UN PARTITO INTOLLERANTE AL SUO INTERNO, CHE LANCIA MINACCE ALL'ESTERNO
di Mauro Suttora
Libero, 11 febbraio 2017
Il problema dei grillini non è né Virginia Raggi, né il caos Roma. È la struttura segreta-paranoica del loro movimento a produrre disastri a getto continuo.
Da due settimane, disperato, Grillo vieta ai suoi adepti di scrivere addirittura sulle proprie pagine facebook. «Taci, il nemico ti ascolta», è il suo mussoliniano avvertimento.
Eppure il mestiere dei parlamentari è parlare, lo dice la parola stessa. Nessun partito al mondo può impedirlo. Tranne il partito comunista cinese. Ma perfino
il Quotidiano del Popolo di Pechino ora boccia i grillini: «Sono i peggiori populisti d’Europa».
Come tutti i bocconiani, il figlio di Casaleggio non sa cos’è la democrazia. La cultura aziendale è il contrario della libertà. Nelle imprese comanda il Capo.
Le aziende hanno un’organizzazione dittatoriale: agli ordini dei manager si obbedisce. In nome dell’efficienza, il dibattito è tollerato solo se sollecitato dal vertice.
Così nel Movimento 5 stelle.
«Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi», teorizza Casaleggio baby. E Grillo tratta i suoi
discepoli con la delicatezza del satrapo mesopotamico.
I grillini sono un misto di caserma, oratorio, convento e asilo infantile. Fra loro i
dossieraggi da setta poliziesca sono sempre esistiti, ben prima di quelli di un anno fa contro Marcello De Vito, il candidato sindaco a Roma fatto fuori dalla Raggi.
Ai primi, nel 2013, contribuii anch'io. Un dirigente romano mi chiese informazioni su certi senatori monzesi che erano riusciti a farsi eleggere in blocco, eliminando
tutti i milanesi. In teoria le cordate erano proibite. Spiegai che una era stata eletta solo perché moglie di un consigliere comunale grillino: fino a pochi mesi prima non sapeva neanche chi fosse Grillo. Altri casi di parenti infestavano la Lombardia.
Tutto fu scrupolosamente registrato. Dopo qualche mese partirono le epurazioni contro chi osava dissentire. I 40 parlamentari espulsi in questi quattro anni sono stati ricattati con pettegolezzi riservati.
Ormai, dopo la pubblicazione delle loro chat Whatsapp, fra i grillini si è sparso il panico. Parlano solo di persona, non lasciano più tracce scritte. Alcuni
si illudono che le chat Telegram siano più sicure. Sembra di essere a Mosca o a Berlino negli anni 30.
L’unica libertà di parola la esercitano contro i giornalisti. Sventolano una pseudoclassifica sulla libertà di stampa che vedrebbe l’Italia al 77° posto al mondo.
Non capiscono che la graduatoria si riferisce alle minacce contro la libertà di stampa. E ci mancherebbe, in un paese per metà in mano a mafie e ’ndranghete, e in cui i politici possono mandare i cronisti in carcere o intimidirli con querele campate in aria.
Questo non impedisce che l’Italia abbia fior di giornali e tv. Ma loro auspicano il genocidio dei giornalisti: «Verrete sostituiti dalla rete», jellano.
Di Maio si appella all'Ordine dei giornalisti. Non ricorda che il M5s nel 2008 raccolse mezzo milione di firme per un referendum sulla sua abolizione (furono
buttate perché il figlio di Casaleggio sbagliò le date della raccolta). Ma per bastonare la libertà, tutto va bene.
Lo scoop della polizza di Romeo regalata alla Raggi è opera in tandem di Fatto ed Espresso. Però nell’elenco dei giornalisti da punire, quello
del quotidiano pro-Grillo magicamente sparisce.
Intolleranti al loro interno, i grillini moltiplicano le minacce all’esterno. «Siamo il cambiamento che proponiamo», era il loro slogan. Speriamo di no.
Mauro Suttora