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Saturday, July 16, 2022

CAOS M5S/ “Grillini divisi tra appoggio a Draghi e governo Casellati o Franco”

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 16 luglio 2022 

“La crisi di governo? Gli M5s sono capaci di tutto, anche di una inversione a U. E Conte ha dimostrato di saper tenere testa a Draghi” 

La crisi di governo si complica e il comunicato congiunto di FI e Lega che chiudono ad una continuazione dell’esperienza di governo con M5s, accusato di irresponsabilità, rende obiettivamente più difficile una soluzione. “Draghi non è disponibile a formare un nuovo governo ed è determinato a dimettersi” ha riferito in esclusiva Bloomberg nella notte.

I Cinquestelle, che hanno rinviato a oggi il loro consiglio nazionale, sono nel frattempo alle prese con il dilemma se ritirare la delegazione al governo o rimanere nell’esecutivo. Due opzioni che dividono intransigenti e governativi.

“Conte vuole solo mostrare ai suoi elettori che non piega la testa di fronte a Draghi”, spiega Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost. “In questo senso ha già ottenuto il suo scopo, ha drammatizzato al massimo”. Proprio per questo la crisi potrebbe ancora risolversi con la permanenza di Draghi al governo, secondo Suttora, “magari con un’ulteriore fuoriuscita di loro parlamentari verso Di Maio, o verso il gruppo misto su posizioni estremiste dibattistiane”. 

Questa crisi rientra o no?

Nessuno può saperlo. Secondo me non lo sanno neanche i tre protagonisti principali: Draghi, Mattarella, Conte.

Da che cosa dipende di più la possibilità che un Draghi bis si realizzi?

Prima del bis, perché escludere che Draghi vada avanti con questo governo? I grillini ci hanno abituato a tante inversioni a U. Una più, una meno. Magari con un’ulteriore fuoriuscita di loro parlamentari verso Di Maio, o verso il gruppo misto su posizioni estremiste dibattistiane.

Ma qual era il piano di Conte? Non certo quello di andare al voto; piuttosto una scommessa sulla prosecuzione del governo senza M5s, in modo da affiancarsi alla Meloni e risalire nei sondaggi stando all’opposizione? 

Conte vuole solo mostrare ai suoi elettori che non piega la testa di fronte a Draghi. In questo senso ha già ottenuto il suo scopo, ha drammatizzato al massimo. Ora potrebbe anche smettere di fare ammuina, e chetarsi per “spirito di responsabilità”.

Adesso c’è il dilemma dei ministri. Che cosa faranno Patuanelli, d’Incà e Dadone?

Ci sono anche i sottosegretari e i presidenti di commissione. Nessuno vuole rinunciare alla poltrona. Per questo qualsiasi grillino ricopra una qualsiasi carica è governista, e vuole continuare col governo Draghi.

Si parla di un voto online, di far decidere agli iscritti se votare la fiducia a Draghi oppure no. È la strada giusta? Non mi pare ci sia il tempo, prima di mercoledì mattina. I Casaleggio lo avrebbero già fatto.

Attualmente chi è per la linea dura?

La vicepresidente del Senato Paola Taverna è scatenata, anche perché non le costa nulla: la sua è una carica istituzionale, non la perderebbe. Come Fico. Anche Toninelli vuole lasciare il governo Draghi, dopo aver perso la poltrona di ministro. E Virginia Raggi, che però non conta nulla.

Se M5s ritira i ministri, la porta per un Draghi bis sarà praticamente chiusa. A quel punto?

Un governo istituzionale guidato dalla presidente del Senato Casellati o di emergenza tecnica con premier Daniele Franco, ministro dell’Economia. Ma si dovrebbe votare a ottobre. E Mattarella invece la vuole tirare per le lunghe. 

M5s ha difeso alcuni suoi provvedimenti. La loro scelta non è anche una risposta all’offensiva e al logoramento governativo, vedi partito di Di Maio?

Certo. Se sono contro i termovalorizzatori e le armi all’Ucraina, e invece difendono le truffe del superbonus e del reddito di cittadinanza, sono coerenti e fanno bene a rompere.

Prevedi altre uscite in direzione centro?

È uscito un sondaggio con il M5s di Conte al 12% e Di Maio al 2%. Per questo i grillini si sono ringalluzziti: extra ecclesia nulla salus. Chi lascia il Movimento è morto, com’è già capitato a Pizzarotti, Paragone e a tutti gli espulsi.

Federico Ferraù

Saturday, December 11, 2021

Nicola Chiaromonte, integerrimo politico e quindi necessariamente ‘non politico’

L’intellettuale lucano morto nel 1972 a 67 anni fu iscritto una sola volta a un partito: i neonati radicali, nel 1956 

di Mauro Suttora

HuffPost, 11 dicembre 2021

Google definisce Nicola Chiaromonte “politico”. Niente di più falso. L’intellettuale lucano morto nel 1972 a 67 anni fu iscritto una sola volta a un partito: i neonati radicali, nel 1956. I quali già due anni dopo sparirono dalla scena nazionale, dopo il disastroso debutto elettorale: 1,4% assieme ai repubblicani di La Malfa (il partito radicale si reincarnò poi sotto la guida di Pannella).

Fu questo, nel lungo dopoguerra italiano, il destino di tutti i partiti laici: stritolati dalle due chiese contrapposte, democristiana e comunista. Sorte toccata anche a Chiaromonte e a tanti uomini di pensiero indipendente come lui. E infatti anche la sua memoria è stata cancellata: se si dice Chiaromonte, chi sa un po’ di politica pensa soltanto al suo omonimo Gerardo, senatore Pci scomparso nel 1993 (nessuna parentela).

Invece Nicola Chiaromonte è stato un importante uomo di pensiero, come dimostrano le 1800 pagine del Meridiano che gli ha dedicato Mondadori. Fu anche un integerrimo politico, in realtà, e quindi necessariamente ‘non politico’. Un po’ come il ‘non tessuto’ con cui proteggiamo le nostre piante d’inverno, o come l’unica intuizione degna di nota di Casaleggio, fondatore dei grillini: il quale li definì ‘non partito’ dotandoli di un ‘non statuto’, essendo gli statuti dei partiti perlopiù truffaldini.

Durante il fascismo Chiaromonte stette nell’unico posto dove un deciso antifascista poteva stare: all’estero. Ma anche quando tornò in Italia dall’esilio in Francia e Usa rimase straniero in patria. E infatti fu amico stretto di Camus: il loro carteggio è stato anch’esso appena pubblicato da Neri Pozza.

Diversamente dallo Straniero per eccellenza degli anni ’50, tuttavia, Chiaromonte scampò all’epiteto di ‘rinnegato’: non fu mai comunista. Socialista libertario, negli anni ’30 aderì a Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli, ma la lasciò quando si trasformò da movimento in partito e si avvicinò troppo ai comunisti (che stavano massacrando gli anarchici in Spagna).

Fu tuttavia marchiato dall’accusa di ‘venduto’. Purtroppo vera, perché la sua rivista Tempo presente, fondata nel 1956 con Ignazio Silone (lui sì traditore del Pci), risultò finanziata dagli Usa. Più precisamente dal Congress for cultural freedom, organizzazione che nel 1967 un’inchiesta giornalistica rivelò essere aiutata dalla Cia.

Peccato che oggi ci appare risibile, per due motivi: primo, perché quasi tutti erano ‘pagati’, i comunisti da Mosca, Dc e Psdi da Washington; secondo, perché in tempo di guerra, seppur fredda, è lecito essere aiutati dagli alleati, come lo furono i partigiani contro i nazisti.

Ma Chiaromonte, ignaro dei soldi occulti, soffrì molto quando vennero alla luce e s’imbufalì con l’amministratore del giornale che lo aveva tenuto all’oscuro. Lui personalmente non aveva bisogno di quell’aiuto, poiché sbarcava il lunario come critico teatrale del Mondo e dell’Espresso. E lo ferì essere associato alla Cia, proprio lui che negli anni a New York aveva combattuto con il suo maestro anarchico Caffi non solo il nazifascismo, ma anche l’establishment capitalista Usa. E che su Tempo Presente non aveva lesinato critiche al maccartismo ed elogi a sacerdoti come Balducci e Milani, fautori dell’obiezione di coscienza al servizio militare.

Insomma, in questi tempi di polemiche strampalate contro un supposto mainstream vaccinista, è interessante leggere le pagine scritte da Chiaromonte, che mainstream non lo fu mai perché rifiutò l’arruolamento non in una corrente principale, ma in due contemporaneamente: la maggioranza democristiana e l’opposizione comunista. Lui e pochissimi altri stettero all’opposizione dell’opposizione. E pagarono con la sparizione, in vita e in morte.

Mauro Suttora 

Monday, January 18, 2021

Razzi, Scilipoti, Casaleggio, Spadafora: trasformisti del terzo millennio

di Mauro Suttora


HuffPost, 18 gennaio 2021

Cos’hanno in comune coi grillini Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, eroi eponimi del trasformismo?

Molto, scopriamo. Dopo un decennio usato dai 5 stelle per far carriera sventolando i loro due nomi, simboli del male, adesso i voltagabbana, trasformati in responsabili costruttori, risultano preziosissimi per conservare il proprio stipendio.

Ma sono sfuggite ai più due altre curiose coincidenze. Da chi furono infatti eletti deputati, Razzi nel 2006 e Scilipoti nel 2008? Da Antonio Di Pietro, altro ex moralizzatore. E chi organizzava la campagna elettorale online del suo partito, Italia dei Valori? La società Casaleggio&associati, che per portare quei due gentiluomini in Parlamento incassò un milione e mezzo di euro nel 2005-10. Provenienti dal finanziamento pubblico con cui Di Pietro pagava all’azienda milanese la gestione del suo sito (e pazienza se contemporaneamente, nel 2008, la Casaleggio organizzava con il nascente Grillo politico un referendum contro quello stesso finanziamento pubblico).

Ecco quindi che, grazie alla casa madre grillina, la contiguità e continuità fra i saltatori della quaglia del terzo millennio è assicurata.

Certo, Razzi&Scilipoti furono dilettanti al cospetto di Giuseppe Conte. Il nostro ineguagliabile premier infatti detiene il guinness mondiale del trasformismo. Non si rinvengono nella storia dell’intero pianeta precedenti di un premier passato direttamente dalla guida di un governo a quella di un altro di segno opposto. 

Andreotti nel 1972 presiedette una coalizione di centrodestra e nel 1976-79 sposò i comunisti, ma dopo un intervallo di quattro anni. E, anzi, fu scelto proprio grazie ai suoi precedenti non di sinistra per rassicurare gli elettori dc di destra durante l’abbraccio col Pci.

Il liberale tedesco Genscher nel 1982 terminò l’era del socialista Schmidt e inaugurò quella del dc Kohl rimanendo ministro degli Esteri. Ma non era premier.

Si parva licet, il sindaco psi di Milano Pillitteri nel 1987 passò da un’alleanza con la Dc al Pci. Però erano tradimenti locali.

Seconda connection con lo spensierato mondo delle giravolte: il ministro grillino dello Sport Vincenzo Spadafora da Afragola. Lui con il neoalleato Mastella sente odore di casa. Se non gli riesce l’impresa di far espellere l’Italia dalle Olimpiadi (perché ha tolto al Coni l’autonomia dal governo), recupererà almeno le comuni origini campane. La sua variopinta carriera inizia infatti da virgulto 24enne come segretario particolare del presidente regionale campano Andrea Losco (Udeur di Mastella). Poi plana ovunque, destra, sinistra, centro: eccolo alla corte di Pecoraro Scanio, Rutelli, Fini, Schifani, Carfagna, Montezemolo, finché atterra dal compaesano Di Maio. 

Spadafora è un prodigio di ubiquità. Infatti il titolo della sua autobiografia, inopinatamente pubblicata da Mondadori nel 2014, è “Manifesto di un Paese che non si tira indietro”.

Ora gliele tira addosso il grillino Di Battista, che poche settimane fa alludendo a Spadafora gemeva: “Rischiamo di finire come l’Udeur”. E non erano ancora arrivati i neoRazzi&Scilipoti a salvarli.

Mauro Suttora

Thursday, February 18, 2016

Cosa succede nel Movimento di Grillo e Casaleggio?

di Mauro Suttora

Formiche.net, 18 febbraio 2016

Da Serenetta a Serenella. La parabola del Grillo politico è riassumibile fra Serenetta Monti, candidata sindaca a Roma nel 2008, e Serenella Fucksia, espulsa dal Movimento 5 stelle (M5s) all’alba del 2016.

Due donne «con le palle», per usare il bellicoso linguaggio grillino. La prima scappata un anno dopo il debutto romano (3%, quattro consiglieri municipali eletti, tre che cambiano partito dopo pochi mesi, un disastro che nessuno ama ricordare), la seconda fatta fuori con l’agghiacciante ordalia che finora ha epurato online un quarto dei 162 parlamentari eletti nel 2013. Neanche Stalin purgava i compagni a questo ritmo. In mezzo, l’incredibile storia di un partito che raggiunge il 25% al suo primo voto nazionale. Caso unico al mondo: Berlusconi nel 1994 si fermò al 21, ed ereditava gli apparati Dc e Psi.

Ma, soprattutto, un fenomeno sociologico mai capitato: 162 persone digiune di politica catapultate in Parlamento da un giorno all’altro, a formare il secondo partito nazionale. È anche la prima vera forza politica popolare nella storia d’Italia. Il Pci, infatti, nonostante volesse rappresentare la classe operaia, aveva dirigenti borghesi. I grillini invece, come reddito e cultura, sono l’odierno lumpen-proletariato dei disoccupati e precari. Nozioni da Facebook, ignoranza pari all’arroganza, prevalenza del perito informatico (il diploma del loro capo, Gianroberto Casaleggio). Non hanno letto Fruttero & Lucentini, quindi a dirglielo non si offendono.

Faccio vita da grillino da nove anni. Mi sono iscritto nel settembre 2007 dopo il Vaffa-day, un giorno prima di Paola Taverna. Partecipavo ai primi meetup di Roma: riunioni al quartiere africano in una sala affittata dal dentista Dario Tamburrano (oggi eurodeputato), poi al cinodromo, o sull’Ostiense. Serenetta sconfisse Roberta Lombardi alle primarie.

Il 25 aprile 2008 raccogliemmo un’enorme quantità di firme davanti alla basilica di San Paolo per i referendum contro l’Ordine dei giornalisti. Poi buttate, perché il figlio di Casaleggio sbagliò le date della raccolta. C’era grande entusiasmo, sull’onda del libro La casta di Stella e Rizzo. Ma alle regionali del 2010, disastro: solo quattro eletti in Piemonte ed Emilia. Tutti poi espulsi tranne uno. Trasferito a Milano, frequento anche qui il meetup. Lo stesso clima da caserma-convento-asilo-circo. «Suttora, non seminare zizzagna», mi intimano sul gruppo Facebook se esprimo una critica. Nel 2013 Paola Bernetti, la più votata alle primarie per il Senato, viene fatta fuori con un trucco. I monzesi con una cordata eleggono tre senatori, Milano neanche uno.

Stessi grovigli due mesi fa, alle primarie per il sindaco: solo 300 votanti, 74 voti alla vincitrice. I risultati vengono secretati, gli altri sette candidati non sanno le loro preferenze. Dal movimento della trasparenza al partito dell’omertà. Addio streaming, forum pubblici, dibattiti online. Dopo la valanga delle espulsioni regna la paura, si comunica solo su chat Whatsapp segrete. Sette attivisti milanesi osano pubblicare un giornalino a loro spese: cacciati con lettera dell’avvocato di Casaleggio.

Il clima di paranoia avvolge anche i parlamentari. Appena uno azzarda qualche pensiero non conformista, è bollato come dissidente. Intanto, il fervore altruista scema. I parlamentari, che prendono 15mila euro mensili, due anni fa ne restituivano in media 5-6mila. Oggi la cifra si è dimezzata: tremila. Se va bene. Molti si limitano a 1.400-1.800: Morra, Lombardi, Giarrusso, Nuti, Fico, Sibilia. I rendiconti sono una farsa: solo autodichiarazioni, niente ricevute, nessun controllo.

La cuccagna è all’Europarlamento. Ben 12 eurodeputati M5s su 17 neanche rendicontano. Possono incassare fino a 40mila euro mensili (21mila solo per i portaborse), ma tutti tranne una restituiscono appena mille euro al mese. Il siciliano Ignazio Corrao (ex portaborse in regione Sicilia) aveva assunto undici portaborse. L’ho pizzicato con un articolo sul settimanale Oggi, lui mi ha insultato, ora li ha ridotti a sette. Come un’eurodeputata abruzzese: due li tiene a Bruxelles, gli altri cinque stanno nel suo collegio elettorale.

Che differenza c’è con i vecchi politici del passato? Nessuna, tranne che i grillini si vantano di non avere funzionari di partito. Invece ne hanno centinaia, stipendiati dai 1.600 eletti.

Insomma, il movimento ora è Collocamento 5 stelle, scherzano i tanti ex. I nomi dei portaborse parlamentari sono convenientemente segreti, per non scoprire altri parenti e conviventi dopo quelli già scoperti (Lezzi, Moronese). Casaleggio e suo figlio comandano a bacchetta. I parlamentari sono sorvegliati da un simpatico reduce del Grande Fratello, Rocco Casalino: decide lui chi mandare in tv. Fra gli altri addetti stampa spicca un ex camionista di Bologna. Dove sono state abolite le primarie: alle comunali di giugno lista bloccata, tutti nominati dall’alto come nel listino berlusconiano di Nicole Minetti. A Trieste un eurodeputato ha candidato sindaca la moglie: metà dei grillini locali in rivolta.

La sceneggiata napoletana di Quarto aumenterà la disciplina interna. Per paura di altri “infiltrati” della camorra, i candidati saranno nominati d’autorità. Così, quello che era nato come un movimento liberatorio si è trasformato nel suo esatto contrario. Hare Krishna, Scientology? Ma no, meglio Testimoni di Genova. Lì Grillo ha una delle sue tre ville. E il suo commercialista personale (nonché segretario del M5s) è stato nominato in una società della regione Liguria. Quelle che i grillini volevano abolire.