Wednesday, October 18, 2017

Franzoso: eroe per caso



Denuncia le "spese pazze" da mezzo milione del presidente di Ferrovie Nord (Regione Lombardia). Ma invece di essere premiato, viene prima mobbizzato e poi licenziato 

di Mauro Suttora

Oggi, 12 ottobre 2017

Ci tiene a precisare: «Non mi sento un eroe. Ho fatto solo il mio lavoro».
E il lavoro di Andrea Franzoso, 39 anni, già ufficiale dei Carabinieri, era quello di controllore dei bilanci alle Ferrovie Nord, società pubblica che gestisce i treni locali in Lombardia.

Due anni fa gli passano sotto gli occhi queste spese personali del presidente Norberto Achille: 124 mila euro in bollette per i cellulari aziendali usati anche da moglie e figli, 180 mila in multe alla Bmw di servizio guidata soprattutto dal figlio, 14 mila in vestiti, 30 mila in arredi ed elettronica, 3.700 in scommesse sportive, 17 mila in hotel e ristoranti. Rimborsata anche la toelettatura del cane, e 7 mila euro di abbonamento pay-tv, compresi alcuni film porno. Totale: mezzo milione.

I vertici aziendali insabbiarono tutto, e allora Franzoso presentò un esposto con nome e cognome. «Perché lo firmi? Può anche essere anonimo, non fare l’eroe», lo avvertì il maggiore dei Carabinieri che accolse la denuncia.
«Hai una vita davanti, non puoi rovinarti così. Se perdi il lavoro non ne trovi un altro, con la nomea che ti porti addosso», gli disse suo padre.

Niente da fare. Franzoso andò avanti, e quando Achille dovette dimettersi ecco le reazioni dei suoi colleghi, ora raccolte nel gustoso libro Il disobbediente (ed. Paper First): «La maggior parte rimane alla finestra, per capire da che parte tiri il vento. In molti mi esprimono solidarietà, ma di nascosto.
In ascensore, per esempio, e solo a tu per tu: appena le porte si riaprono, ciascuno per la propria strada. C’è chi mi dà appuntamento lontano da occhi indiscreti: al parco, come amanti clandestini. Una giovane collega, fan di Saviano e di tutto il pantheon antimafia, da Falcone e Borsellino a Nino Di Matteo, fustigatrice indefessa della corruzione altrui, decide di non farsi più vedere con me. Per quattro anni abbiamo lavorato insieme, ora mi evita. Un’altra passa dall’infatuazione, con fitto scambio di messaggi Whatsapp in cui esaltava il mio “straordinario coraggio” esprimendomi la sua “sconfinata ammirazione”, alla più fredda indifferenza».

Dopo averlo trasferito e mobbizzato, nel 2016 Ferrovie Nord ha licenziato Franzoso. Che ora si è preso la rivincita, con un convegno al Senato  il 12 ottobre cui sono intervenuti il presidente Pietro Grasso, Raffaele Cantone dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) e Milena Gabanelli. Gian Antonio Stella, autore del libro La Casta, ha scritto la prefazione a Il Disobbediente.
Ma la legge che protegge i whistleblower («soffiatori di fischietto», i segnalatori di illeciti come lui) è ancora arenata in Parlamento.
Mauro Suttora

Wednesday, October 11, 2017

Parla Bossi: indipendenza e autonomia



Dopo il referendum in Catalogna, quelli in Lombardia e Veneto

di Mauro Suttora

Oggi, 5 ottobre 2017

«La Catalogna è la locomotiva della Spagna. Come la Lombardia per l’Italia. Si assomigliano». Esattamente trent’anni fa Umberto Bossi divenne senatùr: fu eletto con lo 0,5% che la Lega Lombarda racimolò alle politiche 1987.

Oggi il suo sogno si realizza. Ma a Barcellona. Qui in Italia Bossi si trova in minoranza nel suo stesso partito: la Lega non vuole più l’indipendenza. Si accontenta dell’autonomia, e per ottenerla ha indetto referendum in Lombardia e Veneto (le regioni che governa) il prossimo 22 ottobre.

Il referendum catalano è stato subito dichiarato illegale dal governo spagnolo. Che ha fatto intervenire la polizia per chiudere una settantina dei duemila seggi elettorali. Alla fine il risultato è stato ambiguo: il 90 per cento ha detto sì all’indipendenza, però hanno votato solo quattro elettori su dieci. Così tutti hanno potuto cantare vittoria.

«Ma lo stato-nazione, in Spagna come in Italia, è in crisi», dice Bossi a Oggi. «Conosco la Catalogna. Madrid ha tradito le aspettative. Lo stato centrale trasforma le democrazie in monarchie. Tutti ora pensano che il problema sia l’Europa. Ma in realtà il problema è lo stato centrale».

Lo stato centrale in Spagna è guidato dal premier di centrodestra Mariano Rajoy. Che ha sempre disprezzato la minaccia di secessione di Barcellona. Anche nel giorno del referendum l’ha bollata come «una sceneggiata».

Partiti spagnoli uniti

Nessun partito nazionale - i socialisti, i “grillini” di sinistra Podemos, i radicali di centro Ciudadanos - appoggia gli indipendentisti catalani.
La frattura quindi non è politica, ma geografica. Le immagini dei vecchietti sanguinanti colpiti dai poliziotti spagnoli con proiettili di gomma ai seggi hanno fatto il giro del mondo. Quasi comica la Guardia Civil (i carabinieri spagnoli) che si scontra con i pompieri (bomberos) catalani e con i poliziotti locali, inerti e complici dei propri connazionali. Ma alla fine hanno votato per la secessione solo due dei sette milioni di abitanti della Catalogna.
     
La ferita però resta aperta. Bossi incolpa i magistrati spagnoli: «Si sono inventati perfino che il presidente catalano avrebbe rubato fondi allo stato. Anche a Milano mi hanno accusato di essere un ladro. Ma io ho lasciato la Lega con un bilancio attivo di 41 milioni di euro. Comunque la repressione non riesce mai a ottenere il suo scopo. Porta solo maggiore determinazione per ottenere l’obiettivo della Catalogna libera».

Libertà. Per Bossi si conquista solo con la secessione: «L’autonomia è il contrario dell’indipendenza. Ci danno un po’ di soldi solo per non farci andar via. Ma il nord si sta deindustrializzando, le aziende chiudono. Quindi per necessità anche noi indipendentisti ci accontentiamo dell’autonomia che vuole Salvini».

Cosa significa, in concreto? «Se la Lombardia avesse lo statuto speciale come Trentino, Friuli, Sicilia o Sardegna, recupereremmo la metà dei 57 miliardi annui di residuo fiscale che oggi lo stato trattiene. E l’economia ripartirebbe».

Ma è proprio l’accusa che gli spagnoli rivolgono ai catalani: la rivolta dei ricchi. «No, dei liberi», mormora il senatur.

Prima del referendum catalano del 1 ottobre pochi sapevano del voto in Lombardia e Veneto. Ora l’attenzione aumenta. Hanno votato per indire la consultazione elettorale il centrodestra (che governa le due regioni con i leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia) e il M5s. Ma anche vari sindaci lombardo-veneti del Pd sono favorevoli.
Mauro Suttora


Thursday, September 28, 2017

Trump e Kim: guerra di parole



di Mauro Suttora

Oggi, 28 settembre 2017

Kim Jong-un, 33 anni, è succeduto al padre e al nonno nel 2011 come dittatore della Corea del Nord. È il più giovane capo di stato al mondo, e da quattro anni minaccia di bombardare con l’atomica la Corea del Sud e gli Stati Uniti. I primi test nucleari erano avvenuti nel 2006, ma è con Kim che il pericolo è aumentato. Ormai, stimano le agenzie Onu, la Nord Corea avrebbe immagazzinato decine di bombe atomiche. Ma, soprattutto, ha lanciato missili che possono portarle fino a 4mila km di distanza, colpendo la base Usa di Guam.

Le cose sono peggiorate da quando è stato eletto Donald Trump. Il presidente Usa pochi giorni fa all’Onu ha minacciato di «distruggere totalmente la Corea del Nord», in risposta alle continue sfide di «Rocket man», come lui chiama Kim. Ma gli Usa hanno le mani legate per due motivi. Primo: Russia e Cina erano alleate di Kim e, anche se ormai hanno perso il controllo su di lui, frenano le contromisure Onu contro il dittatore. Secondo: nonostante l’enorme disparità di forze fra Usa e Nord Corea, quest’ultima se attaccata può bombardare la vicina Corea del Sud e il Giappone, alleati degli Usa.
   
Il ministro degli Esteri nordcoreano ha dato dello «squilibrato e megalomane» a Trump rispondendogli all’Onu. E, quanto a parole grosse, il presidente Usa ha le sue gatte da pelare anche a casa propria. Ha infatti definito «figli di p…» i giocatori di colore di football e basket che mancano di rispetto alla bandiera Usa, rimanendo muti e inginocchiandosi durante l’inno nazionale prima delle partite per protesta contro le discriminazioni razziali.

Gli atleti sono considerati eroi nazionali negli Stati Uniti, ma questi gesti irritano gli spettatori più patriottici: un quarto di loro dice di aver smesso di guardare le partite per la politicizzazione dello sport. A Trump non è parso vero potersi inserire nella polemica con un tweet, annunciando che non riceverà più alla Casa Bianca le star afroamericane ribelli. Che però sono difese anche da proprietari di squadre e allenatori amici del presidente.
Mauro Suttora

Thursday, September 21, 2017

Noemi Durini, massacrata a Specchia (Lecce)



Ogni madre d’Italia si chiede: cosa posso fare se mia figlia s’innamora di un ragazzo che la picchia e la minaccia?
Fa denuncia. Sperando che i magistrati non vadano in ferie
dall’inviato a Specchia (Lecce) Mauro Suttora
Oggi, 21 settembre 2017
«Era una ragazza solare, piena di vita, sorridente, forte. Solo con lui era debole». Parla Leila, la migliore amica di Noemi Durini, la 16enne di Specchia (Lecce) massacrata dal fidanzato 17enne Lucio il 3 settembre. Si erano conosciuti per caso, un anno fa. Erano in quattro: «Noemi stava con il miglior amico di Lucio», ricorda Leila, «ma quella sera una ragazza di Alessano si è baciata con lui e allora lei, per fargliela pagare, ha baciato Lucio».
Specchia e Alessano sono paesi vicini in quel paradiso che è il Salento, diventato un inferno per Noemi. «All’inizio il loro rapporto era sereno. Noemi andava anche a casa di lui e aveva un buon rapporto con i genitori».
Ma presto tutto si guasta. Lucio diventa possessivo, geloso e violento. La picchia. Non gli piace che Noemi frequenti i vecchi amici di Specchia, la vuole tutta per lui. Le famiglie dei ragazzi capiscono che è un rapporto sbagliato. Droga, spinelli, botte. Noemi salta sempre più spesso le lezioni all’Istituto alberghiero di Santa Cesarea, e verrà bocciata.
Cercano di separarli. A gennaio Lucio si ribella al padre, fa una scenata isterica, alza le mani e urla pure con lui. Sfascia tutto. Finisce in reparto psichiatrico con un Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) di una settimana. «Esaurimento nervoso», minimizza Lucio. «Personalità schizoide», pare dica il referto, che adesso verrebbe buono per far dichiarare il ragazzo incapace di intendere e di volere.
Si rimettono insieme. Lui ricomincia a menarla. «Lei lo amava», racconta Leila, «tante volte mi ha detto che voleva lasciarlo, ma non ci riusciva. Aveva paura, ma la passione non la faceva ragionare».
«Voleva fare la crocerossina, pensava di poter salvare quel ragazzo disgraziato», si dispera ora la mamma di Noemi, Imma Rizzo, maestra d’asilo. Si è separata dal padre, si è rifatta una vita, ha un altro compagno, ma la sua preoccupazione maggiore è questa figlia che scappa di casa ogni volta che lei gli proibisce di vedere Lucio.
Ad aprile secondo Tso per il ragazzo. Il padre di Noemi, Umberto, dice di averlo raccolto lui dalla strada, questa volta: «Gli ho pagato le medicine, i vestiti, le sigarette». Lucio, minorenne, scorrazzava con l’auto dei genitori per i 15 chilometri fra Alessano e Specchia che lo separavano dalla sua Noemi.
A giugno la ragazza torna a casa con l’ennesimo livido in faccia. Mamma Imma non ne può più. Va dai carabinieri e denuncia Lucio. Dopo poche settimane i genitori di Lucio controdenunciano Noemi per «atti persecutori»: secondo loro è la ragazza a traviarlo.
A questo punto, ogni madre d’Italia si chiede: cosa posso fare se mia figlia s’innamora di un ragazzo che la picchia e la minaccia? Perché quest’estate Lucio, prima di finire una terza settimana in Tso in agosto, annuncia più volte la tragica fine che ha in mente. Oscilla fra «Se mi lasci mi ammazzo», «Se mi lasci ti ammazzo» e «Se mi lasci ti ammazzo e mi ammazzo». Più di così.
Dopo la denuncia, la procura dei minori di Lecce fa intervenire i servizi sociali del comune di Specchia. La dottoressa il 19 luglio stile la relazione: Noemi dev’essere seguita dai servizi e anche dal Sert (Servizio tossicodipendenze).
Poi però cominciano le ferie. E il provvedimento dei magistrati arriva solo il 5 settembre: due giorni dopo che Noemi è scomparsa. In realtà è già morta, ma Lucio resiste dieci giorni prima di confessare.
Senza questo mese e mezzo di ritardo Noemi avrebbe potuto essere salvata? Lo stabiliranno gli ispettori mandati dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, che per ora si limita a parlare di «abnormità». A pagina 84 se ne occupa anche l’avvocata Giulia Bongiorno, nella nostra rubrica Doppia Difesa.
Ma oltre a proteggere Noemi, non si poteva almeno impedire a Lucio di avvicinarla, con una delle inibizioni che scattano dopo le denunce per stalking?
«Teniamo presente che, solo in Puglia, i minorenni affidati ai servizi sociali sono seimila», ci spiega una fonte della Procura, «per cui mancano il tempo e le forze per approfondire ogni singolo caso. Paradossalmente, se Noemi fosse stata maggiorenne e avesse lei denunciato per stalking Lucio, avrebbe avuto una tutela maggiore e più veloce. Ma qui ci sono due famiglie che si sono denunciate e controdenunciate, entrambe imputando la deriva del proprio figlio e figlia all’altra famiglia. Con i due ragazzi che invece volevano stare assieme, ribellandosi entrambi ai propri genitori. È facile ora parlare col senno di poi. Ma sono questioni delicatissime, un ginepraio».
Adesso si è pure scatenata la sceneggiata televisiva. Ha cominciato la Rai con Chi l’ha visto?, dando in diretta la notizia della confessione del ragazzo e del ritrovamento del cadavere, durante un’intervista ai genitori di Lucio. Con il padre che simula sorpresa, mentre poi dirà che il figlio aveva già ammesso l’assassinio con lui la sera prima. E con accuse alla ragazza e alla sua famiglia.
Mediaset ha replicato due giorni dopo con lo sfogo della mamma di Noemi a Quarto Grado. Anche lei ha lanciato parole di fuoco contro la famiglia di Lucio, accusandola in blocco di avere ammazzato la ragazza. Contemporaneamente, il padre di Noemi è andato sotto la casa della famiglia avversaria, urlando insulti in favore di telecamera. Poi tre bombe molotov hanno rotto i vetri della famiglia di Lucio, per fortuna senza esplodere. Infine, il solito contorno di insulti su Facebook di tutti contro tutti, e minacce di morte agli avvocati del presunto assassino (che secondo alcuni coprirebbe una complicità del padre, almeno nel nascondere il cadavere sotto un cumulo di pietre in campagna).
«Siamo sconvolti, fino a due settimane fa il nostro era un paese tranquillo senza particolari problemi di criminalità o droga», ci dice il sindaco di Specchia, Rocco Pagliara. «Presto organizzeremo un incontro con il paese di Alessano, perché le nostre comunità non hanno mai avuto screzi di alcun tipo». E il parroco di Specchia ammonisce: «Nessuno chieda giustizia sommaria di fronte a questa tragedia».
Specchia, in effetti, ci appare come un gioiello. Il centro storico è stato eletto fra i «Cento borghi» più belli d’Italia, il pasticciere Giuseppe Zippo ha vinto il premio per il miglior panettone della penisola, la pasticceria concorrente Martinucci è diventata un piccolo impero con 18 filiali in tutta la Puglia e a Napoli.
E questa storia orrenda, con la povera Noemi martirizzata in auto alle sei del mattino dal suo folle fidanzatino, ha poco a che fare con il relativo benessere assicurato da turismo, artigianato e agricoltura.
Mauro Suttora

Tuesday, September 19, 2017

intervista a Mauro Suttora su Di Maio

CAOS M5S/ Suttora: primarie e Di Maio, la truffa finale di Casaleggio

"La candidatura di Di Maio è il miglior risultato della finta democrazia che c'è in M5s. La Casaleggio Associati comanda, il movimento risponde" commenta Mauro Suttora, inviato di Oggi

19 settembre 2017

link all'originale su www.ilsussidiario.net

"Questo fa il M5s: dare l'opportunità a chiunque di farsi Stato ed occuparsi della cosa pubblica". E Twitter si scatena: chi le chiama buffonarie M5s, chi scrive "Di Maio contro nessuno: un bel derby".
Ieri sono scaduti i termini per la presentazione delle candidature alle primarie a 5 Stelle. Hanno fatto un passo indietro big pentastellati come Di Battista, Nicola Morra, Roberto Fico, rimangono sette controfigure di contorno, la più nota delle quali è la senatrice Elena Fattori.

Il peggiore schiaffo ai vertici viene dallo sfidante Vincenzo Cicchetti, consigliere comunale a Riccione per M5s: "Io sono rimasto legato a quell'idea di movimento che aveva Grillo nel 2011 — ha spiegato Cicchetti —. Me la raccontò quando lo riaccompagnai a Bologna dopo un suo comizio a Rimini. Mi parlò di meritocrazia, uno vale uno e tutte quelle cose che in questi anni sono state messe da parte perché il leaderismo attuale è lo stesso degli altri partiti che abbiamo sempre criticato".

"La candidatura di Di Maio è il miglior risultato della finta democrazia che c'è in M5s. La Casaleggio Associati comanda, il movimento risponde" commenta Mauro Suttora, inviato del settimanale Oggi. Suttora ha seguito le vicende del mondo pentastellato fin dai suoi inizi.

Sembra che Grillo si farà da parte perché il candidato premier sarà anche il capo politico del movimento. Lei ci crede?

Figurarsi. Sono almeno tre anni che si continua a dire che Grillo si fa da parte. Grillo vorrebbe fare un passo indietro, ma non può farlo, anzi, ieri sera (domenica, ndr) è stato costretto a fare un passo avanti, perché la maggioranza dei parlamentari grillini non sopporta Di Maio. Questa è la verità che nessuno di loro osa dire apertamente.

Forse perché vorrebbero essere al suo posto.

Perché hanno capito che è smodatamente ambizioso e che la sua corsa solitaria va contro la filosofia portante del movimento, che è nato anche per dire no ai personalismi della politica italiana. Non si può, dopo aver tuonato per dieci anni contro Berlusconi e il suo partito padronale, e poi contro Renzi, fare esattamente lo stesso. C'è da dire che da questo punto di vista Di Maio è tecnicamente perfetto: potrebbe fare carriera in qualsiasi partito perché è il classico democristiano.

Un insulto.

Per me no, per i grillini sì. Il peggiore.

Le ricorda più Renzi o Berlusconi?

Ha la lingua sciolta e il cervello fino di entrambi. Con l'aggravante — o il pregio — di avere dici anni in meno di Renzi e cinquanta in meno di Berlusconi.

Si parla di prove sotterranee di intesa tra Salvini e Grillo in vista del dopo elezioni. E' possibile?

Secondo me no. Soltanto il no all'euro e un vago sovranismo accomunano M5s alla Lega, con la differenza che la Lega ha una sua ideologia, ormai più o meno elaborata, e dei princìpi, sbagliati o giusti che siano, mentre M5s ne è del tutto sprovvisto. La Casaleggio Associati segue i sondaggi e decide. Ha visto che ora fa comodo essere contro i migranti e quindi è contro i migranti. E così via.

Idem per la moneta unica e le regole Ue.

Su euro e Ue si sono viste le montagne russe: nel 2014 i grillini si presentarono alle europee dicendo che volevano dare battaglia contro il fiscal compact e contemporaneamente raccolsero le firme per un referendum sull'euro che già sapevano che non si sarebbe mai potuto fare. Dopo il dietrofront di Tsipras, quando è sembrato chiaro che la Ue avrebbe tenuto, hanno messo il referendum in cantina.

E adesso?

Dipende dalla situazione economica. Se le cose andranno bene, non faranno alcunché. Se invece, per ipotesi, dovesse avere un exploit il partito xenofobo e antieuropeo in Germania (AfD, ndr), tornerebbero a tuonare contro Ue ed euro.

Perché Casaleggio jr ha scelto di puntare su Di Maio?

Nell'aprile scorso, quando è morto Gianroberto, Di Maio ha stretto un patto con il figlio Davide facendogli capire che se si voleva il potere serviva un volto istituzionale, spendibile nei salotti. Davide Casaleggio, che queste logiche le capisce perché è un bocconiano, non ha avuto difficoltà a convincersene e a puntare tutto su di lui.

Da chi è fatta oggi la base di M5s?

Direi che la maggioranza è più di sinistra che di destra. Nel sovranismo del movimento si trova un po' di tutto, ma prevale la vecchia matrice ex No global.

Chi vincerà in Sicilia?

Fino a poco tempo M5s era favorito. Oggi il disastro di Roma e la finta elezione di Di Maio potrebbero avvantaggiare il centrodestra. Vedremo.

Insomma alla fine avremo un Di Maio che sembrerà autonomo, invece prenderà ordini da Grillo e Casaleggio.

Attenzione, Grillo e Casaleggio non sono uniti. Casaleggio sostiene Di Maio, mentre Grillo ha un'anima più movimentista ed è più vicino agli "ortodossi", nei quali si rispecchia la maggioranza degli eletti e degli attivisti, che sono tutti anti-establishment. Ma voteranno Di Maio per disciplina.

Grillo però è andato a Roma in extremis per riportare gli ortodossi alla ragione.

Al contrario: non è come si legge in giro. Voleva che Fico si candidasse per evitare la figuraccia di un plebiscito.

Allora che cos'è cambiato? Con chi sta Grillo?

Ha capito che per contare bisogna legarsi ai poteri forti. Sta con la piazza, ma voterà Di Maio.

Federico Ferraù

Thursday, September 14, 2017

Clooney presidente Usa?

di Mauro Suttora
Oggi, 14 settembre 2017
«La vita dei politici è un inferno. So com’è, ne conosco diversi. Chi mai vorrebbe vivere così?» Era l’ottobre di due anni fa. George Clooney veniva indicato per l’ennesima volta come possibile candidato per le presidenziali Usa appena iniziate. E smentì di voler arrivare alla Casa Bianca.
Ma in politica, mai dire mai. Soprattutto negli Usa, dove sono diventati (ottimi) presidenti un coltivatore di arachidi (Jimmy Carter) e un attore di serie B (Ronald Reagan). Per non parlare di Donald Trump, su cui nessuno avrebbe scommesso un cent.
Clooney è da un quarto di secolo attore di serie A. Sarebbe il nuovo Cary Grant, brillante e di charme, se la sua passione politica non lo spingesse a confezionare (da attore, regista o produttore) film di impegno sociale tanto osannati dai critici quanto snobbati dal grande pubblico.
Ora ha 56 anni, e anche il matrimonio con l’avvocatessa libanese Amal Alamuddin è all’insegna delle cause nobili e planetarie che lei difende. Quindi ai democratici Usa, dopo la batosta Clinton, non resta che aggrapparsi alla speranza di una sua candidatura nel 2020. Altri presidenziabili progressisti non sono in vista. 
E la politica è una passione della famiglia Clooney. Sua zia Rosemary, cantante (Mambo Italiano), era accanto a Bob Kennedy quando questi venne assassinato in California nel 1968. Ma è un ricordo che certo non avvicina George alla candidatura.

La strage di Livorno


di Mauro Suttora
Oggi, 14 settembre 2017
«Le bombe d’acqua non esistono. L’Italia non è diventata un paese tropicale. Dai temporali, anche fortissimi come quello di Livorno, possiamo difenderci con le immagini da satelliti e radar meteo per previsioni a breve termine».
Franco Prodi, fratello di Romano, va controcorrente. Già docente di Fisica dell’atmosfera all’università di Ferrara, il professore avverte che «per prevedere il rischio di alluvioni, più piccolo è il bacino, più conta la meteorologia. Non basata su equazioni che dipingono situazioni generiche in un futuro di giorni, ma come nowcasting, fondata su immagini in tempo reale di satelliti e radar».
Insomma, le care, vecchie previsioni del tempo. Che, se applicate di ora in ora nella tremenda notte fra sabato e domenica 10 settembre, avrebbero forse potuto salvare la famiglia Ramacciotti: nonno Roberto, 65 anni, annegato per salvare la nipotina Camilla di tre anni (unica sopravvissuta), suo figlio Simone con la moglie Glenda, e il piccolo Filippo di 4 anni.
Tutti travolti dall’onda alta tre metri del Riomaggiore, esploso dopo i 25 centimetri piovuti in poche ore: tutta la pioggia di un anno concentrata dall’una alle quattro del mattino. Salta l’elettricità, e nel buio tutta la città di Livorno si sveglia di soprassalto, assalita dalla vendetta dei fiumi interrati nei decenni, dall’Ugiano all’Ardenza.
L’errore fatale della famiglia Ramacciotti è stato quello di scendere al piano terra per fuggire. Se fossero rimasti al primo, sarebbero vivi. Viceversa, nel quartiere Collinaia è annegato un settantenne che non è riuscito a salire sul tetto con moglie e figlia. Più su, al santuario di Montenero, un altro morto. E due dispersi.
Furono sei anche i morti dell’alluvione di Genova nel 2011. Per quelli l’ex sindaca Marta Vincenzi ha avuto cinque anni di carcere e la carriera stroncata. Ora il sindaco di Livorno Filippo Nogarin (pure lui con casa allagata ad Antignano) accusa la regione Toscana: «Doveva mandarci l’allarme rosso, non arancione». Così la famiglia Ramacciotti avrebbe almeno ricevuto un sms di avvertimento.
Replica il capo della protezione civile regionale Riccardo Gaddi: «L’allerta rossa è uguale a quella arancione. Segnala solo una maggiore estensione del territorio minacciato». Come quella che nella stessa notte aveva coinvolto l’intera regione Liguria. Ma all’ultimo momento, grazie un provvidenziale libeccio, il nubifragio ha risparmiato Genova e si è diretto verso la Toscana e Livorno.
E allora, chi incolpare? I sindaci che non tempestano di allarmi telefonici i cittadini, rischiando di farli imbufalire se poi l’alluvione non avviene? I Comuni possono ordinare la chiusura delle scuole, sospendere eventi (come la partita Sampdoria-Roma), invitare la gente a non uscire di casa. È il cosiddetto «principio di precauzione», che però blocca la vita di intere città: non si può abusarne.
Così, anche a Roma (dieci centimetri di pioggia) la sindaca Virginia Raggi, grillina come quello di Livorno, viene accusata dagli avversari politici per la metropoli in tilt, le stazioni chiuse della metro, i bus allagati.
Lo scaricabarile prosegue verso gli enti che dovrebbero ripulire gli alvei dei fiumi, aprire i tombini ostruiti, e via via nel passato verso chi ha permesso di costruirci direttamente, in quegli alvei. Nessuno ha il cattivo gusto di ricordarlo in questo tragico momento, ma anche la palazzina dei Ramacciotti sorge vicina al letto del Riomaggiore murato cent’anni fa. E per essere travolti dal fango nel proprio, di letto, è bastato il crollo di un muro.
Insomma, il maxiacquazzone di Livorno ha fatto più vittime del contemporaneo uragano Irma in Florida. Eppure i tg sabato sera erano pieni di immagini tremende dagli Stati Uniti, mentre nessuno si preoccupava per la Toscana.
«Tanto allarme per cose lontane come il riscaldamento globale e le emissioni di anidride carbonica», avverte il professor Prodi, «e poca attenzione minuto per minuto al percorso della perturbazione che ha deviato da Genova a Livorno».
Mauro Suttora

Sunday, September 03, 2017

Intervista a Maurizio Turco

Intervista di Mauro Suttora a Maurizio Turco (Radio radicale, 70 minuti)

Intervista pubblicata dal quotidiano Libero il 3 settembre 2017:

I RADICALI CONTRO LA BONINO: STA CON MONTI E SOROS

Quando fate la pace?
"Mai".
Maurizio Turco, presidente del partito radicale, chiude la porta in faccia a Emma Bonino. Che è come se la nazionale di nuoto italiana facesse a meno di Federica Pellegrini. Ma lui non si preoccupa: "Tanti giocatori famosi hanno lasciato la loro squadra. Lei se n'è andata, fa altro".
Perché avete litigato?
"Nessun litigio. Ci siamo riuniti in congresso un anno fa, dentro al carcere di Rebibbia. Lei e altri non sono venuti. Pazienza".
Ma fate le stesse battaglie: giustizia, carceri, migranti, Europa, eutanasia, droga legale.
"Abbiamo agende diverse, a volte concorrenti".
Su che?
"Sulla giustizia siamo gli unici a fare qualcosa. Con gli avvocati delle camere penali raccogliamo firme per la separazione delle carriere dei magistrati. Radicali italiani [la sigla dei boniniani di Riccardo Magi, ndr] invece si sono stufati".
Rimanete tutti europeisti.
"Noi vogliamo gli Stati Uniti d'Europa".
Anche la Bonino.
"Il federalismo del suo progetto Forza Europa è molto annacquato".
Vi dà noia che sia vicina a Mario Monti?
"Le lotte si definiscono anche per gli interlocutori che si scelgono".
Pure loro vogliono più Europa.
"Sì, ma per esempio gli eserciti nazionali vanno chiusi domani, perché sono inutili. Invece loro parlano di 'federazione leggera'".
Siete massimalisti.
"No, realisti. I burocrati di Bruxelles riescono solo a farla odiare, l'Europa".
Che però ci ha garantito 70 anni di pace.
"Ecco un altro slogan triste, minimalista".
Accusate la Bonino di stare con Soros.
"È diventata dirigente della sua fondazione".
E allora?
"Non ne sapevamo nulla".
Ma Soros è da sempre vicino ai radicali. Ha finanziato la vostra Lega antiproibizionista.
"Centomila euro 25 anni fa. Li accetterei ancora. Ma i soldi devono andare a lotte che interessano a noi, non viceversa".
Anche Soros voleva esportare la democrazia.
"Però spieghi se le sue speculazioni sono compatibili con lo stato di diritto".
Non ha commesso reati.
"Ma ha scommesso sulle carestie. È giusto?"
I radicali di Roma hanno raccolto le firme per un referendum sull'Atac.
"Solo consultivo".
È quel che passa il convento.
"I referendum sono uno strumento bruciato".
Detto da un radicale, è una notizia.
"Guardate la fine che ha fatto quello sull'acqua pubblica del 2011".
E allora perché ne avete proposti altri dodici nel 2013?
"Appunto".
Una delle vostre divergenze. E Grillo? I radicali lamentano la "censura del regime", ma lui con la rete è arrivato al 25%.
"Il regime sceglie i propri oppositori".
Grillo è antisistema quanto voi.
"È un prodotto dei comizi che gli faceva fare Santoro".
Poi però si è sviluppato online.
"E allora perché vanno sempre in tv? Di Maio è in Rai anche di notte".
Ormai sono il terzo partito.
"E fanno monologhi in tv. Senza contraddittorio, senza avversari. E ricattano pure: 'Altrimenti non veniamo'.
Molto antisistema".
Prendono i voti antipartiti che erano vostri.
"Antipartiti i grillini? Ma se vogliono introdurre il vincolo di mandato, sottomettendo i parlamentari ai partiti".
Sono per la democrazia diretta.
"E intanto espellono i dissenzienti".
Nel partito radicale l'espulsione non esiste.
"Siamo libertari. Si sta assieme per un anno, chi ci sta ci sta. Poi di nuovo a congresso".
Spadaccia e Bandinelli, radicali da 60 anni, vi chiedono dibattiti sula vostra Radio.
"Ci sono già stati al congresso scorso. Li riapriremo al prossimo, nel 2019".
Sono radicali prestigiosi.
"Prestigiosissimi. Ma non possiamo portarci dietro vecchi rancori. Spadaccia lasciò il partito radicale un quarto di secolo fa".
Ora vi tende la mano, si è reiscritto.
"Bene. Lo aspettiamo alle nostre iniziative. Se non raccogliamo 3.000 iscritti entro dicembre chiudiamo. Siamo a 1.600".
Vi presenterete alle politiche?
"No. Dal 1989 il partito radicale è transpartito, non partecipiamo alle elezioni italiane".
Ma lo fate sotto altri nomi.
"Mai come radicali".
Un anno fa sì, alle comunali di Milano e Roma. Un disastro, nessun eletto.
"Lo decisero in quattro in due giorni".
I boniniani.
"Non personalizziamo".
Per questo avete litigato.
"Nessun litigio. Strade diverse. Buona fortuna".  

Mauro Suttora


Thursday, August 24, 2017

Dopo la strage di Barcellona: come proteggersi

CONTRO I TERRORISTI ISLAMICI, NON RESTA CHE AFFIDARCI AI JERSEY
di Mauro Suttora
Oggi, 24 agosto 2017
La nuova parola d’ordine è: Jersey. Sono quei blocchi di cemento che vengono piazzati come spartitraffico temporanei durante i lavori stradali. E che adesso proteggono tutti i siti a rischio d’Italia: da piazza Duomo a Milano, ai Fori imperiali di Roma. Attenzione: «Jersey», e non «New Jersey», anche se proprio da quello stato americano hanno preso il nome, quando apparvero negli anni 50 sull’autostrada locale, la Turnpike da New York a Filadelfia.
Se la rambla di Barcellona fosse stata protette dai jersey, il furgoncino dei terroristi non sarebbe passato. Idem per il mercatino del Natale 2016 a Berlino, o per la Promenade des Anglais a Nizza. «Ma almeno rendiamo queste nuove barriere piacevoli alla vista, riempendole di terra e piantandoci siepi, fiori e alberi», propone l’architetto Stefano Boeri, autore del Bosco verticale a Milano.
L’Italia è nel mirino dei fanatici islamisti? Inutile illudersi: sì. «Nessun Paese è al riparo», avverte il premier Paolo Gentiloni. Anche se i proclami online del califfato Isis «Arriveremo a Roma» li sentiamo dal 2015, quando il Giubileo fece scattare il primo piano antiterrorismo a Roma. Che seguiva quello di Milano, per l’Expo. Le buone notizie non fanno notizia, ma rendiamo merito ai nostri ministri degli Interni (Angelino Alfano, Marco Minniti) e alle forze dell’ordine se l’Italia è rimasta immune da attentati.
Ora si apre il capitolo moschee. «Il nostro livello di allerta resta altissimo», assicura Alfano. Ma l’accordo con le comunità islamiche per permettere solo sermoni in italiano deve ancora essere applicato. E comunque non è decisivo: l’imam che ha fanatizzato i 12 giovani terroristi di Barcellona lo ha fatto fuori dalla moschea nel suo paese sotto i Pirenei. 
Le carceri, scuole Isis
L’altro grande brodo di coltura degli islamisti sono le prigioni. Si stima che nelle nostre carceri ci siano 400 soggetti a rischio indottrinamento, e 40 pronti a indottrinarli.
Una soluzione sarebbe l’espulsione (già applicata a 150 immigrati che hanno inneggiato alla Guerra santa in questi anni), ma forse è meglio tenerli dentro e controllarli con microspie.

«La prevenzione si fa con i soldati agli angoli delle strade, ma soprattutto con l’intelligence», spiega il capo della polizia Franco Gabrielli. Per esempio facendo studiare l’arabo ai nostri 007. O costringendo alla trasparenza Telegram, il servizio di messaggi più segreto di Whatsapp, quindi utilizzato dai terroristi.
Infine, i Foreign fighters. Cioè gli islamisti, italiani o arabi, partiti dall’Italia per combattere con l’Isis in Siria e Iraq. Se tornano lì si potrebbe internare come criminali di guerra, come ha proposto Angelo Panebianco sul Corriere della Sera. Rischiamo una nuova Guantanamo, carcere senza processi? Può darsi, ma i reduci hanno già dimostrato la loro pericolosità semplicemente arruolandosi.
Mauro Suttora

Thursday, August 17, 2017

Le valute locali regionali

NIENTE SESTERZI, PER ORA, A ROMA. MA LE VALUTE COMPLEMENTARI SONO REALTA’ GIA' IN VARIE REGIONI. A PARTIRE DALLA SARDEGNA. IL PIONIERE FU IL PROFESSOR GIACINTO AURITI, 17 ANNI FA IN ABRUZZO
di Mauro Suttora
Oggi, 17 agosto 2017

Non si chiamerà “sesterzio” la nuova moneta complementare di Roma, ma la città guidata dai grillini vuole affiancare all’euro un sistema di pagamento autonomo. Il Movimento 5 stelle, infatti, è critico nei confronti della valuta europea, e cerca di trovare alternative che diano fiato all’economia locale.
Qualche settimana fa abbiamo scritto scherzosamente che questa moneta parallela potrebbe prendere il nome dalla celebre moneta simbolo di Roma antica. L’ufficio stampa della sindaca Virginia Raggi ci scrive che la «presunta proposta della Sindaca di Roma («il ripristino del sesterzio, antica moneta romana») non è mai stata avanzata dalla sindaca Raggi e pertanto l’affermazione è destituita di qualunque fondamento». Ne prendiamo atto.
Eppure qualcosa è allo studio. Ha detto per esempio l’assessore al Bilancio di Roma Andrea Mazzillo: «Stiamo studiando, all’interno del progetto “Fabbrica Roma”, l’introduzione di una moneta complementare per favorire le economie locali attraverso lo scambio di servizi tra aziende».
La valuta complementare non è una bizzarria. Molti antieuro, dai leghisti a Fratelli d’Italia, la stanno studiando. E perfino Silvio Berlusconi l’ha ipotizzata come moneta nazionale, sotto il controllo della Banca d’Italia: un ritorno alla lira, accanto all’euro.
Infine, fu proprio Beppe Grillo a solidarizzare con l’eccentrico professore Giacinto Auriti che, in polemica con il «signoraggio» a suo avviso praticato dalla Banca d’Italia, nell’estate del 2000 convinse decine di negozianti del suo paese, Guardiagrele (Chieti), a farsi pagare in Simec (Simbolo econometrico). Dopo venti giorni la Guardia di Finanza sequestrò l’invenzione del professor Auriti. Poi un giudice gli diede ragione e dissequestrò i Simec, ma ormai i cittadini di Guardiagrele si erano messi paura.
Oggi che i bitcoin sono accettati in tutto il mondo come mezzo di pagamento elettronico, è più facile sfidare il monopolio delle valute ufficiali. Così da dieci anni a Napoli, Firenze e Pistoia molti esercizi commerciali adottano per i propri scambi reciproci lo “scec” («sconto che cammina»), una specie di baratto legalizzato. Ed esistono il Sardex, il Liberex, il Samex, il Marchex, il Valdex (riquadro sopra).
I vantaggi? «Permettere a privati e aziende di scambiarsi beni elettronicamente, basandosi sulla fiducia di appartenere allo stesso territorio e compensando debiti e crediti. Così la liquidità gira più veloce», spiegano da Serramanna (Vs) i fondatori di Sardex. 
Nomi più attraenti
Certo che, se invece di queste fredde e tecnocratiche locuzioni, si ripristinassero i gloriosi nomi delle monete italiane pre-lira (riquadro qui accanto), forse le valute complementari locali risulterebbero più attraenti.
Come il sesterzio, che durò più di mezzo millennio e accompagnò lo splendore dell’impero romano.
Mauro Suttora

Sunday, August 13, 2017

Radicali: Spadaccia media fra Bonino e pannelliani

di Mauro Suttora

Libero, 13 agosto 2017


Cosa faranno i radicali alle politiche? Accreditati di un 2%, possono risultare preziosi sia per Renzi che per Berlusconi.

Emma Bonino si sta muovendo con Marco Cappato e il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova per una lista Forza Europa, che potrebbe attrarre Mario Monti e altri centristi laici come il ministro Calenda. 
A seconda della legge elettorale, si presenteranno soli, apparentati al Pd, o contratteranno posti nella lista Pd come nel 2008.

Ma da due anni i radicali sono spaccati. La rottura fra la Bonino e Marco Pannella si è estesa dopo la morte di quest'ultimo nel maggio 2016 a tutti i boniniani e pannelliani: da una parte l'ex ministra degli Esteri, Gianfranco Spadaccia, Cappato, Mario Staderini, Roberto Cicciomessere; dall'altra Maurizio Turco, Rita Bernardini e Sergio D'Elia.


Questi ultimi controllano il Prntt (Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito), la cui lunghezza del nome è inversamente proporzionale al numero degli iscritti: se non arriveranno a 3mila entro la fine dell'anno, hanno deciso di sciogliersi.


I boniniani invece sono riuniti in Radicali italiani (segretario Riccardo Magi), che hanno appena compiuto l'exploit di raccogliere 30mila firme per un referendum che mette in gran difficoltà la sindaca grillina di Roma Virginia Raggi: togliere all'Atac il monopolio del trasporto pubblico nella capitale.

Cappato guida l'Associazione Coscioni per l'eutanasia e la libertà della scienza. E la buonista Bonino è attiva soprattutto nella campagna pro-immigrati Ero Straniero.

Anche i transnazionali macinano politica: hanno appena concluso una Carovana di mezzo mese in Sicilia per i loro tradizionali obiettivi sulla giustizia: amnistia, indulto, no all'ergastolo, separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti.

Un garantismo che in teoria potrebbe avvicinarli al centrodestra. Ma loro negano qualsiasi prospettiva elettorale.

Ora qualcuno cerca un rammendo fra le due fazioni. Spadaccia, 82 anni, grande vecchio radicale (ex segretario e parlamentare, per decenni braccio destro di Pannella), ha mandato una lettera a Turco & co. annunciando la propria iscrizione (200 euro annui), ma chiedendo l'apertura di un dibattito interno e spazi su radio radicale: "Quali obiettivi ci diamo di fronte alla crisi della democrazia liberale e dello stato di diritto, il dissolvimento dell'Unione Europea e il travolgimento dei diritti umani?"


Con Spadaccia, tendono la mano ai separati in casa una trentina di boniniani. E sul fronte opposto, l'altro grande vecchio radicale Angiolo Bandinelli, 90 anni, ha già rotto con l'estremismo antiboniniano di dirigenti come Turco e Valter Vecellio (la Bernardini è più possibilista).


Sullo sfondo c'è la partita per Radio radicale, che finora è rimasta neutrale dando spazio a tutti, ma che Turco ora vuole ridurre sotto il proprio controllo.

E la radio riceve 10 milioni annui di soldi pubblici come organo di partito e trasmettitrice delle sedute parlamentari.

Mauro Suttora

Tuesday, August 08, 2017

Noi, i ragazzi della Ong di Berlino

La loro nave Iuventa è stata sequestrata dai magistrati per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma cos’hanno fatto veramente quelli di Jugend Retten?
di Mauro Suttora 
Oggi, 8 agosto 2017

«Abbiamo sconfinato, siamo entrati nelle acque territoriali libiche? Sì, l’ultima volta il 9 giugno. Mentre recuperavamo un gommone di migranti abbiamo spento il motore, e la corrente ci ha spinti all’interno delle dodici miglia».
Beata incoscienza. Sono i 26 anni di Jonas Buja, la sua inesperienza, a fargli confessare candidamente di aver violato la legge? Questo ragazzone di Hannover, uscito dagli oratori della chiesa evangelica tedesca, nonostante l’età era il comandante della Iuventa, la nave dell’Ong (Organizzazione non governativa) Jugend Retten (“Salvare i giovani”), sequestrata per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Sono ancor più giovani di Jonas i fondatori di questa Ong, il 21enne berlinese Jacob Schoen e la 24enne Lena Waldhoff, che due anni fa si sono messi in testa di aiutare i migranti. Potevano arruolarsi in stimate Ong di lungo corso come Medici senza Frontiere (nata nel 1971, Nobel per la pace, un miliardo e mezzo di donazioni di cui 57 milioni in Italia) o Save the Children (fondata cent’anni fa, due miliardi annui di bilancio, 78 milioni in Italia). Invece ne hanno inventata una tutta loro.
Hanno lanciato un crowdfunding (raccolta soldi online), sono arrivati a 300 mila euro avendo come testimonial l’attrice miliardaria Maria Furtwängler (moglie di Hubert Burda, editore di 260 riviste in 89 Paesi), hanno comprato l’ex peschereccio Iuventa e dall’estate scorsa si sono messi a raccogliere migranti davanti alla Libia.
Sono una decina le navi di Ong che fanno questo lavoro, al ritmo di 170mila migranti all’anno. Ma quelli di Iuventa sono i più estremisti: «Ci battiamo contro le politiche di asilo europee», dichiarano ufficialmente. Le considerano troppo rigide. E sono accusati di aver messo a prua un cartello con la scritta “Fuck Mrcc”: un bel vaffa al Maritime Rescue and Coordination Center della Guardia Costiera italiana che da Roma raccoglie le richieste di aiuto e smista le navi.
Insomma, un misto di centri sociali, idealismo, soldi e brivido di avventura: hanno giocato col fuoco. Perché da tempo ormai le Ong sono accusate di complicità (seppur involontaria) con gli scafisti libici organizzatori del traffico di migranti.

A dicembre Frontex, l’Agenzia europea che controlla le frontiere, ha avvertito che le navi di soccorso a ridosso della costa libica «agevolano i trafficanti». I quali non devono più imbarcare i disperati su barconi capaci di raggiungere almeno Lampedusa, a centinaia di miglia: basta caricarli come bestie su fragili gommoni alla deriva, perché dopo poche miglia li aspettano le Ong.
“Taxi degli scafisti”
«Salviamo vite umane», dicono i volontari. Ed è vero, anche se migliaia di africani continuano comunque ad annegare. «Siete i taxi degli scafisti», accusano invece centrodestra e grillini.
Le Ong più responsabili si sono rese conto di essere schiacciate in questa tenaglia fra favorevoli e contrari all’immigrazione, così a maggio in una riunione riservata hanno proposto di arretrare la linea di attesa delle navi da 12 a 24 miglia. Ma hanno prevalso i “duri” come Jugend Retten: «Quelli vogliono stare sempre in prima linea», spiega il medico Stefano Spinelli, intercettato dai magistrati di Trapani. «Trasbordano i migranti su altre navi, ma dicono di averli salvati loro per farsi dare più soldi e donazioni», accusa Pietro Gallo, della Imi Security Service.
Il colpo di grazia alla Iuventa lo ha dato un poliziotto imbarcato in incognito su una nave di Save the Children. Il quale è riuscito a fotografare la stretta collaborazione fra i trafficanti e i giovani tedeschi. Confermata dall’ingenuo Buja: «Spesso durante i recuperi ho notato vicino ai canotti dei migranti barche in vetroresina con individui che alla fine recuperano i gommoni e le taniche di benzina. A volte aiutano anche le operazioni di soccorso».
Possibile che non abbia capito chi erano quei baffuti signori?
Sarà dura adesso per Kathrin Schmitt, 35enne team leader della Iuventa, ex ergoterapeuta in Nuova Zelanda, convincere i giudici di Trapani a dissequestrare la nave. Anche perché nel frattempo il ministro dell’Interno Marco Minniti ha adottato una linea severa con tutte le Ong: se non accettano poliziotti sulle loro navi, e un codice di comportamento, non possono più attraccare nei porti italiani. Save the Children ha detto sì ai poliziotti. Medici senza Frontiere no. Così ora deve trasbordare su navi della Guardia Costiera i clandestini che raccoglie.
Mauro Suttora

Thursday, August 03, 2017

Lo scoop del bacio di Lady Diana

PER LA PRIMA VOLTA DOPO 20 ANNI MARIO BRENNA, AUTORE DELLE FOTO, RIPERCORRE MINUTO PER MINUTO QUEI GIORNI STUPENDI E POI DRAMMATICI DELL’AGOSTO 1997.
«VENDETTI LE IMMAGINI PER UN MILIARDO E MEZZO DI LIRE»
di Mauro Suttora
Oggi, 3 agosto 2017


«Vidi movimento sul ponte dello yacht: inquadrai, misi a fuoco, e mi apparvero Diana e Dodi che ammiravano i prati del golf e le bianchissime spiagge con le dune di sabbia».
Erano le 13 del 3 agosto 1997. Il fotografo Mario Brenna aspettava da ore nascosto su capo Sperone, estremo sud della Corsica. Un sole cocente. Da tre giorni dava la caccia alla principessa d’Inghilterra e al suo presunto amante.

«Scattai la prima foto, si abbracciavano. Poi si baciarono per dieci secondi. Non mi feci prendere dal panico, li fotografai come se la cosa non mi coinvolgesse. La mia freddezza mi stupì».
Lo scoop del secolo. Paragonabile solo alle foto di Jacqueline Kennedy e Aristide Onassis sull’isola di Skorpios. «O a Papa Wojtyla in piscina nel 1980», aggiunge Brenna. Che per la prima volta dopo vent’anni racconta a Oggi la verità sulle foto che rivelarono al mondo l’amore di Lady Diana. Amore che le fu fatale: pochi giorni dopo, il 31 agosto, la principessa morì con Dodi, sfracellandosi nel tunnel dell’Alma a Parigi.
Brenna ha scritto per noi un libro, che ripercorre minuto per minuto quell’agosto magico e tragico: Il bacio di Lady Diana, in tutte le edicole da oggi.
Perché solo ora?
«Quando seppi della morte di Lady Di scoppiai a piangere, e decisi che non avrei mai raccontato nulla di quello che avevo visto e fatto fino a quando i figli della principessa non fossero stati uomini grandi e maturi. Per rispetto della sua memoria, di Dodi e delle loro famiglie».
Si è mai sentito responsabile per la tragedia di Diana? La sua auto si schiantò mentre era braccata dai paparazzi parigini.
«Me lo domandai, e andai un po’ in crisi. Avevo scoperto io la storia di Diana con Dodi, e contribuii a scatenare dietro ai due amanti i giornalisti durante quell’agosto. Ma per Lady Di essere inseguita era la normalità. E se non fossi stato io a scattare la foto del loro bacio, lo avrebbe fatto qualcun altro qualche giorno dopo. Però anche per me fu uno choc: le persone che un mese prima mi avevano donato il momento più alto nel mio lavoro, che avevo visto felici e serene, complici, appassionate, piene di vita e solarità, erano scomparse».
Per qualche giorno, attorno a quel Ferragosto ’97, anche Brenna sperimentò cosa vuol dire essere famosi e richiesti da tutti i giornali e tv del mondo, come Diana. E come lei, si nascose.
«Non volevo che il mio viso diventasse noto. Perché non sono un vanitoso, ma anche perché il mio mestiere richiede discrezione. Frequento ambienti in cui posso entrare proprio perché rimango un anonimo».
Si fantasticò sul valore dello scoop. Il Sunday Mirror lo pagò 700 milioni di lire, cifra da record per una foto. Il direttore di Oggi Paolo Occhipinti sborsò 160 milioni per l’esclusiva italiana (tirando 1.250.000 copie).
In totale, fra giornali inglesi, francesi, spagnoli, americani e italiani, un miliardo e mezzo. Brenna nel libro racconta le ore rocambolesche delle trattative che condusse di persona a Parigi e Londra. 
«Ma mi resi subito conto del valore delle foto, quand’ero ancora sdraiato dietro quella roccia fra Corsica e Sardegna. Ricordo che lanciai un urlo di gioia. Tutti i fotografi del mondo avrebbero desiderato essere al mio posto, era il sogno di ogni reporter. E io, Mario Brenna di Trecallo in provincia di Como, il figlio del Nello e della Anna, avevo fatto quelle foto. Il sogno si era avverato».
Il racconto del libro è avvincente, da missione 007. Brenna era uno dei fotografi più bravi ed esperti, frequentava da vent’anni Costa Smeralda, Monte Carlo e St. Moritz. Aveva appena realizzato un altro scoop: il primo bacio di Ernst di Hannover con Carolina di Monaco, vedova di Stefano Casiraghi (suo grande amico di gioventù).
Il primo agosto ’97 vide, dal gommone con cui perlustrava le acque di Porto Cervo, lo yacht Jonikal che sapeva essere dell’industriale Edoardo Polli. Non sapeva però che pochi mesi prima Polli lo aveva venduto al miliardario egiziano Mohamed Al-Fayed, padre di Dodi. E, soprattutto, ignorava che la bionda col costume rosa che intravedeva a bordo fosse Diana. «Me ne resi conto solo avvicinandomi, e la fotografai stupefatto. Era già un bel colpo».
Ma, raccogliendo indizi nelle ore successive, capì che poteva esserci qualcosa di molto più grosso. E che un’eventuale liaison fra la madre del futuro re d’Inghilterra (seppure divorziata da un anno da Carlo) e un playboy musulmano, il figlio di Al-Fayed, avrebbe causato uno scandalo immenso.
«Dovevo proteggere il mio segreto anche dai concorrenti, che in quei giorni erano tanti in Sardegna». Alla fine lo scoop riesce. E in solitario.
Brenna poi si rifugia a St. Moritz per sfuggire ai giornalisti dai quali è a sua volta tallonato.
«Lì incontrai Gianni Agnelli che, curiosissimo, si fece raccontare per due ore i dettagli dell’avventura, con il mio inseguimento dello yacht fra le isole di Maddalena e Cavallo».


Il 24 agosto 1997, l’avventura ricomincia. «Diana e Dodi si imbarcarono di nuovo a Monte-Carlo, e io li aspettai a Portofino. Questa volta però in squadra con altri tre colleghi, per affrontare la concorrenza di tutti i fotografi d’Europa».
Lo yacht fugge a Portovenere, poi fa rotta verso l’Elba. «Lì scompare, noi affittiamo un aereo e lo ritroviamo all’isola di Tavolara».
Altre immagini rubate, in moto d’acqua a San Teodoro, fino all’ultimo giorno al Cala di Volpe. Con un altro fotografo che perde la testa e insulta la principessa mentre scappa.
Il 30 agosto Diana e Dodi volano via da Olbia, cenano a Parigi. E dopo poche ore si compie il loro destino.
Brenna, nei suoi 40 anni di carriera quali sono i personaggi più simpatici che ha fotografato?
«Celentano, Fiorello, Alberto di Monaco, Mike Bongiorno, Pavarotti».
E quelli meno simpatici?
«La moglie di Celentano, Leonardo di Caprio, Naomi Campbell. Johnny Depp mi minacciò di morte».
Quale scoop varrebbe oggi quello di Diana?
«Mah, forse Clooney con i suoi gemellini, o Brad Pitt che pare stia con Sienna Miller, o il principe Harry con la nuova fidanzata…»
Ma basta pronunciare questi nomi per capire la distanza siderale da una leggenda come Diana.
Mauro Suttora