Monday, April 12, 2004
Mauro of Manhattan
Wednesday, January 28, 2004
Sandra Savaglio a Baltimora
Wednesday, January 14, 2004
Duccio Macchetto e il telescopio Hubble
Thursday, January 01, 2004
Il sexyconiglio compie 50 anni e mette all' asta le conigliette vip
New York (Stati Uniti)
Hugh Hefner era un furbo ragazzotto di 27 anni quando mezzo secolo fa, nel 1953, stampò le prime 50 mila copie del mensile Playboy: "Sulla copertina non scrissi neanche "numero 1", tanto ero sicuro che non mi avrebbero permesso di arrivare al secondo", ricorda oggi. Bisogna immaginare cos'erano gli Stati Uniti allora: una nazione bigotta dove i negri non potevano salire sugli autobus dei bianchi, dove chi era accusato di essere comunista perdeva il lavoro, e dove perfino i cattolici venivano discriminati dalla maggioranza protestante (l'elezione del primo presidente cattolico John Kennedy nel ' 60 fu storica anche per questo). Figurarsi pubblicare la foto di un'attricetta nuda sconosciuta: tale Marilyn Monroe...
Ma il motivo della mancata indicazione della data sulla copertina era anche un altro, più pratico: la rivista non sarebbe mai scaduta, e infatti fece registrare il tutto esaurito. Il primo trionfo di Marilyn. Ancora oggi, in America Playboy viene venduto sigillato e nascosto dentro una busta di plastica nera. La sua nascita e la sua durata, quindi, possono tranquillamente essere paragonate a una rivoluzione. E la settimana scorsa la celebre casa d' aste Christie's ne ha celebrato il cinquantenario, vendendo più di 400 foto e documenti dal suo archivio. Incasso totale: 2,7 milioni di dollari.
Nonostante la concorrenza (prima Penthouse, il giornale ormai fallito di Bob Guccione, poi Hustler del miliardario Larry Flynt, oggi Maxim e i siti porno di Internet), Playboy gode di buona salute: vende tre milioni e 200 mila copie al mese, la metà rispetto ai massimi di trent' anni fa, ma più di qualsiasi altro mensile maschile. Inoltre le vendite di programmi tv e di video hanno fruttato l'anno scorso 121 milioni di dollari, superando per la prima volta gli introiti della rivista (111 milioni). In totale, l' impero Playboy rende ogni anno a Hefner e a sua figlia Christie, che lo gestisce oggi, la bellezza di 35 milioni di dollari di profitti netti.
Proprio di fronte alla libreria Rizzoli sulla 57ª Strada di Manhattan, e all' ufficio di Oggi da dove scriviamo questo articolo, vediamo il palazzo perennemente illuminato di Playboy. In realtà si chiamerebbe Crown Building, ed è uno dei più prestigiosi di New York: al piano terra c'è la gioielleria Bulgari e davanti l'altra gioielleria Tiffany, sulla Quinta Avenue. Ma tutti in città chiamano il palazzo con il nome del suo più illustre seppur controverso inquilino, che ne occupa vari piani.
Soltanto otto isolati più in là, nel Rockefeller Center, si è svolta l'affollatissima asta di Christie's. E per coloro che associano il nome di Playboy soltanto al pornosoft delle "conigliette" nude è stata una sorpresa. Fra i "pezzi" offerti, infatti, ci sono stati manoscritti del romanziere inglese Ian Fleming, creatore di James Bond, il celeberrimo agente 007, dello scrittore e poeta Jack Kerouac, padre della Beat Generation, e del russo Vladimir Nabokov, autore di Lolita: veri e propri reperti letterari che si sono affiancati alle preziose dodici pagine originali del racconto di Ernest Hemingway Consiglio a un giovanotto pubblicato postumo nel gennaio 1964, e a un articolo di Woody Allen del 1966. Di Fleming era offerto un dattiloscritto originale, con varie correzioni a mano, di Al servizio di Sua Maestà: il documento era stimato tra 18 mila e 24 mila dollari, ma è stato "battuto" per 17 mila.
Tra gli altri pezzi autografi di protagonisti della letteratura contemporanea sono stati messi all'asta testi di Allen Ginsberg, Henry Miller e addirittura del filosofo francese Jean Paul Sartre. Sono state offerte lettere dell'attrice Joan Crawford, del cantante Frank Sinatra e del padre della psichedelia Timothy Leary.
Particolare successo ha riscosso il nudo fotografico di Sophia Loren mentre nuota in piscina: la base d' asta era di mille dollari, ma è stato venduto per il triplo. La fotografia era stata pubblicata nell'agosto 1960, a corredo di un articolo intitolato Sophia la caldissima. Meno fortunata Gina Lollobrigida: Christie' s prevedeva di incassare 1.000 1.500 dollari per una sua foto in bianco e nero pubblicata nel settembre '54, che invece è stata aggiudicata per appena 750 dollari (meno di 600 euro). C'è da dire però che la foto non era granché, anche come misure (24 per 17 centimetri), e che nonostante questa piccola débacle la Lollo continua a essere adorata negli Stati Uniti: ancora tre settimane fa era ospite d'onore, con il cantante Billy Joel, all'inaugurazione di un hotel di lusso, il Mandarin Oriental di New York, nelle nuove Torri Gemelle Time Warner.
Fra le altre immagini storiche che vi riproponiamo, la più famosa resta quella di debutto di Marilyn, stesa su un lenzuolo di tessuto rosso, venduta a 18 mila dollari contro una base d'asta di ottomila. Seconda si è piazzata Bo Derek, con la copertina che nel marzo 1980 definì un'epoca: la foto scattata dal marito John (scomparso cinque anni fa, e autore per Playboy di foto delle sue due altre mogli, Ursula Andress e Linda Evans) è "andata" per 12.000 dollari, contro i 5.000 di base d' asta. Triplicato rispetto alle previsioni l'incasso di un'altra famosa immagine di Marilyn Monroe stampata nel numero del dicembre 1960, subito dopo l' elezione di Kennedy: da 3.000 a 9.500 dollari, per la splendida attrice ritratta mentre fa colazione a letto. Brigitte Bardot, infine, vince su Madonna per 8.500 dollari a 7.000: la fotografia dell' attrice francese apparve nel marzo 1958, quella della cantante statunitense nel settembre 1985.
Hefner, prima di diventare direttore editore di Playboy, era un disegnatore di vignette, e molte ne pubblicò sulla propria rivista. Decine di disegni originali dei migliori cartoonist mondiali sono finiti all' incanto: con tutti quelli pubblicati dal mensile nei suoi 50 anni si potrebbe allestire un museo di quest'arte minore. Anche la miglior musica è stata ottimamente rappresentata su Playboy: articoli, ritratti e foto su jazzisti come Benny Goodman, Louis Armstrong, Dave Brubeck, Chet Baker, lettere di Cole Porter ed Henry Mancini (reduce nel '62 dal successo di Moon River, colonna sonora del film Colazione da Tiffany con Audrey Hepburn), fino ad arrivare ai favolosi Anni Sessanta con gli originali delle interviste ai Beatles (febbraio '65) e a Bob Dylan (marzo '66).
Oltre alle prime immagini erotiche scattate da maestri della fotografia come Helmut Newton e Herb Ritts, l' asta di Playboy ha offerto un cimelio politico: l'intervista al líder máximo Fidel Castro del gennaio ' 67. Nonostante la perdurante antipatia dell'America nei confronti del dittatore cubano, il dattiloscritto originale ha triplicato il proprio valore durante l'asta, raggiungendo i 7.500 dollari. Successo anche per il colloquio con Martin Luther King del '65.
Dopo questa parentesi politica, però, l' asta è tornata su terreni più favorevoli per Playboy, offrendo immagini di "conigliette" di lusso come Nastassja Kinski ritratta da Newton, Joan Collins, Brigitte Nielsen (ex moglie di Sylvester Stallone), Jerry Hall (ex di Mick Jagger), Paulina Porizkova e la top model Cindy Crawford. Ultima divina messa all'asta, Elle MacPherson: la sua foto del maggio del 1994 è un po' il simbolo di tutti gli anni '80 e '90, quando lo scettro della bellezza femminile è passato dalle attrici alle modelle.
Tuesday, December 16, 2003
Convenzione repubblicana 2004 a New York
FALL MEDIA WALK-THROUGH AND RECEPTION
DECEMBER 16, 2003
FALL MEDIA WALK-THROUGH: The 2004 Republican National Convention will host its Fall Media Walk-Through in New York City at Madison Square Garden on December 16, 2003.
Please join us for a briefing session of Convention logistical matters and a tour of proposed media areas of Madison Square Garden and the Farley Post Office Building.
EVENT WHAT: Fall Media Walk-Through
WHEN: Tuesday, December 16, 2003
Registration: 11:30am - 1:00pm
Media Briefing and Tour: 1:00pm - 5:00pm
Final Q&A session: 5:00pm - 5:30pm
WHERE: Registration: Lobby of the Theater at Madison Square Garden
Media Briefing and Tour: Madison Square Garden and the Farley Post Office Building
Final Q&A session: Farley Post Office Building
MEDIA WALK-THROUGH RECEPTION: Media Walk
A private reception will be held at The Sea Grill Restaurant, which overlooks the ice skating rink at Rockefeller Center. and just below the world famous Christmas tree.
Food and drinks will be served and registered guests will also be invited to skate. Fall Media Walk-Through participants will be transported from the Farley Post Office Building at 5:30pm immediately following the briefing and tour.
EVENT WHAT: Fall Media Walk-Through Reception
Food and drinks at The Sea Grill Restaurant
Ice skating at Rockefeller Center (optional)
WHEN: Tuesday, December 16, 2003
6:00pm-9:00pm
WHERE: The Sea Grill Restaurant
19 West 49th Street (between 5th and 6th Avenues)
ACCOMMODATIONS HOTEL: The 2004 Republican National Convention has secured a block of rooms at the Westin New York Times Square Hotel at a rate of $208/ per night (not including taxes). Members of the media who require hotel accommodations should call at the Westin can make reservations by calling (888) 627-7149 no later than December 1st. Members of the media making hotel reservations will need to identify themselves as being with the 2004 Republican National Convention Fall Media Walk-Through to receive the special Media Walk-through hotel rate.
REGISTRATION: Attached is a form to pre-register for both the Fall Media Walk-Through and the reception. Please respond by Friday, December 5, 2003.Registration will be from 11:30am ñ 1:00pm in the lobby of the Theater at Madison Square Garden.
Paid for by the Committee on Arrangements for the 2004 Republican National Convention
310 First Street, Southeast ( Washington, D.C. 20003 ( (202) 863-8800
Not authorized by any candidate or candidate committee.
MEDIA WALK-THROUGH PRE-REGISTRATION FORM
MADISON SQUARE GARDEN
TUESDAY, DECEMBER 16, 2003
Registration 11:30am-1:00pm
Briefing and Tour 1:00pm-5:00pm
Please respond no later than Friday, December 5, 2003
Please email the completed form to: mediawalkthrough@2004nycgop.org
NAME: Mauro Suttora
NEWS ORGANIZATION: Oggi Rizzoli
TITLE: U.S. Bureau Chief
ADDRESS: 31W 57 St., New York, NY 10019
EMAIL ADDRESS: mauro.suttora@rcsnewyork.com
OFFICE NUMBER: 212.418.2308
MOBILE NUMBER: 917.655.7424
Capacity for the Fall Media Walk-Through reception is limited to those registered for the Fall Media Walk-Through. Thank you.
For additional information please contact 212-356-2225 or email HYPERLINK "mailto:mediawalkthrough@2004nycgop.org" mediawalkthrough@2004nycgop.org
Paid for by the Committee on Arrangements for the 2004 Republican National Convention
310 First Street, Southeast ( Washington, D.C. 20003 ( (202) 863-8800
Not authorized by any candidate or candidate committee. Media Walk-Through Information and Pre-Registration FormRe mediawalkthrough@2004nycgop.org mediawalkthrough200 J.'ı
Wednesday, November 12, 2003
Morandi alla maratona di NY
Gianni Morandi, in America per la maratona, stupisce tutti
"Abbiamo pensato di sposarci qui, dove si può fare in quattro e quattr'otto", rivela il cantante, "ma alla fine abbiamo deciso di rimandare, però solo di qualche mese..." "Che gioia fare il papà a tempo pieno !"
di Mauro Suttora
Oggi, 12 novembre 2003
New York (Stati Uniti).
Al terzo tentativo c'è riuscito: quest'anno Gianni Morandi ha convinto la compagna Anna Dan ad accompagnarlo alla maratona di New York. Anche la signora ha corso, con un tempo più che onorevole per una debuttante: cinque ore e 18 minuti. Quattro ore e nove minuti ci ha invece messo Gianni, a coprire i 42 chilometri della corsa più popolare del mondo: i partecipanti sono stati 34 mila, 1.200 dei quali italiani, e fra questi 200 bolognesi.
"E pensare che la prima volta, cinque anni fa", ricorda Morandi, "da Bologna con la squadra "Celeste" eravamo appena in nove, e io ci misi quattro ore e mezzo. L'anno dopo, nel '99, stabilii invece il mio record: tre ore e quaranta".
Ora il cantante sta per compiere 59 anni ed è dovuto rimanere fermo parecchio dopo aver subito operazioni a entrambe le ginocchia: "Non correre più", mi ha detto il mio medico, "se lo fai rischi la protesi". E io gli ho risposto: "Ma con la protesi posso comunque continuare a cantare, no ? E allora rischio".
Incontriamo Morandi al ristorante Sandomenico. Defilata come sempre, c'è la compagna Anna Dan, che non ama mettersi in mostra. "Sì, quest' anno corre anche mia moglie", ci dice. Moglie ? Vi siete sposati ? "Ma guarda che stavamo per farlo proprio qui a New York", scherza, ma non troppo. "Alain Elkann, che è qui per l'inaugurazione della mostra su Fellini al museo Guggenheim, mi ha assicurato che si può fare in quattro e quattr'otto, senza pubblicazioni. È un matrimonio valido, poi lo si fa trascrivere dal consolato americano in Italia. Lui dice che si è sposato così, due anni fa, con Rosi Greco... Comunque io chiamo già "moglie" Anna perché ci sposeremo, probabilmente entro qualche mese".
E vostro figlio Pietro dov'è ? "L'abbiamo lasciato a Bologna dagli zii. Ormai ha sei anni, va a scuola, fa la prima elementare. Frequenta anche i corsi di calcio ogni pomeriggio, e a me piace accompagnarlo. Dopo la fine della trasmissione Uno di noi, lo scorso gennaio, mi sono preso un bel periodo di riposo proprio per passare più tempo assieme a lui. Non bisogna trascurare i figli, perché poi capita che quando finalmente torni a casa ti accorgi che hanno già fatto il servizio militare...".
Be' , non sembra che con gli altri due suoi figli, Marco e Marianna, il risultato sia stato negativo. "No, però quando loro erano piccoli io lavoravo veramente troppo".
È difficile intervistare Morandi, si è continuamente interrotti da amici e fan. Gianni, quanto si è allenato per questa maratona ? "Non molto, ho corso parecchio sull' erba ma non sul duro, che è più faticoso. Mia moglie ha fatto 21 chilometri a Bologna".
Come hai trovato New York quest'anno ? "L'ultima volta che sono venuto, nel '99, prima di tornare in Italia avevo visitato le Torri Gemelle. Sono rimasto molto colpito dall'11 settembre, ma mi pare che la città si sia ripresa bene dopo la depressione".
E New York ha ricompensato Morandi e sua "moglie" con alcune delle sue più belle giornate autunnali. La prima mattina, appena arrivati, i corridori bolognesi del gruppo Celeste, sotto la guida della veterana Laura Fogli (dodici maratone all' attivo, otto delle quali da vera atleta e una volta è arrivata seconda), si sono dati appuntamento alle otto all' entrata del parco, e poi hanno corso fino al Reservoir, il famoso lago attorno al quale correva il Maratoneta Dustin Hoffman nell' omonimo film.
Ma la vera sorpresa arriva il giorno dopo, la mattina di sabato primo novembre, quando al gruppetto dei jogger mattutini di Morandi si aggiunge per una sgambata Romano Prodi. Il presidente dell'Unione europea, anche lui bolognese, è appena arrivato dalla Cina dov'era andato in visita ufficiale con Silvio Berlusconi, e per ritornare in Europa ha preferito proseguire verso Est fino agli Stati Uniti. Incurante del fuso orario, Prodi ha corso e scherzato con Morandi. Ed è lo stesso Gianni a offrire ai lettori di Oggi la foto scoop privata di questo incontro inaspettato a New York.
Il prossimo appuntamento di Morandi con i fan italiani è per gennaio, quando partirà la sua tournée. Intanto in queste settimane su tutte le Tv arriva lo spot (voluto dal ministro del Welfare, Maroni), con la canzone Il mio amico composta da Gianni e dedicata ai disabili: "Il mio amico cammina che sembra un pendolo/ma tu guarda che razza di scherzi ti fa la vita".
Mauro Suttora
Monday, November 10, 2003
Difesa europea
di Mauro Suttora
Diritto e Libertà
10 novembre 2003
Sarà una donna a partorire l'esercito europeo? Michèle Alliot-Marie, ministro della Difesa francese, si ostina ad assicurare che l'embrione di forza armata continentale concepito nell'aprile 2003 da Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo non sarà concorrenziale con gli Stati Uniti, ma in integrazione. Intanto però la sede del suo comando è già stata scelta: si installerà a Tervuren, nella periferia di Bruxelles, ben separata da quella della Nato. Quindi non si tratterà certamente di quel «pilastro europeo della Nato» che gli statunitensi auspicano da anni, sollecitando insistentemente gli alleati a metter mano al portafogli. Anche perchè la data dell'annuncio del concepimento è sospetta: proprio all'apice della polemica franco-belga-tedesca contro l'attacco americano a Saddam Hussein.
La compagine dei promotori coincide poi con l'«Axis of weasels» (Asse delle puzzole), insulto che i media statunitensi più patriottici (New York Post e Fox tv di di Rupert Murdoch) hanno scagliato contro gli oppositori della guerra contro l'Iraq, riecheggiando l'«Axis of evil» (Asse del male) di bushiana invettiva. Un'altra invettiva, d'altronde, si è già guadagnato il Comando militare Ue autonomo di Tervuren: un furibondo portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Richard Boucher, lo ha definito «riunione di produttori di cioccolata», riferendosi alla prestigiosa tradizione gastronomica belga che si situa agli antipodi di ogni valore marziale.
Il 2003 è anche il decimo anniversario della nascita di Eurocorps, la brigata franco-tedesca che il 14 luglio di quest'anno ha addirittura aperto la parata della Festa nazionale francese sugli Champs-Elysées. Ma tutte queste sono iniziative estemporanee di Francia e Germania, spesso utilizzate dal «nocciolo renano» dell'Unione Europea in funzione polemica contro i Paesi filo-Usa (la Gran Bretagna sotto qualsiasi premier, la Spagna di Aznar e l'Italia di Berlusconi, con gli imminenti rinforzi dei nuovi membri dell'Est).
La verità tuttavia è che gli unici due stati europei che possono contare su Forze armate di una qualche efficienza, supportate da un'industria bellica di peso, sono Francia e Gran Bretagna. Sono anche le uniche due potenze atomiche, e gli unici due Paesi europei con seggio permanente e diritto di veto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. Finchè Parigi e Londra staranno su sponde opposte nei rapporti con Washington, quindi, l'Europa rimarrà «un gigante economico, un nano politico e un verme militare». E gli Stati Uniti saranno ben felici di questo «divide ed impera» che neutralizza ogni velleità da parte di alleati sempre più riottosi.
E' da undici anni che l'Unione Europea si gingilla con l'idea di una "Forza di reazione rapida" di 60mila uomini, pronti a partire per qualunque posto al mondo nel giro di 60 giorni e a restarci fino a un anno. Le missioni (perlopiù umanitarie) di questa forza vennero definite in un albergo tedesco nel '92. Di qui il nome: accordi di Petersberg. Poi nel '99 è arrivata la sanzione ufficiale, con la nascita della Pesc (Politica estera e di sicurezza comune) e la nomina di Mister Pesc nella persona dello spagnolo Javier Solana. Ma finora di concreto è stato fatto quasi nulla.
L'unica missione tangibile europea è quella dispiegata in Macedonia dal primo aprile del 2003, e mai pesce d'aprile fu più evidente. Il contingente europeo, infatti, è semplicemente la continuazione di una ex missione Nato, e sta in piedi solo grazie ai mezzi e alle capacità dell'Alleanza atlantica.
Nell'operazione sono impegnati 350 militari, ma la maggioranza dei loro stati di provenienza è tuttora extra Ue: si tratta dei 14 Paesi Nato non Ue (tutti tranne gli Usa), ai quali si aggiungono 13 Paesi Ue (tutti tranne Danimarca e Irlanda).
Stessa situazione per l'altra missione Ue in corso, quella ereditata il primo gennaio 2003 dall'Onu in Bosnia. Non si tratta di militari: 500 funzionari di polizia provenienti da 33 Paesi (anche qui perciò con quelli Ue in minoranza) che dovrebbero addestrare poliziotti locali per ripristinare la legalità nell'ex repubblica jugoslava dopo la strage dei settemila bosniaci a Srebrenica del luglio '95, l'attacco aereo Nato contro la Serbia e gli accordi di Dayton. Ma rappresentano solo un piccolo contorno di quello che è il contingente vero: 12mila soldati, di cui 1.700 statunitensi che Bush junior sarebbe lieto di ritirare.
Se i militari se ne andassero domani la Bosnia ripiomberebbe nel caos, perchè in otto anni nessun progresso politico è stato fatto e la Bosnia continua a essere una fantomatica unione di tre stati diversi (serbo, croato e bosniaco) con tre presidenti e tre apparati statali incollati artificialmente a spese della comunità internazionale (che scialacqua ogni anno 1.400 dollari per ogni bosniaco, 38 milioni di euro solo per i poliziotti). Il risultato è
desolante: «In Bosnia oggi non c'è stato di diritto», ha ammesso Paddy Ashdown, il capomissione britannico, «ogni fibra e cellula di questo Paese è infettata dalla criminalità, fino al midollo» (New York Times, 8 ottobre 2003).
La terza missione in teoria Ue è stata quella dell'estate 2003 in Congo, a Bunia, dove l'Onu è arrivata per l'ennesima volta a stragi fatte. La Francia ha mandato un migliaio di soldati, però ha voluto una copertura (anche finanziaria) europea che è stata simbolica ma importante. Per la prima volta, infatti, un contingente Ue di 1.500 militari è stato mandato fuori dall'Europa, senza che alla Nato venisse chiesto di farlo, dato il disinteresse Usa. L'operazione si è conclusa alla fine di agosto. Coordinatore Onu per la regione dei Grandi Laghi è una vecchia conoscenza radicale: Aldo Ajello, ex deputato della Rosa nel pugno dal '79 all'83.
Se questi sono i risultati a mezzo secolo esatto dal primo fallimento, quello della Ced (la Comunità Europea di Difesa abortita nel 1953), è meglio non illudersi che una Forza armata continentale, rapida o non rapida, possa nascere a breve termine. Anche perchè i militari per lavorare assieme devono contare su sistemi d'arma compatibili e parlare la stessa lingua. Ma nonostante decenni di apparente integrazione nella Nato, queste condizioni minime ed elementari non sono state mai raggiunte.
«Noi ci abbiamo messo 70 giorni per schierare 45mila soldati in Iraq, la Ue è ancora ben lontana dal suo obiettivo», ha sentenziato il ministro della Difesa britannico, Geoff Hoon. I francesi a loro volta disprezzano la missione inglese a Bassora: «Sono soltanto truppe di complemento degli Stati Uniti».
I polacchi in Iraq sono letteralmente pagati dagli Usa (una resurrezione moderna del mercenariato di stato?) Quanto ai tedeschi, per mancanza di mezzi di trasporto il trasferimento dei loro 1.500 soldati in Afghanistan è durato quasi due mesi. Eppure, tredici Paesi Ue sono oggi rappresentati nel contingente Nato di 5.500 uomini a Kabul, che comprende 33 nazioni. Mancano solo Portogallo e Austria. In Afghanistan oggi operano più truppe di terra europee che americane. In totale, i Paesi Ue hanno attualmente ben 50mila militari stanziati in Africa, nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan come peace-keepers.
«E' probabile che l'Ue possa organizzare altre missioni militari in futuro», spiega Daniel Keohane, giovanissimo (27 anni) analista del Cer (Center for European Reform) di Londra, «perchè le priorità Usa sono Iraq, Iran e Corea del Nord, e Washington non vuole essere coinvolta in conflitti nella fascia d'instabilità che percorre i fianchi Est e Sud dell'Europa, e si allunga fino all'Africa subsahariana. L'Ue sta valutando, per esempio, se sostituire i peacekeepers russi nella regione Transnestria della Moldavia».
Pochi sanno che l'Unione europea ha in realtà più soldati degli Stati Uniti. I 15 Paesi della Ue possono contare su un milione e 600mila militari, gli Usa su un milione e 414mila (dati 2001). Con l'allargamento a 25 della Ue entreranno altri 310 mila soldati, metà dei quali polacchi (163 mila).
Naturalmente il fatto di avere quasi due milioni di uomini sotto le armi non significa nulla dal punto di vista dell'efficienza. Basti dire che l'Italia, con i suoi 217mila soldati, supera numericamente la Gran Bretagna (210mila).
Ma nessuno si sogna di paragonare le due forze armate, anche perchè gli inglesi sono tutti professionisti. Il record va alla Germania, 296mila militari, ma è soltanto una pesante eredità dell'unificazione. Segue la Francia con 260mila uomini. La Grecia ha lo stesso numero di soldati della Spagna, 178mila, ma solo perchè si sente in dovere di fronteggiare i ben 515mila militari turchi.
Insomma, i numeri ci sarebbero. Non è vero inoltre, come sostengono i commentatori di cose militari (quasi tutti ex ufficiali o consulenti di industrie belliche), che l'Europa spende così poco per le proprie Forze armate. Certo, spreca meno degli Stati Uniti: il due per cento del Pil, in media, contro il tre e mezzo degli Usa.
Data l'immensità dell'economia Usa, questo significa che in cifre assolute gli americani stanziano per la difesa più del doppio di tutti i 15 Paesi Ue. Ma d'altra parte sarebbe sciocco inseguire gli Stati Uniti nel riarmo voluto da Bush junior dopo l'11 settembre 2001: da 300 miliardi di dollari annui a quasi 500 nel giro di 24 mesi, un aumento di spese militari di oltre il 60 per cento, senza precedenti in tempo di pace.
I furbi europei sanno che fronteggiare i terroristi islamici con carri armati e sottomarini, come pretendono di fare gli americani, equivale a voler combattere le mosche con i bazooka. E utilizzare truppe scelte (e costosissime) per l'ordine pubblico, per di più con problemi insormontabili di lingua, come stanno facendo oggi gli Usa in Iraq, è sbagliato oltre che controproducente. Il peacekeeping (mantenimento della pace) è un mestiere diverso rispetto al combattimento, e il peace enforcing (imposizione della pace) è un'altra cosa ancora. Ognuno necessita di competenze e addestramenti specifici.
Certo è che gli europei spendono male. L'integrazione dei sistemi d'arma e l'eliminazione dei doppioni consentirebbe risparmi enormi. Spesso (è il caso dell'Italia) per ragioni elettorali i politici preferiscono un esercito clientelare, statico e sovrabbondante rispetto a reparti snelli di operatività immediata. Quanto alle gerarchie militari, sono ossessionate dalla voglia di «mostrare la bandiera», proponendosi per missioni dall'altra parte del pianeta senza alcun criterio di prossimità geografica. Così come australiani e neozelandesi non sono venuti in Kosovo, è stato completamente inutile per gli italiani spingersi agli antipodi, fino a Timor Est. Anche la gendarmeria internazionale dev'essere razionale ed efficiente, senza trucchi per battere cassa con la scusa dell'usura mezzi.
Nel febbraio 2003 Jacques Chirac e Tony Blair hanno deciso che la Ue dev'essere in grado di schierare forze di aria, mare e terra nel giro di 5-10 giorni. Si tratta di un traguardo assai ambizioso ripetto agli attuali piani per la «forza di reazione» Ue, che come abbiamo visto prevedono tempi di 60 giorni. Ma tutti questi sono tutto sommato problemi tecnici. La questione dell'integrazione militare europea, invece, è soprattutto politica.
Individuazione della minaccia, innanzitutto. Solo terroristi islamici, per esempio, o in prospettiva anche la Cina? Solo regimi aggressivi nemici (Corea del Nord, Iran, Siria) o tutte le dittature, anche amiche (Arabia Saudita, Pakistan)? Interventi preventivi, come vuole la nuova dottrina Bush dal settembre 2002, o a cose (danni, stragi) fatte?
Diritto d'intromissione umanitaria o non ingerenza negli affari interni degli stati? Rimanere in una Nato a inevitabile egemonia americana, o accelerare la costruzione di un polo autonomo? Fuori o dentro la Nato? Con il rischio di perdere per sempre la Gran Bretagna? Accettare un coordinamento Onu, o agire unilateralmente in base all'orgoglio nazionale (non è un problema solo americano, di galletti abbonda anche il nostro continente)? Esportare con scarsa saggezza sistemi d'arma nel Terzo mondo per recuperare le spese di ricerca e sviluppo della propria industria bellica, come fanno troppo spesso gli Usa, o spingere per trattati internazionali restrittivi?
Il documento preparato da Solana nel giugno 2003 sulla strategia di sicurezza europea comincia a rispondere ad alcune di queste domande, con l'indicazione delle nuove minacce: terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa, stati allo sbando. «E' un documento scritto con un linguaggio sorprendentemente duro», commenta Keohane, «ma la Ue non può affrontare questi nuovi compiti senza cominciare almeno migliorando la cooperazione fra i propri servizi segreti. I governi europei si sono divisi sull'Iraq anche perchè non disponevano delle stesse valutazioni di intelligence. Ora che l'Eu gestisce operazioni militari, deve mettere in comune i servizi di spionaggio, incrementando in quantità e qualità l'attività di Europol, la polizia europea».
A proposito di intelligence, è stata proprio una nave europea (spagnola) a compiere pochi mesi fa una delle operazioni più preziose per la prevenzione del terrorismo. Aveva bloccato nell'oceano Indiano una nave pirata che trasportava missili nordcoreani nello Yemen. Poi però gli americani hanno permesso che il carico arrivasse a destinazione, perchè formalmente non violava alcun trattato. Rispetto della legalità o masochismo? Libero commercio internazionale o protezione del (proprio) export bellico? Forse l'Europa, proprio perchè più venusiana e meno marziana (secondo la famosa definizione di Robert Kagan), e quindi meno condizionata degli Usa nei confronti del proprio complesso militare-industriale, saprebbe compiere scelte più lungimiranti.
Diamo quindi uno sguardo all'industria bellica europea. Che, nonostante le concentrazioni degli ultimi anni, conserva ancora una forte impronta nazionale ed è percorsa dalle medesime divisioni politiche: da una parte Francia e Germania, dall'altra Gran Bretagna e Italia. I gruppi francesi Aérospatiale e Matra, la tedesca Dasa (Daimler Messerschmitt) e la spagnola Casa hanno dato vita nel 2000 a Eads (European Aeronautic Defence and Space), il primo gruppo aereo-missilistico continentale (e secondo mondiale) che produce gli aerei civili Airbus, il militare Eurofighter e quello da trasporto A400M, gli elicotteri Eurocopter, i missili Meteor, i satelliti Galileo e i razzi Ariane. I padroni sono francesi e tedeschi, gli spagnoli hanno solo il cinque per cento delle azioni. Parigi e Monaco di Baviera passano la maggior parte del loro tempo a litigare fra loro, con due sedi, due presidenti e due amministratori delegati. Dei trenta miliardi di euro fatturati da questo gigante nel 2002, però, solo il venti per cento appartengono al mercato militare.
Nella classifica mondiale delle industrie belliche Eads è appena ottava, superata dai cinque colossi Usa foraggiati dal Pentagono (Lockheed, Boeing, Northrop Grumman, Raytheon e General Dynamics), dalla britannica Bae Systems (erede di British Aerospace e Gec Marconi) e anche dalla francese Thales (ex Thompson). All'undicesimo posto c'e' la nostra Finmeccanica, con 2,7 miliardi di fatturato militare (un sesto rispetto agli oltre 15 miliardi di Bae Systems). Finmeccanica, attraverso la controllata Alenia, partecipa con il 19,5% al programma Eurofighter (l'aereo caccia europeo), in cui l'Eads franco-tedesco-spagnola ha il 43% e la britannica Bae il 37,5.
L'Alenia nel 2001 ha dato vita a una joint venture con la Bae: Ams (Alenia Marconi Systems), specializzata nell'elettronica e nel controllo del traffico aereo. Fattura 1,2 miliardi di euro annui, vende in cento Paesi ed è la terza produttrice mondiale di radar. E' fallita, invece, la joint venture fra Eads e Bae nel campo dei satelliti militari e civili: quest'anno la società Astrium è tornata sotto il controllo totale di Parigi e Berlino, dopo che Londra si era rifiutata di partecipare all'aumento di capitale e ha quindi ceduto la propria quota del 25%.
«Il mercato unico europeo della difesa è ancora una chimera», scrive Alfonso Desiderio su "Limes", «si è molto lontani da risultati apprezzabili sia sul lato della razionalizzazione della domanda con l'accordo Occar (Organisme Conjoint de Coopération en matière d'Armement) fra Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania per uniformare la politica degli approvvigionamenti, sia sul lato dell'offerta con l'accordo Loi (Letter of Intent) fra i quattro Paesi Occar più Spagna e Svezia». Incredibilmente, infatti, il settore industriale della difesa rimane ancora fuori dalle regole comunitarie. I trasferimenti di tecnologia avanzata subiscono ancora controlli da parte dei singoli governi: perfino gli ingegneri di una stessa azienda ma di nazionalità diverse devono chiedere permessi, in base a un sorpassato principio di protezione della sicurezza "nazionale".
Non parliamo poi delle commesse ottenute dai singoli Paesi grazie ad accordi politici, come quella favolosa ottenuta dalla Gran Bretagna con l'Arabia Saudita, che garantisce alla Bae fatturato per tre miliardi di euro all'anno: qui non solo ognuno fa per sè, ma tutti lottano contro tutti. Così spesso, di fronte a concorrenti europei divisi, vincono le offerte dei giganti americani. A volte, poi, sono gli stessi europei a fare lo sgambetto a se stessi in favore di Washington.
È il caso dell'Italia, che nel 2001 ha preferito l'aereo Usa Jsf all'europeo A400M, o della Polonia che ha acquistato 48 caccia F16 dell'americana Lockheed invece dei Jas-39 Gripen anglosvedesi o dei Mirage Dassault francesi.
Mauro Suttora
Monday, November 03, 2003
Vagina rejuvenation
SULLE MISURE IDEALI DEL PENE, SAPPIAMO TUTTO E DI BRUTTO. PERCHÈ NESSUNO PARLA DELLE TAGLIE DIVERSE DELLE DONNE?
Mauro Suttora per Il Foglio
3 novembre 2003
New York. Nel 1969 Mario Puzo inseri' nel suo "Il Padrino" la surreale descrizione dell'amante di un mafioso ucciso la quale si fece ridurre la vagina da un chirurgo plastico: temeva che la grossezza dell'organo sessuale del defunto l'avesse sformata a tal punto da renderla inappetibile per il futuro. E' uno dei tanti episodi che rimasero fuori dal film di Francis Ford Coppola, tre anni dopo.
E' passato un terzo di secolo, e negli Stati Uniti si sono moltiplicati i Laser Vaginal Rejuvenation Institute: tutto è migliorabile artificialmente, anche laggiù, al prezzo medio di settemila dollari. Ma ora l'indicibile approda sul prestigioso settimanale "New York Observer", che dedica un'intera, disinibita, esilarante seconda pagina all'argomento: quali sono le misure desiderabili della vagina? A rispondere al quesito è George Gurley, penna fine del giornale: memorabile la sua lunga intervista a Oriana Fallaci dello scorso gennaio, sempre sull'"Observer", uno dei rari articoli usciti in America su "The Rage and the Pride".
Questa volta Rabbia e Orgoglio delle femministe Usa vengono sfidate da un'inchiesta quasi entomologica, titolata provocatoriamente "My Vagina Monologue". Gurley parte dalla banale constatazione che ciascuno di noi, uomo o donna, può fare ogni mattina aprendo la posta elettronica: decine di e-mail ci propongono di aumentare la misura del pene. "Volete un'enorme bestia dentro ai vostri pantaloni?", chiedono gli spammer. E' diventata un'ossessione. Ma perchè nessuno parla invece delle misure delle donne?
"Eppure", scrive Gurley, "tutti sappiamo che anche le confezioni delle signore offrono taglie diverse". E la taglia conta eccome, giura il romanziere Marc Spitz. No, non conta niente, replica la sua collega Francine Maroukian: "Non mi sono mai posta il problema, mi interessa solo se è troppo grande o troppo piccolo quel che mi entra dentro". La pornostar australiana Cherie Lamour difende gli uomini: "Tutte a discutere fino alla morte delle dimensioni del pene, e mai una parola sulla vagina... Eppure la sua larghezza non dipende dal numero degli uomini con cui siamo andate a letto, o dal numero dei figli che abbiamo avuto".
L'attrice Chloe Sevigny partecipa al dibattito: "Ci sono forme e calibri di ogni tipo. Sfortunatamente ora va di moda il molto stretto. Mi hanno raccontato che Greta Garbo era preoccupata di averla troppo larga". "La verità è che non ci poniamo il problema", dice Dian Hanson, che lavora per i libri Taschen a Los Angeles, "perchè da sempre i maschi sono così contenti di avere avuto il permesso di entrare lì dentro che, se le pareti sono un po' rilassate, non si lamentano. Anche perchè temono, sollevando il problema, di essere loro ad averlo troppo piccolo".
Pare che, contrariamente a ciò che sembrerebbe naturale, siano le donne più sottili ad avere gli interni maggiormente cavernosi. Conferma Tad Low del canale musicale VH1: "Sono stato con una modella supermagra, e non sentivo niente". Il chirurgo plastico David Matlock dice che la maggioranza delle sue pazienti sono mamme con muscoli vaginali rilassati: "Le faccio tornare diciottenni. La gratificazione sessuale è collegata direttamente alla forza frizionale generata durante il rapporto".
"Piccolo è bello, questa è la tendenza", aggiunge il dottor Edward Jacobson, "gli interventi stanno aumentando. E' un po' come l'aumento dei seni negli anni '70". L'attrice Jackie Clarke ricorda che suo padre si lamentava: "Le donne americane arrivano a trent'anni con baffi rasati e vagine molli ed enormi, diceva. Beh, ora io ho 28 anni, ma nessuno si è mai lamentato. E se qualcuno osasse, concluderei che ce l'ha lui troppo piccolo".
"E invece ogni uomo, prima o poi, si è imbattuto nella spiacevole sensazione di annegare in un abisso", replica l'attore tv Dean Winters, "anche se non è detto che le mamme debbano preoccuparsi. Una signora con due figli aveva paura di far brutta figura, invece fu piacevolissimo: per alcuni minuti mi sembrò di stare con una diciassettenne."
L'unica a rifiutarsi di partecipare all'inchiesta è stata Glenn Close, incontrata da Gurley alla festa di compleanno newyorkese per l'attrice Naomi Watts: "Quando le ho chiesto se pensava che la misura della vagina rappresentasse un problema, mi ha guardato con disgusto". Eppure proprio la Close fu quella che nel 2001, interpretando i "Monologhi della vagina" al Madison Square Garden, fece alzare in piedi e urlare ripetutamente "Cunt!" ("Figa") ben 18 mila spettatori.
Mauro Suttora
Thursday, October 30, 2003
Il più elegante a Manhattan...
Flaminia Lubin per Dagospia
30 ottobre 2003
Il Guggenheim Museum di New York rende omaggio a Federico Fellini a dieci anni dalla sua morte con una retrospettiva inedita, completa dei tanti lavori del grande maestro, magistralmente curata dal boss della cultura italiana in America, il professor Antonio Monda. All'inaugurazione della mostra, la stampa italiana che vuole contare c'era tutta. Pochi i reporters stranieri, ben presenti invece al grande party organizzato dal museo.
Partecipi i vari gruppi Rai, tra cui Vincenzo Mollica, caro amico di Fellini, e anche lui tra gli organizzatori dell'evento. Maurizio Molinari della Stampa ad un certo punto e' corso via. Probabilmente ad occuparsi di economia..... americana naturalmente. Pupi Avati a capo della Fondazione Fellini e' stato dolce quando ha sbagliato termine in inglese e ha detto "Sostengo questo monster" (intendeva sostengo questa mostra che in inglese si dice exhibition e non monster).
Alain Elkann faceva le veci del ministro Urbani, i Della Valle sono stati gli sponsor dell'evento. Mauro Suttora, dei giornali Rizzoli, era in assoluto l'uomo piu' elegante, non in onore della retrospettiva credo, ma del gran gala da Cipriani sulla moda dove si sarebbe recato al calar del sole.
Wednesday, October 29, 2003
Nicolas Cage e la figlia di Presley
Saturday, October 18, 2003
Ann Coulter
Wednesday, October 08, 2003
Sharon Stone: io la conosco bene
dal corrispondente a New York Mauro Suttora
Oggi, 8 ottobre 2003
Riecco la diva, a tre anni dal suo ultimo film e a cinque dall’ultimo successo, Sphere: Sharon Stone è tornata in tutti i cinema statunitensi con il film Cold Creek Manor. Nel quale lei e il marito (interpretato da Dennis Quaid) si trasferiscono in una casa di campagna che si rivela luogo di mistero, paura e orrori.
Accavalla le gambe, non lo fa, le allarga, indossa le mutandine oppure no? Tutte domande da Basic Instinct, ma irrilevanti: perchè basta la presenza magnetica di questa magnifica 45enne per riempire comunque lo schermo. Così come è successo all'ultimo Festival di Sanremo, quando la sua apparizione in qualità di ospite di Pippo Baudo ha fatto subito impennare gli indici d'ascolto.
E anche se passerà alla storia per Basic Instinct del '92, bisogna precisare che quattro anni dopo Sharon ha conquistato anche i favori dei critici, vincendo il Golden Globe grazie a Casinò di Martin Scorsese (con Robert De Niro e Joe Pesci), e mancando l'Oscar per un soffio.
Negli ultimi anni è stata soprattutto la sua vita privata a fare notizia: il matrimonio con il giornalista di San Francisco Phil Bronstein nel '98, il divorzio due mesi fa, il figlio Roan adottato nel 2000, l'improvvisa emorragia cerebrale che due anni fa l'ha quasi uccisa. Infine, quest'estate, il flirt con Oliver Hudson, 26 anni, figlio di Goldie Hawn, ma che vista l'età potrebbe essere anche il suo.
Insomma, il simbolo del sesso è tornata a gustare la vita, e non intende farsi mancare niente. Ha presentato la cerimonia degli Oscar lo scorso marzo, in autunno apparirà su tutti gli schermi tv americani con un serial, e prossimamente sarà la cattiva contro Halle Berry nel film Catwoman.
«Questa fantastica resurrezione di Sharon non mi stupisce: dal primo momento che la vidi nel mio ufficio capii subito che sarebbe diventata una star».
Per parlare della nuova Stone abbiamo scelto un interlocutore d'eccezione: Riccardo Bertoni, 69 anni, uno dei maggiori direttori di casting di New York. Che conosce benissimo l'attrice, perchè fu propr io lui a lanciarla nel 1979.
Bertoni, svizzero italiano, allievo del Centro sperimentale cinematografico di Roma nel '51 (compagno di stanza di Domenico Modugno, ebbe Anna Magnani come insegnante e Federico Fellini come direttore), negli anni Cinquanta fu anch'egli attore: recitò accanto a Hedi Lamarr, Ivonne Sanson, Silvana Pampanini e Marcello Mastroianni (era suo fratello in La ragazza della salina, 1956).
Emigrato negli Stati Uniti quarant'anni fa, Bertoni ha messo in piedi con Esther Navarro un un'agenzia di casting fra le più importanti degli Stati Uniti: ha lavorato per otto film di Woody Allen (quasi tutti i più famosi, da Zelig a Manhattan, da Io e Annie a Broadway Danny Rose), e ha anche recitato con il regista newyorkese, suo grande amico, in Criminali da strapazzo del 2000 (era il maggiordomo).
Con Francis Ford Coppola ha girato Cotton Club e Il Padrino parte terza, e poi Nove settimane e mezzo, Attrazione fatale, La scelta di Sophie, Rollerball, Independence Day, Crocodile Dundee, The Bostonians, Tè con Mussolini e Callas forever con Franco Zeffirelli. Ultimo film: Amore infedele con Richard Gere. Il prossimo: Die Hard 4 con Bruce Willis.
Insomma, uno che se ne intende. E che ricorda bene quel pomeriggio di agosto del 1979, quando una ragazza 21enne irruppe piena di vita nel suo ufficio di Central Park South, in pattini a rotelle: «Conservo ancora la prima scheda segnaletica di Sharon», racconta Bertoni, «con le sue misure - 36/26/36 in inches, che tradotto in centimetri fa 91/66/91 - il colore degli occhi - verde, dei capelli - biondo, e le sue "specialties": precisò che sapeva pattinare a rotelle e sul ghiaccio, sciare, nuotare, andare a cavallo, guidare auto e motociclette - come vedemmo poi in Basic Instinct - oltre che ballare.
Nata in Pennsylvania, da due anni lavorava a New York come modella per l'agenzia di Eileen Ford, ed era venuta da me vestita con vertiginosi hot pants e accompagnata dalla sua amica Mindy Alberman, la segretaria di Dino De Laurentis. Voleva fare l'attrice, e si era anche iscritta al sindacato degli attori cinematografici, la Screen Actors Guild».
Bertoni procura subito a Sharon Stone la prima particina, in Stardust Memories di Woody Allen (1980): «Era la ragazza vestita di bianco, un po’ alla Jean Harlow, con un’azalea in testa, che in un vagone di treno in partenza pieno di gente anziana bacia il regista posando le labbra sul vetro di un finestrino».
Una scena breve ma memorabile, e soprattutto il debutto in un film di serie A. Al quale però non segue niente alla stessa altezza: nell’81, sempre grazie a Bertoni, una parte da coprotagonista in Deadly Blessing del regista horror Wes Craven.
«Che la prese scegliendola fra trenta altre modelle», ricorda Bertoni, «andarono a girare in Texas dove tutti naturalmente si innamorarono di lei. Quindi la presentai al mio amico Zeffirelli per la parte principale di Amore senza fine, ma lui la trovò troppo paffutella e le preferì Brooke Shields. Fra l’altro, in quel film esordì Tom Cruise».
Che tipo era Sharon Stone vent’anni fa?
«Fiera, indipendente, disordinatissima», ricorda Bertoni. «Abitava in un appartamentino dell’Upper East Side di Manhattan vicinissimo al mio, a un solo isolato di distanza. Una volta andai a casa sua e trovai praticamente l’apocalisse... Gli uomini che frequentavano la palestra di fronte erano tutti contenti, perchè ogni tanto riuscivano a intravedere dalle finestre quella bellissima ragazza. Poi però andò un po’ in crisi, si mise con un uomo, volle andare con lui in California, fece una serie tv e della pubblicità. Sì, sopravviveva girando spot e alcuni film orrendi, di serie B».
Infine, nel 1990, la svolta: Sharon accetta di posare nuda a 32 per la rivista Playboy. I produttori di Total Recall con Arnold Schwarzenegger la notano, e le offrono la p arte della compagna del protagonista.
«Niente di trascendentale», commenta Bertoni, «ma il vento aveva ricominciato a soffiare in suo favore, e così due anni dopo eccola in Basic Instinct del regista Paul Verhoeven. Non tornò più a girare film a New York, tranne Sliver, così la persi di vista. Però ogni volta che arrivava in città le mandavo un mazzo con una dozzina di rose rosse al Mark Hotel, dove scendeva abitualmente. Ci sentivamo al telefono, finchè nel ‘99 in qualche modo si sdebitò con me: chiese a Sidney Lumet, regista di Gloria in cui recitava, di prendermi come direttore del casting».
Da allora i due non si sono più visti. «O meglio, io ho visto in tv e sui giornali l’evolversi della sua carriera e della sua vita privata», dice Bertoni, «anche se devo confessare che non mi è piaciuta molto alla notte degli Oscar: era troppo nervosa, quasi esagitata, fuori di testa, fuori di tutto. Ma io sono sempre segretamente innamorato di lei...»
Mauro Suttora
Wednesday, September 24, 2003
Discorso di Bush all'Onu
CHIRAC INSISTE ANCHE LUI
di Mauro Suttora
Il Foglio
New York, 24 settembre 2003
Con un discorso di 25 minuti sapientemente calibrato, ieri mattina alle 11 George W. Bush non ha ceduto di un millimetro sulla giustezza della liberazione dell'Iraq, ma ha allo stesso tempo usato toni soffici e di riconciliazione verso gli oppositori della guerra: "Alcune delle nazioni qui presenti non sono state d'accordo con la nostra azione", ha detto il presidente degli Stati Uniti, "ma siamo tutti uniti nella difesa della sicurezza e dei diritti umani. E ora guardiamo avanti".
Naturalmente Bush ha sollecitato gli altri Paesi a impegnarsi nella ricostruzione, ma è stato attento a legare assieme Iraq e Afghanistan, e invece di chiedere truppe ha preferito puntare più in generale sull'"aiuto ai popoli di queste due nazioni nel loro cammino verso la libertà e la democrazia".
Bush ha avvertito che, dopo aver trasformato due anni fa "New York in un campo di battaglia e in un cimitero", i terroristi di Al Qaeda hanno attaccato a Bali, Mombasa, Casablanca, Riad, Giakarta e Gerusalemme, e che quindi "si sono messi contro tutta l'umanità. Essi non trovano posto in alcuna fede religiosa, e non dovrebbero avere alcun amico in questa sala".
Utilizzando il condizionale il presidente ha voluto tracciare un chiaro confine: "Da una parte c'è chi vuole in questa sala". Utilizzando il condizionale il presidente ha voluto tracciare un chiaro confine: "Da una parte c'è chi vuole la pace e l'ordine, dall'altra i banditi e assassini che seminano il caos".
Particolarmente forte è stato l'omaggio a Sergio Vieira de Mello, il capo della missione Onu a Bagdad ucciso in agosto assieme ad altri 22 funzionari. E subito dopo Bush ha definito la guerra contro Saddam come "conseguenza delle risoluzioni Onu" che gli chiedevano di disarmare: "Queste conseguenze ci sono state, oggi l'Iraq è libero e qui con noi ci sono ora i suoi rappresentanti. Non più camere di tortura, celle per gli stupri, killing fields e cimiteri collettivi: oggi in Medio Oriente la gente è più sicura perché un alleato del terrorismo è caduto".
Bush ha astutamente mescolato l'azione delle Nazioni Unite a quella degli Stati Uniti nel descrivere l'attuale situazione in Iraq: "L'Unicef sta vaccinando il 90 per cento dei bambini, il Programma per l'alimentazione mondiale sta distribuendo mezzo milione di tonnellate di cibo al mese. In un Paese dove il dittatore si costruiva lussuosi palazzi mentre lasciava crollare le scuole, stiamo ricostruendo mille edifici scolastici e stiamo ripristinando gli ospedali.
Saddam comprava armi mentre le infrastrutture decadevano, noi abbiamo intrapreso il maggior programma di aiuto dopo il piano Marshall e onoreremo le nostre promesse all'Iraq".
Insomma, per uscire dall'incipiente 'quagmire' (palude, pantano) dell'Iraq, Bush si rivolge a quello che la maggioranza degli americani considera il tempio del 'quagmire': l'Onu, dove un anno fa il presidente degli Stati Uniti aveva annunciato la sua nuova dottrina della guerra preventiva, prefigurando quindi la liberazione di Baghdad.
Un sondaggio Cnn/Usa Today lo avverte che 48 statunitensi su cento ritengono ora che non valesse la pena andare in Iraq, e il suo gradimento è calato dal 70 per cento di aprile all'attuale 50. Ma lui, intervistato l'altra sera dalla Fox Tv di Rupert Murdoch, assicura di non preoccuparsene: "I've got a job to do, ho un lavoro da fare, e mi giudicheranno gli elettori fra un anno".
C'è chi dice che non basta
Niente concessioni quindi a Jacques Chirac (che ha parlato subito dopo, chiedendo "il rapido trasferimento agli iracheni della sovranità sul proprio Paese"): "Nessuna fretta e nessun ritardo da parte nostra, in Iran il ruolo dell'Onu si può allargare per assistere nella scrittura della Costituzione e nell'organizzazione delle elezioni", ma nulla di più.
Lo scorso inverno, per gli ultimatum a Saddam, la Francia parlava di mesi mentre gli Stati Uniti ragionavano in termini di settimane. Oggi è l'esatto contrario: Parigi vorrebbe un governo iracheno nel giro di poche settimane, Washington parla di mesi. E Colin Powell, intervistato da Charlie Rose, ha buon gioco nello spiegare che "è nell'interesse degli stessi dirigenti iracheni non bruciarsi in questo momento", e nel prevedere "sei mesi per la Costituzione, un anno per il voto".
In ogni caso, nessuno parla più di trasferimento dei poteri all'Onu. L'appello di Bush è sempre individuale, ai Paesi "willing", volenterosi: "Tutte le nazioni di buona volontà dovrebbero farsi avanti per aiutare il popolo dell'Iraq". Basterà?
Fareed Zakaria, direttore di Newsweek, è scettico: "C'è un vuoto di leadership nel mondo in questo periodo, come ha dimostrato anche il fallimento di Cancun. L'unilateralismo di Bush ha prodotto un multilateralismo caotico, di cui gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo".
Il prestigioso Council on Foreign Relations avverte: "L'Amministrazione agisca con urgenza per ridurre il crescente antiamericanismo che si sta sviluppando in Europa e nel mondo arabo.
Mauro Suttora