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Sunday, December 11, 2022

La mini naja di La Russa già una volta è stata un fiasco. Buona per chi voleva il basco da paracadutista



La introdusse nel 2009 quand'era ministro della Difesa. Si esaurì dopo tre anni, con uno stanziamento di 21 milioni e una constatazione di sostanziale inutilità. "Così i giovani potevano mettersi i baschi amaranto dei paracadutisti o i cappelli da alpini"

di Mauro Suttora

Huffpost, 11 dicembre 2022

Il 15 dicembre 1972 una legge permise l'obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio in Italia. Per curiosa coincidenza, a mezzo secolo esatto di distanza il presidente del Senato Ignazio La Russa torna alla carica riproponendo la sua mini-naja volontaria, che già introdusse nel 2009 quand'era ministro della Difesa. Questa volta dura sei settimane invece di tre, ma è prevedibile che provocherà le stesse polemiche di allora: "Ecco il militarista che resuscita i campi Dux di mussoliniana memoria!".
 

Quella mini-naja si esaurì dopo tre anni, con uno stanziamento di 21 milioni e una constatazione di sostanziale inutilità: "Serve solo ad alimentare finanziariamente le associazioni d'arma", scrisse Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa, "che dalla fine del servizio di leva nel 2004 non hanno più migliaia di nuovi iscritti ogni anno, e stanno invecchiando. I giovani dopo sole tre settimane di corso possono mettersi i baschi amaranto dei paracadutisti o i cappelli da alpini, privilegio un tempo riservato ai veri soldati".

Poi però l'idea fu adottata anche a sinistra, dalla ministra della Difesa Roberta Pinotti (Pd) che non la ripristinò, ma disse che era comunque un buon modo per avvicinare i giovani alle forze armate. E anche il buon La Russa è stato umanizzato dall'imitazione di Fiorello, che lo ha dipinto come un innocuo fanatico non più dei manganelli, ma delle divise: da ministro le indossava ogni volta che poteva, quando andava a visitare i nostri soldati in Iraq o Afghanistan. 

Quindi adesso passare 40 giorni in caserma non appare più come un passatempo per criptofasci. Ma a cosa servirà? A familiarizzare i giovani con pistole e fucili? Un corso rapido per imparare a sparare può sicuramente essere completato in sei settimane. Così poi sarà più facile passare all'azione, come il signore di Fidene stamane.

Forse le più favorevoli a veder partire i propri figli, anche per periodi più lunghi, sono le mamme d'Italia. Le quali magari auspicano per i loro bamboccioni un contatto ravvicinato con i mitici caporali e sergenti che se non altro insegnavano loro a farsi da mangiare e rifarsi il letto. 

Ma per questo ci vorrebbero trasferimenti dall'altra parte d'Italia, mentre ormai anche il servizio civile volontario (8-12 mesi in un ente a 444 euro mensili per 25 ore settimanali, ora lo stanno facendo in 44mila) è a domicilio, nella stessa città di residenza. Insomma, i mammoni viziati non schiodano, restano a casa.

Invece La Russa pensa sicuramente a qualcosa di più virile. E nell'anno in cui Putin ha sdoganato dopo otto decenni l'idea di guerra in Europa, probabilmente ha centrato lo zeitgeist. Lo spirito del tempo spinge ad andare a vedere da vicino, se non altro per curiosità, quegli aggeggi che c'eravamo dimenticati esistessero, e che invece entrano in funzione per difendersi quando un dittatore invade un Paese: le armi. 

Quindi, se proprio vogliamo far familiarizzare i nostri pargoli con la nuova realtà bellica, non limitiamoci a mandarli dai simpatici alpini con le loro folcloristiche penne ed epiteti etilico-maschilisti. Organizziamo piuttosto stage educational per studiare, ad esempio, le blindature dei nostri ottimi veicoli Lince che si stanno fronteggiando nel Donbass.  Ne sono dotati sia i russi che gli ucraini: ai primi li abbiamo venduti, ai secondi regalati.

Oppure una mini-naja negli impianti Leonardo, apprezzatissimo esportatore di sistemi d'arma. È lì che si costruisce il futuro, con frontiere tecnologiche d'avanguardia. Eccellenze italiane: come moda, design, cibo, vino. Con notevoli sbocchi occupazionali, altro che punti in più per qualche noioso concorso parastatale. 

Friday, August 12, 2022

Che bisogno c'è di Fratoianni, quando abbiamo i frati comunisti di Padova?

Sul loro Messaggero di Sant'Antonio questo mese l'economista Luigino Bruni si scaglia contro il "mercato capitalistico", liquidato come "imbroglio e grande bluff" con la stessa apoditticità di un Rizzo del partito comunista

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 Agosto 2022 

Che bisogno c'è di Fratoianni, quando abbiamo i frati di Padova? Sul loro Messaggero di Sant'Antonio questo mese l'economista Luigino Bruni si scaglia contro il "mercato capitalistico", liquidato come "imbroglio e grande bluff" con la stessa apoditticità di un Rizzo del partito comunista.

"Per quarant'anni ci siamo ubriacati di privatizzazioni, abbiamo smantellato beni pubblici e beni comuni e li abbiamo affidati al mercato, convinti che il movente del profitto privato fosse l'unico per far impegnare lavoratori e imprenditori", tuona Bruni. Che elenca: "Ferrovie, energia, acqua, autostrade, e sempre più sanità, scuole e università sono gestite da capitalisti privati, e i profitti finiscono in pochissime mani già molto ricche". 

Per la verità la stagione delle privatizzazioni si è in gran parte conclusa un quarto di secolo fa, quando il cattolico Prodi dovette far cassa per entrare nell'euro. Aveva venduto anche aziende statali che non producevano certo 'beni pubblici': dai pomodori pelati ai panettoni, fino ai vetri per le auto della fabbrica Siv (oggi Pilkington) a San Salvo (Chieti).

Sui carrozzoni di stato e l'inefficienza clientelare del pubblico, che in Italia si traduce in politico/partitico, sono state scritte biblioteche. Ma Bruni obietta: "Ci hanno convinti che il privato è il paradiso della nuova economia, il pubblico è l'inferno, e il non-profit il purgatorio. Non capisco come questa idea malsana e sbagliata si sia potuta affermare. Conosco le ideologie e i demagoghi, ma qualcuno mi dimostri perché i beni comuni sono gestiti meglio da privati che dal pubblico". 

La saggezza popolare risponde a Bruni che "l'occhio del padrone ingrassa il vitello", e la nostra esperienza quotidiana ne è purtroppo piena di esempi concreti. Anche oggi ho telefonato all'Istituto Besta di Milano, eccellenza pubblica della neurologia, per fissare la visita annuale di controllo della mia neuropatia degenerativa, prescrittami un anno fa dal loro medico che mi cura. Mi hanno risposto per la decima volta che le visite sono esaurite fino a fine anno, e che non sanno quando si apriranno le prenotazioni per il 2023 ("Richiami ogni settimana"). 

Ma poiché conosciamo anche le speculazioni di certi privati sui beni in concessione o convenzione, dalle autostrade alla sanità, non ci metteremo certo a tessere lodi a prescindere del privato. Ricordiamo solo all'ottimo Bruni che 'in medio stat virtus': fra il neoliberismo selvaggio e il suo benecomunismo c'è uno spazio enorme per sistemi misti come i nostri europei, che contemperano l'interesse pubblico con l'efficienza privata.

Bruni ricorda che proprio l'Italia ha inventato, con i Romani e poi nel medioevo con i liberi Comuni, la gestione ("comune", appunto) delle risorse collettive: "Abbiamo fatto autentici miracoli economici, civili e artistici perché le città erano forme di cooperative, consorzi di cittadini che gestivano insieme molte attività politiche e anche molte imprese". 

Obiettiamo che il massimo splendore economico e artistico di Firenze e Milano fu raggiunto sotto banchieri privati (i Medici) o signorie (Visconti, Sforza); Venezia e Genova erano splendide repubbliche per nulla democratiche, bensì oligarchiche in mano all'aristocrazia borghese del denaro; quanto a Roma, il mecenatismo papale era anch'esso agli antipodi del 'benecomunismo'. Che funzionava al massimo per gestire il legname di qualche bosco e i pascoli di pecore e mucche. 

Poteva mancare, infine, un po' di antiamericanismo dal sorprendente giornale dei frati minori conventuali? 

"Il capitalismo delle privatizzazioni è prodotto d'importazione, da Paesi come gli Usa e l'Olanda", accusa Bruni. "I figli delle business school, con poca cultura umanistica e molto inglese, hanno deciso che il privato è la Terra promessa". Non si salva nessuno: "Hanno convinto praticamente tutti, anche i politici della sinistra, che era nata da una critica al capitalismo e al profitto, e persino le Chiese". 

Povero Bruni. Siamo circondati, anche se l'Italia non ha avuto alcun Reagan o Thatcher, colossi statali come Eni o Leonardo macinano miliardi di utili, e spesa pubblica, tasse, deficit e debito galoppano. Ma la colpa è sempre e solo dei capitalisti privati, come ci ha insegnato Marx. E pazienza se il Muro di Berlino è crollato 33 anni fa, seppellendo le illusioni socialiste. 

Tre anni fa i conti non tornavano neanche per il Messaggero di Sant'Antonio, i fraticelli padovani volevano licenziare otto giornalisti. Poi la crisi è rientrata. La Divina provvidenza proteggerà anche l'economia italiana? Non resta che affidarci a lei. Con l'intercessione del Santo di Padova.

Wednesday, August 05, 2015

intervista a Boncinelli

LE DUE GIOVANI FOGGIANE SCAMBIATE IN CULLA: PARLA IL MASSIMO GENETISTA ITALIANO

di Mauro Suttora

Oggi, 27 luglio 2015

La nostra personalità è determinata dal Dna o dalla vita? Il caso delle due ragazze foggiane scambiate in culla 26 anni fa può illuminare l’eterno dibattito fra innatisti e empiristi? 
Insomma, alla nascita quel che noi saremo è già deciso dai geni, o siamo una tabula rasa che verrà plasmata dall’educazione e dall’esperienza?

«Sicuramente agli studiosi piacerebbe indagare sulla loro vicenda», risponde a Oggi Edoardo Boncinelli, massimo genetista italiano, «anche se per approdare a risultati scientifici un caso solo non fa testo».

Una ragazza è piombata in un ambiente sfortunato, tanto che poi è stata adottata da un’altra famiglia, mentre la seconda ha avuto una vita agiata, ma non priva di difficoltà psicologiche.
«Naturalmente oggi è difficile ricostruire la vita delle due ragazze, quanto ora siano simili a quel che erano da piccole, e come l’ambiente abbia influito sul loro carattere. Il problema è che la somma fra geni e vita non arriva mai a cento».

Cioè?
«Non osa dirlo nessuno, ma da trent’anni sappiamo che Dna e ambiente contano ciascuno al massimo un 33 per cento».

E il resto?
«Il terzo fattore si chiama caso. Fortuna. Nulla spiega il genio di Michelangelo o Leonardo: né i genitori, né l’educazione ricevuta».

Quindi anche il destino delle due ragazze era imponderabile? Se così fosse, non avrebbero diritto a risarcimenti.
«Le variabili sono infinite. La forza di volontà, per esempio, è temprata dalla vita. Il successo stimola il carattere, fino al punto di cambiare la capacità di realizzazione del soggetto».

Pensavamo il contrario: che siano le difficoltà, e non la bambagia, a creare personalità forti.
«E invece certi apatici al primo successo partono in quarta. L’appetito vien mangiando».

Comunque, dicono gli scienziati, gli scambi in culla sono rari. E pochissimi vengono scoperti. Quindi, gli studi sul conflitto natura/società riguardano casi più frequenti: Dna uguali cresciuti in ambienti diversi (fratellini separati alla nascita), o Dna diversi cresciuti nello stesso ambiente (figli adottati o illegittimi). E, da qualche anno, quell’immensa miniera statistica che sono le fecondazioni artificiali. Sempre che i donatori di seme abbiano fornito informazioni, e che ai figli venga rivelato il genitore biologico.
Mauro Suttora