Friday, March 23, 2018

Chi comanda veramente nei 5 stelle

IL FIGLIO DI CASALEGGIO VANEGGIA SUL WASHINGTON POST, E ORGANIZZA UN GALA ESCLUSIVO SUL ROOFTOP DI UN HOTEL A ROMA, CON VISTA SU SAN PIETRO

di Mauro Suttora

Libero, 21 marzo 2018

«I partiti sono vecchi e moribondi. La politica ha modelli organizzativi obsoleti e diseconomici. La democrazia rappresentativa sta perdendo significato. Quella diretta, resa possibile da internet, dà una nuova centralità ai cittadini e destrutturerà le attuali organizzazioni politiche e sociali».

Altro che ammorbidimento dei grillini. Davide Casaleggio, sulle orme del padre, conferma tutta la carica eversiva del Movimento 5 stelle, e pubblica sul Washington Post un articolo dai toni trionfali e incendiari.

L’unica speranza sono i pentastellati: «Di Maio ha detto: “Non si può fermare il vento con le mani”. Il nostro è un vento inarrestabile che continua a crescere, perché appartiene al futuro».

Passando dalla poesia alla concretezza: «Con il 33% abbiamo raggiunto un successo storico nelle democrazie occidentali. Abbiamo avuto 11 milioni di voti, al costo di 8 centesimi l’uno. Una cifra coperta da micro-donazioni di 19mila cittadini che hanno dato 865mila euro, coprendo tutti i costi della nostra campagna elettorale. Ai partiti tradizionali invece ogni voto è costato fino a cento volte di più: il partito +Europa, per esempio [quello di Emma Bonino, ndr] ha un costo stimato di 7 euro a voto».

Casaleggio jr riprende i toni millenaristici e definitivi del padre: «Sulla nostra piattaforma Rousseau tutti i cittadini possono proporre e votare le leggi online. E non ci fermeremo qui. Già adesso scegliamo i nostri parlamentari sulla Rete, e non nelle stanze piene di fumo dei vecchi partiti. Ma puntiamo a un milione di iscritti. Applicheremo una certificazione decentralizzata su ogni votazione online. E fonderemo la Rousseau Open Academy per selezionare candidati di altissima qualità».

Sogni? Vaneggiamenti? Sicuramente il figlio di Casaleggio con questo articolo-programma pubblicato grazie al World Post del Berggruen Institute (finanziato da Nicolas Berggruen, uno speculatore Usa eccentrico tipo Soros) dimostra ancora una volta di non essere un «semplice attivista» di «supporto tecnico», come si autodefinisce con finta modestia.

E la conferma c’è stata l’altra sera, quando i parlamentari grillini hanno fatto a gara per essere invitati al gala romano della sua fondazione privata, ospitato sul rooftop dell’hotel Atlantic, con splendida vista su San Pietro.

I fortunati invitati (pagando 300 euro di iscrizione e 60 la cena) sono quelli che contano. Chi non c’era, non conta niente. «Formichine», direbbe Casaleggio junior. 

La nomenklatura grillina è fatta a strati. Iscriversi al Movimento non costa nulla, quindi vale nulla. Il cuore del potere vero sta nelle fondazioni Casaleggio e Rousseau. E lì non si può essere eletti, ma solo scelti, in barba a ogni democrazia diretta o indiretta.

«Nessun conflitto d’interesse: questa è un’iniziativa culturale», ha assicurato Davide, annunciando per il 7 aprile la seconda puntata del meeting di Ivrea in memoria del padre, inaugurato l’anno scorso. 

Fra gli invitati al gala c’era Alberto Bonisoli, direttore della Naba (Nuova accademia di belle arti) di Milano. Trombato al voto del 4 marzo, a causa dello scarso risultato ottenuto dal M5s in città (17%), ma già nominato ministro della Cultura nel futuribile governo grillino. 
E fra i non politici spiccava il presenzialista Arturo Artom, assiduo dei salotti della Milano bene.

Intanto, la sindaca 5 stelle di Roma Virginia Raggi annuncia un grande risultato: dopo due anni è riuscita ad abbassare la tassa rifiuti. Dello 0,7%.
Mauro Suttora


Tuesday, March 20, 2018

Silenziati i parlamentari grillini

DI MAIO METTE IL VETO SU ROMANI, MA SI RIPRENDE IL SENATORE CHE PAGA 7 EURO D'AFFITTO 

di Mauro Suttora

Libero, 20 marzo 2018

Primo giorno di scuola ieri per i 338 parlamentari grillini a Roma. Le Camere hanno aperto le registrazioni, e loro sono andati a farsi la foto ufficiale e ritirare i tesserini. Disciplinati come scolaretti, ubbidiscono all’ordine della Casaleggio srl: nessuna dichiarazione agli odiati giornalisti. Parlamentari che non parlano. E costretti a ingoiare anche le nomine preconfezionate dei loro dirigenti da parte della ditta milanese.

Sono stati già decisi, infatti, i venti fortunati (fra presidenti, vicepresidenti, segretari e tesorieri) che comporranno i direttivi dei gruppi parlamentari. Prima ruotavano ogni tre mesi, in omaggio alla democrazia diretta. Ora rimarranno imbullonati alle loro poltrone per un anno e mezzo, non più eletti dalla base ma nominati dall’alto dal cerchietto magico di Di Maio. 
Neanche il Pci stalinista era così verticista e antidemocratico, ai gruppi parlamentari lasciava una certa autonomia.
     
L’unico a violare l’obbligo del silenzio (esteso anche ai social) è il senatore Nicola Morra, rimasto capo dei movimentisti dopo la sottomissione a Di Maio di Roberto Fico e Paola Taverna. Con un tweet ha silurato la candidatura del leghista Roberto Calderoli a presidente del Senato: “Anche lui ha problemi con i 52 milioni di Belsito”. Morra dà voce ai tanti grillini, soprattutto meridionali, contrari alla luna di miele con la Lega. E non gli dispiace mettere un bastone fra le ruote dei dimaiani.

Un altro a cui l’onnipotente Rocco Casalino, capo dell’ufficio stampa grillino, concede libertà di esprimersi è Fabio Massimo Castaldo. Ma il vicepresidente grillino dell’Europarlamento, nel tentativo di accreditarsi come forza responsabile ed europeista dopo gli attacchi di Macron e Merkel contro gli “estremisti” italiani, in realtà peggiora la situazione.

Castaldo infatti ribadisce di volere “superare il fiscal compact, archiviando la stagione dell’austerità”. 
Promette di sfasciare i conti: “Serve una spesa pubblica che generi posti di lavoro. Il debito è uno strumento, non il fine. Inutile appellarsi agli zero virgola”. 
Sui migranti, “la riforma del regolamento di Dublino deve includere anche quelli economici”.

E la Russia? 
“Le sanzioni non hanno ottenuto alcun risultato. È una potenza globale da cui dipende la nostra sicurezza energetica”. 
E pazienza se avvelena dissidenti a Londra: “L’unica via è il dialogo con Putin”.

Ma la spallata più grossa al Di Maio in versione democristiana arriva da Beppe Grillo. Il fondatore del movimento lo avverte: “No agli inciuci. Dobbiamo rovesciare gli schemi, cambiare il modo di pensare. Non assisterete a una mutazione genetica del movimento. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa, a patto che si affermino le nostre idee. L’Europa è indifendibile, ormai l’epicentro di tutto sono Russia e Cina. Io non mollo, terrò gli occhi aperti su tutto. Anche su di noi. Governare non è dividere le poltrone”.

Dopo aver letto questa intervista incendiaria a Di Maio ieri mattina si è guastato l’umore. Poi si è ripreso, ed è andato a palazzo Madama per cercare di galvanizzare i suoi neosenatori: “Noi abbiamo il sorriso stampato sulla faccia, e con quello li facciamo impazzire tutti. Sono gli altri che si agitano”.

Dopo la girandola di deludenti telefonate di domenica agli altri leader, cerca di autoconvincersi: “Per il governo, credo che abbiamo ottime possibilità. Sono molto fiducioso, perché una forza politica delle nostre dimensioni è difficile metterla nell’angolo”.

Per ora, dall’angolo è stato lui a tirar fuori Emanuele Dessì, il corpulento senatore laziale cacciato dal M5s dopo aver scoperto che paga 7 euro al mese di affitto e che era amico del clan Spada: riammesso nel movimento. Così come le furbette del bonifico, la romagnola Giulia Sarti e la pugliese Barbara Lezzi. Nessuna pietà invece per Paolo Romani, il forzista candidato presidente del Senato: crocefisso per il telefonino imprestato alla figlia.

Mauro Suttora


Monday, March 19, 2018

Di Maio nel Nord che non lo ama

IL CAPO GRILLINO VA A COMO, DOVE HA RACCOLTO SOLTANTO IL 19%

di Mauro Suttora

Libero, 18 marzo 2018

La provincia di Como è stata avara con i grillini, appena il 19% dei voti il 4 marzo. Ma ieri Luigi Di Maio è tornato a Carugo, in Brianza, a trovare l’artigiano marmista Giuseppe Caggiano, fondatore di un’associazione antitasse che lo aveva ospitato in campagna elettorale, e lì ha magicamente moltiplicato la propria forza: «Abbiamo il 36% dei deputati, quindi rivendichiamo la presidenza della Camera».
In realtà il M5s ha preso il 32% dei voti, e anche calcolando la percentuale in seggi si arriva al 35% (222 eletti su 630, escludendo impresentabili, massoni e truffatori del bonifico, già espulsi in pectore).

Ma la matematica traballante non è mai stata un problema per lo statista di Pomigliano. Quindi ora, forte dei sondaggi che approvano un eventuale governo M5s-Lega (favorevoli il 43-46% dei grillini, il doppio di quelli che preferirebbero un’alleanza col Pd), cerca di piazzarsi al centro dei giochi e annuncia magnanimo: «Telefonerò ai principali esponenti dei futuri gruppi parlamentari: Salvini, Brunetta, Meloni, Martina e Grasso. A ognuno di loro dirò che noi vogliamo coinvolgere tutti in questa fase di individuazione delle figure che presiederanno le Camere, naturalmente riconoscendo il peso specifico di ogni vincitore».

Bontà sua. E aggiunge l’ovvio: «Non accetteremo candidati condannati o indagati». Come se gli altri partiti smaniassero dalla voglia di imporre loschi figuri. Ma effettuando così un’ulteriore inversione a u rispetto all’ultimo garantismo appiccicaticcio grillino, che ora deve assolvere i numerosi indagati presenti anche nelle proprie fila.

Infine, il capo pentastellato se la piglia con i vitalizi: «I nuovi uffici di presidenza dovranno abolirli». Peccato che siano già stati cancellati dal governo Monti sei anni fa. Quanto a quelli pregressi, difficile che i tribunali cancellino i diritti acquisiti. E pericoloso per le pensioni di tutti noi.

Insomma, un Di Maio in perenne campagna elettorale ancora mezzo mese dopo il voto, che fa propaganda e gira come una trottola per l’Italia. In mattina si era fatto vedere al Cosmoprof alla Fiera di Bologna, assieme al ras grillino locale Max Bugani.
È l’unico abilitato a parlare, fra le centinaia di parlamentari grillini cui è stata imposta la mordacchia dal figlio di Casaleggio e dal capo della comunicazione Rocco Casalino (che, si scopre ora, si è inventato un master negli Usa).

Così il dibattito si sfoga nei gruppi privati di facebook, dove la fa da padrone la rivelazione di Vittorio Sgarbi: «Mi dicono che Di Maio sia fidanzato con Vincenzo Spadafora, suo collaboratore fatto eleggere senatore in Campania».
Ovviamente tutti precisano che i gusti sessuali dell’aspirante premier grillino sono irrilevanti. «Però sarebbe buffo che per negarli Gigi si circondasse di finte o vere fidanzate», commenta perfida Marika Cassimatis, vincitrice delle primarie a sindaco di Genova poi espulsa dal movimento.

Un altro espulso, Fabio Fucci sindaco di Pomezia (città laziale di 65mila abitanti, grillina da 5 anni), lodatissimo fino a pochi mesi fa come amministratore modello, è stato fatto cadere dai suoi compagni di partito. Non sopportano che, sulle orme di Federico Pizzarotti a Parma (rieletto trionfalmente), voglia ricandidarsi. «Viola la regola dei due mandati», strillano. La stessa regola che centinaia di parlamentari grillini neoeletti si apprestano a violare in caso di ritorno alle urne.

Intanto, nel totonomine per la presidenza della Camera, salgono le quotazioni del 5 stelle ex berlusconiano Emilio Carelli, che sarebbe andato a chiedere una sponsorizzazione personale perfino a Gianni Letta, eminenza grigia dell’ex odiato Cavaliere.

Mauro Suttora


Monday, February 05, 2018

Scherzi grillini: finti economisti, conti svizzeri, escort gay

AL CIRCO DELLE PRIMARIE M5S VINCE IL FINTO ECONOMISTA SUDAFRICANO, MENTRE I PIÙ VOTATI VENGONO CACCIATI CON METODI DA STASI: A MILANO ACCUSE DI CONTI IN SVIZZERA, A TORINO OMOFOBIA.
GARANTITI SOLO I FEDELI A DI MAIO, DA CASORIA (NAPOLI) A IMOLA.
PER ESSERE ELETTI BASTANO 57 VOTI

di Mauro Suttora

Libero, 5 febbraio 2018

Il vero motivo per cui i grillini hanno nascosto imbarazzati per mezzo mese i risultati delle loro primarie è finalmente emerso: pochissime preferenze.

Il loro metodo assurdo, per cui chiunque poteva candidarsi se vergine politicamente e penalmente, ha fatto disperdere i voti su 10mila arrivisti, più che attivisti.

Quindi, ancora una volta, alla lotteria per conquistare il superbo stipendio da parlamentare (12mila mensili, al netto delle truffaldine "restituzioni" di circa 2000 euro, con rendiconti farlocchi senza ricevute - semplici autodichiarazioni sulla fiducia) è bastato racimolare poche centinaia di voti di amici, parenti e clienti.

A volte poche decine, come la capolista milanese al Senato Simona Nocerino: soltanto 57 aficionados. 

Particolarmente bruciante per Luigi Di Maio il confronto con Paola Taverna e Carla Ruocco, esponenti della corrente movimentista a lui avversa: 490 voti al 'capo politico', 2.136 e 1.600 alle regine dei 5 stelle.

Quest'anno, ad aggravare il fattore-deserto, si è aggiunta la fuga di Grillo. Per votare gli iscritti hanno dovuto spostarsi nel giro di pochi giorni dal vecchio blog al nuovo, dopo l'abbandono del comico terrorizzato dai processi e dalle richieste di risarcimento degli ex che gli grandinano addosso da tutta Italia.

Quindi buona parte dei simpatizzanti, annoiati o bloccati dalla lunghezza delle procedure, non ha votato.
In compenso, fra i candidati paracadutati dall'alto che non hanno dovuto sottoporsi alle primarie (oltre al portaborse mastelliano di Gigino, Vincenzo Spadafora, imposto a Casoria) spicca il caso di Lorenzo Fioramonti.

Di Maio lo spaccia per "grande economista", si è fatto accompagnare da lui a Londra per baciare la pantofola agli ex odiati "speculatori della finanza".
Peccato che l'ottimo Fioramonti non sia neanche laureato in economia. Giusto in Africa potevano dargli una cattedra.

Il genio anti-Pil risulta avere un dottorato di scienze politiche a Siena, dopodiché è emigrato prima in Germania, poi a Pretoria in Sudafrica.

Lì lo hanno assunto, e lui ha fondato un Centro studi dal nome altisonante ("Per l'innovazione della governance"), che però non ha neanche l'indirizzo web dell'università: il dominio internet, come ha appurato il giornalista Luigi Cangiano, presidente del movimento Stop Camorra, l'ha dovuto registrare Fioramonti stesso a proprio nome. E il suo libro 'Presi per il Pil' lo ha pubblicato un editore dal nome infelice: Asino d'oro.

Gli infortuni delle primarie sono innumerevoli. La più votata a Milano, Laura De Franceschi, attivista conosciutissima e rispettata della vecchia guardia, è stata epurata dopo che un delatore anonimo, suo nemico interno, ha riesumato un articolo vecchio di tre anni con il suo nome che appare nella famigerata "lista Falciani" di quelli che avevano un conto in Svizzera. Il suo ammonterebbe a 80mila dollari. Lei ha negato, ma intanto è stata depennata.

Ugualmente cacciato senza potersi difendere è stato il candidato maschio più votato a Torino. Con metodo da Stasi lo hanno accusato perché una sua foto apparirebbe in un sito di escort gay.

Il malcapitato, Marco Corfiati, non ha neppure ricevuto una comunicazione dal movimento. Gli hanno soltanto detto che avrebbe causato un "danno d'immagine".
"Ma davvero pensate che se fossi stato un escort gay non avrei ripulito la mia, di immagine, prima di candidarmi?", ha commentato lui, amaramente.

A Imola (Bologna) invece come capolista all'uninominale è stato catapultato dal vertice Claudio Frati, consigliere comunale dal 2013.
In teoria i posti all'uninominale erano riservati alle "eccellenze" esterne, ma alcuni fortunati li hanno ottenuti per non sottoporsi alle rischiose primarie (a Milano, per esempio, i movimentisti hanno trombato il casaleggiano Stefano Buffagni, considerato il Di Maio del nord).

Non si capisce però in che cosa eccella il simpatico Frati. Dichiara reddito quasi zero. Certo, non è l'unico, in un movimento con centinaia di nullatenenti e nullafacenti (come il candidato a Latina che paga solo 7 euro d'affitto, ora costretto a promettere di ritirarsi).

Pare che il maggior merito di Frati, sussurrano gli attivisti locali, sia la fedeltà al ras di Bologna Max Bugani.
Mauro Suttora




Monday, January 08, 2018

Eurodeputata grillina fa la guerra al suo ex

DANIELA AIUTO PRENDE 18 MILA EURO NETTI AL MESE FRA STIPENDIO E RIMBORSI, MA NON VUOLE DARE GLI ALIMENTI ALL'EX MARITO.
CHE COMINCIA A SPIFFERARE LE SPESE SEGRETE DEI GRILLINI. E LEI LO QUERELA

di Mauro Suttora

Libero, 7 gennaio 2018

Lui vorrebbe da lei 3.500 euro al mese come assegno di mantenimento. Lei non solo glieli rifiuta, pur guadagnandone 17.700 al mese, ma ora vuole farsene dare da lui 150mila, per diffamazione continuata e aggravata.

Fuochi d'artificio in arrivo il 15 gennaio al tribunale di Vasto (Chieti), quando verrà discussa la querela dell'eurodeputata grillina Daniela Aiuto al suo marito separato Maurizio Pozzolini.

Come nel caso di Mario Chiesa 15 anni fa, che diede il via a Tangentopoli, anche questa volta per scoprire le magagne interne dei partiti non c'è nulla di meglio delle liti fra ex.

"Mia moglie ha fatto uso improprio dei fondi dell'Europarlamento", accusa Pozzolini. Che queste cose le conosce bene, perché nei primi anni del mandato a Bruxelles sua moglie lo aveva imbarcato nell'affollata truppa 5 stelle approdata in Europa: 17 eletti nel giugno 2014, più decine fra portaborse e consulenti.

Una vera manna: ogni eurodeputato infatti non solo incassa quasi 18mila euro netti al mese fra stipendio, diaria e rimborsi vari, ma può contare su altri 21mila da distribuire ad amici e sodali politici, assunti come collaboratori.

Inoltre quel che fa impazzire di rabbia gli attivisti grillini è che i loro eurodeputati non rendicontano le spese come tutti gli altri eletti, e "restituiscono" solo mille euro mensili.

La bella Daniela non si è tirata indietro di fronte alla cuccagna.
Ha assunto ben sette portaborse, di cui quattro in Abruzzo per curare il collegio (mai come il grillino siciliano Ignazio Corrao, che aveva toccato quota 11).

Non ha assunto il marito, perché l'Europarlamento vieta di pagare parenti. Ma Pozzolini l'aveva seguita egualmente a Bruxelles, lavorando gratis per il gruppo grillino. E qui, da assistente, ha assistito agli sprechi e alle irregolarità nell'uso degli astronomici fondi da parte di alcuni 5 stelle.

Così, dopo la rottura un anno fa, si è vendicato spifferando tutto. E a marzo la povera Daniela è stata messa sotto inchiesta dall'Europarlamento per una presunta truffa su uno studio sul turismo pagato a un consulente, ma in realtà ampiamente copiato da wikipedia.
Da allora la Aiuto è sospesa dal Movimento 5 stelle.

Ma le sue disavventure sono continuate in questi mesi. L'ex ha infatti aperto un altro fronte: quello dei viaggi "allegri" a Strasburgo e Bruxelles finanziati con soldi pubblici.

Ogni eurodeputato può invitare fino a 110 suoi elettori all'anno per visitare le sedi dell'Europarlamento con aereo, hotel e pranzi pagati. Ma pare che in alcuni casi i conti presentati non collimassero con il numero dei presenti. Ed è arrivata la Guardia di Finanza.

Anche una cena nel paese di Monteodorisio (Chieti) era stata finanziata dalla Aiuto con fondi europei, ma secondo Pozzolini e Stefano Moretti, dell'Osservatorio antimafia abruzzese, il numero dei partecipanti è stato gonfiato.

Stesso discorso per rimborsi dell'auto della Aiuto, ottenuti anche per un periodo in cui l'auto risultava in riparazione in un'officina, o quando la guidava non lei, ma una sua portaborse.

Ci sarebbe poi la fattura di un ottico presentata dalla Aiuto per il rimborso (in barba ai proclami grillini di rifiutare i privilegi), ma intestata al padre.

In autunno la contesa si è inasprita. Pozzolini ha denunciato di essere stato aggredito e minacciato per strada a Vasto dal marito di un'assistente di sua moglie, mentre era in auto col figlio.
Quel che è peggio, tutte queste accuse alla ex le pubblica giornalmente sulla propria pagina facebook.

Ora Daniela Aiuto ha querelato lui e Moretti dell'Osservatorio antimafia (che ha denunciato anche il consigliere regionale grillino Pietro Smargiassi per essere stato assunto a chiamata diretta dal consorzio industriale vastese a guida forzista) e chiede la rimozione immediata dei post di accusa. Imputa all'ex marito perfino la propria mancata reintegrazione nel gruppo grillino.

I vastesi e abruzzesi, divertiti dalla telenovela coniugale, aspettano le prossime puntate.
Mauro Suttora

Monday, January 01, 2018

Sette confini per Sette

LE FRONTIERE PIU' STRANE DEL MONDO

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera)
21 dicembre 2017

Ci sono quelli sanguinanti (Turchia-Siria) e quelli pacifici (Usa-Canada). Molti sono invisibili (Ue, spazio Schengen), alcuni protetti da muri (Israele-Palestina). E poi quelli appena risorti (Regno Unito-Europa), i dimenticati (Italia-Svizzera), i cancellati (Germania Ovest-Est).
Tutti i confini, però, condividono una caratteristica: sono carichi di storia.
Quelli naturali coincidono con mari, fiumi, monti. Gli altri invece, arbitrari, risultano da secoli di lotte, battaglie, innumerevoli morti.

Perché, per esempio, l'Italia finisce a Chiasso, e non dieci chilometri più a sud o a nord? (Risposta: battaglia persa dai 'pacifici' svizzeri a Marignano/Melegnano nel 1515, la più cruenta dell'epoca).
E qualcuno sa che la frontiera di Ventimiglia fu decisa da Napoleone nel 1808, quando assegnò il paese di Garavano a Mentone?
Molti sono ancor oggi disposti a morire, per un confine. Soprattutto se lo considerano sacro (Gerusalemme).
Qui vi raccontiamo 7 storie (come 7) meno drammatiche, ma speriamo interessanti e curiose.



1) PIPÌ NEL MAR NERO
Ci sono tre posti, in Italia, dove la nostra pipì finisce nel mar Nero. Tarvisio (Udine), San Candido e Sesto in val Pusteria (Bolzano) e Livigno (Sondrio) si trovano infatti al di là dello spartiacque alpino. Quindi il loro bacino idrografico, per dirla con gli scienziati, non è quello del Po. I torrenti che bagnano questi quattro comuni (con annesse fogne e depuratori) affluiscono nei fiumi Inn e Drava, e da lì nel Danubio fino alla Romania.

Non sono l'unica eccezione al crinale delle Alpi come frontiera. Ben più grande è il canton Ticino: italiano per geografia e lingua, ma svizzero da mezzo millennio.
Tarvisio e San Candido invece sono italiani da un secolo. Facemmo un po' i gradassi dopo la vittoria del 1918: ai generali piace controllare le valli dall'alto, così li strappammo all'Austria. Anche se a Tarvisio gli abitanti italiani erano solo 10, contro 6400 austriaci e 1680 sloveni. Uguale destino per il Sud Tirolo, ma almeno lì la geografia sta con noi.
Fummo puniti nel 1947: la Francia pigliò la parte italiana dei passi Monginevro e Moncenisio.

2) SE SAN COLOMBANO ODIA LODI
Un mese fa Sappada (Belluno) è passata dal Veneto al Friuli, con annessi finanziamenti di regione a statuto speciale. Direte: ma sono confini interni, quisquilie.
Invece no. Le diatribe fra regioni, province e anche comuni confinanti possono raggiungere accanimenti a livelli jugoslavi (guerra esclusa). Infatti c'è voluto un voto del Parlamento per spostare Sappada.
Un caso sconosciuto ma clamoroso è quello di San Colombano al Lambro. Quando nel 1992 nacque la provincia di Lodi, i suoi 7.400 abitanti votarono all'80% per rimanere con quella di Milano. Che però dista 40 km, quindi San Colombano è ora una enclave fra le province di Lodi e Pavia.
I fieri 'banini' (fra i quali il cantautore Gianluca Grignani) non potevano accettare di stare sotto i lodigiani.

Uguale destino per l'Alta Valmarecchia: sette comuni (fra cui San Leo di Cagliostro, Pennabilli di Tonino Guerra e Novafeltria) con 18mila abitanti passarono dalle Marche (Pesaro-Urbino) alla Romagna (Rimini) nel 2009. Ma sopravvive dentro di essa l'enclave toscana di Ca' Raffaello (280 abitanti) appartenente al comune di Badia Tedalda (Arezzo): un lascito medievale.

3) TURCHIA-SIRIA: FERROVIA DEL KAISER
Non è vero che tutti gli attuali confini mediorientali furono inventati da Francia e Regno Unito con l'accordo segreto Sykes-Picot del 1916, come accusano gli islamisti.
La frontiera Turchia-Siria, che i curdi hanno recentemente liberato dall'Isis, fu in realtà decisa dal Kaiser tedesco. La Germania infatti all'inizio del 900 costruì la ferrovia Berlino-Baghdad, che da Istanbul correva in territorio ottomano. E prima di scendere nell'attuale Iraq, collegava Aleppo a Mosul.

Ebbene, proprio quel tracciato fu scelto dagli anglofrancesi per separare l'attuale Turchia dalla Siria: il confine corre tuttora per 350 km in parallelo subito a sud dei binari, rimasti sotto controllo turco da Çobanbey a Nusaybin.
Nel 2010 la ferrovia è stata riaperta dopo decenni di abbandono: i treni unirono di nuovo Gaziantep (Turchia) a Mosul (Iraq). Ma dopo due anni il sogno si è infranto con lo scoppio della rivolta contro Assad di Siria. E poi con l'arrivo dell'Isis.

4) DOPPIA ENCLAVE IN OMAN
In mezzo al deserto degli Emirati Arabi Uniti, dietro a Dubai e Abu Dhabi, c'è un polveroso paesone di 3mila abitanti: Madha. È un'enclave dell'Oman sulla strada costiera che porta al Musandam, regione anch'essa controllata dal sultanato di Mascate a nord degli Emirati, proprio sulla punta della penisola araba di fronte all'Iran, sullo stretto di Hormuz.
Di enclaves nel mondo ce ne sono tante. L'Italia ha Campione (Como), circondata dalla Svizzera sul lago di Lugano.
La particolarità di Madha è che dentro di sé contiene una doppia enclave: un quartiere di 40 case, Nahwa, che appartiene agli Emirati.

Altre doppie enclaves si trovano in Olanda (la belga Baarle-Hertog, con dentro le sette mini exclaves olandesi di Baarle-Nassau).
Il record mondiale fino a due anni fa era un'enclave di terzo livello a Cooch Behar, in India: gli indiani avevano un appezzamento dentro una zona bengalese, circondata a sua volta da un'enclave indiana all'interno del Bangla Desh. Ora il puzzle è stato risolto con traslochi pacifici.

5) USA-CANADA: GUERRA DEL MAIALE
La guerra più assurda della storia scoppiò nel 1859 fra Stati Uniti e Canada, allora colonia inglese. Un contadino americano dell'isola di San Juan (fra Vancouver e Seattle, sul Pacifico), contesa dai due Paesi, uccise il maiale di un britannico che gli mangiava i tuberi.
Gli inglesi spedirono ben 2mila soldati su cinque navi da guerra per vendicare l'affronto. Gli americani risposero con 400 militari. Alla fine la disputa fu demandata al Kaiser tedesco, che assegnò l'isola agli Usa.
Insomma, fu solo una scaramuccia senza spargimento di sangue, anche se è pomposamente passata alla storia come Pig War.

In realtà il confine fra Usa e Canada è il più calmo, incustodito, lungo e dritto del mondo. Misura 8.891 km, di cui 2.475 con l'Alaska. Gli altri coincidono col 49esimo parallelo, tranne la parte orientale fra i Grandi laghi e il New England, decisa dalle guerre coloniali anglofrancesi prima dell'indipendenza americana nel 1776.
Quest'anno il premier canadese Justin Trudeau ha invitato i profughi rifiutati da Donald Trump a rifugiarsi in Canada, e allora gli Usa hanno intensificato i controlli alla frontiera, già rafforzati dopo l'11 settembre 2001.

6) LIBIA INGRANDITA DAGLI ITALIANI
Il confine sud della Libia, che oggi è quello che interessa di più l'Italia per il controllo dei migranti, non esisteva nel 1912, quando strappammo la colonia all'impero ottomano. Occupammo solo le coste di Tripolitania e Cirenaica, disinteressandoci dello "scatolone di sabbia" all'interno.

Fu solo nel 1919, alle trattative per la pace di Versailles, che la Francia (allora padrona di tutto il Sahara occidentale) ci cedette la pista che collegava le oasi di Gadames, Ghat e Tummo. Così nacquero gli attuali delicatissimi confini libici con Algeria e Niger.
Nel 1935 il premier francese Pierre Laval, per rabbonire Mussolini, concesse all'Italia anche la striscia di Aozou al confine con l'attuale Ciad. Per la quale negli anni 80, scoperti i giacimenti di uranio, Gheddafi scatenò una lunga guerra al Ciad che se l'era ripresa, fino alla ritirata libica nel 1994.
Altri ampliamenti i fascisti li ottennero da Egitto e Sudan inglese a Giarabub (roccaforte della confraternita cirenaica dei senussiti dove nacque Idris, re prima di Gheddafi) e nel sudest.

7) PAPA BORGIA INVENTÒ IL BRASILE
Appena sette mesi dopo la scoperta dell'America il papa Alessandro VI Borgia, spagnolo, si preoccupò di spartire le nuove terre fra i regni cattolici di Spagna e Portogallo: nel maggio 1493 stabilì che tutte le scoperte al di là di cento leghe da Capo Verde (36esimo meridiano) spettavano alla sua Spagna, e al di qua al Portogallo.
Un anno dopo l'incredibile trattato di Tordesillas spostò più a ovest l'immaginario confine, assegnando ai portoghesi le terre fino al 46esimo meridiano (1.770 km dall'Africa). Nacque così il Brasile, cinque anni prima che venisse scoperto da Amerigo Vespucci, che arrivò solo nel 1499 alla foce del Rio delle Amazzoni. E tutto il resto del Sud America andò alla Spagna.

In seguito i portoghesi si spinsero ben oltre il confine papale, perché l'Amazzonia era facilmente raggiungibile risalendo il fiume. Gli spagnoli in Perù invece erano troppo occupati a razziare gli ori degli Incas per occuparsi di inutili foreste.
Così un nuovo trattato del 1750 definì l'attuale confine occidentale del Brasile con Perù e Bolivia, quand'erano ancora colonie.
Mauro Suttora














Thursday, December 14, 2017

Lo stato non paga i fornitori

IL CASO DI SERGIO BRAMINI DI MONZA



di Mauro Suttora

Oggi, 7 dicembre 2017

«Per non licenziare 32 dipendenti ho ipotecato la casa. La mia azienda è fallita, anche se ho 4 milioni di crediti con la pubblica amministrazione».
La Icom spa dell’imprenditore Sergio Bramini di Monza va bene, si aggiudica appalti importanti. Ma i pagamentinon arrivano, lui ipoteca la casa.

L’azienda fallisce, e ora è stato sfrattato: «Vivo con i miei figli e la mia nipotina. Ho pensato di suicidarmi. La Icom andava bene, ho vinto vari appalti nel Sud Italia, in Sicilia e a Napoli per l’emergenza rifiuti, ma i pagamenti non sono arrivati e le banche hanno interrotto le linee di credito».

Bramini avrebbe potuto chiudere l’azienda licenziando tutti i dipendenti, ma non lo ha fatto: «Ho pensato alle trentadue famiglie che dipendevano da me, e ho ipotecato la mia casa. Sono comunque fallito».
Il tribunale ha decretato il fallimento della Icom nel 2011, due anni prima dell’entrata in vigore della legge europea che obbliga lo stralcio di dissesti provocati dal mancato pagamento di enti pubblici. Bramini, quindi, non può usufruirne.

Nonostante le promesse, l'Italia è ancora maglia nera in Europa per i tempi di pagamento degli enti pubblici alle imprese fornitrici.  
Per questo la Ue ha riattivato la procedura d'infrazione, aperta nel 2013. Allora il premier Matteo Renzi fece approvare il decreto Sblocca debiti. 
Ma secondo l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) il 70% delle imprese di costruzioni registra ancora ritardi, che causano gravi ripercussioni: metà di esse hanno ridotto gli investimenti, e una su tre ha dovuto licenziare. Si arriva a ritardi di 168 giorni (più di cinque mesi), contro il limite di 60 giorni.

«La vicenda di Bramini non è la prima in Italia, e non sarà l’ultima se il governo non cambierà rotta», dice a Oggi Andrea Innocenti, consulente d’impresa.  «La procedura promessa da Renzi in tv era semplice: le aziende con crediti verso gli enti pubblici maturati entro il 2013 chiedevano la certificazione con garanzia dello stato. Poi andavano da una banca a farsi anticipare i soldi, e la banca a sua volta avrebbe ottenuto entro 180 giorni il pagamento, grazie a un fondo apposito».

Tutto semplice, quindi?
 
«No, perchè proprio lo stato ha iniziato a negare le nomine dei commissari ad acta per la certificazione, per esempio per le Ato, Autorità d’ambito territoriale ottimale, in Sicilia, sostenendo che non sarebbero enti pubblici, ma spa, società per azioni, private. Eppure sono enti istituiti per legge, che riscuotevano la tassa rifiuti».

Le ex Nettezze urbane.

«Sì. Ma ci sono voluti ricorsi in tribunale per ristabilire questa semplice verità. E nonostante le sentenze, i governi hanno continuato a non certificare. Anche nell’unico caso in cui lo hanno fatto, non hanno pagato la banca che ha anticipato i soldi all'azienda, circa 35 milioni. Hanno così creato un pregiudizio e una diffidenza di tutte le banche italiane, che a quel punto hanno negato alle aziende operazioni simili».

Perché?
 
«Un commissario ha ammesso in privato, con me, di non avere certificato dei crediti per "imposizioni informali del ministero dell’Economia"».

A quanto ammontano i crediti pubblici non pagati?

«La Sicilia da sola ha accumulato debiti per almeno due miliardi di euro, non inseriti nei bilanci dello stato. Mi sembra insomma che il governo stia “nascondendo” molti debiti alla Ue. Intanto le aziende falliscono, e vari imprenditori si suicidano».
Mauro Suttora


Thursday, December 07, 2017

Il recordman dei trapiantati di cuore in Europa è italiano



50 ANNI DOPO IL PRIMO TRAPIANTO DI BARNARD IN SUD AFRICA

Il trapiantato più longevo d'Europa è italiano: Gian Mario Taricco, 32 anni con un cuore nuovo. E il cardiochirurgo che lo ha salvato ha effettuato più di mille interventi dopo il suo

di Mauro Suttora

Oggi, 30 novembre 2017

Alle cinque di domenica 17 novembre 1985 il professor Mario Viganò di Pavia stava guardando la partita di pallacanestro Annabella-Forlì.
Arriva una telefonata: il cuore di un ragazzino di 14 anni, Andrea Orlandi, morto in un incidente, è disponibile per l’espianto a Legnano (Milano). Il professore, cardiochirurgo di fama, perfezionato a Parigi, si mette in moto.

Alle due di notte, su due Alfette della polizia stradale, una squadra di medici pavesi arriva a Legnano per l’espianto. E di notte il cuore viene trapiantato su Gian Mario Taricco, 20 anni, studente al secondo anno di Legge a Torino.

Pochi giorni di vita

Taricco era malato di miocardite acuta. Senza un cuore nuovo sarebbe morto entro pochi giorni. Era tenuto in vita soltanto da dosi massicce di nitroprossiatosodico, per non fargli scoppiare il cuore.
Fino a una settimana prima i trapianti erano vietati, in Italia. Il padre di Gian Mario, preside a Dogliani (Cuneo), si era informato per farlo operare a Lione o a Montecarlo.

Improvvisamente il ministro della Sanità Costante Degan promulga una circolare che autorizza i trapianti di cuore. Il primo viene effettuato a Padova. A ruota, Pavia. E oggi Taricco è il più longevo trapiantato di cuore non solo in Italia, ma in tutta Europa. Il record mondiale ce l’ha un americano del Minnesota, operato nel 1983.

Taricco aveva due anni nel 1967, non può ricordare quel 3 dicembre in cui una notizia arrivata dal Sud Africa sconvolse il mondo: il chirurgo Christian Barnard aveva effettuato il primo trapianto di cuore all’ospedale Grote Schuur di Città del Capo. Battendo gli specialisti statunitensi in Texas e California, e lasciando di stucco anche il giovane Viganò, allora borsista assistente a Parigi: «Fu uno choc per tutti, noi sperimentavamo i trapianti di cuore sui cagnolini».

Ma ne valeva la pena?

Dopo l’entusiasmo iniziale, per tutti gli anni 70 ci furono polemiche sull’utilità dei trapianti: la sopravvivenza di chi riceveva un cuore nuovo era di pochi mesi o anni, e non giustificava la complessità degli interventi.
«La svolta avvenne nel 1980, con l’introduzione della ciclosporina che ha ridotto le crisi di rigetto», spiega a Oggi il professor Viganò. «Ci vollero dieci anni di esperimenti dopo la prima scoperta casuale dei funghi nel 1969».

Ancor oggi la vita di Taricco dipende dal farmaco immunosoppressore Tacrolimus: «Lo prendo ogni giorno, per il resto la mia esistenza scorre normale».

Controlli ogni 4 mesi

Laureato in legge, lavora in banca, ha sposato un’amica di sua sorella, ha due figli e un cane. È diventato amico dei genitori del ragazzo il cui cuore batte nel suo petto. E anche del professor Viganò, il suo salvatore. Che vede ogni 3-4 mesi, quando torna a Pavia per i controlli.

Due anni fa, però, riprecipita nel dramma: alla lunga, la terapia gli ha logorato i reni. I farmaci antirigetto hanno causato un’insufficienza renale cronica progressiva.Dopo un anno di dialisi, deve subire un secondo trapianto.
«Psicologicamente è stato peggio del primo: allora avevo vent’anni, la malattia era arrivata all’improvviso, io ero spensierato e incosciente. Questa volta invece è stata dura».

L’intervento, alle Molinette di Torino, è riuscito perfettamente. Dopo due settimane era già a casa, mentre 32 anni fa rimase in ospedale per mezzo anno. «E rischiò ancora la vita dopo l’operazione», ricorda il professor Viganò, «perché aveva sviluppato un’infezione».
Incredibile coincidenza: alla Molinette Taricco ha ritrovato il chirurgo Mauro Rinaldi, che era nell’équipe di Viganò a Pavia un terzo di secolo fa.

Interventi sicuri

Rispetto al 1985, quello dei trapianti è un altro mondo. Viganò, dopo quello su Taricco, ne ha effettuati più di mille a Pavia, anche con interventi doppi cuore-polmoni.

In Italia i trapianti l’anno scorso sono stati 3.736. Al primo posto i reni, oltre 2mila. Poi il fegato, 1.235, il cuore (267) e il polmone (154).
La durata media della vita dei trapiantati è di decine di anni. Per il cuore i centri più attivi sono Milano Niguarda, Pavia, Bologna e Padova.
Per soddisfare le liste d’attesa, però, ci vorrebbero 700 donatori di cuore all’anno in Italia, contro gli attuali 300.

«C’è sempre il problema della scarsità di donatori, soprattutto al sud», ci dice il professor Viganò. «E non è una questione religiosa, perché già vari decenni fa il cardinale Angelini, ministro della salute del Vaticano, definì le donazioni “una prosecuzione della creazione di Dio”».
E allora che cosa blocca i familiari dal concedere l’autorizzazione all’espianto? «Preoccupazioni scaramantiche».
I progressi della scienza, comunque, ora permettono di recuperare cuori un tempo considerati non trapiantabili.
Mauro Suttora


Wednesday, November 29, 2017

Che stangata per Veronica Lario



Clamorosa sentenza sul Cavaliere e la ex moglie
Svelati i documenti sul divorzio

CHE VITA SUPERLUSSO QUANDO ERA LA SIGNORA BERLUSCONI!

Ville, piscine, barche, viaggi in mezzo mondo e decine fra domestici e guardie del corpo. Miriam Bartolini aveva chiesto tanto e ottenuto alimenti da favola. Ora glieli hanno azzerati. E non solo: le tocca restituire le somme già incassate

di Mauro Suttora

Oggi, 23 novembre 2017

Adesso, per risparmiare, dovrà scegliere. L’attico e superattico al 18esimo piano del grattacielo Magnolia fra le Torri Bianche di Vimercate, quelle che si vedono dall’autostrada, o il palazzetto di via Bigli nel centro di Milano?

Miriam Raffaella Bartolini, alias Veronica Lario ex Berlusconi, si divide fra queste due case dopo aver dovuto lasciare la magione di Macherio da 78 milioni nel 2012: le centinaia di metri quadri in affitto di Vimercate, con vista sulle Prealpi e sui nuovi grattacieli di Milano, e l’altrettanto spazioso appartamento dietro via Montenapoleone, acquistato per 11 milioni, già set del film Happy Family (2010) del premio oscar Gabriele Salvatores. Vicini di casa: i Tronchetti Provera, i Moratti, l’ex moglie di Galliani, la Casaleggio & Associati srl.

Dopo la disastrosa sentenza che le ha azzerato gli alimenti, l’ex moglie di Silvio Berlusconi dovrà sicuramente rivedere quello che gli avvocati chiamano «il suo treno di vita».

Peggio di così, non poteva andare. E pensare che solo cinque anni fa la sentenza di separazione le aveva assegnato l’astronomica cifra di 3 milioni al mese. Ogni anno 36 milioni. Tanto che l’ex premier ci scherzò su: «Anche oggi la mia ex, quando si sveglierà, dovrà decidere come spendere i suoi 100 mila euro giornalieri».

È una vera rivoluzione per i divorziati italiani

Già due anni fa, però, la sentenza di divorzio le aveva dimezzato il sontuoso appannaggio. Ma neanche nei suoi peggiori sogni la povera Veronica avrebbe immaginato che alla fine la corte d’Appello di Milano non le avrebbe riconosciuto neppure un centesimo.

E non solo: le tocca pure restituire una sessantina dei milioni già ricevuti. Che si riducono a una quarantina perché il caro Silvio, sperando in un futuro sconto, aveva già iniziato da mesi a ridurre l’assegno.

La rivoluzione è scoppiata pochi mesi fa, quando la Cassazione ha deciso che l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli non doveva più mantenere l’ex moglie, perché la signora era in grado di provvedere da sola. Basta con l’ex coniuge ricco che deve garantire all’altro lo stesso “treno di vita” goduto durante il matrimonio.



Patrimonio di Silvio: 7 miliardi di euro

Ora di questa svolta epocale approfitta Berlusconi, il quinto uomo più ricco d’Italia, 7 miliardi di patrimonio personale. Che non dovrà più garantire alcunché a Veronica, visto che lei può trarre sostentamento dal suo patrimonio accumulato durante il matrimonio: un centinaio di milioni.

E pensare che gli avvocati della Lario si erano dilungati fino alle minuzie per descrivere la sua vita da sposata, convinti che Berlusconi avrebbe dovuto garantirgliene una di pari livello. Prima della separazione Veronica risiedeva nella Villa Belvedere di Macherio dotata di piscina coperta e palestra, con 12 domestici (7 donne e 5 uomini: cuoco, cameriere, giardinieri, personal trainer, restauratori).

Si trasferiva nella Villa Certosa di Porto Rotondo per almeno 5 settimane all’anno, e altrettanto tempo trascorreva sullo yacht Morning Glory.
Alla signora piace molto viaggiare. Nei quattro anni prima della separazione si è recata a Galapagos, Polinesia, Figi, Nuova Zelanda, Cambogia, Laos, Thailandia, Brasile, Siria, Praga.
Andava più volte all’anno a New York, Londra, Parigi, Venezia, Roma, e in montagna nella villa di St.Moritz. E naturalmente, come precisano gli avvocati, «viaggia sempre nelle classi massime».

Berlusconi possiede non un aereo privato, ma un’intera società dotata di vari velivoli, la Alba Servizi. E Veronica ne è stata un’assidua cliente, sia sul Gulfstream 450 (viaggi intercontinentali) che sui tre Hawker e l’elicottero.
Erano ben 25 le guardie del corpo della signora, distribuiti su vari turni 24 ore su 24.
E la memoria specifica che il marito provvedeva a saldare i conti per gli acquisti di «abiti di noti stilisti», nonché per l’opera di estetiste, parrucchieri e personal trainer a domicilio.

Ora tutto è stato ridimensionato. Ma non troppo. Oltre alle due case dove abita a Milano e Vimercate, infatti, Veronica può contare su un palazzetto  a S-Chanf, accanto a St. Moritz, intestato alla madre.



Case a New York, Londra e in Sardegna

La sua società immobiliare Il Poggio incorpora residenze a Londra (valore: 3 milioni), New York (Park Avenue, 7 milioni), Porto Rotondo (600 mila euro), Bologna (117 mila euro).

I cespiti maggiori per il futuro reddito che l’ex signora Berlusconi dovrà a questo punto autoprodurre sono due interi palazzi di uffici a Milano 2 (il Canova, otto piani, valutato 33 milioni, piano terra affittato al supermercato Crai, e il Borromini), uno a Milano (12 milioni), e 55 posti auto a Segrate. Veronica inoltre avrebbe incassato 15 milioni vendendo Villa Minerva in Sardegna al miliardario russo Tariko Rustam.

Insomma, senza contare gli investimenti finanziari, la signora dovrebbe farcela a estrarre una rendita decente per vivere, visto che il totale degli  immobili a bilancio nella sua srl risulta di 46 milioni, ma probabilmente il valore commerciale reale è il doppio.
Mauro Suttora



Thursday, November 23, 2017

L'ultima bufala su Hitler



Desecretato un rapporto Cia del 1955: finta foto dalla Colombia

di Mauro Suttora

Oggi, 16 novembre 2017

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha fatto desecretare migliaia di documenti riservati della Cia (Central intelligence agency). Si aspettavano novità sensazionali sull’assassinio di John Kennedy. Ma la verità sull’omicidio di Dallas (22 novembre 1963) è probabilmente rimasta nei 500 «files» che Cia e Fbi hanno ottenuto di non divulgare ancora, in nome del «segreto di stato».

Però possiamo consolarci con un documento che riguarda un altro dei grandi misteri del ’900: la fine di Adolf Hitler. Non pochi, infatti, hanno sostenuto che il dittatore nazista sia riuscito a fuggire in Sud America nel 1945.

Siamo nel 1955. Il 29 settembre un agente col nome in codice Cimelody-3 viene contattato da un amico fidato che aveva lavorato sotto di lui in Europa. Cimelody non ne rivela il nome: scrive solo che risiede a Maracaibo (Venezuela).

Questa fonte racconta che nella seconda metà di settembre un certo Phillip Citroen, ex SS tedesco, gli ha detto che «Adolph [sic] Hitler è ancora vivo». Citroen lo avrebbe incontrato in Colombia, durante un viaggio di lavoro da Maracaibo come dipendente di una società olandese di trasporti marittimi. E si sarebbe anche fatto fotografare con lui, ma non gli mostra la foto.

Secondo Citroen Hitler lasciò la Colombia per l’Argentina nel gennaio del 1955. E non avrebbe più potuto essere processato come criminale di guerra, perché erano passati dieci anni dalla fine del conflitto.

«Sottrasse la foto»
Il 28 settembre l’amico di Cimelody riesce a sottrarre la foto di Citroen con Hitler. E il giorno dopo la mostra all’agente segreto statunitense. David Brixnor, capo della stazione Cia di Caracas, il 3 ottobre 1955 scrive nel suo rapporto alla sede centrale: «Naturalmente Cimelody-3 non è stato in grado di esprimere alcuna valutazione sulla possibile veridicità di questa storia fantastica. Tuttavia, ha preso in prestito la foto per farne delle copie, prima di restituirla al proprietario il giorno dopo».

Nella foto appare Citroen accanto allo pseudo-Hitler. Nel retro c’è scritto: «Adolf Schrittelmayor, Tunga, Colombia, 1954».
Che a Tunja nel dopoguerra si fossero rifugiati dei nazisti, è possibile. Ma che quell’ometto con i baffetti e i capelli ancora nerissimi potesse essere un 65enne Hitler, è assai improbabile. Infatti quel rapporto finì nella cantine della Cia, e fu riesumato nel 1963 solo per essere microfilmato e tornare nel giusto oblio. Soltanto uno stupido, infatti, avrebbe potuto conservare i baffi che lo identificavano immediatamente. E Hitler stupido non era.

Fantasie complottiste
Naturalmente sono stati decine gli avvistamenti del dittatore tedesco da parte dei più fantasiosi complottisti, fino agli anni 70. E c’era chi li prendeva sul serio. Per esempio Edgar Hoover, potente capo dell’Fbi  fino al 1972: faceva investigare a fondo su tutte le segnalazioni, provenienti soprattutto dal Sud America, dove in effetti trovarono rifugio diversi ex gerarchi nazisti. Anche il presidente Usa Dwight Eisenhower sospettava che il Führer fosse sopravvissuto.

Ma alla fine la verità più probabile è che Hitler sia veramente morto suicida nel suo bunker di Berlino il 30 aprile 1945, poche ore prima che arrivassero i soldati sovietici.
Stalin ordinò che i cadaveri del capo nazista e della sua Eva Braun fossero distrutti, per evitare che una eventuale tomba diventasse luogo di culto per i nostalgici. I sovietici diffusero la foto di un corpo prima che venisse bruciato. Ma pare che fosse quello di un sosia (che Hitler si teneva sempre vicino, per sviare gli attentati), perché i nazisti avevano già cremato il loro capo, come lui aveva ordinato.

Il cranio di una donna
I sovietici dicevano di aver conservato alcuni resti di Hitler. Lo scienziato statunitense Nick Bellantoni (Università del Connecticut) esaminò quei frammenti di teschio nel 2009: è risultato che appartenessero a una donna tra i 20 e i 40 anni. Il Führer ne aveva già 56 quand’è morto.
Mauro Suttora


Thursday, November 16, 2017

50 anni fa il primo trapianto di cuore di Barnard



di Mauro Suttora

Oggi, 9 novembre 2017

Durò soltanto 18 giorni il primo cuore trapiantato. Il 3 dicembre 1967 il chirurgo Christian Barnard dell’ospedale Groote Schuur di Città del Capo (Sudafrica) lo impiantò su Louis Washkansky, un droghiere ebreo di 55 anni che aveva combattuto in Italia nella Seconda guerra mondiale. La donatrice era una ragazza di 25 anni, Denise Darvall, morta in un incidente stradale.

Ma Barnard ritentò subito: il 2 gennaio 1968 eseguì un altro trapianto sul dentista Philip Bleiberg, che visse con il cuore nuovo per 19 mesi. Il donatore era un nero, nel Sudafrica dell’apartheid.
La svolta per i trapianti di cuore avvenne nel 1980 con l’avvento della ciclosporina, farmaco antirigetto.

Oggi vengono eseguiti circa 3.500 trapianti di cuore ogni anno nel mondo (2.000 negli Stati Uniti). La vita media dei trapiantati è 15 anni, con un record di 33. È diventato un intervento di routine: perfino in Sri Lanka è stato trapiantato il primo cuore nel luglio di quest’anno.
Il trapiantato più famoso è l’ex vicepresidente degli Usa Dick Cheney: ha un cuore nuovo dal 2004. Il regista Robert Altman è sopravvissuto 10 anni.

Il primo organo umano a essere trapiantato fu il rene, nel 1954. Joseph Murray, che lo realizzò a Boston, fu premiato col Nobel. Il primo trapianto di fegato risale anch’esso al 1967. Fra i trapiantati più noti c’è Steve Jobs, fondatore della Apple, che però è sopravvissuto solo due anni. Il musicista David Crosby invece vive da 23 anni con un fegato nuovo (operazione pagata dal collega Phil Collins).

Anche i trapianti di polmone sono diventati fattibili solo negli anni 80, dopo l’introduzione della ciclosporina.
L’organo meno trapiantato è l’intestino. La prima operazione risale al 1988, la massima sopravvivenza è di 18 anni.

In Italia il primo trapianto di cuore fu fatto il 14 novembre 1985 a Padova da Vincenzo Gallucci, sul 18enne Ilario Lazzari, che visse fino al 1992. Nel 2016 i trapianti di cuore in Italia sono stati 267. I numeri sono stazionari grazie al cuore artificiale e a terapie che rendono meno necessario il trapianto.

I trapianti in totale in Italia sono più di tremila all’anno. In stragrande maggioranza riguardano reni (2.000) e fegato (1.200).

Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti (nella foto), dice: «Trapiantiamo il 70-75% dei pazienti in lista d’attesa. Per il fegato superiamo l’85%, il polmone è al 65%. Un paziente che entra in lista ha quindi molte probabilità di ricevere il trapianto». Niguarda (Milano) e Pavia sono i centri più attivi fra i 19 che fanno trapianti di cuore.
Mauro Suttora

Thursday, November 09, 2017

Chi ha tradito Anna Frank?



DOPO LO SCANDALO SUL DIARIO PIU' FAMOSO DEL MONDO

Una telefonata alla Gestapo di Amsterdam il 4 agosto 1944 denunciò la famiglia ebrea che da due anni si nascondeva nel retro della propria casa. Chi la fece? I sospettati sono ben sei. E la ricerca continua: l’ultima rivelazione è del 2015

di Mauro Suttora

Oggi, 26 ottobre 2017

Gli ultimi a saperlo sono i disgraziati che l’hanno ancora insultata, mettendole addosso la maglia della Roma e augurando ai romanisti di fare la sua fine.
Ma, a 72 anni dalla sua morte nel campo di concentramento tedesco di Bergen Belsen, c’è ancora un grande mistero che aleggia sulla vicenda di Anna Frank. Che, come tutti sanno, dal luglio 1942 era nascosta in una casa segreta assieme a tutta la sua famiglia, ad Amsterdam.

In Olanda si era infatti scatenata la caccia all’ebreo, e i nazisti ne rastrellarono oltre centomila, sui 130mila che vi abitavano all’inizio della Seconda guerra mondiale.

La famiglia Frank, composta dai genitori Edith e Otto e dalle sorelle Margot e Anna, era scappata da Francoforte, in Germania, già nel 1933. Avevano capito subito la vera natura del regime nazista che si era appena insediato a Berlino. E avevano scelto la tollerante e civile Olanda come luogo di esilio. Anche dopo l’inizio della guerra, nel 1939, nessuno pensava che Adolf Hitler volesse invaderla. Nel 1914 i tedeschi avevano attaccato la Francia passando per il Belgio. L’Olanda sembrava fuori da ogni mira espansionista dei tedeschi.

La «pacifista» Olanda invasa a sorpresa

Invece, nella primavera del 1940 la pacifista Olanda si ritrovò invasa. I nazisti non cominciarono subito ad arrestare gli ebrei. Ma nel 1942 fu presa la decisione della “soluzione finale”, che fu applicata anche ad Amsterdam.
La famiglia Frank si rifugiò in una «casa segreta» dietro alla sede della ditta di Otto, La porta per accedervi era nascosta dietro una libreria.

All’inizio speravano che dopo poche settimane o mesi avrebbero potuto uscire: a metà 1942 i nazisti avevano già cominciato a perdere, e l’entrata in guerra degli Stati Uniti prometteva bene per gli Alleati.

Anna non sopportava la mamma pessimista

Ma con l’andare del tempo, la prigionia si prolungava. E con essa anche le tensioni fra le due famiglie che condividevano gli angusti spazi del nascondiglio.

Il papà di Anna cancellò dal diario,  nella sua prima edizione, i riferimenti ai dissidi anche dentro la famiglia Frank. Anna infatti, come tutti gli adolescenti aveva un carattere ribelle e non sopportava né il pessimismo della madre, né la «stupidità» del suo compagno forzato di stanza, un dentista quarantenne.

Soltanto nel 1986 venne pubblicata la versione completa del diario. Questo permise ai neonazisti e negazionisti, come il francese Robert Faurisson, di mettere addirittura in dubbio l’autenticità del diario.

Ma il vero mistero che ancora resta sulla vicenda di Anna Frank è il nome di chi tradì lei e la sua famiglia. La mattina del 4 agosto 1944, infatti, una donna telefonò alla Gestapo di Amsterdam per denunciarli, indicando il loro indirizzo esatto.

Per decenni si è pensato che il responsabile fosse Willem Van Maaren, che lavorava in un deposito attaccato al nascondiglio, anche se un’inchiesta della polizia non ha mai trovato conferme.

Il socio del padre era un filonazista

Solo nel 1998 i sospetti si sono spostati su Lena Hartog-van-Bladeren (morta nel 1963), che aveva lavorato con i Frank come donna delle pulizie.

Nel 2003, altro colpo di scena: la storica Carol Anne Lee, nel libro La vita segreta di Otto Frank, ha puntato l’indice contro Anton Ahlers, morto tre anni prima a 83 anni, socio d’affari del padre di Anna e convinto sostenitore del nazismo.

La stessa Lee, però, ha poi ipotizzato che la spia fosse Marteen Kuiper, che viveva consegnando ebrei ai tedeschi in cambio di danaro.

Il quinto sospettato emerge nel 2009: un giornalista olandese ipotizzò che la traditrice potesse essere stata un’altra collaborazionista: Ans van Dijk, unica donna fra 39 giustiziati olandesi per reati commessi in tempo di guerra. Fece arrestare ben 145 ebrei, compreso suo fratello.

E arriviamo a due anni fa: salta fuori il nome di Petronella (Nelly) Voskuijl, morta nel 2001. Era la sorella di una fidata collaboratrice di Otto Frank, il quale fino alla propria morte nel 1980 le chiese conto dei suoi tremendi sospetti.

Insomma, un incredibile vortice di rivelazioni ha messo in luce un dato imbarazzante: in Olanda c’era un grande antisemitismo.
«Superiore a quello italiano», commenta con Oggi Giampiero Mughini, «e pari a quello francese: alla Gestapo di Parigi arrivarono ben cinque milioni di denunce contro gli ebrei».  

Solo nel 2015 la verità sulla data della morte

Sempre nel 2015, un’altra rivelazione: il museo di Amsterdam che ricorda Anna Frank ha affermato che la ragazza morì di tifo nel lager di Bergen Belsen circa un mese prima di quanto finora si riteneva: a febbraio del 1945 e non a marzo, assieme alla sorella Margot.

Ciò significa che assai difficilmente sarebbero entrambe riuscite a sopravvivere fino alla liberazione del campo da parte delle forze alleate, avvenuta il 15 aprile.

Il padre Otto, invece, si salvò perché fu separato dal resto della famiglia e spedito nel campo di Auschwitz. Che, trovandosi in Polonia, fu liberato già nel gennaio 1945 dalle truppe sovietiche. Magra consolazione per le vittime del più tremendo genocidio della storia. Che nessun tifoso della Lazio potrà usare neanche per scherzo nelle polemiche fra tifosi di calcio.
Mauro Suttora