazionale.

E Grillo? Cosa farà?

Grillo, poverino, ha ben altre gatte da pelare. Il processo per stupro di suo figlio, le accuse di aver preso soldi da Moby Lines. Ha già disdetto la puntata a Roma prevista questa settimana per sedare la faida Conte-Di Maio. Ma, quanto a finanziamenti, non sottovaluterei neanche i 150mila euro dell’Acqua Marcia di Caltagirone incassati da Conte.

Federico Ferraù

Monday, February 07, 2022

Il tribunale ha deciso che i grillini non esistono



Il paradosso di uno statuto scritto e riscritto dall'avvocato del popolo e bloccato da un giudice

di  Mauro Suttora

HuffPost, 7 febbraio 2022

I grillini si confermano inesauribile fonte di buonumore. Il tribunale di Napoli oggi ha addirittura deciso che non esistono. Ne era già convinto Vittorio Sgarbi, per la verità, ma limitatamente a Giuseppe Conte: "È un ologramma", ripete beffardo da tre anni in tv. 

Ma adesso il certificato di non esistenza in vita si estende all'intero Movimento 5 stelle. Irregolarità statutarie rendono nulli i voti online che la scorsa estate promossero Conte re dei grillini. 

"Siamo all'anno zero, il M5s è decapitato", esulta Lorenzo Borrè, l'avvocato che da anni, metodicamente, sta distruggendo la creatura di Beppe Grillo. Causa dopo causa, ha annullato ogni espulsione decretata con metodo stalinista dai capi del movimento. Fra questi a lungo anche Di Maio, che ora se ne dice pentito. Finché era Casaleggio senior a gestire i grillini come proprietà privata, poco male: cosa aspettarsi da uno che si ispirava a Gengis Khan?

Ma che adesso anche l'ennesima versione dello statuto più truffaldino nella storia dei partiti italiani venga giudicata illegittima, è sorprendente: Conte, fine giurista, aveva impiegato mesi ad apparecchiarla. 
E invece, zac. Come nel gioco dell'oca, tutti tornano al punto di partenza. Un tuffo nel passato: ai grillini toccherà riesumare Vito Crimi, loro penultimo capo, la testa più lucida della politica italiana? E come faranno a incassare il 2 per mille del finanziamento ai partiti, visto che non esistono più? 

I giudici napoletani concedono qualche mese di tempo al M5s per rifare tutto, statuto, elezioni, per riagguantare una democrazia interna sempre proclamata e mai attuata. Ma in autunno scatterà la ghigliottina. La quale, peraltro, è in funzione da dieci anni contro ogni dissidente: risale al 2012 la decapitazione a Bologna di Giovanni Favia, primo consigliere regionale grillino, e di Federica Salsi, accusata da Grillo di avere un "punto G" troppo pronunciato solo perché osò farsi intervistare in tv.

Da allora le purghe contro i dissidenti hanno provocato dissenterie continue, centinaia di militanti espulsi. Solo che nelle vere rivoluzioni le vittime si chiamano Marat, Danton, Robespierre. Invece nelle spensierate crociate dei bambini, come quella inventata da Grillo, gli eliminati fanno di nome Pizzarotti, Di Battista, Casaleggio junior. E ora in rampa di lancio c'è perfino Di Maio. Ogni volta, contro di loro, viene usato un garbuglio, un cavillo. Ed è quindi una vendetta del destino che proprio da sentenze azzeccagarbugli arrivi la fine per quel che rimane dei grillini. I quali sbeffeggiavano le burocrazie di partito adottando surreali "non-statuti". Poi, al contatto con la realtà, i loro statuti si sono liquefatti. Rimangono solo i soldi di Moby Lines, Philip Morris, Acqua Marcia. 

Non che gli altri partiti possano festeggiare troppo. Neanche loro sono sicuri di esistere. Dopo il voto per il Quirinale i dubbi sono aumentati. E non hanno neppure un Grillo che cerchi di risolvere tutto con una battuta: "Siamo in crisi di crescita, stiamo diventando adulti". Per carità non fatelo, cari pentastellati. Eravate meglio da giovani, almeno ci allietavate col vostro cabaret.

Mauro Suttora

Friday, February 04, 2022

È razzismo o no? Chi è la vera Lorena Cesarini?

Sei giorni prima della sua partecipazione commossa al Festival aveva dichiarato l'esatto contrario al settimanale Oggi: "Una montatura.. Non sono mai stata vittima di razzismo"

di Mauro Suttora

HuffPost, 4 febbraio 2022 

Sorpresa: Lorena Cesarini, la presentatrice che ha movimentato la seconda serata di Sanremo lamentandosi in diretta per alcuni messaggi razzisti ricevuti, aveva dichiarato l'esatto contrario al settimanale Oggi pubblicato il 27 gennaio: "Parlare di odio razziale per un paio di post mi sembra una montatura. (...) Non sono mai stata vittima di razzismo". 

Cos'è successo nei sei giorni fra la sua intervista e il comizio tv antirazzista? Gli autori dei testi di Sanremo le hanno messo in bocca parole che non le appartengono? Oltretutto l'attrice 34enne, nata a Dakar da un italiano e una senegalese ma cresciuta a Roma dall'età di tre mesi, dopo la sua esternazione davanti a undici milioni di telespettatori è stata presa di mira dal tritacarne social, questa volta per alcuni suoi accenti ritenuti troppo vittimisti. 

Perché Cesarini è stata obbligata a recitare una parte? Forse in nome di un piagnonismo di sistema, quasi ufficiale, per guadagnare audience?

Eppure all'inizio del suo intervento era stata sincera: "In 34 anni non mi sono mai accorta del colore della mia pelle". Peccato che poi il copione sia stato ribaltato, e Lorena abbia mostrato i post di insulti ricevuti dopo l'annuncio, un mese fa, della sua conduzione al festival. Deliranti, ma non più di quelli che a migliaia infestano ogni giorno i social, e soprattutto le pagine di personaggi famosi. A cominciare da Ornella Muti, che ha presentato Sanremo la sera precedente. Cesarini lo sa, perciò non aveva bisogno di una denuncia creata a tavolino dalla Rai.

Mauro Suttora