Wednesday, October 28, 2015

Elogio del riassunto

CONTRO LA PIAGA DEI LOGORROICI, RISCOPRIAMO LA VIRTU' DELLA SINTESI

Oggi, 21 ottobre 2015

di Mauro Suttora



Veni, vidi, vici. Il riassunto di Giulio Cesare su una battaglia vinta rimane insuperato, duemila anni dopo. E purtroppo non ci sono più politici come Giovanni Giolitti, che così spiegò cent’anni fa la propria laconicità: «Quando ho finito di dire quel che devo dire, ho finito anche di parlare».

Il problema è che proprio nell’era di Twitter e sms, i quali con il loro limite dei 140 caratteri ci dovrebbero costringere alla sintesi, scopriamo di non essere affatto capaci di riassumere. «Che non vuol dire solo essere brevi, ma anche saper cogliere il succo del discorso», avverte Ugo Cardinale, già docente di linguistica all’università di Trieste, autore del libro L’arte di riassumere (ed. Il Mulino).

I dati Ocse su lettura e comprensione sono tragici. Appena tre italiani su cento raggiungono i livelli più alti di competenza linguistica (rapporto fra lettura e comprensione), contro il 12% nella media dei 25 Paesi partecipanti.

«La prova che un testo è stato compreso sta nel saperlo riassumere», spiega a Oggi il professor Cardinale, «perché per riepilogare occorre non solo memoria, ma anche capacità di individuare le informazioni più importanti. Dobbiamo ricostruire mentalmente quel che abbiamo letto o ascoltato».

Ricordate i riassunti che si facevano a scuola? Negli ultimi decenni questa pratica è andata un po’ in disuso. Si privilegiano i dettati, sia alle elementari che alle medie. Per non parlare degli sciagurati test a scelta multipla, in cui basta piazzare una x sulla risposta giusta.
Così, quando arrivano alle scuole superiori, molti studenti si perdono di fronte a libri lunghi e complessi. «Non riescono a “scoprire il superfluo”», dice il professor Cardinale: applicare il setaccio della sintesi mentale per salvare i concetti-chiave.

L’incredibile caso di Pocahontas

Il resto dei danni lo fa la politica. Un esempio? «Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il capitano John Smith».
È la trama, in due parole, del cartone animato Disney Pocahontas. Ma Netflix, la piattaforma di film in streaming che il 22 ottobre sbarca in Italia, l’ha cambiata così: «Una giovane ragazza indiana d’America prova a seguire il suo cuore e a proteggere la sua tribù, quando i coloni arrivano e minacciano la terra che ama».

Entrambi i riassunti sono giusti. Ma sembrano due film diversi. Le femministe e i paladini degli indiani hanno tacciato la prima versione di sessismo e razzismo. Così è piombata la mannaia del “politicamente corretto”.

«Proprio per questo sostengo che il riassunto è una questione non solo cognitiva, ma anche etica», dice Cardinale, «perché dobbiamo avere un grande rispetto dell’autore. Non si può riassumere seguendo i propri schemi mentali, occorre immedesimarsi nel pensiero dell’altro».

«Per riassumere leggo tre volte il testo, trovo le cose fondamentali e le appunto», dice Filippo Bonomonte, 14 anni, primo anno al liceo milanese Virgilio. «È l’unico modo di imparare, non solo in italiano ma anche in storia e geografia. Il problema semmai è qualche prof, che ripete dieci volte la stessa cosa».

Nel 1982 Umberto Eco chiese a dodici scrittori di condensare in poche righe il loro romanzo preferito. Alberto Moravia si cimentò con Delitto e castigo, Piero Chiara con I promessi sposi. Ma anche questo esperimento provocò controversie. Italo Calvino bocciò Alberto Arbasino, accusandolo di avere infarcito il suo riassunto di Madame Bovary con commenti personali.
   
Insomma, le pillole di wikipedia ci sembrano facili. «Invece sono difficilissime da concepire», conclude il professor Cardinale, «e infatti Pascal così si scusò con un amico: “Ti mando una lettera lunga, perché non ho avuto il tempo di scriverne una breve”».

Soluzione: limare, ridurre all’osso. E, per i discorsi, sottoporre gli oratori al supplizio che il ministro Quintino Sella infliggeva ai suoi collaboratori, fra cui il giovane Giolitti: «Teneva le riunioni alle sette del mattino, tutti noi in piedi, col freddo che entrava dalle finestre spalancate. Così ci sbrigavamo».

Mauro Suttora  

Wednesday, October 21, 2015

Putin: nuovo Stalin o statista?

IL NUOVO ZAR

Sbarca in Siria, bombarda gli islamisti, annette la Crimea. Ecco i segreti del presidente russo 

Mosca, 14 ottobre 2015

di Mauro Suttora

Per alcuni è un nuovo Stalin. Per altri, un grande statista. Lo accusano di aver fatto ammazzare la giornalista Anna Politkovskaia e l’ex vicepremier Boris Nemtsov, di avere avvelenato col polonio radioattivo a Londra nel 2006 l’ex collega del Kgb Alexander Litvinenko. Gli addossano misfatti tremendi: l’aereo malese precipitato in Ucraina l’anno scorso (300 morti), le 550 vittime delle stragi del teatro di Mosca e della scuola di Beslan nel 2002-4.

Le accuse tremende? «Inventate dalla Cia»
«Tutte invenzioni della Cia», ribatte la maggioranza dei russi. Che, fieri del rinato prestigio, gli regalano una fiducia immensa: 63% alle presidenziali del 2012, addirittura l’85% negli ultimi sondaggi.

L’apoteosi, per il presidente russo Vladimir Putin, è arrivata il 7 ottobre. Ha festeggiato i 63 anni lanciando 26 missili dalle navi del mar Caspio contro l’Isis. I cruise hanno sorvolato per 1600 chilometri gli alleati Iran e Iraq prima di colpire lo stato islamico.

Un’impressionante dimostrazione di potenza, preceduta dallo sbarco in Siria per difendere l’amico dittatore Bashar Assad. Clamorosa e improvvisa, la missione si contrappone alle titubanze del presidente americano Obama, che da quattro anni assiste impotente alla guerra civile siriana e all’avanzata degli islamisti.

Ma chi è veramente Putin? Mistero. Va col millennio: è al potere dal 31 dicembre 1999, quando improvvisamente l’etilico Boris Eltsin si dimise. Come negli Usa, anche in Russia il presidente poteva governare al massimo per otto anni. E allora nel 2008 Vladimir si è fatto sostituire per un mandato dal fido premier Boris Medvedev. Col quale va d’accordo anche perché è alto 1,63: sette centimetri meno di lui. Poi è tornato al Cremlino, e Medvedev è stato retrocesso a premier: “tandemocrazia”.

Non ce l’ha fatta, invece, a continuare con la moglie Liudmila, ex hostess Aeroflot. Divorzio l’anno scorso dopo 31 anni di matrimonio e due figlie trentenni. Una vive in Olanda con un olandese, l’altra si è sposata nel 2012 a Marrakesh (Marocco), nell’hotel Mamounia.

Venti residenze ufficiali non bastano
Putin ora vive nelle sue venti residenze ufficiali (fra palazzi e dacie) con l’amante, la ginnasta Alina Kabayeva, alta 1,66. Un altro edificio in stile italiano è in costruzione sul mar Nero.

Le plastiche facciali gli hanno donato il viso di un bambino. Il suo stipendio da presidente ammonta a 120mila euro annui, ma si favoleggia che abbia una ricchezza personale di 70 miliardi, frutto di partecipazioni occulte nelle società petrolifere.

Ecco, il petrolio. Il dramma di Vladimir. Il crollo delle quotazioni dell’oro nero e del gas sta facendo inabissare anche il pil russo: meno 4% quest’anno. L’inflazione è al 13%. Il rublo è svalutato: ce ne volevano 35 per un euro, ora il cambio è a 70.

Insomma, l’economia è a pezzi. La guerra in Ucraina, dove i russi sostengono i secessionisti dell’Est, e l’annessione della Crimea hanno provocato le sanzioni occidentali.

Per questo, dicono, Putin fa il gradasso in politica estera. Nel 2008 violò la tregua olimpica (sacra dai tempi degli antichi greci) attaccando la Georgia durante i Giochi di Pechino. Ora semina il panico fra le ex repubbliche sovietiche (soprattutto le piccole baltiche) facendo sconfinare aerei da guerra.

Con il patriottismo la gente dimentica la crisi economica. E le altre angherie. In una scala da 1 a 7, la classifica mondiale della libertà di Freedom House assegna un umiliante 6 alla Russia: come l’Iran, e un po’ meglio del 6,50 cinese.

Nessuno osa chiamarlo “dittatore”
Inutile girarci attorno. Nessuno osa chiamarlo dittatore, ma a Mosca non c’è democrazia. Amnesty denuncia torture e processi irregolari, e «una notevole diminuzione negli ultimi anni del pluralismo dei media e dello spazio per il dissenso».

Ciononostante i 146 milioni di russi lo adorano, perché nei quindici anni della sua era la loro ricchezza (pil) è raddoppiata. Anche Berlusconi, Salvini e Grillo stravedono per lui. E pure a Renzi sta simpatico. Le esportazioni italiane sono troppo importanti, in questo periodo di crisi, per attardarsi in questioni come i diritti umani.

Se riuscirà a domare il califfo Al Baghdadi, capo dell’Isis, Putin diventerà simpatico al mondo intero. Per secoli altri cristiani ortodossi, i serbi, hanno protetto l’Occidente dall’impero turco. Se in Siria Putin farà il lavoro sporco per conto di Europa e Stati Uniti, riluttanti a mandare soldati, meglio per tutti.

Chissà che questa volta ai russi non vada meglio che in Afghanistan, dove l’impero sovietico fu sconfitto dagli islamici nella guerra 1979-87. 
A Vladimir il crollo dell’Urss brucia ancora. Lui negli anni 80 era agente segreto in Germania Est, e con la Stasi reclutava spie all’università di Dresda.

Duro e ambizioso, aveva imparato bene il tedesco e anche il francese. Si era specializzato negli studenti (e studentesse) stranieri. Cercava di adescarli e trasformarli in informatori al loro ritorno nei Paesi d’origine. Soprattutto gli statunitensi.

La giovane moglie Liudmila allora si lamentava: «Mi picchia e mi tradisce». Nel 1989, lo choc: il comunismo crolla. Il colonnello del Kgb Putin si trova proprio a Berlino, e brucia un sacco di documenti segreti. «Mandavo fax a Mosca, nessuno mi rispondeva».

Poi viene rispedito in patria, a San Pietroburgo. Lì continua a fare la spia, poi si dà alla politica mettendosi nella scia del potente sindaco della città. Nel 1999 Eltsin lo nota e lo nomina premier.
   
Insomma, Putin ha passato metà della sua vita sotto falsa identità. Impossibile quindi capire chi è il nuovo zar Putin. Stalin? Statista? Per ora, continua a stupirci.
Mauro Suttora

Wednesday, October 07, 2015

Ciclone Francesco

IL VIAGGIO DEL PONTEFICE NEGLI STATI UNITI 

Ecco perché le parole del Papa hanno emozionato tutti gli americani       

Pena di morte, vendita delle armi, inquinamento, immigrati: mai nella storia un capo della cristianità aveva colpito così duro. «Ma ho ricordato solo quel che dice il vangelo»

di Mauro Suttora 

Washington, 30 settembre 2015

Un trionfo. A mezzo secolo esatto dalla prima visita di un Papa all’Onu e in America (Paolo VI, 4 ottobre 1965), Papa Francesco ha ottenuto applausi ovunque. Nei nove giorni del suo viaggio a Cuba e negli Stati Uniti ha mosso folle, scosso la coscienza di milioni di fedeli, pronunciato frasi storiche.

«Non si servono le ideologie, ma le persone», ha detto a Cuba, che ha avviato la normalizzazione con gli Stati Uniti dopo 55 anni di tensione, ma resta un Paese comunista. Accusato di essere stato troppo tenero con i fratelli Fidel e Raul Castro, tuttora padroni di Cuba, Bergoglio ha detto: «Io predico il Vangelo. Se i comunisti dicono le stesse cose, sono loro che adottano il Vangelo».

«Armi vendute per soldi pieni di sangue»
Paolo VI implorò genericamente le Nazioni Unite: «Mai più la guerra!». Francesco invece ha accusato la prima superpotenza mondiale direttamente nel Congresso di Washington, dove nessun Papa era mai stato invitato, davanti a tutti i senatori e deputati degli Stati Uniti in seduta congiunta: «Perché vengono vendute armi letali a coloro che provocano sofferenze incredibili? Semplicemente per soldi, soldi che sono inzuppati nel sangue, spesso sangue innocente. Il silenzio è vergognoso e colpevole, abbiamo il dovere di fermare il commercio di armi».
Bergoglio condanna non solo i traffici internazionali, ma anche la vendita individuale di fucili e pistole, che in America è libera. E infatti il giorno dopo John Boehner, presidente repubblicano cattolico della Camera, artefice della storica visita del pontefice, si è dimesso in polemica con la destra del proprio partito.

«Difendiamo la vita umana a ogni stadio del suo sviluppo», ha poi esortato il Papa. E gli antiabortisti hanno applaudito. Ma subito dopo Bergoglio ha chiesto l’abolizione della pena di morte, proprio «perché la vita è sacra». Argomento controverso, in un Paese che in maggioranza è favorevole alla pena capitale.

Poi sono arrivate le mazzate sull’inquinamento: «È il momento di azioni coraggiose per contrastare i gravi effetti del degrado ambientale causati dall’attività umana». 

Parole che suonano banali per noi europei, ma che negli Stati Uniti suscitano divisione. Infatti la destra repubblicana (che ha la maggioranza in Congresso, contro il presidente Barack Obama) fa fatica perfino a riconoscere che le emissioni di anidride carbonica provocano riscaldamento globale e cambio climatico.

Ecco infine un tema bruciante anche nel nostro continente, gli immigrati: «Non devono spaventarci i loro numeri, dobbiamo guardarli come persone, osservare i loro volti, ascoltare le loro storie».

«Sono anch’io figlio di immigrati (italiani)»
E qui il Papa parla anche delle proprie origini italiane: «Ve lo dico da figlio di immigrati, sapendo che molti di voi discendono da immigrati. Migliaia di persone continuano a viaggiare verso nord in cerca di una vita migliore. Non è quello che vogliamo noi stessi?»

Per capire quanto sia stato rivoluzionario papa Francesco nella sua visita americana bisogna tener presente che la Chiesa cattolica degli Stati Uniti è potentissima e ricchissima. Soltanto il 20 per cento degli statunitensi la segue, ma nel Vaticano continua a essere la prima contribuente come finanziamenti. Non è un caso che il cardinale Marcinkus, capo della banca Ior, fosse americano.

Qui i cattolici sono sempre stati divisi: da una parte i conservatori, figli dei primi immigrati italiani e irlandesi, dall’altra i progressisti ispanici. Il papa ha dato una potente sterzata in favore di questi ultimi, meno vicini al potere e più attenti ai problemi sociali.

Mauro Suttora 

Wednesday, September 09, 2015

NoTav, noTap, noTriv, noTtip, noToem

I CITTADINI CHE LOTTANO PER LA SALUTE E CONTRO GLI SPRECHI

Treni, gasdotti, petrolio, trattati, radar: in tutta Italia nascono comitati spontanei contro qualsiasi cosa. Spesso con buone ragioni, ma anche con qualche isteria

Oggi, 2 settembre 2015

di Mauro Suttora

Battono perfino Matteo Renzi: il 25 agosto all’Aquila il premier ha dovuto fare marcia indietro per evitare 300 noTriv che manifestavano contro le trivelle per la ricerca di gas e petrolio nell’Adriatico. In sua assenza, scontri con la polizia: tre feriti.

Estate relativamente tranquilla invece per i noTav in val Susa: dopo le epiche battaglie nei boschi degli anni scorsi, gli autonomi hanno rinunciato ad attaccare i cantieri del Treno alta velocità Torino-Lione (solo una schermaglia il 5 settembre con 8 arresti).

Anche i noTap hanno avuto meno fortuna del 2014: questa volta all’annuale Notte della taranta di Melpignano (Lecce) nessun artista ha sventolato dal palco la bandiera contro il Trans Adriatic Pipeline, che dovrebbe trasportare gas dal mar Caspio all’Europa via Puglia.

Quanto ai noMuos, aspettano entro settembre la sentenza del tribunale amministrativo d’appello di Palermo, che deciderà la sorte del Mobile user objective system, grande radar statunitense a Niscemi (Caltanissetta).



NoTav, noTap, no Triv, noMuos. E poi  noTtip (Transatlantic trade and investment partnership), noToem (Tangenziale ovest esterna Milano), no alle centrali eoliche e geotermiche, ai canali Expo, alle navi che a Venezia passano  davanti a piazza San Marco, alla base militare Usa Dal Molin di Vicenza, agli aerei F35, al nuovo traforo del Brennero, alle ferrovie veloci.

Tutta Italia è invasa da contestatori di nuove opere pubbliche giudicate dannose per la salute o troppo costose. Ma è sempre così? Vediamo.

TAV. Da vent’anni gli autonomi si battono contro la ferrovia Torino-Lione. Ora però sono nati comitati anche contro le linee Milano-Genova e Milano-Venezia. E contro la nuova galleria del Brennero, che nel 2026 sarà la più lunga del mondo: 63 km.

Il successo dell’Alta velocità Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli-Salerno, però, dimostra la bontà del trasporto ferroviario, meno inquinante di auto e aerei. Certo, sono opere costose. E gli appalti statali in Italia sono sempre funestati da tangenti. Ma non si può rinunciare al progresso per colpa dei ladri.

Obiettano gli oppositori della Milano-Venezia: «L’Alta velocità farebbe risparmiar tempo solo se unisse direttamente le due città, senza fermate intermedie a Brescia, Verona, Vicenza e Padova. Così come il Milano-Bologna non si ferma a Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. Ma i passeggeri in Veneto vanno soprattutto in città vicine, troppo vicine per dare ai treni il tempo di raggiungere l’alta velocità fra l’una e l’altra».



TAP. Il Trans adriatic pipeline porterà il gas dal mar Caspio all’Europa via Turchia-Grecia-Albania-Puglia. Senza passare dalla Russia, quindi evitando i ricatti di Putin. Il tubo sottomarino approderà a San Foca (Lecce), e i contrari temono l’impatto ambientale. Visivo, perché non c’è mai stata una fuga letale da un gasdotto di quel tipo.

«Al massimo l’acqua diventa gasata», scherza qualcuno. Gli abitanti locali temono per il turismo, ma la società del Tap mostra una spiaggia a Ibiza dove nessuno si accorge di un impianto simile.

TRIV. Pare che nell’Adriatico ci siano giacimenti non indifferenti di gas e petrolio. Da mezzo secolo sono attive piattaforme al largo di Romagna e Molise, nessuno si è mai lamentato.

Ora la Croazia si è lanciata nell’esplorazione, e poiché i giacimenti non rispettano i confini marittimi, c’è il rischio che vengano sfruttati solo da loro.

Il decreto Sblocca Italia ha assegnato alcune licenze di trivellaggio (anche per il metano in terraferma, come a Zibido a sud di Milano), e ora la fantasia popolare immagina fiotti di petrolio che inquineranno l’Adriatico.
Tutti pensano al disastro nel Golfo del Messico cinque anni fa.

Il gioco vale la candela? Le statistiche dicono che le perdite dalle piattaforme sono rarissime: in Europa solo una in Norvegia, con 4mila tonnellate di greggio versato in mare. Quantità infinitesimale a rispetto alle centinaia di migliaia di tonnellate dei disastri di ogni petroliera: Haven (Genova 1991), Exxon Valdez, Amoco Cadiz.

MUOS. Il Mobile user objective system  è un enorme padellone delle campagne vicino a Niscemi (Caltanissetta). Gli abitanti temono radiazioni nocive. In realtà è un radar che fa volare gli aerei militari Usa sul Mediterraneo.
Gli americani, stufi per le proteste («Volete chiudere i radar di tutti gli aeroporti?»), minacciano di trasferirsi in Tunisia. Sembra una replica della fobia per i ripetitori dei telefonini quindici anni fa.

TTIP. Fa venire il mal di testa solo dirlo: Transatlantic trade and investment partnership. È un trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti. Cadranno le tariffe doganali, sarà più facile importare ed esportare.

Gli ecologisti temono i cibi americani con gli Ogm (Organismi geneticamente modificati), dei quali però nessun scienziato ha dimostrato la pericolosità.
I produttori di alimenti italiani, invece, sono felici di esportare negli Usa senza le barriere che ora li ostacolano.

TOEM. La Tangenziale ovest esterna Milano rovinerà ettari di verde nel Parco Sud. Rischia di fare la fine delle nuove autostrade BreBeMi (Brescia-Bergamo-Milano) e Tem (Tangenziale Est Milano): semivuote. I pendolari preferiscono migliorare i treni. O mettere una quarta corsia sull’attuale Tangenziale Ovest.

EOLICO. Su tutto il crinale appenninico, da Alessandria alla Sicilia, negli ultimi 25 anni si sono moltiplicati altissimi mulini a vento. I parchi eolici hanno un forte impatto visivo e le loro pale uccidono gli uccelli. Ma stanno in zone poco abitate, quindi le proteste non sono forti.

GEOTERMIA. Sul Monte Amiata (Siena), nei Campi Flegrei (Napoli) e a Castel Giorgio (Terni) vengono contestati anche gli impianti che sfruttano quest’energia, nonostante sia rinnovabile e non inquinante come il vento.

F35. I costosissimi aerei da guerra made in Usa subiscono le proteste degli ex oppositori pacifisti alle due guerre del Golfo e della lotta (persa) contro l’ampliamento della base Usa Dal Molin a Vicenza. Si saldano così (anche contro il Muos) gli antiamericanismi di comunisti, autonomi e cattolici di sinistra.
Mauro Suttora

Wednesday, September 02, 2015

Ritratto indiscreto di Melania Trump

Sorprese: la moglie del candidato repubblicano alla Casa bianca ha posato nuda. Bella, determinata, disinibita, Melania Knauss scalda già i motori per le presidenziali

AMERICANI, SARO' LA VOSTRA FIRST LADY!

Fra 14 mesi si vota. Il miliardario Donald Trump guida i sondaggi. Sua moglie, ex modella slovena, prima di sposarsi fece qualche peccatuccio fotografico

New York, 26 agosto 2015

di Mauro Suttora



Sarebbe la First lady più bella della storia. Nessuno rimpiangerebbe più Jacqueline Kennedy o Carla Bruni. Se suo marito Donald Trump, 69 anni, diventasse presidente degli Stati Uniti, Melania Knauss, 45 anni, sarebbe anche la prima first lady degli Stati Uniti ad aver posato nuda. Non la prima al mondo: Carla Bruni l’ha anticipata nel 1993.

Poi, essendo slovena, sarebbe la prima inquilina della Casa Bianca a non parlare inglese dalla nascita. Non la prima straniera: John Quincy Adams, presidente nel 1825, era marito di una britannica.

Melania è nata nel 1970 a cento chilometri dall’Italia in un paesino di 5 mila abitanti sul fiume Sava, nella Jugoslavia comunista. E arriva a Milano nel 1988 con mamma Amalia, che la spinge a fare la modella (prima sfilata a 5 anni).

Figlia di un austriaco, arriva a Milano.
Il padre, Victor Knavs, è austriaco e lavora in una concessionaria d’auto. Il cognome cambia quando lei, in carriera, vuole sembrare più tedesca (come Claudia Schiffer e Heidi Klum).


Dopo la facoltà di Architettura a Lubiana, l’educata e timida Melania viene ingaggiata dal milanese Paolo Zampolli, che con la sua agenzia di modelle la porta a New York.


«Era seria, molto professionale. Le piaceva starsene a casa, non era una party girl», ricorda Zampolli. «Il suo viso dominava Times Square in una pubblicità della Camel, ma lei andava solo al lavoro e in palestra».


Nel 1998 in una festa di Zampolli al Kit Kat Club durante la Fashion Week newyorchese incontra Trump, che dopo Ivana (pure lei ex modella slava) aveva lasciato anche la seconda moglie Marla Maples. Melania ha 28 anni, lui 52.

Amore a prima vista per Donald. Non per lei. Lui le chiede il numero di telefono, lei rifiuta. «Era con una donna, non glielo avrei mai dato», racconterà. Si mettono assieme dopo il divorzio da Marla. Fine della vita da playboy di Donald.


«Facciamo sesso in modo incredibile almeno una volta al giorno, a volte an- che di più», dice Melania nel 2000 al mensile GQ che la fotografa svestita su un tappeto di pelle d’orso nel jet privato di Trump. «Lei è molto sexy quando indossa solo mutandine», spiega lui.

Alta un metro e 80, misure 89-61-89, Melania continua a lavorare come modella. A chi la accusa di essere un’arrampicatrice risponde: «Non si può vivere con chi non si ama. Non si può abbracciare un bell’appartamento. Non si può baciare un aereo».

Si sposano nel 2005 in uno dei resort di lusso di Trump in Florida. Lei ha un vestito Christian Dior da 100 mila dollari. In prima fila l’ex presidente Bill Clinton e sua moglie Hillary, allora senatrice di New York, oggi rivale democratica del repubblicano Trump per la Casa Bianca.

A Melania, che è diventata cittadina statunitense, piace inondare i suoi 42 mila followers su Twitter di foto sulla sua vita opulenta nell’attico e superattico della Trump Tower di Manhattan, con il figlio Barron di 9 anni.

Gli ha consigliato lei di non attaccare Bush jr.

Non si interessa di politica, ma da quando Trump (ricchezza personale: 9 miliardi di dollari) è sceso in campo gli dà qualche consiglio. Per esempio, non attaccare Jeb, il terzo Bush candidato presidente, perché lei lo frequenta nel giro dei galà di beneficenza.


La campagna presidenziale è lunga. Le primarie repubblicane sono a febbraio, e lì per ora Trump sembra non avere rivali: gli ultimi sondaggi lo danno al 24%, contro il 13 di Jeb Bush. Tutti gli altri indietro.

Fra 14 mesi, poi, il voto finale. E in questi ultimi giorni, sorpresa: il distacco con Hillary si è ridotto da 16 a soli 6 punti: 51 a 45. Pochi pensano che Donald ce la possa fare. Però nessuno pensava neanche che Ronald Reagan conquistasse la Casa bianca, nel 1980.

«Dopo il primo presidente nero, il primo arancione», scherzano, riferendosi all’incredibile colore dei capelli di Trump. Riporto? Parrucchino? Mistero.

Quel che è certo, è che se il sogno per la bella Melania dovesse realizzarsi, alla Casa Bianca non ci sarà un altro caso Monica Lewinsky: «Se non gli piaccio più, bye bye», dice lei. Insomma, liquiderebbe Trump così come lui fa con i concorrenti del suo talent show tv The Apprentice: «Sei fuori!».

Se eletto, Trump aumenterà le spese militari ma legalizzerà ogni droga: «Combatterle costa troppo». E continua a scandalizzare: ora vuole negare la cittadinanza ai figli dei clandestini nati negli Usa (ius soli).

Melania Knauss Trump non ha mai avuto problemi a farsi fotografare senza veli, fino al matrimonio nel 2005. Le immagini potrebbero danneggiare il marito nella campagna presidenziale, visto che il suo partito repubblicano ha molti elettori conservatori. Ma il ciclone Trump che sta investendo gli Stati Uniti è fatto di provocazioni, e il ricchissimo Donald ne è maestro.

Mauro Suttora


Wednesday, August 26, 2015

Tradimenti estivi: le donne sono più brave

di Mauro Suttora

Oggi, 19 agosto 2015

Le mogli che tradiscono i mariti sono aumentate del 40% negli ultimi vent’anni. E sono più furbe degli uomini: quasi tutte (il 95%) riescono a non farsi scoprire, contro l’83% dei maschi.

Sono questi i sorprendenti risultati dell’ultimo studio scientifico sull’infedeltà, condotto dall’università americana di Auburn Montgomery.
Attenzione: i maschi continuano a essere più infedeli delle donne. Tradiscono infatti in 21 su cento. Però il loro dato è stazionario, mentre le mogli infedeli sono passate dal 10% dell’inizio anni 90 all’odierno 14: un aumento quindi del 40%.

Come mai questa esplosione di avventure extraconiugali femminili? «È aumentata la loro indipendenza economica, hanno una sessualità più consapevole e quindi esigente», spiegano gli esperti dell’Opinion Research Center, «ma soprattutto passano più tempo in luoghi di lavoro a stretto contatto con uomini».

Insomma, è l’occasione che fa la donna traditrice. Non c’è neanche bisogno che faccia troppa fatica: ci pensano i colleghi di lavoro attorno a lei a tentarla. E non si tratta più solo del vecchio luogo comune del principale che si porta a letto la segretaria.

Anche in Italia, infatti, sono le mogli più istruite e indipendenti a concedersi le maggiori libertà: «Le italiane in media hanno 38 anni e lavorano nel marketing, in banca o nelle vendite. I due terzi sono laureate, il resto diplomate», rivela Noel Biderman, amministratore delegato del portale di incontri extraconiugali AshleyMadison.com.

La capitale delle scappatelle è Roma: 53mila iscritti al sito, contro i 37 mila di Milano. Poi Torino e Napoli, ma seguono da vicino Brescia, Treviso, Padova e Bologna. Più fedeltà al Sud: solo 15mila iscritti a Palermo.

Ma il dato più incredibile è quello sulle donne che riescono a farla franca, anche dopo anni di tradimento. Soltanto cinque su cento, fra i loro mariti cornuti, scoprono la verità. Come mai? 

«Le mogli si comportano in modo molto diverso dagli uomini», dice il dottor David Holmes, psicologo della Manchester Metropolitan University, «sanno mentire meglio perché sono più sofisticate psicologicamente. Preparano piani e hanno strategie, mentre i maschi sono troppo impulsivi. Lo dicono anche le statistiche sulle paternità: l’8-15 per cento dei figli non sono stati concepiti dai mariti delle loro madri».

A far scoprire i maschi spesso è il testosterone: gli studi dicono che gli uomini con alti livelli dell’ormone sono più attraenti, competitivi e sicuri di sé. Quindi prendono più rischi, sono più egoisti e cercano gratificazioni a breve termine, senza calcolare i costi/benefici sul lungo periodo. E questo li porta anche a essere presuntuosi e superficiali. Così le mogli li scoprono.

Un altro sito di incontri segreti ha rivelato un dato curioso: a 29, 39, 49 e 59 anni sia gli uomini sia le donne hanno più probabilità di lanciarsi in avventure. Questo perché i compleanni che finiscono con la cifra zero rappresentano pietre miliari della loro vita: ci si sente vecchi, e avere una distrazione permette invece di apparire più giovani e sexy.

Un’altra spiegazione sul perché dei tradimenti sfida un luogo comune. Si dice: mariti e mogli cercano alternative a una vita sessuale spenta. Ebbene, Esther Perel, terapista belga, sostiene invece che il 56% dei traditori e un terzo delle traditrici hanno un matrimonio felice. Questo perché le relazioni extraconiugali, invece di distruggere il rapporto di coppia, lo fortificano.

«A cosa ci riferiamo esattamente quando diciamo “infedeltà?», chiede la dottoressa Perel in una conversazione Ted che ha avuto due milioni di visitatori: «A un’avventura fugace, una love story, sesso pagato, chat erotica, video porno, massaggio a lieto fine?
«L’ideale romantico ci dice che il nostro coniuge deve soddisfare una lista infinita di bisogni: amante, amico, genitore, confidente, partner intellettuale. Ebbene, l’infedeltà distrugge questa illusione di onnipotenza, e ci riporta con i piedi per terra. Non si può essere tutto per l’altro: irresistibili, indispensabili, irrimpiazzabili».
Vabbè, consoliamoci così.
Mauro Suttora

Grillo si ritira?


CAPI LOGORATI: IL COMICO NON NE PUO' PIU' DELLA POLITICA?

«Sono stanco, magari mollo»

«I 5 stelle possono andare avanti senza di me, io ho un’età pazzesca, una famiglia», ripete Beppe Grillo. Ma il suo movimento può sopravvivere senza di lui? «No, non si ritira. E comunque è già entrato nei libri di storia», dicono le sue senatrici. Ecco i veri motivi del distacco

di Mauro Suttora

Oggi, 19 agosto 2015



«No, secondo me non si ritira. Al massimo si prenderà più spazio per altre cose. Ma lo faremo tutti noi parlamentari: dopo due legislature torneremo al nostro lavoro. Tranne chi il lavoro non ce l'aveva, e allora magari farà il politico a vita».

La senatrice Serenella Fucksia è una dei pochi grillini che possono permettersi di parlar chiaro: né fedelissima né dissidente, non ha ambizioni di carriera. E commenta così l'annuncio di Beppe Grillo, che ha dichiarato: «Il Movimento 5 stelle può andare avanti anche senza di me. Io ho un'età pazzesca, una famiglia. Rimarrò solo per far rispettare le regole».

Ma come? Proprio adesso che alcuni sondaggi lo danno al 26%, a soli tre punti dal Pd in drastico calo di Matteo Renzi? Non è un mistero che, in Sicilia come a Roma, se le attuali giunte Pd cadessero, primo partito diventerebbe il M5s. E nel 2016 si voterà a Milano, Torino, Bologna e Napoli.

Mai le prospettive dei grillini sono apparse così rosee. Il seminario Ambrosetti di Cernobbio ha invitato al suo summit settembrino sul lago di Como il più esagitato dei deputati 5 stelle, Alessandro Di Battista. Che è l’opposto del collega Luigi Di Maio, come stile e contenuti. E se il convegno dei poteri forti italiani prende sul serio Di Battista, nominato per le sue sparate «politico cialtrone dell'anno» dal New York Times, vuol dire che un approdo al governo dei grillini non è più escluso.

«Grillo non si ritira, e nessuno di noi lascerà campo libero a questi delinquenti», taglia corto la senatrice Paola Taverna. Ma, al di là dei proclami, i grillini si sono ammansiti. Sulla Rai, per esempio, hanno compiuto un'inversione a U. Volevano vendere, smembrare, privatizzare il simbolo dell'odiata partitocrazia (tranne un canale per il servizio pubblico). Tutto dimenticato. 
Ora partecipano tranquillamente alla spartizione dei consiglieri d'amministrazione: hanno nominato Claudio Freccero (ex berlusconiano oggi estremista di sinistra) nel posto a loro riservato. Freccero ha ipotizzato un ritorno di Grillo in Rai, come comico. E Grillo non lo ha escluso, anche se lui stesso capisce che è impossibile, finché guida il secondo partito italiano.

«Beppe prenderà piano piano le distanze dal suo movimento, pur rimanendone il guru», prevede Massimo Fini, uno dei rari intellettuali simpatizzanti dei 5 stelle. «Ha speso moltissime energie negli ultimi anni, sua moglie vorrebbe che rallentasse».

Ma i grillini possono andare avanti senza il loro capo assoluto? «No, non riusciranno a scalzare i politici professionisti. Quelli sono troppo abili. Non vedo in giro la capacità di opporsi alla cultura mafiosa e familista prevalente, che vent'anni fa riuscì a neutralizzare la ben più strutturata Lega Nord».

Meno pessimista Fucksia: «Anche se perderemo i connotati iniziali, lasceremo comunque la nostra impronta nel mondo reale. Magari ci trasformeremo, ci riadatteremo, o verremo sostituiti da altri. Ma nei libri di storia Grillo c'è già entrato. E abbiamo indotto al cambiamento gli altri partiti».

Al di là dei proclami e dei sogni, però, ci sono realtà prosaiche. Il reddito di Grillo nel 2014 è calato a 180mila euro rispetto ai 220 mila dell'anno precedente. E per un uomo di spettacolo abituato a guadagnare quattro milioni l'anno riempiendo i palasport, rinunciare al lavoro è difficile.

Stesso discorso per il braccio destro Gianroberto Casaleggio: la sua società è finita in deficit di 150mila euro (su due milioni di fatturato), rispetto all'attivo di 250mila del 2013. Il blog non tira più, e le migliaia di post condivisi su Facebook dagli attivisti non fruttano un centesimo.

Vero è che i 17 eurodeputati incassano 34mila euro mensili ciascuno (promettevano di tenerne solo 2.500), e che le «restituzioni» dei parlamentari nazionali sono sempre più misere, perché spendono i loro 15mila mensili anche per far funzionare il movimento. 
Ma l'addio di un quarto dei senatori e di una ventina di deputati si è fatto sentire, riducendo il finanziamento pubblico ai gruppi parlamentari. Le firme racimolate in sei mesi contro l'euro sono state appena 200mila: meno di quelle raccolte in un solo giorno di Vaffaday nel 2008.
             
Insomma, la struttura è di cartone. Quanto alle idee, appena arriva un problema concreto si sfaldano. Sull'immigrazione, per esempio, il rigore proposto ufficialmente sul blog di Grillo dal consigliere comunale torinese Vittorio Bertola è stato rifiutato dal senatore «aperturista» Maurizio Buccarella. Sul quale però è subito piombata la scomunica di Beppe.

«Ma tutti sappiamo che non è Grillo a gestire il movimento, anche se sette su dieci dei nostri elettori hanno votato lui personalmente, e non il movimento», commenta Ernesto "Tinazzi" Leone, decano degli attivisti romani in urto con la società Casaleggio. «Abbiamo tanti leaderini che ormai si esprimono da democristiani, attenti a non rompere delicati equilibri interni».

Insomma, la grande forza dei grillini è la debolezza di tutti gli altri partiti. «Ma se dovessimo veramente andare al governo, rischiamo di fare la fine dei Fratelli musulmani in Egitto o di Syriza in Grecia: cacciati a calci nel sedere per incompetenza dopo sei mesi», commenta sconsolato un parlamentare. Ovviamente anonimo.
Mauro Suttora



INVECE QUESTI SONO ETERNI

«Ci vuole un fisico bestiale», cantava Luca Carboni. E per fare il politico necessita anche la tigna di sentirsi indispensabili. Non sono pochi, nel Palazzo, gli ottuagenari che, invece di dedicarsi al golf, resistono ad ogni rottamazione.
 
L’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per esempio, ultimamente sta inondando di lettere i principali giornali italiani. Difende la controversa riforma del Senato di Maria Elena Boschi, manco l’avesse scritta lui.

Silvio Berlusconi, che il 29 settembre compie 79 anni, ha fatto fuori tutti i suoi delfini. Per ultimo l’attempato Denis Verdini, che in pratica aveva governato l’Italia con Matteo Renzi dopo il patto del Nazareno del gennaio 2014.

Marco Pannella ha passato come sempre il Ferragosto visitando i carcerati, questa volta nella sua Teramo. Attività nobile, ma allarmante per il presidente Sergio Mattarella che lo implora: «Interrompi il digiuno». In realtà Marco si nutre di melone
M.S.

Wednesday, August 19, 2015

Trump: un cafone alla Casa Bianca

FA BATTUTE ORRENDE CONRO DONNE E IMMIGRATI. E VUOLE LA NOMINATION DEI REPUBBLICANI ALLA PRESIDENZA USA. RITRATTO DI DONALD IL MALEDUCATO

di Mauro Suttora

Oggi, 12 agosto 2015 

Con lui non ci si annoia mai. Insulta le donne che non gli piacciono: «Troia grassa, cagna, animale disgustoso». Una giornalista gliel’ha rinfacciato, la scorsa settimana in un dibattito tv. Lui ha risposto: «Il grande problema degli Stati Uniti è la correttezza politica».
Poi ha rincarato, e di quella stessa giornalista ha detto: «Aveva il sangue agli occhi contro di me. Le usciva sangue dappertutto…», alludendo al mestruo. Risultato: espulso dal prossimo dibattito per le primarie.

Donald Trump, 69 anni, vuole diventare presidente degli Stati Uniti. Si è candidato per il partito repubblicano. E più le spara grosse, più avanza nei sondaggi. L’ultimo lo dà al 23%, contro il 10-15 dei migliori fra gli altri sedici candidati alle primarie (Jeb Bush, figlio e fratello degli ex presidenti, il senatore Marco Rubio, il governatore Scott Walker).

«Il Messico ci manda spacciatori e violentatori. Brutta gente, gli immigrati». «Abolirò l’assistenza sanitaria per i poveri introdotta da Obama». «La Cina è nostra nemica, dobbiamo batterla». «Per sterminare gli estremisti islamici, rafforziamo l’esercito». «Se Hillary Clinton non ha soddisfatto suo marito, come può soddisfare l’America?».

Queste sono alcune delle sue “perle”, che attraggono gli spettatori tv. Le elezioni sono ancora lontane: primarie a gennaio, presidenziali a novembre 2016. Ma i capi repubblicani sono preoccupati. Se Trump vince le primarie, perderà il confronto col candidato democratico (probabilmente la Clinton) perché è troppo a destra. Ma se verrà sconfitto fra i repubblicani si presenterà come indipendente, e li farà egualmente perdere togliendo loro voti. Come accadde nel 1992 con Ross Perot, che consegnò la vittoria a Bill Clinton contro il presidente Bush padre.

Trump è alla ribalta da 40 anni. Costruttore edile figlio di costruttore edile, ricco sfondato (patrimonio di nove miliardi), sposa la modella cecoslovacca Ivana nel 1977. Dopo il divorzio del 1990 altre nozze glamour con l’attrice Marla Maples. Ivana invece si dà agli italiani. Ne sposa due: Riccardo Mazzucchelli, poi Rossano Rubicondi. Ora sta con Marcantonio Rota.

Donald si acquieta con un’altra modella slava, Melania Knauss. Da tredici anni vivono nel superattico della Trump Tower sulla Quinta Avenue di Manhattan. Dove ci sono altri tre grattacieli col nome Trump: quello nero e altissimo di fronte all’Onu (262 metri, 72 piani, appartamenti di Sophia Loren, Valentino Rossi, Bill Gates, Harrison Ford, Madonna), l’hotel a Columbus Circle e l’ex hotel Delmonico sulla Park Avenue. L’impero Trump si estende poi su innumerevoli palazzi a Chicago, Las Vegas, Atlantic City e in Florida.

Ma nella cultura pop Trump è famoso anche come patron dei concorsi Miss Usa e Miss Universo, attore in film e serial tv (Sex and The City) e infine, come seviziatore di giovani ambiziosi nel reality The Apprentice.
In effetti, Donald è un misto fra Flavio Briatore (il boss dell’Apprentice italiano), Silvio Berlusconi e Ronald Reagan. Anche quest’ultimo era un outsider, attore disprezzato come politico, quando arrivò alla Casa Bianca nel 1980. Difficilmente Donald eguaglierà Ronald. Ma almeno per qualche mese ci divertiremo.
Mauro Suttora


Wednesday, August 12, 2015

Coppie in crisi: Pannella e Bonino

EMMA E MARCO, CHE BOTTE

«Non sei più radicale», accusa lui. «Ma se do al partito 2.500 euro al mese», risponde lei. Ecco i veri motivi della lite che divide i massimi libertari italiani

di Mauro Suttora

Oggi, 5 agosto 2015

Lui fa politica da 70 anni: prima tessera da quindicenne (liberale) nel 1945. Lei esordì 40 anni fa, con un aborto e un arresto. Lui si porta appresso 120 chili (se non digiuna) per 190 cm. di altezza. Lei ne pesa 50 per un metro e 60. Agli antipodi anche la parlantina: barocco e fluviale lui, concreta e concisa lei.

Apostoli della democrazia diretta, dal 1974 hanno raccolto 67 milioni di firme per 122 referendum. Ne hanno vinti 35: divorzio, aborto, soldi ai partiti, obiezione di coscienza alla naja, voto ai 18enni, caccia, chiusura manicomi e centrali nucleari…

Marco Pannella ed Emma Bonino: dall’alto del proprio due per cento hanno cambiato la storia d’Italia dal 1970 a oggi. Sono il contrario di Beppe Grillo, loro imitatore: senza voti (e ora neanche deputati) contano moltissimo, mentre i grillini hanno tanti voti ma contano pochissimo.

Formavano una coppia inossidabile. In tanti avevano cercato di separarli. Nel 1999, dopo il successo della lista Bonino alle europee (secondo partito in molte zone del nord), Silvio Berlusconi definì Emma «protesi di Pannella».

Ma lei è rimasta fedele all’uomo che la fece entrare in Parlamento a 28 anni, con gli zoccoli da femminista. Uniti ora perfino dai tumori: entrambi ai polmoni, più una metastasi al fegato per Marco.

Fegatoso è sembrato l’attacco di lui a lei su Radio radicale: «Non viene più alle riunioni di partito, non sappiamo che faccia». In realtà la Bonino è di nuovo attiva, superato il cancro con la chemio. Solo che, andando per i 70, si è stufata delle mattane del suo mentore.

Rapporto platonico con un giovane

Pannella negli ultimi 15 anni ha «adottato» un giovane radicale, Matteo Angioli, con cui ha convissuto in un rapporto socratico-platonico. Lo promuove all’interno del partito, fra mugugni vari. E ha rivelato che Bonino si è opposta alla pubblicazione di un loro epistolario.

Gelosia? Pannella è bisessuale: «Ho amato molto quattro uomini, ho avuto figli da due donne», ha confessato. Fra Marco ed Emma non c’è mai stato nulla di sentimentale. Quindi non è l’amore ad allontanarli, ma la politica.

Ora Pannella si è fissato con «la transizione dei Paesi occidentali e arabi verso lo stato di diritto». Fa organizzare al suo Matteo convegni sull’astruso tema, invitando a Bruxelles e a Roma (la scorsa settimana) politici stranieri.

«Emma non si era mai sottratta alle iniziative più strampalate di Marco», commenta Roberto Cicciomessere, già suo compagno e segretario radicale. Adesso invece non collabora più. Per lei ormai Pannella è zavorra. Da vent’anni vola nei sondaggi, è stata due volte ministro, commissaria Ue. Prima del tumore era fra i favoriti per il Quirinale (apprezzata anche dai grillino).

Da piemontese leale e disciplinata, non polemizza e versa ancora al partito radicale 2.500 euro al mese. «Ma se ne sta coi suoi amici del jet set», brontola Pannella: dalle Fendi a Soros, che appoggiano la battaglia della Bonino contro le mutilazioni genitali femminili.

A rimanere mutilati questa volta sono i radicali: «Per noi Emma era la mamma e Marco il papà», geme l’ex deputato Marcello Crivellini. Anche i monumenti divorziano.
Mauro Suttora

Wednesday, August 05, 2015

intervista a Boncinelli

LE DUE GIOVANI FOGGIANE SCAMBIATE IN CULLA: PARLA IL MASSIMO GENETISTA ITALIANO

di Mauro Suttora

Oggi, 27 luglio 2015

La nostra personalità è determinata dal Dna o dalla vita? Il caso delle due ragazze foggiane scambiate in culla 26 anni fa può illuminare l’eterno dibattito fra innatisti e empiristi? 
Insomma, alla nascita quel che noi saremo è già deciso dai geni, o siamo una tabula rasa che verrà plasmata dall’educazione e dall’esperienza?

«Sicuramente agli studiosi piacerebbe indagare sulla loro vicenda», risponde a Oggi Edoardo Boncinelli, massimo genetista italiano, «anche se per approdare a risultati scientifici un caso solo non fa testo».

Una ragazza è piombata in un ambiente sfortunato, tanto che poi è stata adottata da un’altra famiglia, mentre la seconda ha avuto una vita agiata, ma non priva di difficoltà psicologiche.
«Naturalmente oggi è difficile ricostruire la vita delle due ragazze, quanto ora siano simili a quel che erano da piccole, e come l’ambiente abbia influito sul loro carattere. Il problema è che la somma fra geni e vita non arriva mai a cento».

Cioè?
«Non osa dirlo nessuno, ma da trent’anni sappiamo che Dna e ambiente contano ciascuno al massimo un 33 per cento».

E il resto?
«Il terzo fattore si chiama caso. Fortuna. Nulla spiega il genio di Michelangelo o Leonardo: né i genitori, né l’educazione ricevuta».

Quindi anche il destino delle due ragazze era imponderabile? Se così fosse, non avrebbero diritto a risarcimenti.
«Le variabili sono infinite. La forza di volontà, per esempio, è temprata dalla vita. Il successo stimola il carattere, fino al punto di cambiare la capacità di realizzazione del soggetto».

Pensavamo il contrario: che siano le difficoltà, e non la bambagia, a creare personalità forti.
«E invece certi apatici al primo successo partono in quarta. L’appetito vien mangiando».

Comunque, dicono gli scienziati, gli scambi in culla sono rari. E pochissimi vengono scoperti. Quindi, gli studi sul conflitto natura/società riguardano casi più frequenti: Dna uguali cresciuti in ambienti diversi (fratellini separati alla nascita), o Dna diversi cresciuti nello stesso ambiente (figli adottati o illegittimi). E, da qualche anno, quell’immensa miniera statistica che sono le fecondazioni artificiali. Sempre che i donatori di seme abbiano fornito informazioni, e che ai figli venga rivelato il genitore biologico.
Mauro Suttora

Zanzare

Dopo il gran caldo, prepariamoci: adesso saranno ancora più fastidiose. Finora la siccità ci aveva un po’ protetto dagli insetti succhiasangue. Ma basta qualche pioggia per farle moltiplicare. Ecco come difendersi

di Mauro Suttora

Oggi, 29 luglio 2015

Siete esausti, dopo un mese di gran caldo? Beh, ora preparatevi all’invasione delle zanzare. Perché almeno la siccità aveva ridotto le pozzanghere di acqua stagnante, e quindi la possibilità per gli insetti di moltiplicarsi. Ora, invece, via libera. 

Secondo i dati del bollettino di Vape Foundation e Anticimex, azienda specializzata nei servizi di Pest Control, a inizio agosto sono ben 70 le province con l’indice potenziale di infestazione di zanzara tigre più alto, in una scala di intensità da 0 a 4.

Fiumi e falde acquifere sono il luogo privilegiato per il deposito delle uova. Per questo tutta la pianura padana sarà come sempre martoriata dagli striati insetti famelici.

«Le amministrazioni locali svolgono un buon lavoro per arginare il problema», dice Dino Gramellini, direttore tecnico di Anticimex, «ma per debellare l’invasione delle zanzare bisogna pianificare interventi mirati e continuativi durante tutto l’anno. E senza limitarsi alle zone pubbliche: vanno estesi anche alle aree private».

L’umidità è la principale amica delle zanzare. Dobbiamo perciò evitare di accumulare contenitori che possono raccogliere anche piccole quantità di acqua stagnante.

«I ristagni creati dalle precipitazioni, anche brevi, si riscaldano più facilmente nelle giornate calde, creando così condizioni favorevoli allo sviluppo di larve e uova», spiega Claudio Venturelli, entomologo e membro del comitato scientifico di Vape Foundation. «Pozzetti, caditoie stradali, recipienti aperti nei giardini e nei terrazzi sono un’oasi ideale per il compimento del ciclo vitale delle larve. Per questo bisogna asciugare le riserve acquose, e intervenire su quelle non eliminabili».

Altro consiglio: ornare le abitazioni con piante dall’effetto repellente, come quelle aromatiche o la Catambra.

Ci sono poi i sistemi di disinfestazione automatica: permettono ai privati di programmare giorni e orari di intervento, nebulizzando piretro o repellenti come rosmarino e aglio.

In casa si possono usare piastrine e vaporizzatori elettrici. Che però contengono piretroidi, quindi devono essere utilizzati con cautela: evitate di stare nella stanza in cui sono in funzionamento, se non è bene arieggiata. Di notte, perciò, finestre aperte.

Mauro Suttora

Wednesday, July 29, 2015

Grecia: non è finita qui

di Mauro Suttora

Oggi, 22 luglio 2015

L’accordo del 13 luglio non ha risolto il conflitto Ue-Grecia. Le trattative continueranno per mesi e anni. D’altronde, il buco di bilancio è stato confessato dal governo di Atene nel 2009. E da allora è stato un susseguirsi di negoziati.

Ora c’è la richiesta di tagliare parte del debito greco, che ha raggiunto i 330 miliardi di euro (180% del Pil). Una cifra «insostenibile» anche secondo il Fmi (Fondo monetario internazionale) e la Bce (Banca centrale europea), ovvere due dei tre membri della Troika (il terzo è la Commissione europea) che tratta con la Grecia. Anche gli Usa chiedono una parziale cancellazione, perché temono che la Grecia lasci la Nato e vada con la Russia.

La cancelliera tedesca Angela Merkel però non concede il taglio, perché teme il voto degli antieuropeisti alle prossime elezioni in Germania. Anche gli altri Paesi del Nord ed Est Europa sono per l’austerità. E perfino Spagna e Portogallo sono severi con la Grecia, perché hanno seguito i sacrifici imposti dalla Troika senza sconti (e sono usciti dalla crisi).

Ci sarà quindi un compromesso. Non sull’abbassamento dei tassi d’interesse, che già oggi grazie ai 240 miliardi di prestiti Ue (più gli 86 in arrivo) sono scesi al 2,2%: un livello uguale a quello che paga l’Italia sul proprio debito di 2.200 miliardi. La ristrutturazione del debito greco riguarderà i tempi. Verranno concesse dilazioni: già oggi alcuni rimborsi scadono nel 2055. Oppure «periodi di grazia»: ma solo sospensioni, per non far imbestialire le opinioni pubbliche nordeuropee.

Insomma, l’Europa si abituerà a «mantenere» la Grecia, senza rischiare di strozzarla. Una solidarietà simile a quella dell’Italia settentrionale verso il nostro Sud. Perché i creditori hanno tutto l’interesse che i debitori restituiscano le somme ricevute, anche poco per volta e con tempi biblici. I greci, nel frattempo, impareranno a pagare le tasse: oggi sono i peggiori evasori d’Europa. La carenza di contanti ha un aspetto positivo: fa emergere il nero.
Mauro Suttora 

Wednesday, June 24, 2015

Nuovi barbari

PERCHE' CE LA PRENDIAMO CON GLI STRANIERI

di Mauro Suttora

Oggi, 17 giugno 2015

Siamo arrabbiati. E impauriti. Perché, oltre a quel che vediamo nelle stazioni di Roma, Milano e Ventimiglia, fra profughi e maceti, ecco quali notizie ci arrivano ogni giorno da tutta Italia. Abbiamo messo in fila quelle della scorsa settimana: un elenco impressionante. Le conseguenze politiche dell’insicurezza, e dell’insofferenza verso gli stranieri, sono automatiche: astensione, o voto per la Lega.
 
1) TORINO. Tre africani (un somalo, un ghanese e un nigeriano già espulso dall’Italia l’anno scorso) accusati di avere sequestrato e stuprato per 30 ore una ventenne disabile nell'ex villaggio delle Olimpiadi 2006, occupato da anni dagli extracomunitari (10 giugno).

2) MILANO. Carlos Torres, 20 anni, trans ecuadoriano, uccide, decapita e lancia in cortile la testa di Antonella Gisonna, prostituta napoletana 51enne. Tracce di coca nella casa di via Amadeo, zona Città Studi (14 giugno).

3) Lizzola (BERGAMO): 115 abitanti, 94 profughi in questo paesino della val Seriana. I locali: «Ci sentiamo prigionieri a casa nostra. I turisti non vengono più». I migranti: «Vogliamo andare in una grande città, qui stiamo impazzendo». Il pensionato Tarcisio Semperboni: «Ho tre figli disoccupati. Nessuno li aiuta. I profughi invece hanno vitto e alloggio pagato» (12 giugno).

4) PADOVA. Autista del bus 22 aggredito da un africano mentre attendeva ai piedi del cavalcavia Borgomagno (zona stazione) di dare il cambio al suo collega. L’uomo ha colpito l’autista al torace con un pugno e lo ha strattonato per un braccio, accusandolo di averlo fotografato con il telefonino. Cinque giorni di prognosi (12 giugno).

5) PERUGIA. Anziano aggredito e rapinato in viale Centova. Stava passeggiando, è stato colpito improvvisamente alla testa da dietro e preso a pugni (frattura naso e zigomo, prognosi 30 giorni). Caduto, l’aggressore gli ha strappato il marsupio con dentro il cellulare. Poco dopo, arrestato un tunisino: aveva nascosto il cellulare nelle mutande, e precedenti per rapina e furto (10 giugno).

6) CASERTA. Mara Zinzi (moglie e figlia di politici famosi) massacrata durante una rapina a casa sua. Confessa la baby sitter 23enne kirghiza Aika Turdubulova, in Italia senza permesso di soggiorno, basista di una banda di tre lituani (10 giugno).

7) OLBIA. Ragazza rom 22enne massacrata e sfregiata dal suocero islamico Hego Adzovic perché convertita al cristianesimo (9 giugno).

8) Sassuolo (MODENA): 18enne cubano accusato di 35 furti e vandalismo su cento auto (9 giugno).

9) FIRENZE: 21enne statunitense denuncia un tentato stupro avvenuto alle 4 del mattino in Borgo San Jacopo. La ragazza ha raccontato di essere stata avvicinata da due uomini; uno l’ha bloccata afferrandola per le spalle, mentre l’altro ha tentato di abusare di lei.
La studentessa ha urlato e i due, preoccupati, le hanno strappato una collanina d’oro dal collo – ritrovata poco lontano - e sono scappati via. Per la giovane escoriazioni guaribili in cinque giorni. Il responsabile è stato bloccato alcune ore dopo dagli agenti della polfer alla stazione di Santa Maria Novella: ha 23 anni, senegalese, irregolare in Italia (9 giugno).

10) Bagno a Ripoli (FIRENZE). Marcello Piccioli, 76 anni, che viaggiava sul suo motorino, è stato travolto e ucciso da un’Audi A5 che ha sorpassato in curva un’altra vettura. Lo scontro frontale con il motorino è stato violentissimo. Il pensionato è morto sul colpo. L’uomo alla guida dell’auto, un 32enne albanese, è risultato positivo ai cannabinoidi. Sul posto sono arrivati i parenti della vittima che si sono scagliati verbalmente contro l’albanese quando questi si è avvicinato loro chiedendo scusa. I carabinieri sono stati costretti a intervenire. L’uomo è denunciato per omicidio colposo. Gli era già stata ritirata la patente per violazioni del codice della strada. (9 giugno).

11) GENOVA. Maxirissa in via Sampierdarena: per oltre mezz’ora un gruppo di sudamericani si è scagliato contro una pattuglia di agenti che dovevano notificare un’ordinanza a un 29enne dominicano, accusato di detenzione e spaccio di droga. Gli agenti però sono stati aggrediti da tre connazionali, tra cui una ragazza, tutti ubriachi, che hanno cercato di far fuggire l’uomo. La ragazza, che ha rifiutato di mostrare i documenti e dire le sue generalità, ha morsicato un agente e strappato i capelli a un altro. Spaccati a calci i vetri di una volante. Il traffico è rimasto bloccato per oltre mezz’ora, undici agenti feriti (8 giugno).

12) ROMA. L’Aci offre ai richiedenti asilo scuola guida gratis «per agevolarne l’integrazione e l’inserimento lavorativo», e corsi di guida sicura del valore di 3-400 euro con guida sul bagnato e controllo della sbandata in curva (13 giugno).

13) Montesilvano (PESCARA): Urtato da un’auto mentre cammina col padre sul marciapiede, un bambino di nove anni è rimasto con la gamba incastrata tra il veicolo ed un cancello, fino a quando la conducente del mezzo non è scappata, nonostante le urla del genitore. Il bimbo non ha riportato traumi particolari. A bordo del mezzo c’erano due donne, presumibilmente di etnia rom (13 giugno).

14) Pero (MILANO). Egiziano minaccia passanti con una grossa roncola (simile a un machete) e sequestra un pony-express in scooter costringendolo a caricarlo con sé. Ma dopo un incidente l’aggressore, caduto dal motorino, è stato arrestato dalla polizia. L’uomo scappava perché inseguito da due conoscenti che lo volevano picchiare perché lo avevano visto danneggiare l’auto di uno di loro (13 giugno).

Due episodi dei mesi scorsi:
15) Bra e Alba (CUNEO). Rapine, spaccio, violenze: tre 19enni e due 21enni albanesi arrestati Facevano parte di una banda che ha terrorizzato per mesi la provincia di Cuneo. Uno degli episodi più efferati il 28 novembre a Benevagienna: dopo aver picchiato e legato due badanti filippine sono entrati nella casa di una 90enne in sedia a rotelle. Bottino: poche centinaia di euro (marzo 2015).
16) BOLZANO. Due marocchini di 19 e 20 anni (Jabar Abdelilah e Mine Smaile, quest’ultimo) arrestati per rapine e violenze. Hanno aggredito un ragazzo in galleria Walther a colpi di cinghia, e ferito un altro con bicchieri rotti in faccia in piazza delle Erbe (aprile 2015).
Mauro Suttora

Wednesday, June 17, 2015

Toti, Emiliano, Di Maio

POLITICI EMERGENTI: GAS GAS, IL GLADIATORE, DI MAIONESE

Dopo le regionali, emergono questi tre personaggi in Forza Italia, Pd e Movimento 5 stelle

Oggi, 10 giugno 2015

di Mauro Suttora

E pensare che lo consideravano un moderato. «Rifugiati? In Liguria non ne vogliamo neanche uno». Così Giovanni Toti, detto “Gas gas” per la somiglianza col topolino di Cenerentola, ha infranto dopo un solo anno il mito dell’invincibilità di Matteo Renzi.

Gli è bastato calcare un po’ i toni, allearsi con la Lega, approfittare delle divisioni a sinistra, e Genova è tornata al centrodestra dopo dieci anni. Ora i berlusconiani, distrutti nel resto d’Italia, si aggrappano solo a lui.

Il “Gladiatore”, invece, non ha avuto bisogno delle beghe degli avversari per vincere in Puglia. Michele Emiliano col suo 47% ha stracciato tutti: grillini e fittiani fermi al 18%, i berlusconiani dell’ex ministra Adriana Poli Bortone ancora più indietro.

Il Gladiatore ha bisogno di donne

Furbissimo, dichiara di amare i 5 stelle e di volerli imbarcare nella sua giunta. Anche perché lui non ha donne. Incredibilmente, infatti, dei nuovi 50 consiglieri regionali pugliesi solo sei sono del gentil sesso: cinque grilline e una di Forza Italia. Nessuna di Pd e liste collegate, nonostante le candidate fossero ben 85.

Gli elettori del centrosinistra si sono dimostrati insomma orrendi maschilisti. E nei guai è finito il Gladiatore, che aveva promesso una giunta rosa a metà. Ora dovrà nominare due esterne al consiglio regionale (il massimo consentito), ma le altre tre (per arrivare a cinque su dieci) non sa proprio dove pigliarle. Le grilline gli fanno marameo.

Altro che “Dimaionese”, il pupo è un duro

Fa marameo al Pd anche il grillino-capo, il napoletano Luigi Di Maio. Soprannominato “Di maionese” per la sua apparente affabilità, il wonderboy 5 stelle (vicepresidente della Camera a soli 26 anni) non dà segni di ammorbidimento.

Il suo movimento non è andato bene alle regionali, ha perso anch’esso quasi un milione di voti come tutti i partiti, per colpa degli astenuti. Ma i grillini   sono ringalluzziti perché hanno dimostrato di poter comunque contare su uno “zoccolone duro” del 15-18% che ormai li vota a scatola chiusa.

La «scatola di tonno» che promettevano di aprire (le istituzioni marce) sono sempre lì, intatte. Ma gli altri rubano così tanto che a loro basta urlare «onestà» per acchiappar voti.

Niente emergenti fra i leghisti, fa tutto Salvini

Ecco, questi sono i tre personaggi che si sono messi in luce nelle ultime settimane in quel deserto grottesco che è la politica italiana. La Lega, unico partito che ha aumentato i voti, non sta esprimendo volti nuovi dietro all’onnipresente Matteo Salvini. Mentre a Forza Italia, Pd e M5s non resta che sperare in Toti, Emiliano e Di Maio.

La scalata repentina dell’ex direttore di Studio Aperto (il tg di Italia1) e Tg4 al ruolo di salvatore della patria forzista (magari in coppia con l’incantevole Mara Carfagna) ha qualcosa di miracoloso e misterioso.

Questo ragazzone di Viareggio, figlio di albergatori, laurea a Milano in scienze politiche, in politica non era nessuno fino a due anni fa. Sì, si era iscritto ai giovani del Psi, ma il partito fu subito distrutto da Tangentopoli. Comunque una garanzia di affidabilità, quella tessera, quando all’alba dei trent’anni riesce a diventare stagista a Mediaset.

Più che la carriera interna a Studio Aperto, però, a spiegare l’improvviso innamoramento di  Silvio Berlusconi per Toti servono i pochi mesi che quest’ultimo nel 2008 passò come vice capufficio stampa a Mediaset. Quel passaggio in azienda gli diede il timbro di fiducia. 

Non guasta il suo matrimonio con Siria Magri, giornalista di sei anni più anziana, oggi vicedirettrice di Videonews, solida bergamasca che si favoleggia sia stata assunta direttamente da Berlusconi nella tribuna stampa dello stadio dell’Atalanta, folgorato dalla sua avvenenza quando lei lo intervistò per una tv locale (ma niente divani e cene eleganti, a scanso di equivoci: solo stima professionale).
     
Anche Di Maio è legato a una donna più anziana di lui (di 12 anni), la quarantenne cremonese Silvia Virgulti. Che dopo aver cercato di insegnare l’inglese a Beppe Grillo, ha svelato ai parlamentari grillini i trucchi per parlar bene in tv. E Luigi è il suo prodotto meglio riuscito, anche grazie alle tecniche della Pnl (Programmazione neurolinguistica).

Il minuscolo Luigino non potrebbe essere più differente dal ciclopico Emiliano, 120 chili per 1,90 di altezza. Figlio di un calciatore professionista e lui stesso giocatore di basket in serie B, dopo la laurea in legge (Di Maio invece è fuoricorso) il Gladiatore pugliese è diventato avvocato e poi magistrato antimafia fino al 2004, quando lasciò la toga per diventare sindaco di Bari.
 
Aveva cominciato ad Agrigento nel 1988. Suo collega in procura era Rosario Livatino. Da Palermo li seguiva e aiutava Giovanni Falcone. «Giudici ragazzini», li definì il presidente Francesco Cossiga. Nel 1990 Livatino fu assassinato, Emiliano tornò in Puglia. Uno choc.

Xylella e fanatici, il loro fastidio comune
 
Ora il principale nemico di Emiliano si chiama Xylella fastidiosa: è il batterio che rischia di decimare i centenari ulivi pugliesi. Se la domerà com’è riuscito a fare con i bilanci della sua Bari (ha vinto l’Oscar del Sole 24 Ore), potrà ambire a scenari nazionali.

Per Toti, invece, i fastidi sono tutti interni. Lui è riuscito a vincere in Liguria alleandosi alla Lega. Ma molti in Forza Italia (compreso Berlusconi) non sopportano l’estremismo leghista.
Stesso dilemma per Di Maio, agli antipodi per stile e contenuti dall’isteria di altri grillini come Alessandro Di Battista.

Mauro Suttora

Friday, June 12, 2015

Ipermercati o piccoli negozi?

LA SFIDA CONTINUA. BOTTEGHE ALLA RISCOSSA CONTRO I SUPERMERCATI IN CRISI

I grandi centri commerciali in periferia non funzionano più: i loro prezzi bassi non bastano ad attirare clienti che preferiscono la comodità di comprare sotto casa. Anche per evitare il deserto nei centri storici, e ridar vita alle nostre vie 

Oggi, 3 giugno 2015

di Mauro Suttora

Le nostre tasche sono più vuote, e si svuotano anche le nostre vie. Negozi che chiudono per la crisi, incassi che non bastano a tenere aperte le vetrine. Così spariscono i commercianti che allietavano i marciapiedi dei centri storici. Colpiti dalla concorrenza dei centri commerciali in periferia: ne sono stati costruiti 5 mila in dieci anni, dopo il Duemila.

Ora, però, perdono colpi anche gli ipermercati. Le grandi catene francesi Auchan  e Carrefour sono in difficoltà, annunciano centinaia di licenziamenti in tutta Italia. 

Ricetta: specializzarsi e offerta di qualità

E infatti il numero di supermercati, discount e outlet, è sceso dai 29 mila del picco nel 2011 ai 27 mila di oggi. 
Viceversa, i piccoli negozi sono alla riscossa. Specializzandosi e offrendo prodotti di qualità attirano clienti che non hanno voglia di sobbarcarsi lunghi viaggi in auto in periferie intasate per fare la spesa.

Lo confermano i dati controcorrente della Cgia (Confederazione generale italiana dell’artigianato) di Mestre: «Negli ultimi sei anni hanno chiuso 115 mila negozi di vicinato», spiega il segretario Giuseppe Bortolussi, «ma i più colpiti sono stati artigiani ed esercenti di bar. I commercianti al dettaglio, invece, sono diminuiti soltanto dello 0,7 per cento: da 801 mila a 795 mila».

Insomma, la guerra fra supermercati e piccoli negozi è tutt’altro che vinta dai primi. In realtà c’è ancora spazio per chi inventa cose nuove. 

Un esempio concreto è quello di Damiano Giannatempo, che probabilmente detiene il Guinness dei primati per il tempo che passa nella sua bottega di via Anfossi a Milano, sul parco di largo Marinai d’Italia: 70 ore a settimana. La tiene aperta ogni giorno, domeniche comprese, dalle dieci del mattino alle otto di sera. Da solo.

Foggiano, a Milano da 45 anni, Giannatempo vende prodotti tipici meridionali. Dalla mozzarella di bufala al pane casereccio, da primizie di frutta e verdura a bottiglie doc di oli e vini. 
E sua moglie? Non la vede mai. «A lei va bene così», sorride Giannatempo. Che copia i negozi familiari coreani di Manhattan aperti 24 ore su 24: apertura garantita per chi lavora e quindi preferisce far compere con calma nei weekend. Piante fiorite e una panchina allietano il marciapiede davanti al negozio, e così Giannatempo contribuisce anche alla vita sociale della strada.

«È proprio questa la soluzione per i piccoli negozi», dice a Oggi Luigi Rubinelli, direttore di RetailWatch, «non la concorrenza sui prezzi nella quale iper e Internet sono imbattibili. O la velleità di offrire prodotti uguali a quelli dei supermercati. Certo, affitti e tasse colpiscono duro i piccoli esercizi. In Germania e Olanda gli enti locali, quando recuperano i centri storici, offrono spazi a prezzo calmierato per commercianti e artigiani».

Gli artigiani. Sono loro a soffrire di più, anche per la concorrenza degli immigrati, soprattutto i cinesi a basso costo: «Oltre la metà delle 115 mila imprese che hanno chiuso sono legate al comparto casa», calcola Bortolussi. «Edili, lattonieri, posatori, elettricisti, idraulici e manutentori di caldaie stanno vivendo momenti difficili. Ma soffrono anche professioni storiche dell’artigianato. Pochi giovani si avvicinano a mestieri come barbieri, calzolai, fotografi, rilegatori, ricamatrici; artigiani che con le loro botteghe hanno caratterizzato la vita quotidiana di tanti paesi e città, e che stanno scomparendo. Senza dimenticare i norcini e i casari che hanno contribuito a sviluppare una cultura agroalimentare che, in loro assenza, rischiamo di perdere definitivamente».
            
Oltre al danno economico, poi, c’è un aspetto sociale da non trascurare: «Quando chiude la saracinesca un piccolo negozio o una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora. C’è meno sicurezza, più degrado, un impoverimento del tessuto sociale», sottolinea Bortolussi.
Ormai, in molti casi, la vita sociale si è spostata nei centri commerciali. Che ruotano attorno a immensi ipermercati.

«Ma questi soffrono perché le industrie di marca non garantiscono più sconti sui prezzi, a fronte di acquisti all’ingrosso di grandi quantità», spiega Rubinelli. «Anche la benzina non ha più prezzi così bassi. E ormai si trovano prodotti di marca anche in discount come Lidl».

Quindi c’è un ritorno a negozi e supermercati «di prossimità». Si salvano catene italiane come Esselunga, Coop, Conad e Crai che hanno pochi ipermercati. I francesi di Auchan hanno appena trovato un accordo con i sindacati per i loro 9 mila dipendenti di 217 supermercati in Italia: meno soldi e turni più flessibili. Insomma, lavorare di più (senza arrivare agli orari stakanovisti di Giannatempo) e guadagnare di meno.

Inutile fare i romantici, è la legge del mercato

Inutile fare i romantici: «Anche i negozi obbediscono alla legge del mercato, chi non è efficiente chiude», dice Rubinelli. «Per esempio, fra i centri commerciali vanno meglio quelli che offrono dieci-dodici sale di cinema. E sapete quali sono i ristoranti che riscuotono maggiore successo? Quelli dell’Ikea. Perché lì si mangia con 9-10 euro, ma anche perché si può lasciare l’auto all’ombra nei parcheggi coperti, e perché i bimbi sono accuditi. Ormai c’è gente che va all’Ikea non per comprare mobili, ma per mangiare».

Nella grande distribuzione si esercitano strategie di marketing raffinatissime. Anche perché i margini sono assai risicati: su 100 euro di prodotti venduti, le catene riescono a guadagnarne appena 2-3. Ma essendo le quantità notevoli (il valore complessivo della spesa degli italiani è sui 40 miliardi annui), se si imbrocca la strada giusta i profitti arrivano a palate.

Così, non è un mistero che i prodotti con il miglior rapporto qualità/prezzo sono quelli più difficili da raggiungere, in basso negli scaffali. 
Oltre alla fatica di chinarsi per vederli, noi clienti dovremmo farne un’altra: quella di non guardare mai i prezzi scritti in grande, ma quelli veri. Che sono il costo al chilo, o all’etto.
Mauro Suttora