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Thursday, October 06, 2022

Memento Putin. L'ex presidente del Kosovo è in carcere da due anni all'Aja



Hashim Thaci nel novembre 2020 diventò il primo capo di stato nella storia a trasferirsi direttamente dal suo palazzo presidenziale a una prigione olandese. All'inizio era sembrata una buona idea, non aveva calcolato due rischi

di Mauro Suttora 

HuffPost, 6 ottobre 2022  


Al numero 47 di Raamweg, all'Aja, una cella aspetta Vladimir Putin. Sta in un palazzo di mattoni rossi che d'estate si colora col verde dei rampicanti. È la sede del Tribunale che in questi mesi sta giudicando un collega dell'autocrate russo: Hashim Thaci, per vent'anni leader del Kosovo. Prima capo militare dell'Uck (Esercito di liberazione kosovaro), poi premier (2000-2014), ministro degli Esteri, infine presidente. Fino a quel maledetto (per lui) 5 novembre 2020, giorno in cui si consegnò al Tribunale dell'Aja: fu il primo capo di stato nella storia a trasferirsi direttamente dal suo palazzo presidenziale a un carcere in Olanda. 

All'inizio era sembrata una buona idea. Thaci, i suoi avvocati e compagni di partito pensavano che qualche settimana di prigione fosse un accettabile prezzo da pagare per far entrare il Kosovo nell'Unione europea. Da anni, infatti, le accuse di crimini di guerra contro il partito degli ex guerriglieri anti-serbi bloccano il processo di adesione alla Ue. 

Così perfino il partito di governo aveva accettato di mettere sotto processo Thaci e qualche altro proprio dirigente, per rispondere di nefandezze perpetrate contro la minoranza serba durante il conflitto che liberò il Kosovo nel 1999-2000. Pare che all'ombra di Ibrahim Rugova, il Gandhi kosovaro morto nel 2006, anche l'Uck si sia lasciato andare a vendette sanguinose. 

Questo gesto apparentemente autolesionista di Thaci e del Kosovo doveva anche servire a bilanciare il processo contro il presidente Slobodan Milosevic e gli altri gerarchi serbi, che si era concluso con la condanna per crimini di guerra di molti di loro (ergastolo a Karadzic e Mladic), e il suicidio di Milosevic nella sua cella dell'Aja nel 2006 in prossimità della sentenza. 

Thaci però non aveva calcolato due rischi: le lungaggini della giustizia internazionale (le prime accuse della procuratrice svizzera Carla Del Ponte su un sospetto traffico d'organi prelevati da prigionieri serbi risale al 2008) e il puntiglio dei magistrati dell'Aja. I quali da due anni gli negano gli arresti domiciliari, o perlomeno il trasferimento in una prigione kosovara, vicina a casa. 

Qualche mese fa Thaci, furibondo anche perché il processo è ancora in istruzione e chissà quando inizierà il dibattimento in aula, ha cambiato avvocato. Si è affidato a un pezzo grosso statunitense specializzato in diritto penale internazionale. Niente da fare: anche la sua ultima richiesta di domiciliari è stata respinta dall'inflessibile corte. Né aiuta che nel frattempo in Kosovo il partito di Thaci abbia perso le elezioni, e che premier ora sia il 47enne Albin Kurti del partito 'Autodeterminazione'.

Così un capo di stato europeo, fino a due anni fa riverito in tutte le capitali del continente, langue in una cella dell'Aja. 

In realtà il Tribunale internazionale per il Kosovo è solo uno dei ben quattro in funzione all'Aja. A poche centinaia di metri c'è quello ad hoc per la ex Jugoslavia, che ha cessato di giudicare ma si occupa ancora di esecuzione della pena per decine di condannati che la stanno scontando in vari Paesi europei (uno anche in Italia).

La terza corte è quella dell'Onu, ma nel suo famoso palazzo della Pace di Carnegieplein non si occupa di reati individuali: dirime soltanto controversie fra stati. 

C'è infine la Corte penale di giustizia nata con lo statuto di Roma del 1998, che attualmente sta processando soprattutto ex capi africani (Sudan, Centrafrica, Congo, Uganda), e da poche settimane investiga anche tre presunti criminali filorussi della guerra che Putin fece alla Georgia nell'agosto 2008. 

Putin si è guardato bene (come peraltro anche gli Usa) dal far aderire la Russia a questa Corte penale di giustizia. Quindi pure lui, come il filoccidentale Thaci e il filorusso Milosevic, dovrebbe essere giudicato da un tribunale ad hoc. Ma se per Mad Vlad le cose dovessero mettersi male, una prigione olandese forse risulterebbe l'opzione più desiderabile, rispetto alla tragica fine di un Nicolae Ceausescu, un Saddam Hussein o un Muammar Gheddafi.

Monday, June 28, 2021

Olanda e Belgio, scherzi del destino pallonaro in una storia bimillenaria

di Mauro Suttora

HuffPost, 28 giugno 2021

Tre ore hanno separato ieri il cammino di Olanda e Belgio: cacciata la prima dagli Europei a opera della Cechia, e giustiziere il secondo dei campioni uscenti portoghesi di Ronaldo. A completare l’overdose di notizie dal Benelux, nello stesso pomeriggio il premier lussemburghese Xavier Bettel ha annunciato di avere il Covid.

Scherzi del destino, ma solo gli ultimi nella storia bimillenaria di questi Paesi così vicini e lontani. Perché Gallia Belgica già si chiamava il nord della Francia nell’impero romano, eppure il Belgio ha conquistato soltanto 190 anni fa la sua indipendenza dall’Olanda, seguito a ruota dal Lussemburgo.

Tutta colpa di Lotario, il nipote di Carlomagno che nella tripartizione del Sacro romano impero ebbe la Lotaringia, oblunga creatura ficcata tra Francia e Germania, con le valli del Rodano e del Reno. Poi subentrano Lorena e Borgogna, e quando l’ultima regina borgognona sposa un Asburgo la frittata è fatta: i Paesi Bassi (Belgio più Olanda) diventano austriaci e poi spagnoli. 

Le sette province del nord, diventate protestanti, ci mettono 80 anni a cacciare gli spagnoli. Diventano la nazione più ricca e potente del mondo, sostituendo i regni iberici nei traffici oceanici. L’Olanda nel ’600 domina il pianeta da New Amsterdam (New York) a Batavia (Indonesia), passando per i Caraibi (Aruba, Curaçao, Sint Marteen), Suriname e Città del Capo. Le sue Compagnie delle Indie occidentali e orientali sono le prime multinazionali della storia.

Le guerre anglo-olandesi del ’700 stabiliscono il predominio britannico, ma l’Olanda conserva ricchezza e colonie. Intanto crescono le province cattoliche del sud (Fiandre, Brabante, Vallonia, oggi Belgio), rimaste alla Spagna e poi all’Austria.

Dopo Napoleone le Fiandre godono di un boom industriale pari a quello inglese, Anversa diventa il porto più trafficato del mondo. Ma la Restaurazione la consegna con Gand, Bruges e Liegi al regno d’Olanda, che ne approfitta per spostare i traffici sui propri porti di Amsterdam e Rotterdam. Così i belgi si ribellano e nel 1831 ottengono l’indipendenza ripristinando il confine religioso, mentre quello linguistico rimane misto: tuttora i fiamminghi parlano olandese nelle loro Fiandre, mentre i valloni sono francofoni.

Provate a usare il francese con un fiammingo a Bruxelles: vi risponderà in inglese.

Il Belgio si arricchisce enormemente fino a 60 anni fa sfruttando la colonia del Congo. Oggi Lukaku lo ha portato in cima alla classifica Fifa, ma sono milioni i suoi avi morti nelle piantagioni di caucciù.

La nazionale belga non era disprezzabile negli anni ’50, nel 1980 è battuta dalla Germania nella finale europea di Roma, però i successi internazionali arrivano solo nell’ultimo ventennio, in corrispondenza con il declino delle due grandi Olande: quella di Cruijff negli anni ’70, e lo squadrone Gullit-Van Basten-Rijkaard dieci anni dopo. 

Tuttavia per entrambe il carniere è scarsissimo: l’Olanda agguanta solo gli Europei 1988 e perde tre finali mondiali; zero titoli per il Belgio.

Mancini e Vialli ora sperano di ripetere l’impresa del 1990, quando la loro Sampdoria vinse la finale di Coppa Uefa contro l’Anderlecht di Bruxelles. Ma sarà dura quanto per Gimondi fronteggiare Merckx. È il dramma di essere campioni, ma contemporanei di un cannibale. Lo stesso problema dei ciclisti olandesi: tutti ottimi, da Zoetemelk a Mollema. Ma perennemente sovrastati dai belgi, fossero Rik Van Looy o Evenepoel. Anche perché le ‘classiche’ si corrono in Belgio: l’Olanda è piatta. Come la sua nazionale di calcio ieri.

Mauro Suttora

Thursday, November 09, 2017

Chi ha tradito Anna Frank?



DOPO LO SCANDALO SUL DIARIO PIU' FAMOSO DEL MONDO

Una telefonata alla Gestapo di Amsterdam il 4 agosto 1944 denunciò la famiglia ebrea che da due anni si nascondeva nel retro della propria casa. Chi la fece? I sospettati sono ben sei. E la ricerca continua: l’ultima rivelazione è del 2015

di Mauro Suttora

Oggi, 26 ottobre 2017

Gli ultimi a saperlo sono i disgraziati che l’hanno ancora insultata, mettendole addosso la maglia della Roma e augurando ai romanisti di fare la sua fine.
Ma, a 72 anni dalla sua morte nel campo di concentramento tedesco di Bergen Belsen, c’è ancora un grande mistero che aleggia sulla vicenda di Anna Frank. Che, come tutti sanno, dal luglio 1942 era nascosta in una casa segreta assieme a tutta la sua famiglia, ad Amsterdam.

In Olanda si era infatti scatenata la caccia all’ebreo, e i nazisti ne rastrellarono oltre centomila, sui 130mila che vi abitavano all’inizio della Seconda guerra mondiale.

La famiglia Frank, composta dai genitori Edith e Otto e dalle sorelle Margot e Anna, era scappata da Francoforte, in Germania, già nel 1933. Avevano capito subito la vera natura del regime nazista che si era appena insediato a Berlino. E avevano scelto la tollerante e civile Olanda come luogo di esilio. Anche dopo l’inizio della guerra, nel 1939, nessuno pensava che Adolf Hitler volesse invaderla. Nel 1914 i tedeschi avevano attaccato la Francia passando per il Belgio. L’Olanda sembrava fuori da ogni mira espansionista dei tedeschi.

La «pacifista» Olanda invasa a sorpresa

Invece, nella primavera del 1940 la pacifista Olanda si ritrovò invasa. I nazisti non cominciarono subito ad arrestare gli ebrei. Ma nel 1942 fu presa la decisione della “soluzione finale”, che fu applicata anche ad Amsterdam.
La famiglia Frank si rifugiò in una «casa segreta» dietro alla sede della ditta di Otto, La porta per accedervi era nascosta dietro una libreria.

All’inizio speravano che dopo poche settimane o mesi avrebbero potuto uscire: a metà 1942 i nazisti avevano già cominciato a perdere, e l’entrata in guerra degli Stati Uniti prometteva bene per gli Alleati.

Anna non sopportava la mamma pessimista

Ma con l’andare del tempo, la prigionia si prolungava. E con essa anche le tensioni fra le due famiglie che condividevano gli angusti spazi del nascondiglio.

Il papà di Anna cancellò dal diario,  nella sua prima edizione, i riferimenti ai dissidi anche dentro la famiglia Frank. Anna infatti, come tutti gli adolescenti aveva un carattere ribelle e non sopportava né il pessimismo della madre, né la «stupidità» del suo compagno forzato di stanza, un dentista quarantenne.

Soltanto nel 1986 venne pubblicata la versione completa del diario. Questo permise ai neonazisti e negazionisti, come il francese Robert Faurisson, di mettere addirittura in dubbio l’autenticità del diario.

Ma il vero mistero che ancora resta sulla vicenda di Anna Frank è il nome di chi tradì lei e la sua famiglia. La mattina del 4 agosto 1944, infatti, una donna telefonò alla Gestapo di Amsterdam per denunciarli, indicando il loro indirizzo esatto.

Per decenni si è pensato che il responsabile fosse Willem Van Maaren, che lavorava in un deposito attaccato al nascondiglio, anche se un’inchiesta della polizia non ha mai trovato conferme.

Il socio del padre era un filonazista

Solo nel 1998 i sospetti si sono spostati su Lena Hartog-van-Bladeren (morta nel 1963), che aveva lavorato con i Frank come donna delle pulizie.

Nel 2003, altro colpo di scena: la storica Carol Anne Lee, nel libro La vita segreta di Otto Frank, ha puntato l’indice contro Anton Ahlers, morto tre anni prima a 83 anni, socio d’affari del padre di Anna e convinto sostenitore del nazismo.

La stessa Lee, però, ha poi ipotizzato che la spia fosse Marteen Kuiper, che viveva consegnando ebrei ai tedeschi in cambio di danaro.

Il quinto sospettato emerge nel 2009: un giornalista olandese ipotizzò che la traditrice potesse essere stata un’altra collaborazionista: Ans van Dijk, unica donna fra 39 giustiziati olandesi per reati commessi in tempo di guerra. Fece arrestare ben 145 ebrei, compreso suo fratello.

E arriviamo a due anni fa: salta fuori il nome di Petronella (Nelly) Voskuijl, morta nel 2001. Era la sorella di una fidata collaboratrice di Otto Frank, il quale fino alla propria morte nel 1980 le chiese conto dei suoi tremendi sospetti.

Insomma, un incredibile vortice di rivelazioni ha messo in luce un dato imbarazzante: in Olanda c’era un grande antisemitismo.
«Superiore a quello italiano», commenta con Oggi Giampiero Mughini, «e pari a quello francese: alla Gestapo di Parigi arrivarono ben cinque milioni di denunce contro gli ebrei».  

Solo nel 2015 la verità sulla data della morte

Sempre nel 2015, un’altra rivelazione: il museo di Amsterdam che ricorda Anna Frank ha affermato che la ragazza morì di tifo nel lager di Bergen Belsen circa un mese prima di quanto finora si riteneva: a febbraio del 1945 e non a marzo, assieme alla sorella Margot.

Ciò significa che assai difficilmente sarebbero entrambe riuscite a sopravvivere fino alla liberazione del campo da parte delle forze alleate, avvenuta il 15 aprile.

Il padre Otto, invece, si salvò perché fu separato dal resto della famiglia e spedito nel campo di Auschwitz. Che, trovandosi in Polonia, fu liberato già nel gennaio 1945 dalle truppe sovietiche. Magra consolazione per le vittime del più tremendo genocidio della storia. Che nessun tifoso della Lazio potrà usare neanche per scherzo nelle polemiche fra tifosi di calcio.
Mauro Suttora


Monday, November 16, 2009

Olanda, agenzia Anp

Mussolini was al vroeg racist en anti-Joods

16 nov 2009

De latere Italiaanse dictator Benito Mussolini was al in 1921 een racist en fel anti-Joods.
Dit blijkt uit dagboeken van zijn minnares Claretta Petacci waaruit de krant Corriere della Sera vandaag citeert.

Sommige Italianen denken dat 'hun' fascisme de eerste vijftien jaar niet antisemitisch was en pas in 1937/'38 onder Duitse invloed anti-Joods werd. Wat de fascistische leider betreft, worden die denkbeelden nu door zijn eigen minnares gelogenstraft. "Die verdomde Joden, ze zouden allemaal vernietigd moeten worden, ik zal een slachting uitvoeren, zoals de Turken deden'', zei Mussolini volgens Petacci al in oktober 1921.

Bij een andere gelegenheid zei Mussolini volgens Petacci dat hij alle Joden naar een eiland wilde sturen. De dagboeken van de minnares van de Duce verschijnen woensdag onder de titel "De geheime Mussolini''. De Corriere della Sera heeft maandag al uittreksels gepubliceerd.

BRON: ANP