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Monday, May 23, 2016

Perché Pannella non lo votava nessuno?

ALLE ULTIME ELEZIONI DEL 2013 I RADICALI HANNO PRESO LO 0,3%

di Mauro Suttora

Oggi, 25 maggio 2016

Ma chi era veramente Marco Pannella? Come mai abbiamo santificato un uomo politico al quale nelle ultime elezioni, tre anni fa, abbiamo dato appena lo 0,3% dei nostri voti?

Nel 2013 i radicali non sono riusciti neppure a raccogliere le firme per presentarsi in metà delle regioni. Perciò oggi, quando la sua compagna Emma Bonino dice che «alcuni omaggi sanno di ipocrisia», si riferisce a tutti gli italiani, e non solo ai politici: «Amateci di meno e votateci di più», ha invitato, da concreta piemontese.

Il problema è che i radicali sono sempre stati un disastro, nelle urne. Il partito fondato  60 anni fa da Pannella ed Eugenio Scalfari (fra gli altri) alle prime politiche nel 1958 racimolò appena l’1,4%. Ed era alleato con i repubblicani, che da soli al voto precedente avevano preso l’1,1. Quindi, anche allora valevano lo 0,3%.
Alle comunali del ’60 riuscirono a eleggere l’attore Arnoldo Foà a Roma e Scalfari con lo scrittore Elio Vittorini a Milano (a Torino candidavano Norberto Bobbio). 

Un risultato che sperano di replicare il prossimo 5 giugno, sull’onda del ricordo di Pannella: Marco Cappato corre a Milano e il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi a Roma, in una lista di appoggio al pd Roberto Giachetti (ex radicale). 
Ma dovranno superare il 3%. E questo è successo solo tre volte nella storia: nel 1979 con Leonardo Sciascia, nell’84 grazie a Enzo Tortora, e nel ’99 con la lista Bonino che toccò l’8%.

Come mai Pannella non lo ha mai votato quasi nessuno? La risposta, curiosamente, arriva dal cantante Enrico Ruggeri. Che radicale non è, ma nel 2003 presentò a Sanremo la canzone Nessuno tocchi Caino contro la pena di morte (una delle innumerevoli campagne radicali): «A Pannella non interessava il consenso. Tutti i politici parlano con lo scopo di essere votati, lui no. Lui voleva solo ottenere risultati per le sue iniziative».

Lo spiegava Pannella stesso: «Io non “faccio” politica. Non “prendo posizioni”. Io lotto». Eppure non era un antipolitico come Beppe Grillo. Al contrario: prese la sua prima tessera di partito (liberale) a 15 anni, nel 1945. E per tutta la sua vita è stato un politico a tempo pieno, tranne qualche anno come giornalista (per Il Giorno nel 1959-62 e per l’Espresso nel 1973, quando seguì Mitterrand in Francia).

Ma ha sempre combattuto i politici se degenerano in Casta. Trent’anni prima del fortunato libro di Rizzo e Stella lottava contro la «partitocrazia» e il finanziamento pubblico ai partiti (quasi vinto il primo referendum del ’78). Per questo è riuscito a mantenere la fama di politico atipico e onesto.

Lo stesso è successo per un’altra battaglia di Pannella: l’anticlericalismo. Come mai è diventato amico di papa Francesco, lui legalizzatore di aborto e divorzio, superlaico, fautore dell’eutanasia, che ancora pochi anni fa sventolava cartelli “No Vatican no Taleban” contro il cardinale Ruini che lo aveva sconfitto nel referendum sulla fecondazione assistita del 2005? «Perché il clericalismo è solo una degenerazione del vero sentimento religioso. E noi radicali siamo sempre stati credenti. In altro che nella “roba”».
Mauro Suttora


Friday, May 20, 2016

Pannella/Bonino: un amore finito male

DOPO LA MORTE DI MARCO, EMMA FA PACE. TROPPO TARDI

di Mauro Suttora

Libero, 20 maggio 2016

Lui ha fatto politica per 70 anni: prima tessera da quindicenne (liberale) nel 1945. Lei esordì 40 anni fa, con un aborto e un arresto. Lui si portava appresso 120 chili (se non digiunava) per 190 cm. di altezza. Lei ne pesa 50 per un metro e 60. Agli antipodi anche la parlantina: barocco e fluviale lui, concreta e concisa lei.

Apostoli della democrazia diretta, dal 1974 hanno raccolto 67 milioni di firme per 122 referendum. Ne hanno vinti 35: divorzio, aborto, finanziamento pubblico ai partiti, obiezione di coscienza alla naja, voto ai 18enni, caccia, chiusura manicomi e centrali nucleari…

Marco Pannella ed Emma Bonino: dall’alto del proprio due per cento hanno cambiato la storia d’Italia dal 1970 a oggi. Sono il contrario di Beppe Grillo, loro imitatore: senza voti (e dal 2013 senza deputati) contano molto, mentre i grillini hanno tanti voti ma contano poco.

Formavano una coppia inossidabile. In tanti avevano cercato di separarli. Nel 1999, dopo il successo della lista Bonino alle europee (secondo partito col 12% al nord), Silvio Berlusconi definì Emma «protesi di Pannella».

Ma lei fino all'estate scorsa era rimasta fedele all’uomo che la fece entrare in Parlamento a 28 anni, con gli zoccoli da femminista. Uniti perfino dai tumori: entrambi ai polmoni, più una metastasi al fegato per Marco.

Fegatoso era stato l’attacco di lui a lei: «Non viene più alle riunioni di partito, non sappiamo che faccia». In realtà la Bonino è di nuovo attiva, superato il cancro con la chemio. Solo che, andando per i 70, si è stufata delle mattane del suo mentore.

Pannella negli ultimi 15 anni ha «adottato» un giovane radicale, Matteo Angioli, con cui ha convissuto in un rapporto socratico-platonico. Lo ha promosso all’interno del partito, fra mugugni vari. E ha rivelato che Bonino si è opposta alla pubblicazione di un loro epistolario.

Gelosia? Pannella è bisessuale: «Ho amato molto quattro uomini, ho avuto figli da due donne», ha confessato. Fra Marco ed Emma non c’è mai stato nulla di sentimentale. Quindi non è stato l’amore ad allontanarli, ma la politica.

Negli ultimi due anni Pannella si era fissato con «il diritto alla conoscenza e la transizione dei Paesi occidentali verso lo stato di diritto». Ha fatto organizzare al suo Matteo e all'ex ministro finiamo degli Esteri Giulio Terzi (predecessore della Bonino alla Farnesina) convegni sull’astruso tema, invitando a Bruxelles, a Roma e a Ginevra (la scorsa settimana) politici e ambasciatori stranieri.

«Emma non si era mai sottratta alle iniziative più strampalate di Marco», commenta Roberto Cicciomessere, già suo compagno e segretario radicale. Ma da un anno non collaborava più. Per lei ormai Pannella era zavorra. Da vent’anni vola nei sondaggi è stata due volte ministro, commissaria Ue (Pannella nel '94 la impose a Berlusconi che stava per mandare a Bruxelles Napolitano). Prima del tumore era perfino fra i favoriti per il Quirinale, al posto di Mattarella (apprezzata anche dai grillini).

Da piemontese leale e disciplinata, non ha mai polemizzato pubblicamente con Pannella. Versa ancora al partito radicale 2.500 euro al mese. «Ma se ne sta coi suoi amici del jet set», brontolava Marco: dalle sorelle Fendi a George Soros, che appoggiano la decennale battaglia della Bonino contro le mutilazioni genitali femminili.

A rimanere mutilati nell'ultimo anno sono stati i radicali: «Per noi Emma era la mamma e Marco il papà», geme l’ex deputato Marcello Crivellini. 

Ultimo strappo: le liste radicali alle comunali del 5 giugno. I boniniani Marco Cappato e Riccardo Magi si presentano a Milano e a Roma. I pannelliani Maurizio Turco e Sergio D'Elia non sono d'accordo. Ormai le due correnti litigano.

Emma non ha mai voluto vedere Marco durante gli ultimi mesi, nella mansarda in via Panetteria dove tutta Italia è andata in pellegrinaggio, da Renzi a Berlusconi. Ieri ha commentato commossa a Radio radicale la sua scomparsa: «Pannella ci ha insegnato molto, mancherà anche ai suoi avversari. È stato amato, ma non ha mai avuto riconoscimenti adeguati». 

Insomma, anche i monumenti divorziano. E figurarsi se non poteva farlo la strana coppia che ha regalato la legge sul divorzio all'Italia.
Mauro Suttora

Wednesday, August 12, 2015

Coppie in crisi: Pannella e Bonino

EMMA E MARCO, CHE BOTTE

«Non sei più radicale», accusa lui. «Ma se do al partito 2.500 euro al mese», risponde lei. Ecco i veri motivi della lite che divide i massimi libertari italiani

di Mauro Suttora

Oggi, 5 agosto 2015

Lui fa politica da 70 anni: prima tessera da quindicenne (liberale) nel 1945. Lei esordì 40 anni fa, con un aborto e un arresto. Lui si porta appresso 120 chili (se non digiuna) per 190 cm. di altezza. Lei ne pesa 50 per un metro e 60. Agli antipodi anche la parlantina: barocco e fluviale lui, concreta e concisa lei.

Apostoli della democrazia diretta, dal 1974 hanno raccolto 67 milioni di firme per 122 referendum. Ne hanno vinti 35: divorzio, aborto, soldi ai partiti, obiezione di coscienza alla naja, voto ai 18enni, caccia, chiusura manicomi e centrali nucleari…

Marco Pannella ed Emma Bonino: dall’alto del proprio due per cento hanno cambiato la storia d’Italia dal 1970 a oggi. Sono il contrario di Beppe Grillo, loro imitatore: senza voti (e ora neanche deputati) contano moltissimo, mentre i grillini hanno tanti voti ma contano pochissimo.

Formavano una coppia inossidabile. In tanti avevano cercato di separarli. Nel 1999, dopo il successo della lista Bonino alle europee (secondo partito in molte zone del nord), Silvio Berlusconi definì Emma «protesi di Pannella».

Ma lei è rimasta fedele all’uomo che la fece entrare in Parlamento a 28 anni, con gli zoccoli da femminista. Uniti ora perfino dai tumori: entrambi ai polmoni, più una metastasi al fegato per Marco.

Fegatoso è sembrato l’attacco di lui a lei su Radio radicale: «Non viene più alle riunioni di partito, non sappiamo che faccia». In realtà la Bonino è di nuovo attiva, superato il cancro con la chemio. Solo che, andando per i 70, si è stufata delle mattane del suo mentore.

Rapporto platonico con un giovane

Pannella negli ultimi 15 anni ha «adottato» un giovane radicale, Matteo Angioli, con cui ha convissuto in un rapporto socratico-platonico. Lo promuove all’interno del partito, fra mugugni vari. E ha rivelato che Bonino si è opposta alla pubblicazione di un loro epistolario.

Gelosia? Pannella è bisessuale: «Ho amato molto quattro uomini, ho avuto figli da due donne», ha confessato. Fra Marco ed Emma non c’è mai stato nulla di sentimentale. Quindi non è l’amore ad allontanarli, ma la politica.

Ora Pannella si è fissato con «la transizione dei Paesi occidentali e arabi verso lo stato di diritto». Fa organizzare al suo Matteo convegni sull’astruso tema, invitando a Bruxelles e a Roma (la scorsa settimana) politici stranieri.

«Emma non si era mai sottratta alle iniziative più strampalate di Marco», commenta Roberto Cicciomessere, già suo compagno e segretario radicale. Adesso invece non collabora più. Per lei ormai Pannella è zavorra. Da vent’anni vola nei sondaggi, è stata due volte ministro, commissaria Ue. Prima del tumore era fra i favoriti per il Quirinale (apprezzata anche dai grillino).

Da piemontese leale e disciplinata, non polemizza e versa ancora al partito radicale 2.500 euro al mese. «Ma se ne sta coi suoi amici del jet set», brontola Pannella: dalle Fendi a Soros, che appoggiano la battaglia della Bonino contro le mutilazioni genitali femminili.

A rimanere mutilati questa volta sono i radicali: «Per noi Emma era la mamma e Marco il papà», geme l’ex deputato Marcello Crivellini. Anche i monumenti divorziano.
Mauro Suttora

Wednesday, January 07, 2015

Presidenziabili 2014

Oggi, 31 dicembre 2014

di Mauro Suttora

Chi sarà eletto presidente della Repubblica in febbraio, passati i 15 giorni previsti dalla Costituzione dopo le dimissioni quasi sicure di Giorgio Napolitano? ROMANO PRODI, 75 anni, dev’essere risarcito per i 101 traditori che gli votarono contro nel segreto dell’urna due anni fa. Però è un vecchio dc.

Se sarà donna, potrebbe essere EMMA BONINO, 66 anni. Apprezzatissima in Europa (fu commissaria Ue negli Anni 90, nominata da Berlusconi) e nel mondo (si batte contro la pena di morte e ha fatto nascere la Corte internazionale dell’Onu). È radicale, quindi né di destra né di sinistra. E papa Francesco ha fatto cadere il veto del Vaticano contro di lei.

Un altro bipartisan: WALTER VELTRONI, 59 anni. Il fondatore del Pd non è più parlamentare, è stato «rottamato» da Renzi. Ma tutti ne apprezzano il buon carattere, anche se lo scandalo sulla mafia a Roma lo ha danneggiato (Luca Odevaine, arrestato, era un collaboratore del Veltroni sindaco).
 
Fra le candidate donne sembra un po’ in ribasso Roberta Pinotti, ministro della Difesa. ANNA FINOCCHIARO, 59, senatrice Pd, resta invece a galla: affidabile, affascinante, posata, la ex magistrata siciliana ha un’unica macchia: quella foto all’Ikea in cui un agente della scorta la aiutava a trasportare pacchi.
  
È un personaggio mitico, inaffondabile. Direttore del quotidiano Il Tempo per 15 anni, GIANNI LETTA, 79, è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio in tutti i governi Berlusconi. Zio di Enrico, il suo carattere felpato lo ha fatto apprezzare anche a sinistra. Se fosse eletto sarebbe il trionfo del «patto del Nazareno»: l’alleanza fra Renzi e Berlusconi nonostante i loro partiti siano uno al governo e l’altro all’opposizione. 
 
Sconosciuto al grande pubblico fino a due mesi fa, quando Renzi lo ha nominato ministro degli Esteri, il 60enne PAOLO GENTILONI andrebbe bene se il premier volesse un presidente che non gli faccia ombra. Passato dall’estrema sinistra (Manifesto) a quasi democristiano (Margherita), Gentiloni è amico degli Usa.
 
Fra i non politici di professione il più quotato sembra RENZO PIANO, 77. Il nostro architetto più famoso gode di fama mondiale e ha acquistato anche un po’ di esperienza istituzionale dopo la nomina a senatore a vita dell’agosto 2013. Un altro outsider di lusso è il senatore Nobel Carlo Rubbia, 80.

Wednesday, January 15, 2014

Politici: nuovo stile "povero"


UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA FA RINUNCIARE AI SIMBOLI DEL POTERE




















Oggi, 9 gennaio 2014

di Marianna Aprile e Mauro Suttora

Fra i meriti che ora tutti riconoscono a Pier Luigi Bersani, ora convalescente, c’è quello di non aver mai esibito la pompa del potere. Nessun codazzo di gorilla da segretario Pd, poco uso di auto blu. Era facile incontrarlo solo, senza scorta (neanche un portaborse) sui voli di linea Roma-Milano, seduto in posti non privilegiati.

Con l’aria che tira, non è più l’unico. Diversi politici, in tutto il mondo, esibiscono una nuova consapevolezza. Il nuovo sindaco di New York, Bill de Blasio, è arrivato in metro alla propria cerimonia di inaugurazione. Per la verità anche Mike Bloomberg, suo miliardario predecessore, non disdegnava la subway.

Ma con i politici non si sa mai se le paparazzate di vita sobria siano casuali, combinate, o addirittura sollecitate: magari vanno sempre in elicottero, però l’unica volta che ci rinunciano si fanno fotografare. Quel che è sicuro, è che la cancelliera tedesca Angela Merkel usa ancora sci di fondo vecchi di vent’anni e costruiti nella sua ex Germania Est. È caduta, si è fratturata il bacino.

Pisapia a piedi, fa la spesa da solo

E in Italia? Niente trucchi per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia: neanche un vigile di scorta, gli piace andare a piedi, anche al super per la spesa. Quella stessa spesa (all’Ikea) che ha invece distrutto le speranze quirinalizie di Anna Finocchiaro, sorpresa a far spingere il suo carrello da un agente.

Sono le scorte per ragioni di sicurezza la scusa per le auto blu: «Ci rinuncerei, ma me la impongono», è il ritornello. L’attentato dello squilibrato contro il carabiniere di Palazzo Chigi lo scorso aprile ne ha interrotto lo sfoltimento. E provocato qualche segreto sospiro di sollievo fra qualche politico.

Ma non è solo l’auto lo status symbol del potere. C’è la fantozziana metratura dell’ufficio. Megagalattico quello proposto nove mesi fa al neo consigliere regionale lombardo 5 stelle Eugenio Casalino: «Erano 200 metri quadri, mezzo 23esimo piano del Pirellone. Solo perché ho la carica di segretario dell’ufficio di presidenza. Ho rinunciato a tre stanze su sette. Ma qui in regione Lombardia i grandi sprechi avvengono negli staff per gli assessori e nelle società partecipate e controllate: Lombardia Informatica, Infrastrutture Lombarde, Aler (case popolari) e Finlombarda».

Il deputato bresciano Mario Sberna (Scelta Civica) ogni anno fa un fioretto quaresimale: indossa ovunque sandali senza calze. Si presentò così anche in Parlamento, appena eletto. A Roma alloggia in un convento di suore (20 euro al giorno). Cinque figli, Sberna è ex presidente dell’Associazione famiglie numerose. Il deputato francescano trattiene dallo stipendio solo 2.500 euro e le spese per i suoi giorni romani, tutte documentate. Sul suo sito pubblica l’elenco dei versamenti alle associazioni cui va il resto del suo stipendio.

Come lui fanno tutti i 150 parlamentari 5 stelle. Che devolvono la differenza a un fondo per le piccole e medie imprese. Ma solo Paola Taverna si è presentata con le infradito in Senato d’estate.

Ministri Bray, Delrio e Bonino a piedi

E i ministri? Nel maggio 2013 Massimo Bray (Beni culturali), è stato fotografato sulla Circumvesuviana mentre si recava in visita privata a Pompei. Una passeggera lo ha riconosciuto e ha twittato la foto di lui in piedi, con le cuffiette nelle orecchie (ascoltava Asaf Avidan). Poi il treno si è guastato, e il ministro ha chiesto un passaggio a un passeggero per raggiungere Pompei.

Graziano Delrio (Affari regionali), nove figli, ha tenuto la poltrona di sindaco di Reggio Emilia, ma ha rinunciato agli 80 mila euro di stipendio. E alla scorta che il ruolo gli attribuiva automaticamente, contro il parere del ministero degli Interni. Al giuramento al Quirinale è arrivato a piedi, come Emma Bonino. A piedi e senza scorta si muovono anche il due volte premier Romano Prodi e il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S).

Notoriamente i sindaci di Firenze Matteo Renzi (neosegretario Pd) e di Roma Ignazio Marino vanno in bici. Ma le due ruote nella capitale non fanno notizia: le utilizzava già vent’anni fa il primo cittadino Francesco Rutelli, seppur motorizzato. Ora i motorini sono diventati «scooteroni»: ne usa uno la 5 stelle Roberta Lombardi.

La moda della bici  ha colpito (per poco) persino Daniela Santanchè: all’inizio della legislatura, complice la ventata di low profile grillino, la pitonessa prese ad andare alla Camera in bici. Durò poco: smise causa tacco 12.

Ben 57 mila agenti per le scorte

Ventata di austerity anche ai piani alti: il premier Enrico Letta si è presentato al Quirinale per ricevere l’incarico dal presidente Giorgio Napolitano con la Fiat Ulysse di sua moglie (auto aziendale da giornalista del Corriere della Sera), ha trascorso pochi giorni di vacanze estive nel giardino di casa a Pisa nella piscinetta gonfiabile, e a Capodanno ha preso un volo di linea per la Croazia.

Ma quanti sono i personaggi scortati, in Italia? Mezzo migliaio (dati del sindacato Sap, ottobre 2013), suddivisi in quattro livelli di protezione: 17 di primo livello (tre auto blindate con ben tre agenti per auto); 82 di secondo livello (due auto con tre agenti per auto); 312 di terzo livello con un’auto e due agenti; 102 con un’auto e un agente. Totale: 1900 agenti al giorno (57mila al mese) tra polizia, Carabinieri, Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale. Costo: 250 milioni di euro l’anno.

Nel 2012 sono state tagliate scorte di quarto livello a 70 parlamentari; nel 2013, invece, nessun taglio. Le auto blu sono 63.700, le grigie (auto di servizio non blindate e senza autista) 54.250, per un costo annuo di 2 miliardi di euro. A usufruire delle auto grigie sono, per esempio, i Prefetti. Quelli delle grandi città, in genere, ne hanno una assegnata “in esclusiva”. Quelli delle città medio-piccole, invece, ne condividono l’uso con gli altri dirigenti delle Prefetture. Dispongono di un’auto grigia, quasi sempre in esclusiva, anche i dirigenti e gli alti burocrati di ministeri ed enti (Csm, Authorities, Corte Costituzionale).

Tra tutti i personaggi (giornalisti, politici o ex politici) scortati, ce ne sono alcuni che più di altri fanno storcere il naso. Qualche esempio? Fonti vicine al Viminale confermano che sono sottoposti a protezione l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, sua moglie Sandra Lonardo, gli ex ministri Paolo Cirino Pomicino, Oliviero Diliberto e persino Claudio Scajola (che da ministro dell’Interno negò la scorta al giuslavorista Marco Biagi, poi ucciso dalle nuove Br). Ancora sotto scorta gli ex presidenti della Camera Fausto Bertinotti e Pierferdinando Casini, e del Senato Marcello Pera.

Nell’estate 2013 Gianfranco Fini, allora presidente della Camera, finì sui giornali per gli 80 mila euro che costò il soggiorno della sua (legittima) scorta in nove stanze di un hotel nel centro di Orbetello durante le vacanze di Fini e famiglia ad Ansedonia (Grosseto).

Hanno ancora la scorta l’ex presidente del Lazio Renata Polverini, ora deputata, l’ex ministro Elsa Fornero, l’ex pm Antonino Ingroia, l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, l’ex presidente della Democrazia cristiana Ciriaco De Mita. Tra i giornalisti sottoposti a tutela, figura Emilio Fede (condannato a 7 anni in primo grado per favoreggiamento della prostituzione).

Piccola nota: gli ex ministri non possono rinunciare alla scorta per i tre mesi successivi alla fine dell’incarico. Prima era un anno, poi un provvedimento dell’ex Guardasigilli Paola Severino ha stabilito fossero tre mesi; dopo, un comitato valuta se la personalità in questione ne ha ancora davvero bisogno.
Marianna Aprile e Mauro Suttora

Wednesday, October 23, 2013

Grillo è stufo?

QUANTI GRATTACAPI PER IL FONDATORE DEI 5 STELLE

Diktat sui clandestini. Sanzioni ai dissidenti. Capilista benemeriti eliminati. Nessuna democrazia. I grillini sono in panne. Ma dicono: «La colpa non è di Beppe, i danni li fa Casaleggio»

Oggi, 16 ottobre 2013

di Mauro Suttora

«Ha perso la testa». Questo è il commento più comune fra gli sconsolati attivisti del Movimento 5 stelle (M5s). Si riferiscono non a Beppe Grillo, fondatore e padre-padrone del movimento, ma al suo guru Gianroberto Casaleggio: è lui a gestire, in concreto, il secondo partito italiano.

Grillo si sta stufando del suo giocattolo. I 150 parlamentari eletti a febbraio fanno troppo di testa loro. Due senatori sono riusciti a sconfiggere il Pdl facendo passare in commissione un proprio emendamento che abolisce il reato di clandestinità per gli immigrati.

Rottura con Dario Fo e Marco Travaglio

Apriti cielo: il giorno dopo Casaleggio li ha sconfessati pubblicamente, con un diktat firmato anche da Grillo. Risultato: rivolta sia dei parlamentari, sia degli attivisti. E rottura con tutti: Dario Fo, Marco Travaglio, il quotidiano Il Fatto (l’unico vicino ai grillini). Sembra che Casaleggio sia posseduto da un «cupio dissolvi», una mania autodistruttiva. Che ha già fatto fuori Stefano Rodotà (candidato 5 stelle al Quirinale in aprile), Milena Gabanelli (la più votata per quella stessa carica), Emma Bonino (anche lei fra i presidenziabili, e antesignana della lotta contro il finanziamento pubblico ai partiti).

Sede vicino a via Montenapoleone

Il pugno di ferro di Casaleggio si fa sentire anche all’interno del movimento. La gestione apparentemente libertaria (niente statuti, sedi, dirigenti, funzionari), in realtà è quasi stalinista. Vietato ogni minimo dissenso. Casaleggio, dalla sede della sua società in centro a Milano (fra Montenapoleone e Mediobanca, zona di lusso da 20mila euro a metro quadro, alla faccia della polemica contro i «poteri forti»), si spinge a telefonare personalmente a consiglieri comunali (quello di Trieste Stefano Patuanelli) per chiedere condanne pubbliche contro i dissidenti (il senatore del Friuli-Venezia Giulia Lorenzo Battista).

Il ricatto: se non si obbedisce, il simbolo M5s viene ritirato (è di proprietà di Grillo e Casaleggio). La gestione del partito è familistica: il nipote di Grillo ne è vicepresidente, il figlio di Casaleggio guida un orwelliano e anonimo «Staff» che da Milano comanda tutti a bacchetta.

Basilicata: eliminato l’eroe verde

L’ultima scivolata: il candidato capolista alle imminenti regionali in Basilicata (17 novembre) Giuseppe Di Bello, tenente della polizia provinciale, cancellato dalla lista perché condannato in primo grado a due mesi per «rivelazione di segreto d’ufficio». Vincitore alle primarie online, Di Bello è stato poi cacciato per la regola che vieta la candidatura di condannati. Peccato che il reato da lui commesso sia in realtà una medaglia: i dati «rivelati» riguardano l’inquinamento del lago Pertusillo, che fornisce acqua potabile alla regione. Di Bello, assieme a Maurizio Bolognetti (che sarà invece capolista radicale) è considerato un eroe dagli ecologisti locali. Solo per i ciechi burocrati di Casaleggio è un poco di buono.

I sondaggi continuano a dare i 5 stelle al 20%. Grazie ai passi falsi degli altri partiti, il movimento è ancora visto come l’unico voto di protesta. Ma al suo interno si sfalda. Da anni Casaleggio promette una «piattaforma» online per prendere le decisioni in maniera democratica. Ma non arriva mai, quindi decidono tutto lui e Grillo.

Alcuni eletti hanno messo a punto un «Parlamento elettronico» per mantenere l’impegno con gli elettori di consultarli sempre sulla Rete: si considerano infatti semplici «portavoce dei cittadini». Hanno raccolto 160 mila euro per realizzarlo, dalla Cina sono arrivate le chiavette per il riconoscimento, come quelle delle banche (Casaleggio invece gestisce i voti online dal suo server privato). Ma il giorno dopo la presentazione ufficiale, Casaleggio li ha bocciati.

Si contraddicono su Napolitano

Imbarazzo perfino per la fedelissima Paola Taverna, la «poetessa», nuova capogruppo al Senato dopo Vito Crimi. È andata a presentare al presidente Giorgio Napolitano il piano carceri del M5s che potrebbe evitare l’amnistia avversata dai grillini. Ma il giorno dopo Casaleggio mette sul blog una richiesta di impeachement contro Napolitano. Come si fa a dialogare con un presidente, se lo si considera un farabutto da cacciare?
Mauro Suttora

Wednesday, August 28, 2013

Enrico Letta in piscinetta

Il premier gioca con moglie e figli nel giardino della casa di famiglia: vacanze agli antipodi di quelle di Berlusconi

di Mauro Suttora

Colignano (Pisa), 21 agosto 2013

Il 20 agosto ha compiuto 47 anni. Il più giovane premier italiano dopo Benito Mussolini, Amintore Fanfani e Giovanni Goria. Sarà anche il più breve, o il più longevo?
 
Entrambe le possibilità sono aperte per Enrico Letta. Che in queste pagine vediamo giocare con i figli e la moglie nella piscinetta della villa di famiglia vicino a Pisa. Una breve pausa di relax fra gli impegni a palazzo Chigi, i viaggi all’estero e la partecipazione al meeting di Comunione e liberazione a Rimini.

Qui il serafico Letta ha tirato fuori le unghie, attaccando i «professionisti del conflitto». Chi sono? Quelli che vorrebbero già far cadere il suo governo, nato appena quattro mesi fa. «Gli italiani puniranno chi antepone i propri interessi a quelli del Paese», avverte. A chi si riferisce?

Alle opposizioni, naturalmente, ma anche ai “falchi” del Popolo delle Libertà che non esitano a minacciare il ritiro della fiducia se Silvio Berlusconi perderà il suo seggio di senatore dopo la condanna a quattro anni di carcere per frode fiscale.

Ma nel mirino di Letta ci sono anche alcuni esponenti del suo partito, il Pd, che criticano in continuazione il governo, indebolendolo. Non è un mistero che diversi democratici, soprattutto quelli di sinistra, abbiano paura che l’alleanza con Berlusconi faccia perdere voti al partito.

Si vergognano per le larghe intese
A beneficiarne sarebbero Beppe Grillo (Movimento 5 stelle), Nichi Vendola (Sel) e Roberto Maroni (Lega). Così, il governo Letta delle «larghe intese» viene continuamente strattonato da sinistra e da destra. Tutti dicono di «essere costretti» a governare assieme agli avversari dell’ultimo ventennio per cause di forza maggiore (la crisi economica).
Gli unici a difenderlo compatti sono i montiani. Ma rappresentano solo il 10 per cento degli elettori.

Già il 9 settembre, quando si riunirà la giunta per le elezioni del Senato, il governo Letta potrebbe cadere perché il Pd, è quasi sicuro, voterà per la decadenza da senatore di Berlusconi.

Poi ci sono i possibili incidenti di percorso, come il caso Shalabayeva (la moglie del dissidente kazako espulsa dall’Italia con la figlia di sei anni).

Infine, la crisi economica. Se i mercati internazionali continueranno a «graziare» l’Italia, mantenendo lo spread con i titoli tedeschi sui 250 punti (contro i 570 di venti mesi fa), il governo rimarrà solido. La stabilità paga, come ammonisce continuamente il capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Ma se si tornasse alle turbolenze, o se l’Italia non riuscisse ad agganciare la timida crescita del resto d’Europa, il destino di Letta sarebbe più difficile.

È in cima ai sondaggi.
In ogni caso, il premier negli ultimi sondaggi di popolarità è in cima alla classifica assieme a Napolitano, Matteo Renzi ed Emma Bonino. E molti ipotizzano che il suo governo duri fino al 2015. Letta può quindi godersi qualche giorno di vacanza in relativa tranquillità.
Mauro Suttora     

Wednesday, August 07, 2013

Pd: parlano Moretti e Serracchiani


Oggi, 31 luglio 2013

di Mauro Suttora

Ma esiste ancora il Partito democratico? Ogni testa una corrente, non sono mai uniti su nulla. Passano il tempo a litigare. 
«Ci siamo, ci siamo, anche se un po' a pezzi e in difficoltà», assicura a Oggi Alessandra Moretti, deputata di Vicenza. Volto nuovo del Pd, lanciata come portavoce lo scorso autunno dal segretario Pier Luigi Bersani. «Ci sono soprattutto i milioni di cittadini che ci hanno votato: chiedono una rigenerazione del partito, un'autocritica serena e severa. E poi dobbiamo parlare di contenuti, di progetti».

«Confusione molta, certezze poche», ammette Debora Serracchiani, da tre mesi presidente della regione Friuli-Venezia Giulia dopo quattro anni da eurodeputata.

Le discussioni ruotano sempre, ormai da un anno, attorno al nome di Matteo Renzi. Prima delle elezioni di febbraio voleva la candidatura a premier, e prese il 40 per cento alle primarie. Ora, forte di una popolarità al 60% (a quei livelli solo Enrico Letta, Giorgio Napolitano ed Emma Bonino, nei sondaggi) mira invece alla guida del Pd, lasciata da Bersani a Guglielmo Epifani fino al congresso di fine anno.

Il problema è che i dirigenti democratici non riescono a mettersi d'accordo neppure sulle regole del congresso che eleggerà il nuovo segretario. Epifani, Bersani e Dario Franceschini vogliono seguire le regole classiche di ogni associazione: votano solo gli iscritti. In questo caso, però, Renzi rischia di non farcela. Perché il sindaco di Firenze è apprezzato più fuori che dentro il suo partito. 
«La nostra gente vuole primarie aperte», dice la Moretti, «in un momento di disaffezione come questo dobbiamo spalancare porte e finestre». Gli iscritti infatti sono un tasto dolente: appena 600 mila, rispetto al milione di Pds e Margherita prima della fusione nel 2008. E agli 800 mila del 2009.

Ma voi e gli altri che propongono di far votare anche i simpatizzanti, lo fate per favorire Renzi? Moretti: «Non so se deciderà di candidarsi. So che il Pd deve dimostrare di essere una forza che attrae non solo i militanti e gli iscritti, ma anche il popolo dei delusi: quel 40 per cento che alla politica non crede più». Serracchiani: «Il primo articolo dello statuto Pd dice che votano gli iscritti, ma anche gli elettori. Sia per il premier che per il segretario».

Quindi, onorevole Moretti, per lei un'altra rottura con Bersani dopo il suo no a Franco Marini da lui proposto al Quirinale? «Con Bersani mantengo un rapporto di stima e lealtà autentica. Che significa anche saper manifestare il proprio dissenso. E non è sempre una scelta facile. La candidatura di Marini non era sbagliata in sè: era sbagliato il metodo con cui si è arrivati a quel nome, che ha determinato la rottura della coalizione di centrosinistra».
  
Le danno dell'ingrata, però. «A tradire Bersani sono stati quelli che lo hanno mal consigliato, non certo io. Un vero leader evita di circondarsi di yes men, che per fedeltà non osano mai contraddire il capo. Con altri quaranta deputati, soprattutto giovani e neoeletti, ora sono una dei "non allineati", fuori dalle correnti interessate solo alla spartizione di incarichi e poltrone».

Letta ha definito «fighetti» i “giovani” pd emergenti che prendono sempre le distanze per farsi notare dai media: Pippo Civati, Matteo Orfini, voi due… «Ma per carità, io non ho mai criticato tanto per criticare né il partito, né il governo Letta», si difende Moretti. «Al contrario, lo sostengo e apprezzo la capacitá del premier di ascoltare e rispettare anche posizioni differenti». 
Serracchiani: «Non mi sento tirata in causa: alle europee e alle regionali si viene eletti con le preferenze. Quindi i voti ho dovuto cercarli, e me li sono guadagnati uno a uno».

Allora, Letta premier e Renzi segretario? Moretti: «Letta sta procedendo bene in condizioni difficilissime. All'inizio avevo creduto nel tentativo di Bersani di coinvolgere i 5 Stelle. Ma Grillo ha dimostrato di voler fare solo battaglie mediatiche di scontro: niente proposte costruttive, tanta demagogia». 
Serracchiani: «I 5 Stelle non vogliono prendersi responsabilità. Per esempio, hanno detto di condividere il 90 per cento del mio programma in Friuli, ma sono rimasti all’opposizione».

Ma se Renzi conquista il partito, quanto durerà Letta? Prodi nel 2008 cadde, dopo che Veltroni divenne segretario Pd. Serracchiani: «Possono tranquillamente convivere. Magari Renzi come premier, visto che ha già governato un comune e una provincia: ha esperienza amministrativa. Sono complementari, perché dovrebbero farsi la guerra? Il Pd è un grande partito, c’è spazio per tutti e tanti. Però ci vuole un profondo ricambio». 

Moretti: «Le manovre di potere ci porterebbero al suicidio, sono vecchia politica. Oggi in Italia la prioritá è il lavoro, per creare occupazione bisogna abbassare le tasse su chi il lavoro lo produce». E l'Imu? «Trovo iniquo toglierla a tutti: io, per esempio, è giusto che la paghi. E lo faccio volentieri se quelle risorse vanno ai Comuni che garantiscono i servizi essenziali alle persone. Questi sono i problemi concreti. Tutto il resto è chiacchiera».
Mauro Suttora

Monday, May 27, 2013

Roberta Lombardi e Vito Crimi

INTERVISTA PARALLELA AI CAPIGRUPPO DEL MOVIMENTO

COPPIA 5 STELLE

«Grillo dittatore? Neanche leggiamo i suoi post...»

Lavorano dalle 9 alle 21. Dormono (poco) con la Costituzione sul cuscino. Sono esausti ma felici: «Da noi c'è democrazia». E Beppe? Una sola critica: «È troppo buono»

di Mauro Suttora  

Oggi, 22 maggio 2013




Che orari avete? 
Roberta Lombardi: «Dalle 9 del mattino alle 9 di sera: sedute in aula e commissione, riunioni del gruppo 5 stelle e della “capigruppo”, preparazione lavori, studio documenti. Un massacro. Ma è bello».
Vito Crimi: «Alle 8.30 briefing del nostro ufficio di presidenza. Aula e commissioni da martedì al giovedì. Incontri con ambasciatori e organizzazioni, assemblee interne e congiunte fino alle 21». 
Lombardi, come fa con suo figlio?
«Lo vedo solo la mattina presto, perché quando torno a casa la sera già dorme. Ma mi consolo pensando che è per pochi mesi, o anni. E che sto facendo qualcosa per lui anche fuori casa».

Crimi, quanto paga l’hotel a Roma?
«Camera doppia, 60-80 euro».

Crimi, lei guadagnava 20 mila euro l’anno da impiegato al tribunale di Brescia. Ora li prende in un mese. 
«No. Pagati i collaboratori con i 4.180 euro lordi al mese, e detratte le spese con parte della diaria, restituiamo tutto tranne 5.000 lordi».

Lombardi, come concilia i suoi tempi?
«Fuori dal Parlamento era più facile. Dopo cena andavo a riunioni, o mi mettevo al computer. Bisogna essere capaci di delegare. E ruotare gli incarichi più pesanti, come facciamo noi».

Voi 5 stelle, però, praticate la «condivisione», così dovete riunirvi il doppio.
Lombardi: «Anche più del doppio. Un funzionario mi ha detto che non aveva mai visto una cosa simile: “Voi parlate tutti. Mentre dagli altri arrivano i dirigenti, danno gli ordini, e la riunione è finita”».
Crimi: «La condivisione è molto bella: permette di conoscersi, confrontarsi, stimarsi e fare comunità».

Una cosa anche piccola che siete riusciti a cambiare in questi primi tre mesi?
L. «La selezione dei collaboratori parlamentari, che si era stratificata negli ultimi vent’anni. Ora sono scelti in base al merito e ai curricula».
C. «E hanno tutti contratti regolari a tempo determinato, con ogni tutela».

Un vostro insuccesso, invece?
L. «Non riusciamo a comunicare bene i nostri risultati fuori di qui. Gli altri partiti hanno dovuto ripulire le liste e fare primarie, imitandoci. Ma l’opinione pubblica non sa che il merito è dei 5 stelle. Colpa nostra, ma anche dei media».
C. «Non siamo riusciti a far partire subito le commissioni».

Perché ce l’avete con tutti i giornalisti?
L. «Individualmente, siete delle brave persone. Ma dipendete da un sistema che troppo spesso distorce le notizie».
C. «Ce ne sono di onesti e simpatici».

Priorità nei prossimi mesi?
L. «Abolizione dei rimborsi elettorali, dell’Imu, impignorabilità della prima casa, eliminazione delle Province».
C. «Reddito di cittadinanza».

L’obiettivo più facile?
L. «I rimborsi ai partiti, da sostituire con finanziamenti volontari individuali e detraibili: Letta si è detto d’accordo».
C. «Sì, sulla riduzione dei costi della politica non potranno tirarsi indietro».

Anche sull’Imu è fatta, non la vuole neppure Berlusconi.
L. «Ma dobbiamo trovare la copertura, altrimenti sfasciamo il bilancio». 

E l’obiettivo più difficile?
L. «La legge sul conflitto d’interessi».
C. «Il reddito di cittadinanza».

Nuova legge elettorale: di preferenze non parla più nessuno. Sempre parlamentari “nominati” invece che eletti?
L. «Noi vogliamo reintrodurle. Non c’è bisogno di “pigiatasti” fedeli ai partiti».
C. «Non ne parlano più gli altri...»

Se otteneste un referendum sull’euro, cosa votereste?
L. «Dipende...»

Ecco, Lombardi, anche lei risponde già come una professionista della politica.
L. «Ma dipende dal contorno: se si va verso un’unione politica, l’euro va bene. Se invece rimaniamo così, senza speranza di cambiare, voterei contro».
C. «La questione è: che Europa vogliamo».

Una cosa che non vi va di Grillo?
L. «Dà confidenza a tutti, non ha filtri nell’accoglienza. Lo conosco da sei anni, si fida di cani e porci. È troppo buono».
C. «Non mi sono mai posto la domanda. Siamo qui per un obiettivo al di là delle nostre idee, una rivoluzione culturale». 

La cosa che vi piace di più di Grillo?
L. «Visione, entusiasmo per cambiare».

Pro e contro di Vito Crimi?
L.: «Di Vito mi piace tutto. Senza di lui non mi sarei candidata portavoce».

Pro e contro di Roberta Lombardi?
C. «Idem come sopra».

I vostri 163 parlamentari sono debuttanti totali. Non era meglio eleggerne almeno qualcuno con un po’ d’esperienza?
L. «I consiglieri regionali e comunali 5 stelle dovevano finire il loro mandato. È scorretto saltare da una carica all’altra».
C. «Qualunque deroga significa un fallimento, la coerenza è la nostra più importante virtù. L’esperienza ce la faremo».

Qualità e difetti maggiori dei vostri eletti?
L. «Non siamo assuefatti e rassegnati. Proprio perché nuovi, vogliamo cambiare. L’altra faccia della medaglia è che a volte siamo ipercritici su tutto. Dobbiamo trovare delle priorità».
C. «La miglior qualità è la semplicità con cui si affrontano problemi complessi. Il peggior difetto l’eccessiva severità nei confronti dei propri colleghi».

E le vostre virtù e difetti personali?
L. «Affronto i problemi, senza svicolare o rimandare. Però, nella velocità, a volte dimentico di “condividere”, di comunicare con gli altri».
C. «Qualità, chiedetela ai miei colleghi. Difetto: poca conoscenza dei complessi regolamenti parlamentari, che sto imparando a conoscere a poco a poco».

Ultimo libro letto?
L. «Mi addormento ogni sera con la Costituzione in mano».

Capirai, che noia.
L. «Divoravo i libri, ora non ho più tempo. Adoro Bulgakov, critico sociale spietato ma leggero e ironico».

E lei, Crimi?
«Ieri un libro di Camilleri, La rivoluzione della luna, che consiglio a tutti: molti parallelismi con questo momento storico... Durante i weekend mi ritaglio due orette per portare mio figlio al cinema».

Film preferito?
L. «La saga di Guerre Stellari».
C. «Ironman, e tutti quelli con Robert De Niro».

Personaggio storico ammirato?
C. «Adriano Olivetti».

Cosa votavate prima di Grillo?
L. «Scheda bianca».
C. «Rete, Rifondazione comunista, Verdi, Pds, Idv. Ho votato la persona anziché l’ideologia, per questo vorrei poter esprimere nuovamente una preferenza».
Rendiconterete le vostre spese on line?
L. «Certo, stiamo solo calcolando i contributi Inps».
C. «Abbiamo già pronti i rendiconti, alcuni l’hanno già pubblicato, ma stiamo aspettando di farlo tutti insieme in modo unitario. Non è facile, e abbiamo anche avuto parecchi impegni istituzionali».

Quando vi emanciperete da Grillo e Casaleggio?
L. «Già fatto. I post quotidiani di Grillo a volte ci dimentichiamo perfino di leggerli. E Casaleggio è un idealista sognatore».
C. «Emanciparsi vuol dire rendersi autonomi, ma noi lo siamo già. Perché dovremmo emanciparci?»

Perché espellete così tanti eletti?
L. «È vero il contrario: accogliamo tutti, c’è poca selezione all’ingresso. Poi, però, le persone si conoscono sul lungo periodo. Non abbiamo bisogno di capetti».
C. «Le espulsioni sono molte meno di quelle fatte dai partiti tradizionali, a centinaia. Quelle persone si sono tirate fuori dal movimento per loro scelta. Le espulsioni sono solo state la ratifica di una scelta autonoma effettuata da loro».

Qualche avversario politico simpatico?
L. «Giancarlo Giorgetti, capogruppo leghista: a volte mi fa ridere».
C. «Roberto Calderoli».

E spiacevoli conferme?
L. «Mah, un po’ tutti, da Brunetta in su. Li guardo, e continuano a sembrarmi personaggi staccati dalla realtà».

Ci sono ottime donne ministro nel governo Letta: Josefa Idem, Emma Bonino, Cécile Kyenge... Concorda?
L. «Vedremo. La Bonino era nostra candidata al Quirinale, ma sui beni pubblici come l’acqua siamo distanti: troppo liberista».
C. «Vedremo».

I vostri candidati presidenti erano tutti di sinistra: Rodotà, Gabanelli, Strada, Imposimato, Dario Fo... Perderete i voti dei delusi del centrodestra?
L. «Non siamo di sinistra, ma pragmatici e di buon senso. Non abbiamo ideologie e preconcetti».
C. «Non facciamo calcoli elettorali».

Grillo dice di voler arrivare al 50 e anche al 100 per cento dei voti. Velleitario?
L. «Lo dice perché auspica che i cittadini partecipino di più alla politica, controllando gli eletti. Solo così si impedisce che diventino casta».
C. «È una previsione, se gli altri continuano così».

Se cadesse il governo, appoggereste un nuovo premier di vostro gradimento? O alzereste lo stesso muro?
L. «Siamo sempre stati disponibili al cambiamento. Vero, però».
C. «Riproporremo un governo di alto profilo, al di sopra dei partiti».

Che fine ha fatto la piattaforma per far votare on line i vostri registrati?
L. «Non me lo dica. Siamo disperati. Pare che parta entro l’estate».
C. «C’è già, l’abbiamo utilizzata per le primarie: Parlamentarie, Regionalie, Quirinalie. A breve la useremo anche in modalità più evoluta».

Davvero vi dimetterete da capigruppo?
L. «Non vedo l’ora di tornare al mio beato anonimato. Evviva la rotazione trimestrale delle cariche».
C. «Certo, il 15 giugno come previsto».

Più simpatica Santanché o Gelmini?
L. «Mai incontrate, anche se sono deputate. La Gelmini una volta, di sfuggita».

Lei viene chiamata Roberta “Simpatia” Lombardi.
«Allora sono fortunata, visti certi altri soprannomi...»
Mauro Suttora