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Friday, October 30, 2020

La frontiera di Lampedusa è europea, non italiana

Brahim è sbarcato lì prima di colpire a Nizza. Ma Salvini dovrebbe chiedere le dimissioni del direttore di Frontex, non di Lamorgese

di Mauro Suttora


HuffPost, 30 ottobre 2020
 

La Samsung tower di Varsavia è bellissima. Dal sesto al tredicesimo piano ospita Frontex, l’Agenzia europea delle frontiere: mille dipendenti, diecimila previsti fra pochi anni. È nata nel 2005, ora ci costa 420 milioni annui. Coordina, o dovrebbe farlo, tutte le guardie di frontiera e costiere dello spazio Schengen.

Aboliti i confini interni, l’unica frontiera da sorvegliare rimane quella esterna, comune all’intera Europa. Marittima e terrestre: da Lampedusa a Gibilterra, dall’isola di Lesbo al polo nord. Brahim Aoussaoui, l’assassino tunisino di Nizza, avrebbe quindi dovuto essere bloccato dall’Europa, non dall’Italia. Matteo Salvini dovrebbe chiedere le dimissioni di Fabrice Leggeri, direttore di Frontex, e non della nostra ministra degli Interni Luciana Lamorgese.

Se. Se l’Unione europea esistesse. Se gli stati membri non conservassero gelosamente gran parte dei loro poteri, delle loro leggi e delle loro burocrazie. In tanti campi, e anche sulle frontiere.

È assurdo che la Francia sorvegli i propri confini a Modane o Ventimiglia, probabili punti di passaggio di Brahim verso Nizza. Sarebbe come se California e Texas avessero leggi differenti per l’immigrazione dal Messico, e che poi ciascun altro stato Usa cercasse di bloccare i clandestini alle proprie frontiere.

Ma i principali avversari di Frontex e di una gestione unica dei confini europei sono proprio i neonazionalisti che ora protestano contro l’Italia per aver lasciato passare Brahim: i lepenisti francesi, e anche i nostri leghisti e fratelli d’Italia. Tutti gli antieuropeisti che non vogliono delegare a Bruxelles la gestione dei problemi comuni. Compresi i polacchi, che fecero fuoco e fiamme per ospitare l’agenzia Frontex.

La prossima felpa che Salvini indosserà non dovrà quindi essere quella della Guardia costiera italiana, ma quella di Frontex. Perché se si invoca giustamente il superamento del regolamento di Dublino sui migranti, per non addossare tutta la responsabilità sui Paesi mediterranei, occorre anche affidarsi alla Ue per la sorveglianza dei confini. Non si può essere europeisti nei giorni pari e sovranisti in quelli dispari.

Dopodiché, il dibattito fra ‘aperturisti’ e ‘inflessibili’ sull’immigrazione continuerà, ma a livello europeo. È chiara l’assurdità di aver espulso Brahim senza metterlo sul primo traghetto Trapani-Tunisi, ma chiedendogli di tornarsene a casa da solo. Tuttavia, le leggi devono essere uguali ovunque. Altrimenti ogni angolo d’Europa sarà sempre in balia delle politiche cangianti dei governi dei singoli Paesi di frontiera, buoniste o cattiviste a seconda delle convenienze elettorali. E butteremo il mezzo miliardo che spendiamo ogni anno per Frontex, inutile duplicato delle nostre guardie costiere e di confine.

Mauro Suttora

 

Tuesday, August 08, 2017

Noi, i ragazzi della Ong di Berlino

La loro nave Iuventa è stata sequestrata dai magistrati per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma cos’hanno fatto veramente quelli di Jugend Retten?
di Mauro Suttora 
Oggi, 8 agosto 2017

«Abbiamo sconfinato, siamo entrati nelle acque territoriali libiche? Sì, l’ultima volta il 9 giugno. Mentre recuperavamo un gommone di migranti abbiamo spento il motore, e la corrente ci ha spinti all’interno delle dodici miglia».
Beata incoscienza. Sono i 26 anni di Jonas Buja, la sua inesperienza, a fargli confessare candidamente di aver violato la legge? Questo ragazzone di Hannover, uscito dagli oratori della chiesa evangelica tedesca, nonostante l’età era il comandante della Iuventa, la nave dell’Ong (Organizzazione non governativa) Jugend Retten (“Salvare i giovani”), sequestrata per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Sono ancor più giovani di Jonas i fondatori di questa Ong, il 21enne berlinese Jacob Schoen e la 24enne Lena Waldhoff, che due anni fa si sono messi in testa di aiutare i migranti. Potevano arruolarsi in stimate Ong di lungo corso come Medici senza Frontiere (nata nel 1971, Nobel per la pace, un miliardo e mezzo di donazioni di cui 57 milioni in Italia) o Save the Children (fondata cent’anni fa, due miliardi annui di bilancio, 78 milioni in Italia). Invece ne hanno inventata una tutta loro.
Hanno lanciato un crowdfunding (raccolta soldi online), sono arrivati a 300 mila euro avendo come testimonial l’attrice miliardaria Maria Furtwängler (moglie di Hubert Burda, editore di 260 riviste in 89 Paesi), hanno comprato l’ex peschereccio Iuventa e dall’estate scorsa si sono messi a raccogliere migranti davanti alla Libia.
Sono una decina le navi di Ong che fanno questo lavoro, al ritmo di 170mila migranti all’anno. Ma quelli di Iuventa sono i più estremisti: «Ci battiamo contro le politiche di asilo europee», dichiarano ufficialmente. Le considerano troppo rigide. E sono accusati di aver messo a prua un cartello con la scritta “Fuck Mrcc”: un bel vaffa al Maritime Rescue and Coordination Center della Guardia Costiera italiana che da Roma raccoglie le richieste di aiuto e smista le navi.
Insomma, un misto di centri sociali, idealismo, soldi e brivido di avventura: hanno giocato col fuoco. Perché da tempo ormai le Ong sono accusate di complicità (seppur involontaria) con gli scafisti libici organizzatori del traffico di migranti.

A dicembre Frontex, l’Agenzia europea che controlla le frontiere, ha avvertito che le navi di soccorso a ridosso della costa libica «agevolano i trafficanti». I quali non devono più imbarcare i disperati su barconi capaci di raggiungere almeno Lampedusa, a centinaia di miglia: basta caricarli come bestie su fragili gommoni alla deriva, perché dopo poche miglia li aspettano le Ong.
“Taxi degli scafisti”
«Salviamo vite umane», dicono i volontari. Ed è vero, anche se migliaia di africani continuano comunque ad annegare. «Siete i taxi degli scafisti», accusano invece centrodestra e grillini.
Le Ong più responsabili si sono rese conto di essere schiacciate in questa tenaglia fra favorevoli e contrari all’immigrazione, così a maggio in una riunione riservata hanno proposto di arretrare la linea di attesa delle navi da 12 a 24 miglia. Ma hanno prevalso i “duri” come Jugend Retten: «Quelli vogliono stare sempre in prima linea», spiega il medico Stefano Spinelli, intercettato dai magistrati di Trapani. «Trasbordano i migranti su altre navi, ma dicono di averli salvati loro per farsi dare più soldi e donazioni», accusa Pietro Gallo, della Imi Security Service.
Il colpo di grazia alla Iuventa lo ha dato un poliziotto imbarcato in incognito su una nave di Save the Children. Il quale è riuscito a fotografare la stretta collaborazione fra i trafficanti e i giovani tedeschi. Confermata dall’ingenuo Buja: «Spesso durante i recuperi ho notato vicino ai canotti dei migranti barche in vetroresina con individui che alla fine recuperano i gommoni e le taniche di benzina. A volte aiutano anche le operazioni di soccorso».
Possibile che non abbia capito chi erano quei baffuti signori?
Sarà dura adesso per Kathrin Schmitt, 35enne team leader della Iuventa, ex ergoterapeuta in Nuova Zelanda, convincere i giudici di Trapani a dissequestrare la nave. Anche perché nel frattempo il ministro dell’Interno Marco Minniti ha adottato una linea severa con tutte le Ong: se non accettano poliziotti sulle loro navi, e un codice di comportamento, non possono più attraccare nei porti italiani. Save the Children ha detto sì ai poliziotti. Medici senza Frontiere no. Così ora deve trasbordare su navi della Guardia Costiera i clandestini che raccoglie.
Mauro Suttora

Thursday, January 12, 2017

Ong complici degli scafisti?

FRONTEX ACCUSA: ALCUNE PRENDONO ADDIRITTURA APPUNTAMENTO IN MARE. MA LORO REPLICANO: “SALVIAMO SOLO VITE”

di Mauro Suttora

Oggi, 12 gennaio 2017

Complici dei trafficanti libici di uomini? L’incredibile accusa alle navi delle Ong (Organizzazioni non governative) arriva da Frontex, l’agenzia europea delle frontiere. La quale in un rapporto riservato dice che ai migranti potrebbero essere date «chiare indicazioni prima della partenza dalla Libia sulla precisa direzione da seguire per raggiungere le navi Ong».

Ci sarebbe stato addirittura un «caso in cui le reti criminali hanno trafficato migranti direttamente su una nave».

Le organizzazioni umanitarie respingono le accuse: «La nostra missione è quella di salvare vite umane», dice a Oggi Marco Bertotto di Medici senza Frontiere, «stiamo davanti alla Libia e interveniamo solo su indicazioni della Guardia costiera italiana, o su nostri avvistamenti di barche in difficoltà».

«Abbiamo l’obbligo di salvare uomini, donne e bambini che rischiano di morire in mare, svolgiamo esclusivamente operazioni di ricerca e soccorso», ci dice Daniela Fatarella, vicedirettore di Save the Children Italy.

Fra Sicilia e Libia operano varie flotte. Una decina di navi della missione Triton di Frontex, che però non si spingono vicino alla Libia. Fino a dieci navi delle Ong, che da uno-due anni stazionano al limite delle acque territoriali libiche (12 miglia, circa 20 km). Cinque navi militari della missione Sophia. Più altre navi della Nato e della nostra Guardia costiera. Alla quale arrivano le telefonate di richiesta di soccorso al numero 1530, tutte smistate alla centrale di Roma dove ci sono perfino traduttori.

Itinerari sospetti

È possibile che alcune chiamate siano fatte dagli scafisti, per prendere addirittura appuntamenti in mare?

È quello che sostiene la fondazione olandese Gefira, che monitora i movimenti di tutte le imbarcazioni col sistema Ais: «Un esempio? Il 12 ottobre 113 migranti sono stati recuperati alle nove di sera a otto miglia dalla Libia, da quattro navi Ong: Astral, Iuventa, Phoenix e Golfo Azzurro. Queste ultime due sono state avvisate dieci ore prima». 
Quindi, prima che i gommoni degli scafisti salpassero dalla Libia.

Chiediamo lumi al comandante della Guardia costiera Filippo Marini. Che esclude rendez-vous con i trafficanti: «Le telefonate che riceviamo sono sempre molto concitate, di gente in difficoltà, a volte sentiamo rumori di motori in sottofondo».

Ma è impossibile sapere se a chiamare siano i migranti o gli scafisti. «La società di telefoni satellitari Thuraya ci localizza in breve tempo la chiamata. E noi giriamo le informazioni alla nave di soccorso più vicina».

Però tutte queste navi a poche miglia dalla costa possono essere un incentivo per il traffico, quasi una calamita. 
«Ma qual è l’alternativa? Lasciarli affogare? Se un piromane dà l’allarme per un incendio che ha appiccato lui, i pompieri non rifiutano certo di intervenire», ci dice Bertotto.

Mauro Suttora

Thursday, April 30, 2015

Rifugiati, l'esplosione 2014

di Mauro Suttora

Oggi, 29 aprile 2015
 
Ma i Paesi europei, in concreto, che cosa fanno per i rifugiati? Cioè per quei clandestini che approdano illegalmente sulle nostre coste, ma provengono da Paesi in guerra o con catastrofi interne, e quindi hanno diritto all’asilo politico?

Il problema è esploso nel 2014, perché i rifugiati che hanno chiesto asilo all’Europa sono aumentati del 44 per cento, a causa dei siriani: da 435mila a 626mila. È stata l’annata peggiore della storia dopo il 1992, quando la guerra nell’ex-Jugoslavia provocò la fuga di 672mila profughi, soprattutto verso Austria e Germania.

Anche adesso, come si vede dalla classifica che pubblichiamo, questi due Paesi sono le mete preferite dei profughi. Ma, attenzione: la vera graduatoria della «generosità» sta nella seconda colonna. Perché se in cifre assolute Germania, Svezia e Italia sembrano essere i Paesi più accoglienti, bisogna tener conto del numero di abitanti. Ovvio che gli 80 milioni di ricchi tedeschi possano assorbire molti più profughi di Paesi poveri o colpiti dalla crisi, come la Spagna con il suo 25% di disoccupati. Ma in realtà in cima alla classifica «vera» ci sono a sorpresa, oltre alla Svezia, Paesi come l’Ungheria considerata xenofoba e di destra (4.300 profughi per milione di abitanti) o la piccola Malta che non fa granché per soccorrere i barconi dalla Libia (3.180 per milione).

Scandaloso invece il disimpegno britannico. Sia in termini assoluti (31mila profughi, poco più delle piccole Austria e Olanda), sia relativi ai suoi abitanti: soltanto 495, metà dell’Italia, e meno perfino della malandata Grecia.

La quale Grecia è assai più severa di noi contro l’ondata migratoria. Oltre ai respingimenti sulle coste, Atene ha fatto costruire un muro contro i clandestini che cercano di entrare via terra dal confine con la Turchia.

 L’agenzia europea Frontex, che sorveglia le frontiere esterne dell’Unione, ha rifiutato di finanziarlo. Però il muro ha funzionato: le entrate terrestri in Grecia sono crollate. E si sono spostate verso l’adiacente Bulgaria, che infatti nel 2014 ha avuto il doppio dei richiedenti asilo della Grecia.

Un altro Paese a noi simile, ma assai meno accogliente, è la Spagna. La quale ha due enclaves in Africa, Ceuta e Melilla, prese periodicamente d’assalto dai clandestini. Ma le guardie di frontiera spagnole non esitano a respingerli con ogni mezzo.

L’agenzia Frontex, infine: i 36 milioni annui che spende per l’operazione Triton di sorveglianza sotto la Sicilia sono finanziati in base alle percentuali fisse dell’intero bilancio Ue. Quindi l’Italia contribuisce per il 12%, la Francia al 16%, la Germania al 18%, ciascuno in proporzione ai propri Pil. Anche qui, si distingue in negativo la Gran Bretagna. Che dai tempi di Margaret Thatcher ha ottenuto di contribuire all’Europa con appena il 10% del suo bilancio. 



DOMANDE DI ASILO NEL 2014
    
PAESE                TOTALE   PER MILIONE AB.
1) Germania          202.000    2.500
2) Svezia               81.000 8.400 
3) Italia                 64.000 1.065
4) Francia              62.000     955
5) Ungheria            42.000 4.300
6) G.Bretagna         31.000     495
7) Austria              28.000 3.295
8) Olanda              26.000 1.555
9) Svizzera             23.000 2.890
10) Belgio             22.000 2.025
11) Danimarca        14.000 2.600
12) Norvegia          13.000 2.585
13) Bulgaria           11.000 1.530
14) Grecia               9.000     860
15) Polonia             8.000     210
16) Spagna             5.600     120
17) Finlandia         3.600      665
18) Cipro              1.740 2.035
19) Romania           1.540      75
20) Irlanda             1.450     315
21) Malta              1.350 3.180
22) Lussemb.         1.150 2.090
23) Rep.Ceca         1.140    110
24) Croazia              450    105
25) Portogallo          440      40
26) Slovenia            380     185

Mauro Suttora

Wednesday, September 03, 2014

Mare nostrum o Frontex?

IMMIGRATI: CHI SE NE DEVE OCCUPARE?

di Mauro Suttora

Oggi, 27 agosto 2014

Da dieci anni l’Unione europea ha un’Agenzia apposita per fronteggiare gli immigrati clandestini: la Frontex (nome completo: Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne). Sede a Varsavia, 317 dipendenti, 90 milioni di bilancio annuale. 

All’Italia l’operazione Mare Nostrum per salvare i disperati dei barconi è costata 110 milioni questo primo anno. Il 19 ottobre scade, e il nostro governo chiede che del problema si occupi tutta l’Europa, senza scaricarlo sugli Stati mediterranei (oltre a noi, Grecia, Malta e Spagna). Ma la Frontex è in grado di subentrare a Mare Nostrum?

In teoria, l’Agenzia ha 21 aerei, 27 elicotteri e 116 navi. «Ma solo sulla carta, perché appartengono ai 28 Stati della Ue che li mettono a nostra disposizione», ha spiegato Ilkka Laitinen, direttore dimissionario finlandese di Frontex. «Se li usassimo tutti contemporaneamente, esauriremmo i nostri fondi in due settimane».

In realtà il problema è politico. Queste navi, chiunque le paghi, devono respingere i migranti o accoglierli? La Ue è più severa dell’Italia. Il nostro governo varò Mare Nostrum dopo la strage di 300 clandestini annegati un anno fa, di fatto cessando la politica dei respingimenti. Che invece molti governi europei vorrebbero applicare contro chi non ha diritto all’asilo politico. 

Frontex destina solo 21 milioni annui a operazioni marittime, e il suo bilancio è stato ridotto di 25 milioni rispetto a tre anni fa. Sarà una dura battaglia, a Bruxelles.