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Wednesday, March 03, 2021

La tradizione del silenzio

Draghi e Brusaferro sono accomunati dalla virtù opposta a quella dell'italiano medio: la brevitas

di Mauro Suttora

HuffPost, 3 marzo 2021

Adoro Draghi e Brusaferro. Non a caso la rentrée del secondo in orario di punta tv ha coinciso con l’entrée del primo a palazzo Chigi. E con la sua ammirevole scomparsa dalla tv.

Draghi e Brusaferro sono accomunati dalla virtù opposta a quella dell’italiano medio: la brevitas. Tanto più preziosa in quanto da anni siamo logorati dalla logorrea politica, nel trionfo di chiacchieroni patentati come Conte e Renzi, Salvini e Berlusconi.

Draghi assomiglia invece al miglior primo ministro della storia italiana: Giovanni Giolitti. Il quale detestava parlare a tal punto che riuscì a farsi eleggere in Parlamento senza tenere neanche un comizio. Il parlamentare che non parlava. Naturalmente ciò poteva accadere solo in provincia di Cuneo, fra i laconici montanari del collegio di Dronero che gli rinnovarono la fiducia per quasi mezzo secolo.

“Perché parla così poco?”, chiesero a Giolitti. “Perché quando finisco di dire quel che devo dire, ho finito anche di parlare”.

L’esatto contrario di Arnaldo Forlani, la cui capacità di divagare rimane leggendaria: a un giornalista che gli faceva educatamente notare di avere parlato venti minuti senza rispondere alla sua domanda, rispose serafico: “Potrei continuare per ore”.

Giolitti affinò la sua stringatezza con il miglior ministro di Finanze e Tesoro della storia d’Italia: Quintino Sella, piemontese come lui. Era il suo direttore generale (stesso posto occupato da Draghi 130 anni dopo), e Sella lo convocava nel suo ufficio di primo mattino, con le finestre aperte. “Cosicché io, gelando, non vedevo il momento di essere congedato”, ricordò Giolitti. Risultato: i suoi rapporti furono i più sintetici mai ascoltati in quelle stanze.

Brusaferro era mio compagno al liceo classico di Udine. Già allora era serio, e quindi conciso, come tutti i veri friulani. Ho sperimentato sulla mia pelle la loro proverbiale assenza di facondia. La prima volta che venni invitato a cena dalla famiglia della mia fidanzata, tutto quel che mi disse suo padre fu, a un certo punto: “Mi passi le tegoline, per favore?”.

Ecco, assaporando l’assenza di Draghi dalla conferenza stampa per il suo dcpm, ho pensato che siamo in buone mani. Niente propaganda, nessuna vanteria su “modelli Italia” e “primati nei vaccini”. Spariti gli sproloqui “per rassicurare”.

Brusaferro è l’unico esperto desaparecido dalla tv e dalle polemiche negli ultimi mesi: ha parlato sempre e soltanto nella sua veste ufficiale di presidente dell’Istituto superiore di sanità, durante gli anonimi rapporti del venerdì.

Sono sicuro che non si presenterà alle elezioni e non diventerà assessore regionale in Puglia, come quell’altro scienziato.

Quanto a Draghi, il valore delle sue parole non da oggi è inversamente proporzionale alla frequenza con cui le pronuncia. Speriamo quindi che non dia retta ai tanti esperti di Scienze della comunicazione (laurea da abolire) i quali lo invitano a esternare, e che mantenga invece a lungo il suo ieratico silenzio.

Ci piacciono governanti concreti e noiosi come amministratori di condominio, magari un po’ grigi come quelli dei Grigioni svizzeri. Basta con i gigioni: a teatro e al circo torneremo dopo il virus. Grazie a Draghi e Brusaferro.

Mauro Suttora 

Wednesday, October 28, 2015

Elogio del riassunto

CONTRO LA PIAGA DEI LOGORROICI, RISCOPRIAMO LA VIRTU' DELLA SINTESI

Oggi, 21 ottobre 2015

di Mauro Suttora



Veni, vidi, vici. Il riassunto di Giulio Cesare su una battaglia vinta rimane insuperato, duemila anni dopo. E purtroppo non ci sono più politici come Giovanni Giolitti, che così spiegò cent’anni fa la propria laconicità: «Quando ho finito di dire quel che devo dire, ho finito anche di parlare».

Il problema è che proprio nell’era di Twitter e sms, i quali con il loro limite dei 140 caratteri ci dovrebbero costringere alla sintesi, scopriamo di non essere affatto capaci di riassumere. «Che non vuol dire solo essere brevi, ma anche saper cogliere il succo del discorso», avverte Ugo Cardinale, già docente di linguistica all’università di Trieste, autore del libro L’arte di riassumere (ed. Il Mulino).

I dati Ocse su lettura e comprensione sono tragici. Appena tre italiani su cento raggiungono i livelli più alti di competenza linguistica (rapporto fra lettura e comprensione), contro il 12% nella media dei 25 Paesi partecipanti.

«La prova che un testo è stato compreso sta nel saperlo riassumere», spiega a Oggi il professor Cardinale, «perché per riepilogare occorre non solo memoria, ma anche capacità di individuare le informazioni più importanti. Dobbiamo ricostruire mentalmente quel che abbiamo letto o ascoltato».

Ricordate i riassunti che si facevano a scuola? Negli ultimi decenni questa pratica è andata un po’ in disuso. Si privilegiano i dettati, sia alle elementari che alle medie. Per non parlare degli sciagurati test a scelta multipla, in cui basta piazzare una x sulla risposta giusta.
Così, quando arrivano alle scuole superiori, molti studenti si perdono di fronte a libri lunghi e complessi. «Non riescono a “scoprire il superfluo”», dice il professor Cardinale: applicare il setaccio della sintesi mentale per salvare i concetti-chiave.

L’incredibile caso di Pocahontas

Il resto dei danni lo fa la politica. Un esempio? «Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il capitano John Smith».
È la trama, in due parole, del cartone animato Disney Pocahontas. Ma Netflix, la piattaforma di film in streaming che il 22 ottobre sbarca in Italia, l’ha cambiata così: «Una giovane ragazza indiana d’America prova a seguire il suo cuore e a proteggere la sua tribù, quando i coloni arrivano e minacciano la terra che ama».

Entrambi i riassunti sono giusti. Ma sembrano due film diversi. Le femministe e i paladini degli indiani hanno tacciato la prima versione di sessismo e razzismo. Così è piombata la mannaia del “politicamente corretto”.

«Proprio per questo sostengo che il riassunto è una questione non solo cognitiva, ma anche etica», dice Cardinale, «perché dobbiamo avere un grande rispetto dell’autore. Non si può riassumere seguendo i propri schemi mentali, occorre immedesimarsi nel pensiero dell’altro».

«Per riassumere leggo tre volte il testo, trovo le cose fondamentali e le appunto», dice Filippo Bonomonte, 14 anni, primo anno al liceo milanese Virgilio. «È l’unico modo di imparare, non solo in italiano ma anche in storia e geografia. Il problema semmai è qualche prof, che ripete dieci volte la stessa cosa».

Nel 1982 Umberto Eco chiese a dodici scrittori di condensare in poche righe il loro romanzo preferito. Alberto Moravia si cimentò con Delitto e castigo, Piero Chiara con I promessi sposi. Ma anche questo esperimento provocò controversie. Italo Calvino bocciò Alberto Arbasino, accusandolo di avere infarcito il suo riassunto di Madame Bovary con commenti personali.
   
Insomma, le pillole di wikipedia ci sembrano facili. «Invece sono difficilissime da concepire», conclude il professor Cardinale, «e infatti Pascal così si scusò con un amico: “Ti mando una lettera lunga, perché non ho avuto il tempo di scriverne una breve”».

Soluzione: limare, ridurre all’osso. E, per i discorsi, sottoporre gli oratori al supplizio che il ministro Quintino Sella infliggeva ai suoi collaboratori, fra cui il giovane Giolitti: «Teneva le riunioni alle sette del mattino, tutti noi in piedi, col freddo che entrava dalle finestre spalancate. Così ci sbrigavamo».

Mauro Suttora