Il fallimento delle Nazioni Unite in Kosovo, e i motivi per cui non se ne vogliono andare
Il Foglio, 29 aprile 2003
New York. Molti vorrebbero che l’Onu amministrasse l’Iraq. Ma qual è il bilancio della missione di peacekeeping (“mantenimento della pace”) delle Nazioni Unite in Kosovo?
“Poveri iracheni, se l’Onu arriverà anche da loro”, commenta Beqe Cufaj, 33 anni, giornalista e scrittore kosovaro. Dopo quattro anni di protettorato Onu, infatti, il Kosovo ha ancora l’economia a pezzi. Anzi, con la diminuzione degli aiuti internazionali la situazione sta peggiorando. Ogni giorno l’elettricità manca per ore, anche se le centrali elettriche kosovare non erano state bombardate dalla Nato quattro anni fa. “Prima esportavamo la nostra energia elettrica in Macedonia e Grecia, ora siamo al buio”, ha denunciato il 23 aprile Nexhat Daci, presidente del Parlamento.
Finora l’amministrazione delle Nazioni Unite ha speso nove miliardi di euro per ricostruire il Kosovo. Ma molti soldi sono finiti nel nulla sta per iniziare il processo contro Joseph Trutschler, un tedesco 36enne nominato presidente della società elettrica kosovara, accusato per tangenti da quattro milioni e mezzo di euro.
A capo della missione Unmik (United Nations Mission Kosovo) c’è da un anno il 53enne tedesco Michael Steiner, un diplomatico succeduto all’altrettanto opaco danese Hans Haekkerup, che resistette solo pochi mesi. Prima di loro si era misurato con il Kosovo il francese Bernard Kouchner.
Questo turbinio di capi si aggiunge a quello delle sigle. L’Onu ha infatti delegato alla Ue la ricostruzione e lo sviluppo economico, mentre il compito di riorganizzare la vita politica è stato subappaltato all’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), ente dalla dubbia utilità con sede a Vienna è un’ossificazione della Conferenza di Helsinki del 1975, sopravvissuto alla fine del loro la guerra fredda.
L’Osce ha in qualche modo portato a termine il suo compito, con i suoi 1.500 dipendenti ha organizzato le elezioni locali e poi le politiche nel 2001, che hanno eletto presidente Ibrahim Rugova. Presidente di che cosa, però, non si sa bene, perché lo status del Kosovo è ancora tutto da decifrare in teoria fa ancora parte della federazione Serbia-Montenegro, ma nella realtà è ormai indipendente. Resta la questione della minoranza serba nella zona settentrionale di Mitrovica, bubbone che l’Onu si guarda bene dall’affrontare.
Nella vita quotidiana, le Nazioni Unite gestiscono direttamente polizia, giustizia e amministrazione civile. Ma nessuno osa fare più previsioni sulla durata del mandato Onu. Il partito di Rugova continua a litigare con quello del rivale Hashim Thaci, e non si sa che cosa succederebbe se partissero i 30 mila soldati Nato (fra i quali settemila statunitensi e quattromila italiani) e i 4.389 poliziotti Onu ancora stanziati in Kosovo.
La composizione della polizia è esoticissima: fra gli altri, ci sono 84 agenti del Bangladesh, 500 indiani, 426 giordani, 16 senegalesi, 124 polacchi, 62 filippini, quattro kirghisi, cinque vengono addirittura dall’isola di Mauritius e ben 34 dalle isole Figi. Gli italiani sono 58. Un unico belga. Insomma, un vero e proprio Palazzo di Vetro trasferito sul campo.
Gli indiani sembrano andare d’accordo con i 182 pakistani. L’arruolamento, visti gli stipendi, è particolarmente attraente per i poliziotti del terzo mondo. I 522 statunitensi e gli altri europei occidentali, invece, provengono soprattutto dalla pensione. In che lingua riescano a comunicare fra di loro, non è dato sapere. Quanto alla loro efficacia, le rudi bande del leggendario crimine organizzato balcanico e i contrabbandieri albanesi sembrano abbastanza soddisfatti dell’attuale situazione.
Nel suo ultimo rapporto del 14 aprile, fatto proprio da Kofi Annan, il povero Steiner ammette che nei primi tre mesi del 2003 la criminalità è aumentata difficile parlare di Stato di diritto, gli assalti con granate contro la polizia sono all’ordine del giorno anche a Pec, nel settore in teoria sotto il controllo italiano. Nei 57 nuovi tribunali si è già accumulato un arretrato di 13 mila cause civili e 11 mila penali. Anche perché ogni documento dev’essere tradotto in quattro lingue inglese, albanese, serbo e turco. “Riusciamo a punire il 21 per cento dei reati contro la proprietà, una quota maggiore rispetto a molti paesi europei”, si consola l’Onu.
L’arresto di alcuni membri del Kla (Esercito di liberazione del Kosovo) da parte del Tribunale dell’Aia ha provocato nelle settimane scorse dimostrazioni di protesta in tutto il paese. Il partito di Thaci è un’emanazione del Kla, e tuttora il vero potere locale resta nelle mani dei suoi uomini, armati. Il partito di Rugova si oppone al disegno di Thaci di far arruolare in blocco gli ex partigiani del Kla nell’esercito regolare kosovaro e nella polizia. Così non c’è verso di far decollare un esercito accettato da tutti.
Gli ex guerriglieri continuano a controllare 59 caserme e postazioni, contro un piano quinquennale che si proponeva di ridurle a 27. Quanto al sogno di un “esercito multietnico” coltivato dalle ingenue Nazioni Unite, non se ne vedrà mai l’ombra a nessun serbo passa per la testa di arruolarsi nelle forze armate dei nemici.
Naturalmente anche il Kosovo, come ogni area di crisi umanitaria, ha subìto un’invasione da parte delle Ong (Organizzazioni non governative) se ne sono registrate ben 2.292, di cui 381 straniere. Tutte alla costante ricerca di fondi – per lo più pubblici – con i quali far funzionare il proprio apparato. Intanto l’Onu, invece di esercitare una salubre autocritica sui suoi fallimenti, se la prende con i giornalisti locali sono stati comminati 51 mila euro di multa ai giornali che hanno pubblicato articoli sgraditi (“Titoli infiammatori e sensazionalisti”, accusa la censura del Minculpop onusiano, e speriamo che la sua giurisdizione non si estenda anche al
Foglio…).
L’economia kosovara non si risolleva. L’amministrazione Onu-Ue, invece di favorire una rapida privatizzazione che valorizzi l’innato spirito d’iniziativa individuale della gente locale, mette i bastoni fra le ruote finora ha privatizzato solo sei aziende sulle 480 lasciate in eredità dal comunismo jugoslavo. “I burocrati internazionali sono rimasti gli ultimi nostalgici dell’economia pianificata”, accusa il giornale di Pristina
Koha Ditore.
La principale preoccupazione dell’Onu sembra quella di garantire la non discriminazione della minoranza serba, invece di affrontare alla radice un problema insolubile e proporre uno scambio territoriale alla Serbia è evidente, infatti, che la provincia di Mitrovica non ne vuole sapere di rimanere in un Kosovo dominato dagli albanesi. I serbi rifiutano perfino le nuove targhe automobilistiche kosovare preferiscono tenere quelle vecchie con la stella rossa, che permettono loro di viaggiare liberamente in Serbia (oltre che di risparmiare sull’assicurazione).
Per tutti gli anni Novanta i kosovari perseguitati da Slobodan Milosevic avevano sviluppato una rete di resistenza clandestina formata da istituzioni parallele scuole e università in lingua albanese, ambulatori, servizi di assistenza. Ora i serbi kosovari si vendicano, e praticano a loro volta il boicottaggio delle istituzioni ufficiali. L’Onu deve così tollerare uffici serbi in teoria vietati dalla risoluzione 1244 del 1999 che pose fine al conflitto, con dodici impiegati delle Poste nel paese di Kamenica i quali prendono ancora lo stipendio dalla Serbia, e altri dipendenti pubblici di uffici di collocamento e dell’anagrafe che continuano imperterriti a obbedire a Belgrado invece che a Pristina.
Quanto ai politici kosovari, rifiutano tuttora ogni contatto diretto con il governo serbo. Il presidente del Parlamento kosovaro Daci è durissimo: “L’Onu vorrebbe restare qui ancora per un secolo. Perché dovrebbero andarsene? Prendono stipendi molto più alti che nei loro paesi, le nostre donne sono belle e abbiamo i migliori ristoranti della regione. All’Occidente avevamo chiesto professionisti, e invece loro ci hanno mandato politici e burocrati del diciannovesimo secolo. Non vogliamo che l’Onu se ne vada domani, ma che acceleri il trasferimento delle competenze e riduca drasticamente il suo staff. Dicono che i nostri politici litigano fra di loro? E ci mancherebbe altro non è proprio questa, la democrazia?"
Continua Daci: "Non abbiamo bisogno né di zar né di dei calati dall’esterno. E che i diecimila dipendenti Onu in Kosovo la smettano di spedire a New York rapporti falsi, per farsi belli. Abbiamo bisogno soltanto di poche centinaia di esperti tecnici, non di decine di migliaia di funzionari il cui unico contributo alla nostra economia è quello di drogarla ormai il trenta per cento delle nostre entrate dipende dagli aiuti internazionali. Il mio stipendio è inferiore a quello di una qualsiasi donna delle pulizie pagata dall’Onu per lavorare nei suoi uffici di Pristina. E i giovani assunti come traduttori dalle Nazioni Unite guadagnano 750 dollari al mese, mentre un professore universitario ne prende cento”.
(3. continua)
Mauro Suttora