Friday, May 06, 2016
Terremoto in Friuli 40 anni dopo
Wednesday, May 04, 2016
Roma ci costa mezzo miliardo all'anno
Wednesday, April 27, 2016
Brennero, falso allarme
dall'inviato Mauro Suttora
Wednesday, April 20, 2016
Casaleggio: parla Massimo Fini
di Mauro Suttora
«Il Movimento 5 stelle non si scioglierà come neve al sole. Ho parlato con Di Battista, Di Maio, il figlio di Casaleggio e gli altri. In realtà, dietro i proclami sono molto scossi dalla scomparsa di Gianroberto. Ma si attrezzano per farcela senza di lui».
Tuesday, April 12, 2016
Elogio del liberismo selvaggio
Link all'articolo sul Foglio
di Mauro Suttora
12 aprile 2016
Wednesday, April 06, 2016
Vita a Molenbeek, Bruxelles
dal nostro inviato Mauro Suttora
Oggi, 25 marzo 2016
La frontiera passa qui davanti, sul canale Charleroi, aperto a Bruxelles nel 1832, due anni dopo l'indipendenza del Belgio dall'Olanda. La frontiera fra le due civiltà, cristiana e islamica, che si fronteggiano oggi come 1.300 anni fa a Poitiers (la battaglia da cui tornava re Carlo Martello nella canzone di Fabrizio De André) e 300 anni fa a Vienna (assediata dagli Ottomani e salvata da Eugenio di Savoia).
Più modestamente, il canale ora separa il centro di Bruxelles dal quartiere di Molenbeek ("Molino sul torrente"): la capitale d'Europa contro la capitale dei terroristi islamici che hanno ammazzato 31 europei il 22 marzo e 130 a Parigi il 13 novembre.
Da qui venivano quasi tutti i giovani fanatici dei due commandos. Qui, in rue Quatre-Vents 79, e' stato arrestato Salah Abdeslam dopo quattro mesi di tranquilla latitanza fra un attentato e l'altro. Qui, dicono i pessimisti, si è creata una generazione di simpatizzanti dello stato islamico che copre gli estremisti. Gli ottimisti come Youssef Choukri, invece, sostengono: "E' buon segno che i terroristi di Bruxelles siano gli stessi di Parigi. Vuol dire che magari c'era un solo gruppo. E che ora sono stati eliminati".
Youssef, ventenne, aiuta il padre immigrato marocchino in un deposito di via Delaunoy (dove al numero 47 c'era un altro covo islamista). Ha partecipato alla manifestazione permanente per le vittime in piazza della Borsa. Saranno 400 metri dal canale Charleroi. Ma sono due mondi differenti. Di qua i profumi di kebab, pollo, cacao caldo e caffè dei 100mila immigrati di Molenbeek. Di la', il centro di Bruxelles con i suoi edifici alti e abbastanza tristi. La Grand Place, le birrerie, la statua del bimbo che piscia. Ancora oltre, i grandi parchi dei palazzi reali (dove vive anche la 78enne Regina madre Paola di Liegi) e il quartiere europeo: Parlamento, Commissione, Consiglio, serviti dalla stazione metro Maelbeek insanguinata dai kamikaze.
Il vulcano, però, sta qui a ovest. Così, arrivando in città, decido di venire nell'unico albergo di Molenbeek: il Meininger, solo 50 euro a notte. Una specie di ostello nuovo e pulito, con velleità perfino artistiche, ricavato nell'ex fabbrica della birra Bellevue. Sull'orlo del cratere islamico.
L'aereoporto internazionale di Zaventem e' ancora chiuso dopo la strage. Atterro a Charleroi, dove i soldati perquisiscono tutti i viaggiatori in partenza provocando code chilometriche di auto. Così molti di loro preferiscono lasciare i taxi e le vetture incolonnate dei parenti o amici accompagnatori, per camminare anche un chilometro trascinando i trolley verso l'aerostazione.
Benvenuti nella nuova normalità dei viaggi post-22 marzo: tempi raddoppiati con controlli ai raggi X alle porte d'ingresso, ben prima dei check-in violati dai terroristi.
Il bus navetta arriva alla Gare du Midi. Anche qui code snervanti per entrare nell'unico ingresso lasciato aperto: quello di fronte alla statua di Paul-Henri Spaak, padre belga sia dell'Europa unita, sia di Catherine.
Salgo sul tram 82 pieno di donne arabe con velo e passeggino per i figli: non ci si può sbagliare, e' la direzione giusta verso il ghetto maomettano. Dove fino al 1965 di arabi non ce n'erano: "I primi marocchini cominciarono ad arrivare per sostituire gli immigrati italiani, spagnoli e portoghesi emancipatisi dalle miniere", mi spiega Giorgio, trentenne italiano che gestisce l'unico museo di Molenbeek: il Mima (Millennium iconoclastic museum of art) che avrebbe dovuto inaugurarsi il 24 marzo, ma la cui vernice e' stata annullata per gli eventi assassini.
Scendo alla Gare de l'Est. Qui subisco un'ispezione addirittura corporale da parte di un giovane soldato che, con i commilitoni disposti a pettine, filtra i passeggeri. Tutti accettano di buon grado i controlli, anche giovani maghrebini con aspetto bellicoso ma docili come agnelli. Il militare palpando tocca la scatoletta delle mentine nella tasca della mia giacca: la tiro fuori e lui quasi si scusa, imbarazzato.
Un ufficiale poi mi confida: "Il difficile per noi è sveltire i controlli sugli insospettabili, ma senza sembrare razzisti verso religioni ed etnie sospette. Il cosiddetto 'racial profiling' infatti ci è severamente proibito".
Le strade di Molenbeek da quattro mesi sono setacciate da giornalisti di tutto il mondo. Per questo qualche abitante mostra insofferenza quando vede telecamere e macchine fotografiche. Il quartiere e' ben tenuto, pulito, con rastrelliere per bici in affitto, file davanti ai pochi bancomat e ragazzi pakistani che giocano a cricket di fronte all'unica chiesa cattolica, Saint Jean.
La sera di Giovedi santo partecipo alla messa della lavanda dei piedi. I tre preti concelebranti sono africani, e nera è la stragrande maggioranza dei pochi fedeli. Gli unici bianchi sono immigrati polacchi e qualche portoghese sopravvissuto all'ondata musulmana. I sacerdoti faticano a trovare dodici volontari che si facciano lavare i piedi.
Ma davvero qui, nel Belgistan di Bruxelles, abbondano i simpatizzanti dell'Isis? "Se c'è n'è ancora qualcuno non lo conosco", mi dice Youssef, "e comunque sarebbero gli ultimi a mostrare esteriormente segni di arruolamento. I suicidi del 22 marzo non li vedevamo in giro. Quelli molto religiosi ci sono, ma si sfogano facendo crescere barbe incolte senza baffi, e mostrando sulla fronte il bernoccolo tipico di chi la strofina ogni giorno per terra pregando".
I negozi sono quasi tutti arabi. Stanno aperti fino a tardi e danno al quartiere il tipico tocco di suk, con la mercanzia che deborda sui marciapiedi e perfino i materassi cellophanati in strada.
Nella vetrina di un centro sociale comunale, un foglio avvisa: "Corsi di francese e lingua araba (sul Corano) per sole donne". Apartheid nel cuore dell'Europa con soldi pubblici e laici, Corano imposto alle ragazze di seconda generazione che riscoprono le proprie radici.
Un altro cartello, blu come le bandiere dell'Unione europea. Annuncia un cofinanziamento comunitario di 5,7 milioni per restaurare un palazzo: "Noi paghiamo, e quelli ricambiano uccidendoci", commenta amaro un Sallusti belga.
Certo lo choc per la metropolitana fatta saltare proprio alla fermata dove scendevano segretarie e impiegati e' alto. Politici e superburocrati non rischiano: loro vanno al lavoro in auto (blu).
"È questa la grande sconfitta dei suicidi islamisti", conclude Youssef, "perché di noi arabi tutto si può dire, tranne che non siamo persone concrete. E che cosa hanno ottenuto questi pazzi? Solo morte, per se e per gli altri. Niente. Nichilisti. Perché ovviamente anche fra noi c'è chi protesta contro le guerre d'invasione occidentale in Iraq, contro Usa e Israele, o per le vittime civili dei droni. Ma farsi esplodere a casaccio in mezzo a innocenti non colpisce i colpevoli di quelle ingiustizie. Serve solo a creare fastidio contro noi arabi. Ad attirare qui giornalisti come lei, scusi tanto, neanche fossimo uno zoo. E a far chiamare 'vulcano' un quartiere abbastanza tranquillo, com'era Molenbek fino a novembre".
Mauro Suttora
Wednesday, March 23, 2016
intervista parallela a Sala, Parisi e Passera
Wednesday, March 16, 2016
Una grillina sindaca di Roma?
parla l'italiano che presentò Trump a sua moglie
New York (Stati Uniti), 9 marzo 2016
di Mauro Suttora
Il Kit Kat Club era uno dei locali più in voga a Manhattan alla fine degli anni 90. E lì Paolo Zampolli, l’italiano proprietario dell’agenzia ID models, organizzò la festa annuale durante la settimana della moda newyorkese 1998: «Una delle mie modelle più carine era Melania, una slovena che avevo scoperto a Milano pochi anni prima».
Di cognome faceva Knavs, ma se lo cambiò in Knauss per dare un’idea di Germania. Allora, nell’età d’oro delle supermodelle, essere tedesche era un plus: Claudia Schiffer, Heidi Klum. «Anche Heidi faceva parte della nostra scuderia», ricorda Zampolli, «e dopo la separazione da Marla Maples, sua seconda moglie, Donald Trump frequentava volentieri i nostri eventi».
Paolo e Melania sono coetanei, allora erano entrambi 28enni. «Io stavo con la sua migliore amica, la modella ungherese Edit Molnar. Melania era seria e determinata, non le piaceva granché la vita notturna. Venne al party quasi per dovere. Era professionale, aveva una gran voglia d’arrivare. Più che nelle sfilate, eccelleva nei servizi fotografici. E una sua immagine era finita addirittura su un palazzo intero di Times Square».
«Quella donna è incredibile, la voglio»
Al Kit Kat Club quella sera Zampolli, Edit e Melania erano seduti sui sui divanetti della zona vip. Trump, allora 52enne, si presentò con una donna. Ma quando vide la modella slovena dagli occhi grigioblu, fu attrazione immediata: «È incredibile, la voglio», confidò a Edit.
«Ma Melania non cadde ai suoi piedi», continua Zampolli, «e quella sera non diede a Donald il suo numero di telefono. Non lo avrebbe mai fatto, con un uomo accompagnato a un’altra donna. Si limitò a prendere il suo».
Insomma, l’esatto opposto del già famosissimo miliardario. Noto anche per le sue fiammeggianti avventure di coppia: prima con la ceca Ivana, anche lei modella dell’Est, poi con Marla.
«Qualche settimana dopo Trump venne a una cena a casa mia, nella zona di Gramercy park. Ed ebbi una sorpresa: si presentò con Melania. Lei gli aveva telefonato, e la relazione era cominciata».
E via, nella tumultuosa vita notturna di New York: «Una sera prendemmo tutti una limousine nera di quelle lunghe per andare a cena al ristorante Cipriani con il mago David Copperfield».
Elicotteri, aerei: «A volte il venerdì sera Melania e Donald mi davano un passaggio sull’aereo privato di Trump per andare in Florida nei week-end. Allora aveva un Boeing 727, ora ha il 757. Era uno dei pochissimi con il permesso di decollare dall’aeroporto La Guardia, invece di dovere andare fino a quello di Teterboro nel New Jersey, riservato ai voli privati. Loro atterravano a Palm Beach e raggiungevano il palazzo di Mar-A-Lago, io proseguivo per Miami».
La coppia Melania-Donald resiste da 18 anni. Memorabile è rimasto il servizio fotografico del 2000 sul mensile GQ in cui lei appare nuda, sdraiata sul letto dell’aereo privato, indossando soltanto una collana. Titolo: Sesso a 10mila metri di altezza, Melania Knauss accumula le sue miglia.
Nel 2008, chiusa l’agenzia di modelle, Zampolli lavora con Trump nell’immobiliare. Ora si è messo in proprio ed è ambasciatore all’Onu dell’isola Dominica. Sposato, ha un figlio di sei anni.
Anche Melania e Donald si sono sposati nel 2005, e il loro figlio Barron ha dieci anni. Al matrimonio parteciparono Hillary e Bill Clinton. Erano amici. Ora di meno: a novembre la sfida presidenziale potrebbe essere fra Donald e Hillary. E se quest’ultima perderà, Melania diventerà First Lady come lei.
Mauro Suttora
Tuesday, March 01, 2016
parla Nicoletta Spagnoli
Thursday, February 18, 2016
Cosa succede nel Movimento di Grillo e Casaleggio?
di Mauro Suttora
Formiche.net, 18 febbraio 2016
Da Serenetta a Serenella. La parabola del Grillo politico è riassumibile fra Serenetta Monti, candidata sindaca a Roma nel 2008, e Serenella Fucksia, espulsa dal Movimento 5 stelle (M5s) all’alba del 2016.
Due donne «con le palle», per usare il bellicoso linguaggio grillino. La prima scappata un anno dopo il debutto romano (3%, quattro consiglieri municipali eletti, tre che cambiano partito dopo pochi mesi, un disastro che nessuno ama ricordare), la seconda fatta fuori con l’agghiacciante ordalia che finora ha epurato online un quarto dei 162 parlamentari eletti nel 2013. Neanche Stalin purgava i compagni a questo ritmo. In mezzo, l’incredibile storia di un partito che raggiunge il 25% al suo primo voto nazionale. Caso unico al mondo: Berlusconi nel 1994 si fermò al 21, ed ereditava gli apparati Dc e Psi.
Ma, soprattutto, un fenomeno sociologico mai capitato: 162 persone digiune di politica catapultate in Parlamento da un giorno all’altro, a formare il secondo partito nazionale. È anche la prima vera forza politica popolare nella storia d’Italia. Il Pci, infatti, nonostante volesse rappresentare la classe operaia, aveva dirigenti borghesi. I grillini invece, come reddito e cultura, sono l’odierno lumpen-proletariato dei disoccupati e precari. Nozioni da Facebook, ignoranza pari all’arroganza, prevalenza del perito informatico (il diploma del loro capo, Gianroberto Casaleggio). Non hanno letto Fruttero & Lucentini, quindi a dirglielo non si offendono.
Faccio vita da grillino da nove anni. Mi sono iscritto nel settembre 2007 dopo il Vaffa-day, un giorno prima di Paola Taverna. Partecipavo ai primi meetup di Roma: riunioni al quartiere africano in una sala affittata dal dentista Dario Tamburrano (oggi eurodeputato), poi al cinodromo, o sull’Ostiense. Serenetta sconfisse Roberta Lombardi alle primarie.
Il 25 aprile 2008 raccogliemmo un’enorme quantità di firme davanti alla basilica di San Paolo per i referendum contro l’Ordine dei giornalisti. Poi buttate, perché il figlio di Casaleggio sbagliò le date della raccolta. C’era grande entusiasmo, sull’onda del libro La casta di Stella e Rizzo. Ma alle regionali del 2010, disastro: solo quattro eletti in Piemonte ed Emilia. Tutti poi espulsi tranne uno. Trasferito a Milano, frequento anche qui il meetup. Lo stesso clima da caserma-convento-asilo-circo. «Suttora, non seminare zizzagna», mi intimano sul gruppo Facebook se esprimo una critica. Nel 2013 Paola Bernetti, la più votata alle primarie per il Senato, viene fatta fuori con un trucco. I monzesi con una cordata eleggono tre senatori, Milano neanche uno.
Stessi grovigli due mesi fa, alle primarie per il sindaco: solo 300 votanti, 74 voti alla vincitrice. I risultati vengono secretati, gli altri sette candidati non sanno le loro preferenze. Dal movimento della trasparenza al partito dell’omertà. Addio streaming, forum pubblici, dibattiti online. Dopo la valanga delle espulsioni regna la paura, si comunica solo su chat Whatsapp segrete. Sette attivisti milanesi osano pubblicare un giornalino a loro spese: cacciati con lettera dell’avvocato di Casaleggio.
Il clima di paranoia avvolge anche i parlamentari. Appena uno azzarda qualche pensiero non conformista, è bollato come dissidente. Intanto, il fervore altruista scema. I parlamentari, che prendono 15mila euro mensili, due anni fa ne restituivano in media 5-6mila. Oggi la cifra si è dimezzata: tremila. Se va bene. Molti si limitano a 1.400-1.800: Morra, Lombardi, Giarrusso, Nuti, Fico, Sibilia. I rendiconti sono una farsa: solo autodichiarazioni, niente ricevute, nessun controllo.
La cuccagna è all’Europarlamento. Ben 12 eurodeputati M5s su 17 neanche rendicontano. Possono incassare fino a 40mila euro mensili (21mila solo per i portaborse), ma tutti tranne una restituiscono appena mille euro al mese. Il siciliano Ignazio Corrao (ex portaborse in regione Sicilia) aveva assunto undici portaborse. L’ho pizzicato con un articolo sul settimanale Oggi, lui mi ha insultato, ora li ha ridotti a sette. Come un’eurodeputata abruzzese: due li tiene a Bruxelles, gli altri cinque stanno nel suo collegio elettorale.
Che differenza c’è con i vecchi politici del passato? Nessuna, tranne che i grillini si vantano di non avere funzionari di partito. Invece ne hanno centinaia, stipendiati dai 1.600 eletti.
Insomma, il movimento ora è Collocamento 5 stelle, scherzano i tanti ex. I nomi dei portaborse parlamentari sono convenientemente segreti, per non scoprire altri parenti e conviventi dopo quelli già scoperti (Lezzi, Moronese). Casaleggio e suo figlio comandano a bacchetta. I parlamentari sono sorvegliati da un simpatico reduce del Grande Fratello, Rocco Casalino: decide lui chi mandare in tv. Fra gli altri addetti stampa spicca un ex camionista di Bologna. Dove sono state abolite le primarie: alle comunali di giugno lista bloccata, tutti nominati dall’alto come nel listino berlusconiano di Nicole Minetti. A Trieste un eurodeputato ha candidato sindaca la moglie: metà dei grillini locali in rivolta.
La sceneggiata napoletana di Quarto aumenterà la disciplina interna. Per paura di altri “infiltrati” della camorra, i candidati saranno nominati d’autorità. Così, quello che era nato come un movimento liberatorio si è trasformato nel suo esatto contrario. Hare Krishna, Scientology? Ma no, meglio Testimoni di Genova. Lì Grillo ha una delle sue tre ville. E il suo commercialista personale (nonché segretario del M5s) è stato nominato in una società della regione Liguria. Quelle che i grillini volevano abolire.