Thursday, September 14, 2017

La strage di Livorno


di Mauro Suttora
Oggi, 14 settembre 2017
«Le bombe d’acqua non esistono. L’Italia non è diventata un paese tropicale. Dai temporali, anche fortissimi come quello di Livorno, possiamo difenderci con le immagini da satelliti e radar meteo per previsioni a breve termine».
Franco Prodi, fratello di Romano, va controcorrente. Già docente di Fisica dell’atmosfera all’università di Ferrara, il professore avverte che «per prevedere il rischio di alluvioni, più piccolo è il bacino, più conta la meteorologia. Non basata su equazioni che dipingono situazioni generiche in un futuro di giorni, ma come nowcasting, fondata su immagini in tempo reale di satelliti e radar».
Insomma, le care, vecchie previsioni del tempo. Che, se applicate di ora in ora nella tremenda notte fra sabato e domenica 10 settembre, avrebbero forse potuto salvare la famiglia Ramacciotti: nonno Roberto, 65 anni, annegato per salvare la nipotina Camilla di tre anni (unica sopravvissuta), suo figlio Simone con la moglie Glenda, e il piccolo Filippo di 4 anni.
Tutti travolti dall’onda alta tre metri del Riomaggiore, esploso dopo i 25 centimetri piovuti in poche ore: tutta la pioggia di un anno concentrata dall’una alle quattro del mattino. Salta l’elettricità, e nel buio tutta la città di Livorno si sveglia di soprassalto, assalita dalla vendetta dei fiumi interrati nei decenni, dall’Ugiano all’Ardenza.
L’errore fatale della famiglia Ramacciotti è stato quello di scendere al piano terra per fuggire. Se fossero rimasti al primo, sarebbero vivi. Viceversa, nel quartiere Collinaia è annegato un settantenne che non è riuscito a salire sul tetto con moglie e figlia. Più su, al santuario di Montenero, un altro morto. E due dispersi.
Furono sei anche i morti dell’alluvione di Genova nel 2011. Per quelli l’ex sindaca Marta Vincenzi ha avuto cinque anni di carcere e la carriera stroncata. Ora il sindaco di Livorno Filippo Nogarin (pure lui con casa allagata ad Antignano) accusa la regione Toscana: «Doveva mandarci l’allarme rosso, non arancione». Così la famiglia Ramacciotti avrebbe almeno ricevuto un sms di avvertimento.
Replica il capo della protezione civile regionale Riccardo Gaddi: «L’allerta rossa è uguale a quella arancione. Segnala solo una maggiore estensione del territorio minacciato». Come quella che nella stessa notte aveva coinvolto l’intera regione Liguria. Ma all’ultimo momento, grazie un provvidenziale libeccio, il nubifragio ha risparmiato Genova e si è diretto verso la Toscana e Livorno.
E allora, chi incolpare? I sindaci che non tempestano di allarmi telefonici i cittadini, rischiando di farli imbufalire se poi l’alluvione non avviene? I Comuni possono ordinare la chiusura delle scuole, sospendere eventi (come la partita Sampdoria-Roma), invitare la gente a non uscire di casa. È il cosiddetto «principio di precauzione», che però blocca la vita di intere città: non si può abusarne.
Così, anche a Roma (dieci centimetri di pioggia) la sindaca Virginia Raggi, grillina come quello di Livorno, viene accusata dagli avversari politici per la metropoli in tilt, le stazioni chiuse della metro, i bus allagati.
Lo scaricabarile prosegue verso gli enti che dovrebbero ripulire gli alvei dei fiumi, aprire i tombini ostruiti, e via via nel passato verso chi ha permesso di costruirci direttamente, in quegli alvei. Nessuno ha il cattivo gusto di ricordarlo in questo tragico momento, ma anche la palazzina dei Ramacciotti sorge vicina al letto del Riomaggiore murato cent’anni fa. E per essere travolti dal fango nel proprio, di letto, è bastato il crollo di un muro.
Insomma, il maxiacquazzone di Livorno ha fatto più vittime del contemporaneo uragano Irma in Florida. Eppure i tg sabato sera erano pieni di immagini tremende dagli Stati Uniti, mentre nessuno si preoccupava per la Toscana.
«Tanto allarme per cose lontane come il riscaldamento globale e le emissioni di anidride carbonica», avverte il professor Prodi, «e poca attenzione minuto per minuto al percorso della perturbazione che ha deviato da Genova a Livorno».
Mauro Suttora

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