RIDIAMO DIGNITA' AI MALATI
Contro il 'Ballo di San Vito' non esistono ancora farmaci: la priorità è la qualità della vita di chi ne soffre
di Mauro Suttora
Oggi, 18 maggio 2017
La Còrea di Huntington (dal greco ‘danza’), che colpisce un milione di persone nel mondo, è una malattia ereditaria degenerativa del sistema nervoso centrale. Distrugge i neuroni nelle aree cerebrali che controllano il movimento e le funzioni cognitive. È nota anche come Ballo di San Vito.
L’esordio avviene tra i 30 e i 50 anni. Il decorso invalidante è lentamente progressivo e fatale dopo 16-20 anni di malattia. I sintomi: movimenti involontari patologici, alterazioni del comportamento e deterioramento cognitivo. Non esistono farmaci per prevenire, bloccare o rallentare la progressione della malattia. La probabilità di ereditarla da un genitore malato è del 50%.
La diffusione della malattia è di un caso su 10mila persone. Ma nel mondo ci sono zone con una frequenza 500-1000 volte più alta, come la regione del lago Maracaibo (Venezuela). In Italia i malati sono 6mila, e 18mila chi rischia di ereditare la malattia. L’Istituto Besta di Milano, il Gemelli di Roma e il policlinico Federico II di Napoli e altri centri di eccellenza sono sommersi da richieste di diagnosi, cura e assistenza.
Nel 1993 è stato scoperto il gene che mutando causa la malattia: da allora è possibile individuare con un test tra i soggetti a rischio i portatori, che manifesteranno la sintomatologia coreica.
Il 18 maggio papa Francesco ha accolto per la prima volta in Vaticano un gruppo di malati di Corea del Sud America. Coinvolte anche famiglie di malati da tutto il mondo. Il 16 maggio le famiglie sono state in Senato, invitate dal presidente Pietro Grasso e da alcuni parlamentari.
«Gli ospedali italiani», ci dice la senatrice a vita Elena Cattaneo, che da oltre vent’anni dedica i suoi studi all’Huntington, «devono avere a disposizione personale per farsi carico della cura umana e sociale di questa malattia. La scienza non può ancora offrire cure efficaci che rallentino o blocchino la malattia. Ma l’opera delle associazioni, degli psicologi, infermieri a domicilio, gruppi di auto-aiuto, sostegni economici e una buona informazione possono restituire la dignità che spetta a tutti, e contribuire in maniera decisiva a migliorare la qualità della vita di malati e famiglie».
riquadro:
ANCHE IL GRANDE WOODY GUTHRIE NE SOFFRIVA
Il malato più famoso di Corea, Woody Guthrie, autore della canzone This Land Is Your Land, maestro di Bob Dylan, è morto 50 anni fa, nel 1967. Suo figlio Arlo, anch’egli cantautore (Alice’s Restaurant, Coming into Los Angeles al festival di Woodstock) ha fatto il test, ed è risultato immune.
Mauro Suttora
Thursday, May 25, 2017
Thursday, May 18, 2017
Il mistero della bellissima Asma Assad
COME FA LA SOFISTICATA MOGLIE DEL DITTATORE A TOLLERARE L'INFERNO SIRIA?
di Mauro Suttora
Damasco, 14 aprile 2017
Ancora più elegante e affascinante di Rania di Giordania, quando nel 2000 la 25enne Asma Assad arrivò a Damasco per sposare Bashar Assad suscitò grandi speranze. «Questa giovane coppia porterà la libertà in Siria», commentarono gli ottimisti.
Dopo trent’anni di dittatura ferrea di Hafez Assad, padre di Bashar, sembrava arrivato il tempo del disgelo. Bashar non era destinato alla politica, era andato a studiare a Londra dove era diventato oftalmologo. E lì si era innamorato della bellissima figlia di un cardiologo siriano e di una funzionaria dell’ambasciata di Damasco in Inghilterra. Asma è più inglese che siriana: nata e cresciuta a Londra, ha studiato francese e spagnolo all’università.
Svolta inspiegabile con la guerra civile
Per 11 anni non successe granché. Il regime siriano non si democratizzò. Però la coppia presidenziale, complice la gioventù e la classe di lei, quando viaggiava all’estero suscitava ammirazione. E la Siria rimaneva fuori dalle turbolenze del vicino Iraq.
Poi, nel 2011 anche a Damasco scoppiò la Primavera araba, come in Tunisia, Libia ed Egitto. I giovani scesero in strada chiedendo riforme. In un primo momento Assad rispose liberalizzando internet. Poi però la polizia represse nel sangue le manifestazioni. E cominciò la guerra civile che dura tuttora.
Si pensava che la moglie occidentale di Assad avrebbe esercitato un’influenza moderatrice sul marito. Invece niente. Il gentile oftalmologo si trasformò in un governante crudele come il padre. E la leggiadra Asma dietro, senza un tentennamento.
Da Rosa del deserto a First lady dell’inferno
La rivista statunitense Vogue di Anna Wintour (quella de Il diavolo veste Prada), che nel 2010 aveva definito Asma «Rosa del deserto», cancellò l’articolo dal suo sito. In questi sei anni di massacri Asma si è prestata alla propaganda di regime, facendosi fotografare accanto al marito e in visita a vittime della guerra. Mai nessuna dichiarazione, neanche dopo le prime accuse ad Assad di aver usato armi chimiche nel 2013.
La Russia, alleata della Siria da mezzo secolo, appoggia il regime di Assad. E lei, nell’unica intervista data a una tv russa lo scorso ottobre, ha detto di appoggiare suo marito, contro i terroristi dell’Isis. I quali però non sono gli unici nemici del governo di Damasco: l’altra opposizione, quella non legata al Califfato, è stata nuovamente bombardata con armi chimiche il 4 aprile.
Le decine di bambini ammazzati hanno provocato la vendetta del presidente americano Donald Trump, che ha fatto lanciare 59 missili Tomahawk sulla base da cui sono partiti gli aerei assassini di Assad.
In questi anni la vita per Asma e i suoi tre figli continua (quasi) come prima. Per sicurezza la famiglia non vive nel palazzo presidenziale, ma in una villa nel quartiere residenziale di Damasco.
Anche lei è colpita dalle sanzioni Ue, e non può più andare a Parigi a fare shopping. In compenso fa comprare on line abiti, gioielli e mobili di lusso da suoi collaboratori.
E-mail riservate: 3 mila euro per le sue scarpe
Sono state pubblicate alcune sue e-mail segrete. In una ordina l’acquisto di un paio di scarpe con tacchi di 16 centimetri da 3 mila euro. In un’altra risponde alla sua amica, figlia dell’emiro del Qatar, che la invita a lasciare la Siria prima che suo marito faccia la fine di Gheddafi o Mubarak. Ma lei rifiuta l’ospitalità.
Sa che, finché i russi lo appoggiano, Assad è sicuro. E può atteggiarsi a difensore della laicità contro l’Isis.
Mauro Suttora
Thursday, May 04, 2017
Emmanuel e Brigitte Macron
RITRATTO INDISCRETO DELLA NUOVA COPPIA PRESIDENZIALE FRANCESE
Galeotto fu Eduardo
di Mauro Suttora
Oggi, 4 maggio 2017
«Mamma, c’è un pazzo nella mia classe che sa tutto su tutto!». La quindicenne Laurence tornò a casa entusiasta, e fu così che sua madre Bibi (Brigitte) sentì parlare per la prima volta di Manu (Emmanuel).
Era 24 anni fa, 1993. E 24 sono anche gli anni di differenza d’età fra Bibi, prof di francese e latino al liceo gesuita di Amiens, ed Emmanuel Macron, il presidente più giovane nella storia di Francia dopo Napoleone.
Manu è in seconda liceo, figlio di due medici: intelligente, brillante, affamato di cultura. Legge Gide, preferisce Brel e Leo Ferré ai Nirvana. Bibi è la sesta figlia della famiglia Trogneux, catena di pasticcerie, i macaron più rinomati di Francia dopo i Ladurée.
Entrambi appassionati di teatro, lei da regista lo sceglie come attore (qualcuno dice che la sua regista sia ancora lei) per recitare con la compagnia del liceo la piéce di Milan Kundera Jacques e il suo padrone (qualcuno dice che la sua padrona sia ancora lei).
Scatta la scintilla fra Manu e Bibi. Lei lo inizia a Voltaire e Baudelaire, lui è estasiato dagli occhi blu della prof 39enne madre di tre figli, sposata a un banchiere, reputazione impeccabile (fino a quel momento).
L’anno dopo scoppia l’amore grazie a Eduardo De Filippo. «Riscriviamo assieme l’Arte della Commedia per aggiungere qualche ruolo?», propone l’intraprendente Manu a Bibi. Si vedono ogni venerdi pomeriggio per aggiungere dei ruoli. I genitori di Manu pensano che lui vada a casa di Laurence. Invece è della mamma che il ragazzo è innamorato. «Sentivo che scivolavo, e lui anche…», ricorda Bibi.
Scoppia lo scandalo ad Amiens, città di provincia. La dottoressa Macron affronta Bibi a muso duro: «Signora, ma si rende conto? Lei ha già una famiglia. Il mio Manu con lei non potrebbe neanche avere dei figli». La diffida dal riavvicinarsi all’adolescente. «Non posso prometterle niente», risponde l’orgogliosa Bibi. La quale, dalla sua parte, subisce i rimproveri più dei fratelli maggiori che del marito.
Per tagliare, lei chiede a Manu di trasferirsi a Parigi, a finire il liceo e superare la maturità. «Quando torno a 18 anni, qualunque cosa tu faccia ti sposo!», le promette (minaccia) lui.
«Fu uno strazio, eravamo lacerati tutti e due», ricorda Bibi, «ma alla fine ha vinto l’amore e ho divorziato. Impossibile resistere».
«Fu uno strazio, eravamo lacerati tutti e due», ricorda Bibi, «ma alla fine ha vinto l’amore e ho divorziato. Impossibile resistere».
Anche lei si trasferisce a Parigi, va a insegnare nel liceo San Luigi Gonzaga del XVI arrondissement, quartiere dei ricchi. Manu il perfetto frequenta tutte le scuole giuste: università a Sciences politiques, specializzazione all’Ena (Ecole nationale d’administration), fucina di tecnocrati. Viene notato da Jacques Attali, grande intellettuale socialista, che lo introduce nei circoli del partito.
Nel 2007 l’ereditiera dei macaron sposa Macron, solo una vocale in meno. I figli di Bibi cominciano ad accettare la nuova realtà. La carriera di Manu parte come un missile. Nel 2010 lascia il ministero delle Finanze e si fa assumere dalla banca Rothschild. Per farsi odiare ancora un po’ di più a sinistra diventa consulente della multinazionale Nestlé. In un anno e mezzo guadagna un milione di euro.
Poi l’Eliseo: consigliere economico del presidente Hollande, nel 2014 ministro dell’Economia. Ma capisce che la barca socialista sta affondando: molla il ministero, poi anche il partito. L’anno scorso ne fonda uno nuovo, tutto suo, con le stesse iniziali: En Marche!
Poi l’Eliseo: consigliere economico del presidente Hollande, nel 2014 ministro dell’Economia. Ma capisce che la barca socialista sta affondando: molla il ministero, poi anche il partito. L’anno scorso ne fonda uno nuovo, tutto suo, con le stesse iniziali: En Marche!
La sera della vittoria al primo turno delle presidenziali Emmanuel Macron pronuncia un discorso con due frasi bellissime. La prima: «Applaudiamo i nostri avversari». Niente politica dell’odio, basta insulti. La seconda: «Ringrazio mia moglie Brigitte. Senza di lei io non sarei io».
Sotto il palco, Bibi con le sue belle gambe da 64enne in leggings lo applaude commossa. Accanto a lei urlano di gioia due stupende donne bionde: Laurence e Tiphaine, le sue figlie. Manu di figli non ne ha avuti, ma ora sette nipotini lo chiamano daddy.
Ah, anche fra il nuovo presidente Usa Donald Trump e sua moglie Melania ci sono 24 anni di differenza. Che coincidenza. E che differenza con la Première Dame Brigitte Macron Trogneux.
Mauro Suttora
Mauro Suttora
Thursday, April 20, 2017
Film su Stanlio e Ollio
di Mauro Suttora
Oggi, 20 aprile 2017
La somiglianza è incredibile. L’americano John Reilly e l’inglese Steve Coogan saranno Stanlio e Ollio sul grande schermo. La Bbc Films sta girando Stan & Ollie, pellicola biopic su Stan Laurel e Oliver Hardy. Il film è ambientato nel 1953, durante l’ultima tournée del duo in Gran Bretagna.
Stan oberato da debiti per coniugi e amanti
Dopo i fasti degli anni 20 e 30, nel dopoguerra vicissitudini varie colpirono le carriere del duo comico più famoso del mondo. Erano sempre popolarissimi, ma per esigenze di soldi si erano legati a produttori che li costringevano a fare film con copioni scadenti. Stanlio, in particolare, era oberato dai debiti perché doveva mantenere un esercito di ex mogli e amanti.
Così alla fine degli anni 40, abbandonato il cinema, cominciarono a fare tournées nei teatri, registrando ovunque il tutto esaurito. L’ultimo dei loro 107 film lo girarono nel 1951, ormai sessantenni, ma la salute precaria di entrambi provocò lunghe pause nelle riprese.
Stanlio era malato di diabete, Ollio pesava 160 chili e aveva avuto tre infarti. Ciononostante, nel 1953 si imbarcarono per la loro ultima avventura in Europa, dove la loro fama era rimasta intatta, superiore a quella negli Stati Uniti.
E in Italia il successo continua tuttora: sono 2-300mila ogni sera gli spettatori che li seguono nell’appuntamento fisso su Raimovie dalle 20 alle 21.
Stanlio era amico di Charlie Chaplin
Ollio era americano. Stanlio inglese, e nel 1910 a vent’anni si imbarcò verso gli Stati Uniti in cerca di fortuna con una compagnia comica in cui recitava anche un suo amico e coetaneo allora sconosciuto: Charlie Chaplin. Ma il sodalizio artistico lo trovò con Oliver Hardy.
Sbancarono nella nascente industria del cinema con le loro gag, e l’avvento del sonoro non solo non li danneggiò (come capitò ad altri attori), ma addirittura ne accrebbe la fama. In Italia Mussolini e papa Pio XII li adoravano, e Alberto Sordi a soli 19 anni nel 1939 cominciò a doppiare Ollio.
Questo film della Bbc rivela il segreto del loro successo: Stanlio e Ollio erano molto amici anche nella vita privata. Si prendevano cura vicendevolmente della loro salute malferma, si aiutavano, erano quasi commoventi per la reciproca sollecitudine.
Stan rispondeva a tutte le lettere
Ollio è morto nel 1957. Stanlio nel ’65, ma fino all’ultimo rispose di persona a tutte le lettere dei fans dal suo appartamentino di Santa Monica (Los Angeles), e ricevette gli omaggi delle tante star che lo omaggiavano.
Mauro Suttora
Tuesday, April 11, 2017
Totogrillini
Chi potrebbero essere i ministri di un governo grillino. Declina Di Maio, in ascesa Davigo. Quanto a Taverna, Di Battista e Lombardi…
di Mauro Suttora
Libero, 9 aprile 2017
In calo le quotazioni di Luigi Di Maio come candidato premier grillino, dopo il convegno di ieri a Ivrea. Per quanto stimato sia da Davide Casaleggio sia da Beppe Grillo, i due capi del Movimento 5 stelle si rendono conto che l'enfant prodige di Pomigliano (Napoli) a 30 anni è ancora troppo giovane e inesperto per sostenere un peso simile.
Inoltre molti nel M5S storcono il naso di fronte alla malcelata ambizione del ragazzo. Non è ben visto l'eccessivo attivismo del suo principale collaboratore: Vincenzo Spadafora, ex mastelliano (portaborse del presidente campano Andrea Losco), poi con Pecoraro Scanio e Rutelli, infine nominato Garante per l'Infanzia dall'allora ministro Mara Carfagna e dai presidenti delle Camere Fini e Schifani.
Di Maio condivide con Spadafora l'origine geografica e la scarsa propensione agli studi: entrambi non laureati, gli otto esami in cinque anni da fuoricorso rappresentano una piccola zavorra per il vicepresidente della Camera.
Per questo Grillo e Casaleggio sperano in Piercamillo Davigo: sarebbe perfetto come candidato premier 5 stelle. Ma il magistrato non vuole bruciarsi prima delle elezioni: chiede che il suo nome venga fatto solo se e quando il presidente Sergio Mattarella affiderà l'incarico dopo un'eventuale vittoria grillina.
Davigo ritroverà Antonio Di Pietro, che molti 5 stelle avrebbero voluto candidare sindaco di Milano l'anno scorso, era a Ivrea, ha mantenuto buoni rapporti con la società Casaleggio che gli curava il sito web, e fu appoggiato da Grillo alle Europee 2009, con indicazione di voto per Luigi De Magistris e Sonia Alfano: Interni o Giustizia per Tonino.
Altri tre magistrati sono papabili: Nicola Gratteri (bocciato da Napolitano per il governo Renzi), Sebastiano Ardita (messinese, coautore con Davigo del libro 'Giustizialisti', ha fatto una buona impressione a Ivrea), e soprattutto il palermitano Nino Di Matteo.
Finora i grillini hanno avuto rapporti disastrosi con gli intellettuali fiancheggiatori: da Becchi a Pallante, da Di Cori Modigliani a Scienza, tutti quelli una volta valorizzati dal blog di Grillo si sono allontanati per il clima da setta che si è instaurato nel movimento.
Gli unici due a resistere sono Massimo Fini (che ha avuto l'onore di chiudere i lavori ieri) e Aldo Giannuli. Avrebbero dovuto scrivere un libro sulla democrazia diretta con Casaleggio senior se le sue condizioni di salute non lo avessero impedito.
Ma Fini è un anarchico, per lui al massimo potrebbe esserci un seggio da senatore se i grillini ripristineranno la tradizione comunista degli "indipendenti di sinistra" da candidare per chiara fama, senza passare dalle forche caudine delle primarie. Giannuli invece può andare a Interni o Difesa. Il sociologo Domenico De Masi è simpatico ma ingovernabile.
I candidati interni sono tutti deboli. Di Battista e Paola Taverna, i più amati dalla base, sono animali da comizio ma inadatti alla vita istituzionale. Il primo vorrebbe gli Esteri o gli Interni, ma al massimo lo soddisferanno con una onorifica vicepresidenza del Consiglio. La Taverna, ex impiegata in un centro diagnostico, può andare alla Sanità.
Gli unici con la gravitas necessaria per un dicastero, anche per ragioni d'età, sono Nicola Morra (Istruzione), Carla Ruocco (Sviluppo economico) e Roberta Lombardi (Interni). Ma, come Roberto Fico, sono della corrente 'talebana', duramente osteggiata da Di Maio. Toninelli ambisce alle Riforme, il putiniano Di Stefano agli Esteri, Vito Crimi e Barbara Lezzi a qualsiasi cosa li riportino in auge. Ma la società Casaleggio li vede come personaggi un po' troppo folcloristici. E Carlo Freccero non è abbastanza affidabile.
Insomma, i grillini rischiano di replicare a livello nazionale il disastro Roma: per mancanza di competenze interne, finire in mano a furbacchioni dell'ultima ora come Raffaele Marra, ex braccio destro della sindaca Raggi, in carcere da quattro mesi.
Saturday, April 08, 2017
Capo San Raffaele: da bersaglio a eroe grillino
di Mauro Suttora
Lettera43, aprile 2017
Nicola Bedin: wonderboy di Pordenone, bocconiano da 110 e lode, studi in Usa, apprendistato a Mediobanca, a soli 28 anni già issato dal compianto Giuseppe Rotelli sulla poltrona di amministratore delegato del suo impero ospedaliero privato San Donato. Da cinque anni guida anche il San Raffaele, rilevato dai Rotelli per 400 milioni dopo le traversie di Don Verzé.
Qui però un inciampo: nel giugno 2015 la procura di Milano chiude le indagini per una presunta maxitruffa da 28 milioni ai danni del servizio sanitario nazionale. Bedin risulta indagato con il direttore sanitario del San Raffaele e sei primari (fra cui Alberto Zangrillo, famoso come medico personale di Silvio Berlusconi), perché sarebbero stati incassati irregolarmente rimborsi su ben 4mila interventi.
Da allora - e sono ormai passati quasi due anni - tutto tace: né incriminazione né proscioglimento per i dirigenti del San Raffaele.
Ma questo non frena i parlamentari del Movimento 5 stelle dal lanciarsi in un attacco frontale contro Bedin: in un'interrogazione Giulia Grillo (ministra della Sanità in pectore di un eventuale governo grillino) e Paola Taverna (candidata sottosegretaria) chiedono addirittura alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin di "sciogliere il consiglio d'amministrazione del San Raffaele e interdire gli indagati".
Chissà cosa pensano oggi la Grillo (nessuna parentela con Beppe), la Taverna nonché Silvana Carcano (che nel 2013, da capogruppo 5 stelle in regione Lombardia, lottò a fianco dei lavoratori del San Raffaele contro la nuova proprietà), scoprendo che il tanto detestato Nicola Bedin è stato invitato come relatore al convegno che Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, organizza sabato 8 aprile in memoria del fondatore del M5S morto un anno fa.
A Ivrea l'ospite d'onore Bedin, "managing director" del San Raffaele, disquisirà di sanità. Dopo che per anni i poveri parlamentari grillini si erano sgolati contro le "speculazioni" degli ospedali privati, e a favore della sanità pubblica. Contrordine compagni. Finché si trattava di scaldare le piazze, andava bene la demagogia dei Di Battista e Di Maio. Ma quando si sente profumo di governo, inversione a U: entrano in campo i cervelloni di Casaleggio junior. E per gli attivisti non c'è più posto ai convegni del suo Think tank, che li ha esautorati.
Mauro Suttora
Wednesday, March 29, 2017
La Raggi in vacanza a sciare
di Mauro Suttora
Oggi, 29 marzo 2017
Nell’hotel Emmy di Fié allo Sciliar (Bolzano), dove hanno trascorso cinque giorni, avevano una suite con due stanze. Quindi niente autorizza a dire che si siano rimessi insieme. Ma queste foto che pubblichiamo in esclusiva dimostrano che fra la sindaca di Roma Virginia Raggi e il suo marito separato Andrea Severini (regista a Radio Dimensione Suono) è tornato il bel tempo.
Sarà per il bene del figlio, sarà perché lui l’ha sempre difesa in questi mesi tribolati, ma la coppia sembra aver ritrovato l’affiatamento.
E di calma la Raggi ha proprio bisogno. Nei giorni drammatici dopo l’arresto del suo braccio destro Raffaele Marra (in carcere da tre mesi e mezzo) e le rivelazioni sulle polizze assicurative da 30mila euro intestatele dal dirigente grillino Salvatore Romeo, Virginia aveva avuto un crollo nervoso ed era finita in ospedale.
Inquisita per tre reati, non si è dimessa
Si mormorava anche di una relazione con l’uno o con l’altro, vista la testardaggine con cui lei li difendeva dalle critiche del suo stesso Movimento 5 stelle.
E invece niente: con Marra la Raggi condivide soltanto due avvisi di garanzia (abuso d’ufficio e falso in atto pubblico) per avere promosso il fratello di Marra alla guida della direzione Turismo.
Con Romeo invece la sindaca è indagata per un terzo reato (abuso d’ufficio), dopo averlo nominato capo della sua segreteria triplicandogli lo stipendio, da 40 a 110mila euro annui.
Ma lei nega di aver saputo che Romeo le avesse intestato le tre polizze. E grazie a un cambio delle regole del suo movimento, non deve più dimettersi.
No alle olimpiadi, sì allo stadio
In questi nove mesi le decisioni più importanti prese dalla Raggi sono state il no alle Olimpiadi 2024 e il sì alla costruzione di un nuovo stadio di calcio per la Roma.
Altre vicende burrascose hanno fatto allontanare dal governo grillino una dozzina fra assessori e dirigenti. Cosicché la Raggi è vista più come un peso che come un aiuto in vista del prossimo voto politico nazionale: «Prima cade, meglio è», disse la senatrice 5 stelle Paola Taverna già nel luglio 2016.
Le ‘Iene’ accusano: “Firme irregolari”
Neanche fra le nevi, tuttavia, la povera sindaca ha trovato pace. È stata inseguita da un inviato del programma tv Le Iene (Italia 1), che le ha chiesto conto di irregolarità scoperte sulle firme raccolte per presentare la sua candidatura l’anno scorso: un modulo postdatato con un migliaio di sottoscrizioni raccolte successivamente, e autenticatori insufficienti.
Le Iene hanno già fatto passare i guai ai grillini palermitani, svelando firme false e facendone inquisire 14 di loro (fra cui tre deputati, sospesi dal M5s).
La Raggi ha scaricato ogni responsabilità sui due avvocati grillini incaricati della raccolta firme.
Ma molti sostenitori del movimento la sostengono, accusando i giornalisti di essere troppo severi con lei.
Mauro Suttora
Thursday, March 09, 2017
Conti in tasca ai politici
Abbiamo confrontato le dichiarazioni dei redditi di chi è stato eletto la prima volta nel 2013 con quelle attuali. Alcuni sono miracolati, altri disperati
di Mauro Suttora
Oggi, 9 marzo 2017
Dai 580 mila euro in più di Alberto Bombassei al milione e 600 mila in meno di Yoram Gutgeld, ecco la classifica dei politici più noti che hanno debuttato nel 2013, secondo le loro dichiarazioni dei redditi: chi ha guadagnato e chi ha perso, facendosi eleggere per la prima volta?
Alcuni miracolati sono passati dal reddito zero della disoccupazione agli attuali 98 mila: i capi grillini Di Maio e Fico, i piddini Anna Ascani e Khalid Chaouki.
La performance stellare dell’industriale Bombassei è merito non della politica, ma dell’exploit della sua società quotata in Borsa (Brembo); quella di Bonifazi (tesoriere Pd) al suo studio di avvocato, Bernabò Bocca ha alberghi. Il più ricco, ma stabile, è Renzo Piano.
È andata bene all’olimpionica Josefa Idem, male alla campionessa di scherma Valentina Vezzali. Disastro anche per i giornalisti Augusto Minzolini (ex direttore Tg1), Corradino Mineo (Rainews) e Massimo Mucchetti (Corriere della Sera).
Enrico Zanetti guadagnava un quarto di milione da commercialista, ora non solo è crollato sotto i 100 mila, ma ha pure perso la poltrona di viceministro. Ci ha rimesso anche il ministro Padoan: all’Ocse guadagnava il doppio.
Luigi Gaetti, ex medico, è l’unico grillino a rimetterci. A Laura Boldrini invece è convenuto buttarsi in politica: da funzionaria Onu guadagnava meno. Bene anche il presidente del Senato ed
ex magistrato Pietro Grasso.
Cecile Kyenge e Simona Bonafé ora sono eurodeputate, e anche a loro va bene. Stabili Boschi, Lotti e Renzi. Quest’ultimo non è eletto (come Padoan).
CLASSIFICA
redditi 2012 – 2016 differenza (in migliaia di euro)
Alberto Bombassei (Civici) 846mila – 1.426mila +580
Francesco Bonifazi (Pd) 67 – 280 +213
Pietro Grasso (Pd ) 176 – 340 +164
Valeria Fedeli (Pd) 41 – 181 +181
Ilaria Borletti (Pd) 89 – 190 +101
Luigi Di Maio (M5s) 0 – 98 +98
Roberto Fico (M5s) 0 – 98 +98
Anna Ascani (Pd) 0 – 98 +98
Khalid Chaouki (Pd) 0 – 98 +98
Alessandro Di Battista (M5s) 3 – 98 +95
Paola Taverna (M5s) 12 – 102 +90
Renzo Piano (senatore a vita) 2.600 – 2.685 +85
Barbara Lezzi (M5s) 20 – 98 +78
Simona Bonafè (Pd) 28 – 102 +74
Carla Ruocco (M5s) 26 – 96 +70
Bernabò Bocca (Fi) 758 – 823 +65
Cecile Kyenge (Pd) 38 – 102 +64
Roberto Speranza (Mdp) 35 – 94 +59
Laura Boldrini (misto) 94 – 146 +52
Alessia Morani (Pd) 47 – 92 +45
Josefa Idem (Pd) 121 – 146 +25
Luca Lotti (Pd) 83 – 98 +15
Maria Elena Boschi (Pd) 90 – 99 +9
Matteo Renzi (Pd) 99 (sindaco) – 105 +6
Luigi Gaetti (M5s) 107 – 101 -6
Stefania Giannini (Pd) 116 – 96 -20
Corradino Mineo (Si) 311 – 250 -61
Massimo Mucchetti (Pd) 348 – 259 -89
Andrea Romano (Pd) 205 – 116 -89
Pier Carlo Padoan 216 – 103 -113
Enrico Zanetti (Scelta Civica) 248 – 93 -155
Edoardo Nesi (Pd) 455 – 174 -281
Augusto Minzolini (FI) 524 – 113 -411
Valentina Vezzali (Sc) 689 – 145 -544
Yoram Gutgeld (Pd) 1.757 – 101 -1.656
Thursday, March 02, 2017
Dalla Guardia di Finanza al carcere
Dalla Guardia di finanza al carcere, passando per la politica
2 marzo 2017
di Mauro Suttora
Il grillino Raffaele Marra non è il primo ex ufficiale della Guardia di Finanza datosi alla politica e arrestato per tangenti in ambito immobiliare.
Massimo Maria Berruti, 67 anni, lucano, deputato di Forza Italia dal 1996 al 2013, lascia l’arma nel 1980 dopo un’ispezione alla Edilnord di Silvio Berlusconi, e si mette in proprio con consulenze Fininvest.
Cinque anni dopo viene arrestato per una tangente da 150 milioni sull’Icomec (lo scandalo che distrugge il segretario Psdi Pietro Longo): assolto in Cassazione. Poi, negli anni 90, otto mesi per favoreggiamento alla Fininvest
.
Le traversie giudiziarie di Berruti si sono concluse nel 2012 con 2 anni e 10 mesi per riciclaggio annullati per prescrizione. E ricompare nelle cronache quattro mesi fa, quando vende a Berlusconi 420metri quadri in un indirizzo romano dal nome prestigioso: via delle Zoccolette
.
Marco Milanese, 57 anni, irpino, nel 1994 lavora con Antonio Di Pietro su Tangentopoli. Tenente colonnello della Finanza, è distaccato al ministero dell’Economia, dove nel 2002 diventa il braccio destro del ministro Giulio Tremonti. Due anni dopo lascia l’arma e si laurea.
Deputato Pdl nel 2008, è vice di Nicola Cosentino, a capo del partito in Campania. Nel 2011 la richiesta di arresto per corruzione (negata dalla Camera), l’anno seguente è condannato a 8 mesi per la casa romana di Tremonti, di cui pagava l’affitto.
La via crucis di Milanese continua nel 2014 con un altro arresto, per traffico di influenze nell’inchiesta Mose di Venezia: condannato a due anni e mezzo, è in corso l’appello.
Mauro Suttora
Tomba di Claretta Petacci
Nella palude della burocrazia
ANCHE LA TOMBA DI CLARETTA È RIMASTA ORFANA
L'unico erede dei Petacci ha scritto dagli Usa alla direzione del Verano per pagare la manutenzione, senza però ricevere risposta. Intanto fa scalpore la prima biografia in inglese dell'amante del duce
di Mauro Suttora
Libero, 2 marzo 2017
Più che minacciare di demolire la tomba di Claretta Petacci al cimitero Verano di Roma, bisognerebbe demolire la burocrazia che impedisce di ripararla.
Da due anni, periodicamente, qualcuno lancia l'allarme sullo stato d'abbandono in cui versa la cappella che custodisce i resti dell'amante di Benito Mussolini. Si è anche formato un comitato di nostalgici disposti a raccogliere i fondi necessari ai lavori.
L'unico erede della famiglia Petacci, Ferdinando, ha 74 anni e vive vicino a Phoenix, Arizona. È figlio di Marcello, fratello di Claretta, ed era con i genitori e il fratellino in un'auto del convoglio di gerarchi fascisti che fuggivano lungo il lago di Como alla fine dell'aprile 1945. Ha visto suo padre trucidato dai partigiani mentre cercava di fuggire a nuoto nel lago a Dongo. Sua madre, la bellissima Zita Ritossa, rimase prigioniera dei comunisti per tre giorni assieme ai figli. Non ha mai voluto parlare di quel che le fecero. Ma il fratello maggiore di Ferdinando non si riprese più dallo choc. Zia Claretta aveva lasciato l'Alfa Romeo per riunirsi al suo Benito, e farsi ammazzare assieme a lui.
"Ho scritto un anno fa alla direzione del cimitero Verano fornendo il mio recapito, e dichiarandomi disponibile ad affrontare tutti i lavori necessari per la manutenzione della tomba", ci ha risposto esasperato Ferdinando Petacci dall'Arizona dopo che gli abbiamo riferito dell'ennesimo allarme sullo stato della cappella. Ha allegato fotocopie della sua lettera e della ricevuta di ritorno.
Il personaggio di Claretta continua ad appassionare gli storici. Proprio un mese fa e' uscita la sua prima biografia in inglese, scritta dal professore australiano Richard Bosworth per la Yale University Press. Hanno fatto scalpore su tutti i giornali britannici e americani i dettagli sugli aspetti animaleschi del rapporto che legava Mussolini alla esile ventenne, figlia del medico del Papa.
"A letto con le donne sono una belva", si vantava il duce con lei, magnificando le proprie doti sessuali. E lei, ossessionata dall'amore cieco per il suo Benito, ogni sera scriveva sul suo diario tutto quello che lui le diceva.
Per questo i veri diari di Mussolini non sono quelli apocrifi acquistati da Marcello Dell'Utri e avventatamente pubblicati da Bompiani nel 2010, ma quelli di Claretta Petacci dati alle stampe da Rizzoli un anno prima. Sicuramente autentici: l'Archivio di stato li sequestrò nel dopoguerra, ne studiò e garantì la veridicità, e ne permise la pubblicazione solo a 70 anni di distanza dalla loro compilazione, per proteggere la privacy dei tanti personaggi citati (fra cui insospettabili amanti dell'inesauribile Benito che la gelosissima Claretta via via scopriva, con tanto di figli segreti).
Su questi diari della Petacci si basa la biografia di Bosworth, e sulle tante inedite e clamorose confidenze di Mussolini ("Sterminerò gli ebrei", "La principessa Maria Jose' tentò di sedurmi", "Hitler è pazzo e inaffidabile"). Tutte notizie non reperibili ai tempi della pur ottima prima biografia di Claretta, scritta da Roberto Gervaso negli anni '80.
Altra coincidenza: proprio dieci giorni fa e' scomparso Pasquale Squitieri, regista del film Claretta (1984), interpretata dalla sua Claudia Cardinale. Una delle prime volte in cui non si demonizzava il capo del fascismo. Per questo Squitieri, fino ad allora di sinistra, fu criticato dai comunisti. È da lì maturò la sua svolta a destra, fino all'elezione come senatore di An.
Una delle scene madri del film Claretta la vede fronteggiare quella che lei pensava fosse l'ultima amante di Mussolini, Elena Curti, una bella bionda 23enne che era accanto a lui nell'autoblindo in fuga da Como. Claretta le urla contro, finché i gerarchi le spiegano che si tratta della sua figlia segreta.
Oggi la 95enne Elena Curti, lucida e combattiva, vive ad Acquapendente (Viterbo). È l'ultima sopravvissuta di quella generazione. Che, per quante disgrazie e distruzioni abbia causato all'Italia, incarna un tipo di vita avventurosa che affascina lettori, appassionati di storia e semplici curiosi. Non capita tutti i giorni che una donna giovane, bella e intelligente come Claretta si innamori a tal punto di un dittatore da volersi far uccidere assieme a lui a 33 anni. Per questo le traversie della sua tomba fanno ancora notizia.
Mauro Suttora
ANCHE LA TOMBA DI CLARETTA È RIMASTA ORFANA
L'unico erede dei Petacci ha scritto dagli Usa alla direzione del Verano per pagare la manutenzione, senza però ricevere risposta. Intanto fa scalpore la prima biografia in inglese dell'amante del duce
di Mauro Suttora
Libero, 2 marzo 2017
Più che minacciare di demolire la tomba di Claretta Petacci al cimitero Verano di Roma, bisognerebbe demolire la burocrazia che impedisce di ripararla.
Da due anni, periodicamente, qualcuno lancia l'allarme sullo stato d'abbandono in cui versa la cappella che custodisce i resti dell'amante di Benito Mussolini. Si è anche formato un comitato di nostalgici disposti a raccogliere i fondi necessari ai lavori.
L'unico erede della famiglia Petacci, Ferdinando, ha 74 anni e vive vicino a Phoenix, Arizona. È figlio di Marcello, fratello di Claretta, ed era con i genitori e il fratellino in un'auto del convoglio di gerarchi fascisti che fuggivano lungo il lago di Como alla fine dell'aprile 1945. Ha visto suo padre trucidato dai partigiani mentre cercava di fuggire a nuoto nel lago a Dongo. Sua madre, la bellissima Zita Ritossa, rimase prigioniera dei comunisti per tre giorni assieme ai figli. Non ha mai voluto parlare di quel che le fecero. Ma il fratello maggiore di Ferdinando non si riprese più dallo choc. Zia Claretta aveva lasciato l'Alfa Romeo per riunirsi al suo Benito, e farsi ammazzare assieme a lui.
"Ho scritto un anno fa alla direzione del cimitero Verano fornendo il mio recapito, e dichiarandomi disponibile ad affrontare tutti i lavori necessari per la manutenzione della tomba", ci ha risposto esasperato Ferdinando Petacci dall'Arizona dopo che gli abbiamo riferito dell'ennesimo allarme sullo stato della cappella. Ha allegato fotocopie della sua lettera e della ricevuta di ritorno.
Il personaggio di Claretta continua ad appassionare gli storici. Proprio un mese fa e' uscita la sua prima biografia in inglese, scritta dal professore australiano Richard Bosworth per la Yale University Press. Hanno fatto scalpore su tutti i giornali britannici e americani i dettagli sugli aspetti animaleschi del rapporto che legava Mussolini alla esile ventenne, figlia del medico del Papa.
"A letto con le donne sono una belva", si vantava il duce con lei, magnificando le proprie doti sessuali. E lei, ossessionata dall'amore cieco per il suo Benito, ogni sera scriveva sul suo diario tutto quello che lui le diceva.
Per questo i veri diari di Mussolini non sono quelli apocrifi acquistati da Marcello Dell'Utri e avventatamente pubblicati da Bompiani nel 2010, ma quelli di Claretta Petacci dati alle stampe da Rizzoli un anno prima. Sicuramente autentici: l'Archivio di stato li sequestrò nel dopoguerra, ne studiò e garantì la veridicità, e ne permise la pubblicazione solo a 70 anni di distanza dalla loro compilazione, per proteggere la privacy dei tanti personaggi citati (fra cui insospettabili amanti dell'inesauribile Benito che la gelosissima Claretta via via scopriva, con tanto di figli segreti).
Su questi diari della Petacci si basa la biografia di Bosworth, e sulle tante inedite e clamorose confidenze di Mussolini ("Sterminerò gli ebrei", "La principessa Maria Jose' tentò di sedurmi", "Hitler è pazzo e inaffidabile"). Tutte notizie non reperibili ai tempi della pur ottima prima biografia di Claretta, scritta da Roberto Gervaso negli anni '80.
Altra coincidenza: proprio dieci giorni fa e' scomparso Pasquale Squitieri, regista del film Claretta (1984), interpretata dalla sua Claudia Cardinale. Una delle prime volte in cui non si demonizzava il capo del fascismo. Per questo Squitieri, fino ad allora di sinistra, fu criticato dai comunisti. È da lì maturò la sua svolta a destra, fino all'elezione come senatore di An.
Una delle scene madri del film Claretta la vede fronteggiare quella che lei pensava fosse l'ultima amante di Mussolini, Elena Curti, una bella bionda 23enne che era accanto a lui nell'autoblindo in fuga da Como. Claretta le urla contro, finché i gerarchi le spiegano che si tratta della sua figlia segreta.
Oggi la 95enne Elena Curti, lucida e combattiva, vive ad Acquapendente (Viterbo). È l'ultima sopravvissuta di quella generazione. Che, per quante disgrazie e distruzioni abbia causato all'Italia, incarna un tipo di vita avventurosa che affascina lettori, appassionati di storia e semplici curiosi. Non capita tutti i giorni che una donna giovane, bella e intelligente come Claretta si innamori a tal punto di un dittatore da volersi far uccidere assieme a lui a 33 anni. Per questo le traversie della sua tomba fanno ancora notizia.
Mauro Suttora
Saturday, February 11, 2017
Il M5s odia la libertà e bastona i giornalisti
UN PARTITO INTOLLERANTE AL SUO INTERNO, CHE LANCIA MINACCE ALL'ESTERNO
di Mauro Suttora
Libero, 11 febbraio 2017
Il problema dei grillini non è né Virginia Raggi, né il caos Roma. È la struttura segreta-paranoica del loro movimento a produrre disastri a getto continuo.
Da due settimane, disperato, Grillo vieta ai suoi adepti di scrivere addirittura sulle proprie pagine facebook. «Taci, il nemico ti ascolta», è il suo mussoliniano avvertimento.
Eppure il mestiere dei parlamentari è parlare, lo dice la parola stessa. Nessun partito al mondo può impedirlo. Tranne il partito comunista cinese. Ma perfino
il Quotidiano del Popolo di Pechino ora boccia i grillini: «Sono i peggiori populisti d’Europa».
Come tutti i bocconiani, il figlio di Casaleggio non sa cos’è la democrazia. La cultura aziendale è il contrario della libertà. Nelle imprese comanda il Capo.
Le aziende hanno un’organizzazione dittatoriale: agli ordini dei manager si obbedisce. In nome dell’efficienza, il dibattito è tollerato solo se sollecitato dal vertice.
Così nel Movimento 5 stelle.
«Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi», teorizza Casaleggio baby. E Grillo tratta i suoi
discepoli con la delicatezza del satrapo mesopotamico.
I grillini sono un misto di caserma, oratorio, convento e asilo infantile. Fra loro i
dossieraggi da setta poliziesca sono sempre esistiti, ben prima di quelli di un anno fa contro Marcello De Vito, il candidato sindaco a Roma fatto fuori dalla Raggi.
Ai primi, nel 2013, contribuii anch'io. Un dirigente romano mi chiese informazioni su certi senatori monzesi che erano riusciti a farsi eleggere in blocco, eliminando
tutti i milanesi. In teoria le cordate erano proibite. Spiegai che una era stata eletta solo perché moglie di un consigliere comunale grillino: fino a pochi mesi prima non sapeva neanche chi fosse Grillo. Altri casi di parenti infestavano la Lombardia.
Tutto fu scrupolosamente registrato. Dopo qualche mese partirono le epurazioni contro chi osava dissentire. I 40 parlamentari espulsi in questi quattro anni sono stati ricattati con pettegolezzi riservati.
Ormai, dopo la pubblicazione delle loro chat Whatsapp, fra i grillini si è sparso il panico. Parlano solo di persona, non lasciano più tracce scritte. Alcuni
si illudono che le chat Telegram siano più sicure. Sembra di essere a Mosca o a Berlino negli anni 30.
L’unica libertà di parola la esercitano contro i giornalisti. Sventolano una pseudoclassifica sulla libertà di stampa che vedrebbe l’Italia al 77° posto al mondo.
Non capiscono che la graduatoria si riferisce alle minacce contro la libertà di stampa. E ci mancherebbe, in un paese per metà in mano a mafie e ’ndranghete, e in cui i politici possono mandare i cronisti in carcere o intimidirli con querele campate in aria.
Questo non impedisce che l’Italia abbia fior di giornali e tv. Ma loro auspicano il genocidio dei giornalisti: «Verrete sostituiti dalla rete», jellano.
Di Maio si appella all'Ordine dei giornalisti. Non ricorda che il M5s nel 2008 raccolse mezzo milione di firme per un referendum sulla sua abolizione (furono
buttate perché il figlio di Casaleggio sbagliò le date della raccolta). Ma per bastonare la libertà, tutto va bene.
Lo scoop della polizza di Romeo regalata alla Raggi è opera in tandem di Fatto ed Espresso. Però nell’elenco dei giornalisti da punire, quello
del quotidiano pro-Grillo magicamente sparisce.
Intolleranti al loro interno, i grillini moltiplicano le minacce all’esterno. «Siamo il cambiamento che proponiamo», era il loro slogan. Speriamo di no.
Mauro Suttora
Friday, February 10, 2017
Baby Casaleggio si fa pagare dai grillini
UN MILIONE DI EURO IN DIECI MESI
di Mauro Suttora
Libero, 10 febbraio 2017
Le uniche buone notizie per Beppe Grillo, ma
soprattutto per Davide Casaleggio, in questi giorni arrivano da Rousseau. La
piattaforma lanciata dieci mesi fa, dopo la morte di Casaleggio padre, si sta
rivelando una gallina dalle uova d’oro. «Abbiamo incassato un milione di euro»,
annuncia trionfale Luigi Di Maio.
Microdonazioni da 20-30 euro l’una di militanti
grillini, quelli che ancora credono nei vecchi slogan, prima del disastro Roma:
democrazia diretta, uno vale uno, l’onestà andrà di moda.
Al ritmo di centomila euro al mese, questo fiume
di soldi sta raddrizzando le finanze del Movimento 5 stelle. Casaleggio junior
(simpaticamente soprannominato Trotaleggio dalla metà degli attivisti che non
lo sopporta) ne aveva bisogno urgente, perché i conti della sua società privata
stanno invece andando a catafascio.
L’ultimo bilancio della srl Casaleggio &
Associati è in rosso per 123mila euro. Nel 2015 il fatturato è crollato della
metà rispetto al 2013: poco più di un milione, contro i due degli anni d’oro.
Quando l’utile, una volta distribuiti buoni stipendi ai soci, raggiungeva il
quarto di milione.
Ma ormai il giocattolo si è rotto. La società,
con sede nel lussuoso quadrilatero della moda, a metà strada fra Mediobanca e
via Montenapoleone (curioso, per un movimento che si dice rivoluzionario, stare
in una zona da 20mila euro al mq), non “tira” più con la pubblicità del blog di
Grillo. L’editrice Chiarelettere ha disdetto un ricco contratto. E anche i
siti-civetta come La Fucina e Tze Tze, accusati di propalare bufale, vanno
male. Risultato: -28% di utili.
A farne le spese Casaleggio junior, che controlla
il 60% del capitale, ma anche il socio Luca Eleuteri con il 20% e gli altri:
Maurizio Benzi, Marco Maiocchi e Mario Bucchich. Tutti chiamati a ripianare le
perdite. Tutti sconosciuti agli attivisti grillini, mai un discorso in
pubblica, mai una parola nelle riunioni. Alla faccia della trasparenza, il
secondo partito italiano è guidato da una società privata a scopo di lucro con
il culto della segretezza. Ne sa qualcosa Milena Gabanelli, la più votata alle
primarie M5s per le presidenziali, respinta maleducatamente quando chiese di
visitare la sede di via Morone.
In teoria, la nuova piattaforma Rousseau dovrebbe
sganciare i destini del Movimento da quelli della società personale Casaleggio.
Ma in pratica, il controllo del giovane Casaleggio sulla Fondazione che la
gestisce (e che incassa le donazioni) è ferreo.
Ha cooptato lui i due
fedelissimi che la gestiscono: Massimo Bugani, candidato trombato alle ultime
comunali di Bologna, e David Borrelli, l’eurodeputato che di nascosto voleva
portare i grillini fra i liberali europei, fino all’umiliante dietrofront verso
gli antieuropeisti di Farage.
«Il sistema Rousseau ci costa poche centinaia di
migliaia di euro l’anno, molti lavorano gratis», si vanta Di Maio. Dove va il
resto del milione raccolto? Mistero. Finora la fondazione non ha pubblicato
resoconti.
I parlamentari, intanto, hanno pubblicato i loro
ultimi rendiconti. Ormai l’entusiasmo iniziale si è inaridito. Pochi continuano
a “restituire” 4-5mila euro mensili sui 14mila di stipendi e rimborsi, come
quattro anni fa (un virtuoso rimane il senatore Maurizio Buccarella). Gli altri
sono calati a 1.700-2.000. Il minimo indispensabile per non essere espulsi.
Molti
dichiarano di spendere grosse cifre per non meglio precisati «eventi sul
territorio». Ma ora che Rousseau macina milioni, che bisogno c’è di fare
sacrifici? Se il convento è ricco, anche i frati possono godersi i loro 10mila
al mese.
Mauro Suttora
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