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Wednesday, June 03, 2020

La Cina non la chiamiamo ancora dittatura



31 ANNI DOPO LA STRAGE DI TIENANMEN

di Mauro Suttora

Huffington Post, 3 giugno 2020


Eravamo rimasti in tre a Pechino, la sera del 3 giugno 1989: Federico Bugno dell’Espresso, Guido Busetto del Sole 24 Ore ed io per il settimanale Europeo. Gli altri giornalisti italiani avevano lasciato la Cina. La protesta di piazza Tienanmen, iniziata il 15 aprile, si stava esaurendo. C’erano ancora centinaia di tende con migliaia di studenti che la occupavano, ma ormai fra loro prevaleva la stanchezza.

Da dieci giorni ero nella stanza 1149 del Bejing hotel, quello più vicino alla piazza. Cento metri più avanti, sul vialone Changan, la mattina del 4 giugno fu scattata la foto simbolo della strage: il ragazzo che da solo blocca un carro armato, lui armato soltanto con due sacchetti della spesa di plastica. Ma io dall’alba ero bloccato nella hall dell’albergo. Gli agenti in borghese non facevano più uscire i giornalisti e cameramen delle troupe di tutto il mondo.

Più “fortunati” i colleghi che avevano scelto hotel lontani dalla piazza ma più moderni, come lo Sheraton o lo Shangri La (trent’anni fa non erano molti gli alberghi accettabili a Pechino, con buoni telefoni e fax). Bugno e Busetto riuscirono ad arrivare vicino agli scontri. Il primo rimediò una brutta botta in testa, l’altro una pallottola di striscio.

L’esercito aveva attaccato nella notte fra il 3 e il 4 giugno. Due settimane prima il premier Li Peng aveva dichiarato la legge marziale ordinando lo sgombero della piazza, ma nessuno aveva eseguito i suoi ordini. Chiusi nella Città Proibita, i gerarchi lottavano fra loro. Alla fine prevalse la linea dura voluta dall’85enne Deng Xiao Ping. Il segretario riformatore del partito comunista Zhao Zyang, il Gorbaciov cinese che era sceso in piazza a dialogare con gli studenti, passò i restanti 15 anni della sua vita agli arresti domiciliari.

Nei miei dieci giorni di reportage avevo conosciuto i tre leader della protesta: la 23enne Chai Ling, che dopo la strage riuscì a fuggire; il 21enne uiguro Wuercaixi, riparato a Taiwan; e Wan Dan, 20 anni, che fece sette anni di carcere. Avevo passato ore a discutere con gli studenti che parlavano un po’ d’inglese (pochi). Chiedevano cose semplici: libertà, diritti civili, eleggere i propri governanti. Scoprii che il concetto di democrazia è universale, nonostante i dittatori cinesi spaccino ancor oggi scuse inesistenti: siamo diversi dagli occidentali, siamo troppi (e l’India?), la libertà provoca disordine, guardate Hong Kong e ora gli Usa.

La cosa peggiore della carneficina di Tienanmen non è il numero dei morti. È il mistero su quel numero. Si va dalle poche centinaia della versione governativa, alle migliaia denunciate dagli studenti. È calata una cappa di paura sulla strage, vietato parlarne da 31 anni. Almeno le madri di Plaza de Mayo qualcosa sui desaparecidos argentini hanno saputo. Invece molti giovani cinesi di oggi ignorano cosa successe in quella piazza.

Il regime totalitario continua a calpestare diritti elementari (parola, opinione, riunione, associazione, stampa, religione), non permette Facebook, Twitter, Whatsapp, Instagram, Google, Yahoo, Youtube (chi ci arriva con Vpn viene schedato e controllato), censura tutti i siti d’informazione mondiali (dalla Bbc al New York Times a molti italiani), manda la polizia a casa perfino di chi riceve mail contenenti parole come ‘libertà’ o ‘Tienanmen’, fa sparire i dissidenti, incarcera gli oppositori, interna un milione di uiguri nei lager, vuole nominare i vescovi cattolici e opprime i pacifici tibetani (vittime di pulizia etnica), vietando la nomina di un nuovo Dalai Lama quando morirà l’attuale.

Non parliamo del dumping economico, sociale, sindacale e sanitario che falsa la concorrenza e ha provocato il corona virus. Ma noi facciamo fatica addirittura a pronunciare la parola “dittatura” riguardo alla Cina.
Trentun anni dopo, io sto sempre dalla parte del ragazzo che bloccò per due minuti il tank.
Mauro Suttora

Wednesday, August 27, 2008

Pechino, bilancio politico

Nessuna medaglia per i diritti civili
L' organizzazione è stata impeccabile, ma la libertà resta un miraggio

dal nostro inviato Mauro Suttora

Pechino, 25 agosto 2008

Le Olimpiadi sono state un successo per la Cina. Bene organizzate, hanno lasciato soddisfatti tutti: atleti, spettatori, telespettatori, i 20 mila giornalisti piombati a Pechino da tutto il mondo. Ma la gentilezza ed efficienza dei 100 mila volontari non possono farci dimenticare che la Cina è ancora una dittatura. Qui i governanti incarcerano chiunque osi parlare, protestare, criticare i capi del partito unico, stampare un giornale. Prima delle Olimpiadi le autorità avevano annunciato che chi voleva manifestare avrebbe potuto farlo, chiedendo il permesso alla polizia, in tre parchi di Pechino. Risultato: due vecchiette di 77 e 79 anni sono state condannate a un anno di "rieducazione al lavoro" perché avevano richiesto il permesso. Volevano protestare contro lo sfratto subìto per le Olimpiadi.

La lista delle malefatte dei dittatori cinesi è lunga: dopo la strage degli studenti di piazza Tian An Men nel 1989, oggi ci sono quelle in Tibet. Anche lo Xinjiang musulmano chiede, se non indipendenza, almeno autonomia. E poi i seguaci della setta Falun Gong e i cattolici non "ufficiali" perseguitati, i lavoratori forzati nei "laogai" (lager, c' è perfino assonanza). Infine, l' appoggio della Cina a regimi sanguinari come la Corea del Nord di Kim Il Jong, la Birmania che da vent' anni tiene agli arresti la Nobel della pace Aung San Suu Kyi, il Sudan del tiranno Omar Bashir incriminato dalla Corte dell' Aia per il genocidio del Darfur.
Troverà la Cina il suo Gorbaciov ? Un capo coraggioso, che oltre alla libertà economica conceda anche la libertà politica ?

Mauro Suttora

Saturday, August 09, 2008

Inaugurazione olimpica in Cina

QUATTRO ORE DI NOIA A COLORI

di Mauro Suttora

Il Foglio, 9 agosto 2008

Pechino. Non ha piovuto. Ma è stato il caldo a rendere insopportabile l’inaugurazione interminabile (oltre quattro ore) delle Olimpiadi ieri sera. Gli ospiti anche illustri – per esempio l’89enne Edoardo Mangiarotti, unico plurimedagliato reduce dai Giochi di Berlino 1936 – sono stati costretti ad arrivare allo stadio con ore di anticipo.

La solita scusa: i controlli di sicurezza. Ma in realtà gli organizzatori hanno bloccato l’arrivo delle navette alle 18, due ore prima dell’inizio, perché volevano strade completamente libere per i supervip: gli 80 capi di stato e di governo che hanno affollato la tribuna d’onore solo a pochi minuti dall’inizio.

Un successo per il presidente cinese Hu Jintao, capelli laccati come sempre, che ha inaugurato i Giochi dopo il presidente del Cio (Comitato olimpico internazionale) Jacques Rogge. Accanto a lui, sotto a Bush e Sarkozy, l’intera gerontocrazia impettita del regime.

A tutto il pubblico sono stati distribuiti tamburini, torce, bastoni illuminati di ogni colore, un foulard rosso e bandierine cinesi da sventolare (ai giornalisti quelle bianche con i cinque cerchi olimpici). Il regista del grandioso spettacolo, il cinese Zhang Yimou subentrato a Steven Spielberg ritiratosi in febbraio per il Darfur, ha voluto coinvolgere tutti gli spettatori.
Ma nella notevole porzione di tribune riservata ai media la parte più apprezzata dello stadio sono state le toilettes, perché dotate di aria condizionata. Più che la prostata poté il sudore, e le permanenze in gabinetto con l’unico scopo di rinfrescarsi si sono moltiplicate.

Per gli amanti del genere, il megakitsch olimpico quest’anno è stato ancora più mega delle edizioni passate. E gli annunciatori ufficiali hanno puntualizzato il numero dei fuochi d’artificio, di danzatori dei balletti, di spettatori sperati nel mondo (“Quattro miliardi, mai prima d’ora”), e perfino del numero di abitanti della Cina (“Uno su cinque nel pianeta”). Elegantissime e coloratissime tutte le delegazioni degli atleti.

Da oggi per fortuna cominciano le gare, cosicché si spera che il patriottismo profuso a piene mani dalla nomenklatura si stemperi nella quotidianità dei risultati.

Commovente l’impegno delle decine di migliaia di ragazzi cinesi volontari, il quintuplo del necessario. Ce li ritroviamo appresso dappertutto, con le loro magliette azzurre: appena arrivati in aeroporto per vidimarci gli accrediti, nelle hall di tutti gli alberghi per scriverci in cinese gli indirizzi da fornire ai tassisti che non sanno mai dove andare, sui marciapiedi vicino a tutti i siti olimpici per incanalarci ai controlli, e perfino a Casa Italia, la struttura messa in piedi da ambasciata italiana a Pechino e Coni, dove alcune bellissime ragazze presidiano impalate gli angoli, e altre sono utilizzate per servire i caffè e a distribuire pezzi di parmigiano reggiano.
Il loro sorriso contagioso è la migliore arma del regime, anche se non parlano una parola d’italiano, poche parole d’inglese, e quelle poche con pronuncia incomprensibile. Ma la buona volontà è tanta, e va bene così.

Efficientissimi invece i poliziotti in borghese che a piazza Tian an men bloccano in pochi secondi chiunque tenti una piazzata per il Tibet o qualsiasi delle numerose cause di protesta oggi in Cina. Hanno sviluppato una nuova tattica per non farsi inquadrare dalle telecamere: coprono gli spiacevoli trascinamenti per terra dei manifestanti con gli ombrelli usati per mascherarsi da turisti in cerca di riparo dal sole. Uno degli energumeni che l’altro giorno ha neutralizzato due cristiani evangelici americani indossava una maglietta azzurra con la scritta Italia, cosicché a prima vista in mondovisione è sembrata una zuffa fra connazionali.

Ieri i giornali cinesi hanno risposto furiosamente al ben calibrato appello di Bush per la liberazione dei dissidenti politici. Ma gli argomenti sono apparsi ammuffiti: l’editoriale di Op Rana sul China Daily, per esempio, ha riesumato citazioni di Mao Zedong e Marx.

In realtà sono passati trent’anni dalla liberalizzazione di Deng Xiaoping, e tutte le speranze di un traino economico che porti libertà politiche sono totalmente deluse. Oggi il modello di Pechino, anche architettonicamente e urbanisticamente, sembra il tecnofascismo di Singapore. Con un po' di grandiosità olimpica mussoliniana e hitleriana. Così forse a qualche spettatore occidentale stremato ieri sera è venuto il sospetto, sotto il sudore, di essere il solito utile idiota.

Mauro Suttora

Friday, June 16, 1989

La strage di piazza Tien anmen

Europeo, 16 giugno 1989

Guerra incivile

Il regime cinese stermina i ribelli

7000 morti, decine di migliaia di feriti . Cosi' e' stato abbattuto nel sangue il fantasma della liberta' evocato dagli studenti

dal nostro inviato a Pechino Mauro Suttora

Il biglietto per assistere in prima fila a una delle piu' bestiali stragi del secolo costa 390 yuan (150 mila lire) al giorno. E' il prezzo della stanza numero 1129 del Beijing Hotel , l' albergo di Pechino a poca distanza dalla piazza Tienanmen . Dal balcone all' undicesimo piano domino gli ultimi 200 metri della Changan , il vialone lungo 30 chilometri ormai tristemente famoso in tutto il mondo per i carri armati che vi scorrazzano dal 4 giugno .

Sono i tank del 27 corpo d' armata giunto dallo Shanxi agli ordini di Yang Baibing , fratello minore del presidente della Repubblica Yang Shangkun , un " duro " . Carri armati di famiglia , insomma . Il 38 corpo d' armata , invece , presidia la parte orientale di Pechino . Sembra che stia dalla parte dei riformisti di Zhao Ziyang , e che adesso le due armate si sparino fra loro . Nelle altre citta' della Cina , il caos . Shanghai e' in mano agli studenti . Tientsin ai riformisti . A Chengdu , capitale del Sezuan , 300 morti e mille feriti . Barricate a Xian .

I " signori della guerra " , triste eredita' della storia cinese , sono dunque tornati ? Si' , anche se oggi non agiscono piu' in proprio . A guidarli sono i " mandarini " del partito comunista , i capi delle varie correnti che si disputano il potere in Cina . Ed e' ai tre " mandarini " che hanno avuto la meglio nel regolamento di conti scatenato dalla protesta degli studenti , Deng Xiaoping , Yang e Li Peng , che la storia imputera' l' orrendo misfatto di questi tank con i cingoli macchiati di sangue . Tank che non hanno esitato a schiacciare i corpi dei civili inermi che tentavano di bloccarli a mani nude o con qualche sasso .

Alla fine della Changan , oltre l' incrocio dove era l' ombrellone per il vigile che incanalava i fiumi di bici , adesso c' e' un cimitero : gli sterminati 40 ettari del luogo sacro al comunismo cinese , la grigia Tienanmen , la piazza della Pace celeste . Ma non c' e' piu' pace in Cina . Settemila manifestanti per la democrazia massacrati dall' esercito dei " mandarini " . I soldati hanno bruciato i cadaveri degli studenti , martiri ventenni che hanno resistito fino all' ultimo sotto il monumento degli Eroi . La statua della Liberta' abbattuta : era stata per cinque giorni il monumento piu' fotografato del mondo . Una casta di gerontocrati assassini opprime un miliardo di persone solo grazie alla forza bruta . La nazione piu' popolata della Terra sull' orlo della guerra civile . E questo il dramma che si svolge sotto i nostri occhi , dai balconi del Beijing Hotel .

Venerdi' 2 giugno , sera . Dalla stanza 1129 il panorama era lo stesso delle precedenti sei settimane : un fiume di bici nere , tutte uguali (quelle pesanti coi freni a bacchetta) , guidate da cinesi di ogni eta' scamiciati , tricicli con intere famiglie a bordo , la solita folla che si recava fino alle due tre di notte nella piazza Tienanmen , per assieparsi attorno alla statua della Liberta' , diversa da quella di New York solo perche' reggeva la fiaccola con entrambe le braccia .

Ed ecco i soldati . I soldatini verdi , a vederli da quassu' . La troupe televisiva di Hong Kong si precipita a filmare : gran parte delle riprese di questi giorni sono loro , perche' ci mettono solo tre ore a spedirle in cassetta via aereo alla colonia britannica . Ma , esattamente come due settimane prima , anche questa volta la folla nonviolenta vince : si assiepa attorno alla colonna di soldati , parla , la convince , la avvolge , la inghiotte . I soldatini scompaiono , non sono armati , e non osano tirar fuori i manganelli . C' e' chi dice che siano stati gli strumenti di una calcolata manovra dei " mandarini " : li hanno mandati avanti per giustificare poi l' arrivo dei duri del 27 corpo d' armata .

La notte di sabato 3 giugno questi ultimi fanno le cose in grande . Si presentano in viale Changan con blindati , camion e carri armati . Lunghe colonne corazzate avanzano a notte fonda . Ormai e' domenica e nella piazza Tienanmen rimangono solo poche migliaia di persone . Il tam tam funziona egualmente : la marea umana disarmata si ricrea come d' incanto . Ma adesso , ecco dei botti secchi : partono i gas lacrimogeni . I soldati se ne stanno sui camion e dietro le camionette , questa volta non si lasciano avvicinare . La folla allora rimuove le barriere di cemento e metallo che separano le corsie per le auto da quelle per le bici e crea barricate . Vengono sacrificati anche qualche carretto dei gelati e qualche bici .

Ma nel fumo acre che sale , fra le urla di rabbia e di paura , e nel rumore dei blindati che copre quello degli slogan gridati , si compie il dramma : i soldati cominciano a sparare ad altezza d' uomo . Per qualche minuto la folla non indietreggia . Crede siano solo altri lacrimogeni . Poi invece sangue , corse verso le ambulanze coi carretti , assalti alle autoblindo piu' isolate . E altri spari . La nonviolenza e' finita . Adesso incomincia la guerra .

Nella hall dell' albergo i turisti americani sono spariti . Anche taxi e riscio' non ci sono piu' . Un poliziotto in borghese blocca i giornalisti e i fotografi che vogliono raggiungere la Tienanmen : " C' e' il coprifuoco , se andate fuori vi sparano " . Usciamo lo stesso , con un fazzoletto bagnato di limone sul naso per respirare nonostante i lacrimogeni .

Chissa' se Liu e Bao , i due universitari che ho conosciuto bene in questi giorni , sono sulla Tienanmen , sotto le tende con le bandiere rosse dei loro college , o all' universita' , o a casa . O gia' morti . Non lo sapro' mai . C' e' un ingorgo umano che impedisce di raggiungere la piazza . Molti studenti , eccitati , si stanno lanciando a gruppetti di dieci venti verso i blindati . Ma piano piano i militari avanzano nel centro della strada e noi scappiamo a rifugiarci dentro la hall dell' albergo .

Quando usciamo di nuovo e' troppo tardi : siamo dall' altra parte della " trincea mobile " , in zona " liberata " dall' esercito del popolo . Verso le quattro di domenica mattina rinasce la battaglia , ma questa volta a situazione invertita : la folla di civili preme sui militari che adesso presidiano , sigillandola , la piazza .

Risaliamo sui balconi a luci spente : ci hanno avvertiti che l' esercito spara anche su chi si affaccia alla finestra . Inutile . Non si vede quasi piu' niente , a causa del fumo dei lacrimogeni , dei roghi di alcune barricate e del fuoco appiccato a un camion a duecento metri di distanza . Ma in fondo , sulla piazza , distinguiamo ancora la sagoma bianca della statua della Liberta' . Ogni ora , in parecchie stanze , le radio a onde corte si sintonizzano su Bbc e Voice of America per sapere quel che succede nel resto di Pechino . Giungono infatti notizie di scontri ovunque . Ma anche i corrispondenti delle radio ne sanno quanto noi .

Al mattino , ci dicono che la piazza e' stata " ripulita " . La statua della Liberta' non c' e' piu' . E certamente non ci sara' piu' quel poster satirico , nel sottopasso pedonale della Changan Jie , che raffigurava Deng Xiaoping , Li Peng e il presidente Yang Shangkun alla guida di lussuose Mercedes Benz , e attorno al quale si formavano sempre capannelli curiosi e divertiti . " Le tende le hanno bruciate , ma i ragazzi si sono arresi e li hanno lasciati andare . Cantavano l' Internazionale " , racconta un giovane sul marciapiede .

Ma poi di nuovo , improvvisamente , l' isolato della Changan di fronte al Beijing Hotel ridiventa una trincea di guerra . E questa volta , anche se dai balconi si riesce a distinguere poco di quel che succede sotto le folte chiome degli alberi , i morti sono almeno una decina , tutti civili . Suonano le sirene delle ambulanze " dono del governo italiano " (l' Italia da' alla Cina una fetta degli aiuti per i paesi sottosviluppati) .

Il Beijing Hotel e ' un albergo pieno di spie , a cui gli studenti cinesi non volevano avvicinarsi troppo neanche nei giorni in cui la loro primavera sembrava trionfare : " Ci sono poliziotti in borghese che fotografano tutti i cinesi che entrano per parlare con occidentali " , mi aveva avvertito Liu Dong , l' universitario ventunenne di ingegneria tessile che avrei preferito intervistare davanti a un te ' al gelsomino nel bar dell' albergo invece che nei 35 gradi del " camping per la democrazia " sulla Tienanmen . Un albergo di regime , dove negli anni Cinquanta Mao Zedong e Ciu Enlai venivano a incontrare ospiti eccellenti come Voroscilov e Nasser , e in cui ancor oggi gli impiegati della reception parlano un inglese assai scadente . E' per questo, oltre che per i suoi pessimi ristoranti, che i giornalisti occidentali stavano lontani dal Beijing Hotel , preferendogli lo Sheraton vicino all' aeroporto e alle ambasciate , o lo Shangri La , ultimamente impreziosito dalla sua vicinanza alle universita' .

Gli unici ad assaporare appieno il grosso pregio dell ' hotel la vicinanza alla Tienanmen erano i fotografi e i giornalisti della Tv , che per un mese e mezzo hanno potuto lavorare dietro l' angolo , andando sulla piazza a piedi per immortalare la voglia di democrazia della Cina , e poi la strage . " Abbiamo amici in tutto il mondo " : lo slogan " rivoluzionario solidarieta' internazionale " che campeggia nella hall non e' mai stato piu' vero che nelle ultime settimane , quando tutto il mondo ha seguito col fiato sospeso l' incredibile sfida degli studenti al regime di Pechino .

E anche l' anticipo di un' ora con cui gli inservienti dell' hotel Beijing cambiano , ogni sera alle undici , i tappeti dei sei ascensori con su scritto il nome del giorno in corso , mai e' sembrato piu' appropriato : simbolizza la tremenda voglia che il tempo passi in fretta , che questi giorni della loro vergogna finiscano , l' impazienza senile dei gerarchi comunisti che alla fine li ha traditi , facendoli somigliare a Hitler .

Il gerontocomio era gia' ripiombato a Stalin e a Mao giovedi' primo giugno quando aveva ordinato , come ai tempi eroici , che dalle finestre del Beijing Hotel e di tutti gli altri alberghi e uffici pubblici venissero srotolati i vecchi striscioni rossi con su scritto " Vigiliamo contro il liberalismo borghese " . In quali scantinati , con quanta naftalina sono stati conservati questi datati inviti alle masse ? O forse erano inviti per i bambini , visto che proprio il primo giugno il regime cinese festeggiava in pompa magna la " Giornata internazionale del bambino " , in commovente sintonia con le direttive dell' Unicef .

Peccato che Deng , cosi' sollecito verso gli infanti , spari loro addosso non appena essi crescono e diventano studenti . Ma la maschera di buon nonno di Deng e' caduta in pochi giorni . E mentre il China Daily , il quotidiano in lingua inglese di Pechino , la scorsa settimana copriva la realta' della rivolta studentesca con notizie sul raccolto del grano e sulle leggi antifumo , lunedi' 5 giugno e venuto il secchissimo comunicato del governo : "Abbiamo cominciato a regolare i conti con la controrivoluzione, e andremo fino in fondo" .

I toni liliali del surreale " stato di legge marziale " che il premier Li Peng aveva avventatamente decretato su Pechino il 20 maggio sono lontani . Nessuno pero' - diplomatici , giornalisti , studenti - venerdi' prevedeva un attacco cosi' duro da parte dei " signori della guerra " . Adesso invece tutti dicono tutto e il contrario di tutto : Deng e' morente , Deng sta benissimo e comanda lui in persona i soldati , Deng e' stato esautorato da Yang Shangkun e dai militari , i militari sono uniti , i militari sono divisi .

Una certezza : i morti sono migliaia . E una quasi certezza : la tragedia di Pechino non finisce qui . Venti carri T 59 sul cavalcavia Jianguomenwai , infatti , sono girati in direzione opposta alla piazza Tienanmen : aspettano l' arrivo di altre unita' fedeli ad altri e diversi " mandarini " da Tientsin . I conti si salderanno tra " signori della guerra " ?

A un chilometro dal Beijing Hotel , oltre la Tienanmen , c' e' la nuova Citta' Proibita dove i dirigenti comunisti lavorano e vivono , uscendone raramente . Questo asilo geriatrico, chiamato Zhongnanhai , e' uno splendido parco di 1 . 500 ettari dai prati verdi e rosa . Per uscire dal loro Eden i gerontocrati hanno 18 tunnel segreti . Uno porta direttamente all' aeroporto . Verra' usato presto ? Ma un altro tunnel passa sotto il viale Changan e li collega al Palazzo del popolo , quello sulla Tienanmen dove gli studenti per un mese e mezzo chiedevano si riunisse il Congresso nazionale del popolo .

Richieste ragionevoli , rispettose , patriottiche . Assai poco " controrivoluzionarie " : solo un po' piu' liberta' e un po' meno corruzione . Nel Palazzo del popolo pare che domenica un giovane soldato abbia sparato a Li Peng . Lo ha mancato . Ed e' stato subito trucidato , come i suoi coetanei sulla piazza.

Mauro Suttora

Friday, June 09, 1989

Tien an men, gli studenti

Europeo, 2 giugno 1989

Mal di Cina

55 giorni a Pechino: perche' gli studenti vogliono restare in piazza

Democrazia e diritti umani e' il ritornello di tutti a Tien an men. Ma dietro slogan e cartelli si cela l'amara realta' di un paese povero e di una partitocrazia corrotta. Che i giovani vorrebbero cambiare con la non violenza per credere ad un futuro

dal nostro inviato Mauro Suttora

La signorina Wu Mei Li ha 18 anni e ne dimostra 13. Porta un vestitino rosa, ha un fioccone sui capelli, e per venire a Pechino si e' messa le scarpe di vernice nere col tacco. Frequenta il primo anno di universita' a Xian, l'antica capitale dell'impero cinese a 900 chilometri da Pechino. Facolta': lingue straniere. Da grande fara' la traduttrice, studia l'inglese da un anno e lo parla gia' piuttosto bene. Sa anche il giapponese.

Adesso Wu si aggira in piazza Tienanmen con gli occhi sgranati per la felicita', la stanchezza e la meraviglia, tenendo per mano la sua compagna di classe Chen Hong Moi. Ci hanno messo due giorni per arrivare in treno , lei e altri trenta universitari della sua facolta' . Ma ne valeva la pena : l' ultimo week end di questo " maggio rivoluzionario " cinese rimarra' a lungo per la piccola Wu quello piu' eccitante della sua vita . E la prima volta che viene a Pechino . " Siamo scappate giovedi' , senza dire niente ne' alle nostre famiglie , ne' al preside di facolta' . Se no , non ci avrebbero permesso di venire " . Sono arrivate venerdi' sera e hanno dormito in piazza , per terra.

La notte e' tiepida a Pechino , non fa freddo , non c' e' umido . Sacchi a pelo e stuoie le distribuisce Chai Lin , studentessa ventenne che in questo mese di lotte si e' conquistata sul campo il pomposo titolo ufficiale di " Presidente della protezione della Tienanmen " . E lei a organizzare i 10 mila ragazzi che continuano imperterriti a occupare l' immensa piazza sacra della capitale cinese . Cibo , soldi , acqua , tende , pulizia , megafoni , gabinetti , servizio d' ordine : Chai Lin si occupa di tutto , e per questo adesso e' ricercata dalla polizia , che arresterebbe volentieri i leader per decapitare il movimento.

Il regime ha gia' bloccato i conti bancari su cui finivano i soldi per la solidarieta' agli studenti , assegni provenienti da tutto il mondo . Non e' mai echeggiata finora , pero' , l' accusa di ricevere soldi dall' estero . Quella di Chai Lin e' , comunque , una clandestinita' relativa . La sera di sabato 27 maggio e' riapparsa al comizio sotto il monumento agli eroi della Rivoluzione (quella comunista di 40 anni fa) e , dall' alto del suo metro e mezzo di statura , ha arringato gli studenti con un discorso calmo e ragionato , del tutto privo di retorica .

C' erano anche gli altri due leader piu' in vista della rivolta studentesca : i pallidissimi e glabri Wan Dan (con i suoi occhialoni panorama alla Spike Lee e i capelli alla Beatles) e Wuercaixi (diventato famoso quando ha osato rimproverare al premier Li Peng di essersi presentato in ritardo a uno dei pochi incontri che l'establishment ha concesso agli studenti) . Lo slogan degli studenti di Berkeley, un quarto di secolo fa , era : " Non fidatevi di nessuno oltre i trent' anni". I contestatori cinesi di oggi sono molto piu' giovani : quasi tutti sulla carta d' identita' esibiscono il ' 68 e dintorni come data di nascita.

La rivoluzione di Wu Mei Li e' durata poco . E dovuta tornare a Xian gia' domenica sera, " e speriamo che il preside non si accorga della nostra assenza " . Altre venti ore di treno filate , con i controllori ferroviari ufficialmente redarguiti dal governo perche' non fanno pagare il biglietto ai ragazzi che accorrono a Pechino . Wu ha fatto in tempo , comunque , a visitare un po' dei viali della metropoli , sfilando con il corteo di domenica 28 .

Ti piace Pechino , Wu ? " Si' , perche' e' la capitale del mio paese " . Perche' hai voluto anche tu venire fin qui a protestare , patriottica Wu ? " Perche' voglio democrazia , diritti umani e giustizia " . Cos' e' la democrazia ? " Riformare il governo " . E i diritti umani ? " Poter andare dove si vuole . Io , per esempio , vorrei venire a lavorare come guida turistica a Pechino , ma so gia ' che non potro' farlo . Troppi raccomandati , da padri potenti , dal partito . . . Ma tu piuttosto , e' vero che vieni dall' Italia ? Ah , e' il paese della moda , tutti quei bei vestiti . . . Me lo fai un autografo , mi dai il tuo indirizzo ? " .

Tutti chiedono autografi a tutti , in piazza Tienanmen . Ragazzi e ragazze fanno amicizia offrendosi a vicenda quaderni aperti e penne per firmare . Poi , quando cala il fresco della sera , da qualche tenda si leva il suono della chitarra ; canzoni pop cinesi , ma con melodie che sembrano estratte di peso dai successi di Al bano e Romina.

Forse questa e' la rivoluzione piu' dolce della storia . In un mese e mezzo di manifestazioni , con la terza superpotenza della Terra sbeffeggiata da ragazzi digiuni di politica , solo qualche contuso in una lite periferica con un gruppetto di soldati . Dove hanno imparato la nonviolenza i ragazzi della Tienanmen ? " Gandhi ? Ah , si' , il padre dell' indipendenza dell' India " , borbotta Liu Dong , 21 anni , secondo anno di ingegneria tessile all' universita' di Pechino , vicino alla bandiera rossa con su scritto il nome della sua facolta' . " Martin Luther King ? L' abbiamo studiato anche lui al liceo . Grandi uomini entrambi , hanno lottato per la democrazia e i diritti umani . . . Ammiro tutti quelli che lottano per la giustizia " , sentenzia definitivo .

Inutile cercare di parlare troppo di politica con i giovani cinesi dell' 89 : idee poche , semplici e senza fronzoli . Il ritornello " democrazia e diritti umani " . Un " no al comunismo " dato quasi per scontato ma mai gridato apertamente : tanto quello economico si va sgretolando da dieci anni . E poi perche' pestare inutilmente i calli a ideologi ottantenni ? Questi studenti sono pragmatici e astuti . " Che facciamo se l' esercito viene a sgomberarci ? Ce ne andiamo noi via per primi " , ride Liu , " e poi torniamo in piazza quando se ne vanno i soldati " . Non opporrete resistenza ? " No " , e ridiventa serio , " per la democrazia si puo' lottare solo pacificamente . Anche i soldati devono capire quello che vogliamo " .

Forse aveva ragione Gandhi : la nonviolenza e' antica come le montagne . Ma insomma , il maggio cinese dell' 89 ( " Le 1789 de la Chine " , in francese su un cartello al corteo del 28 maggio) ha vinto o ha perso ? Il detestato premier Li Peng e' sempre li' nella cittadella segreta dove i gerarchi comunisti vivono e lavorano , senza uscirne mai . Anzi , si e' rafforzato . Pero' sono sempre li' anche gli studenti , dopo ben dieci giorni di legge marziale inapplicata . In teoria , l' esercito dovrebbe controllare la citta' . In pratica , Pechino in questi giorni e' una delle citta' piu' smilitarizzate del mondo : non si vede in giro ne' un poliziotto ne' un soldato .

Le uniche dieci divise in piazza Tienanmen sono quelle delle guardie al mausoleo di Mao , alla bandiera e al Palazzo del popolo . I 150 mila soldati chiamati dal dittatore Deng Xiaoping per " fermare il caos " non sono ancora riusciti a entrare in citta' . E in citta' il caos non c' e' : a parte Tienanmen , la vita scorre tranquilla , la gente lavora e riempie come sempre di bici le strade .

Ecco un comico resoconto apparso sul quotidiano dell' esercito : " I soldati e gli ufficiali trasferiti a Pechino per imporre la legge marziale dicono che prima o poi riusciranno a convincere i residenti . . . Tutte le truppe hanno aggiunto capitoli gloriosi agli annali dell' esercito popolare " . Ora , se e' certamente glorioso per un esercito il non sparare sui propri concittadini , e' vero anche che esso e' stato bloccato da una marea umana . Esattamente come capito ' ai militari pro Marcos nell' 86 a Manila .

Il Tg del 29 maggio ha informato che i soldati , dopo essere stati costretti a dormire sui camion per diversi giorni , si sono anche loro sistemati in tenda . Ma molto lontano dalle tende degli studenti in Tienanmen . Il Tg non ha detto , pero' , che il comandante del 38 corpo d' armata , proveniente da Baoding , si e' rifiutato di muoversi perche' tra i manifestanti c' e' sua figlia . E pare che anche il ministro della Difesa stia con gli studenti.

Che strano esercito , che simpatica legge marziale , che buffo dittatore ! L' unica carica attuale di Deng e' , ufficialmente , quella di presidente della commissione forze armate . Ma e' lui il solo , vero padrone della Cina . " Possiamo soltanto aspettare che muoia " , commenta fatalista Bao Gang , 22 anni , studente di relazioni internazionali assoldato in questi giorni come interprete da una Tv americana . Altri sono piu' cattivi : " Deng , ti si e' atrofizzato il cervello , vattene in pensione a giocare a bridge ", intima un poster sulla piazza .

Minuscolo , malfatto e macerato dai suoi 84 anni , il grande vecchio non vuole ritirarsi . Gorbaciov e Raissa , nel loro storico incontro di due settimane fa , lo hanno quasi preso in braccio , stringendolo affettuosamente come un bambolotto . Ma il vecchietto ha ancora una tempra d' acciaio . Il suo passatempo preferito e' mangiarsi i propri attempati delfini ogni volta che questi simpatizzano con gli studenti : Hu Yaoban due anni fa , Zhao Zyang adesso .

Zhao , 70 anni , segretario del partito comunista , lo ha liquidato cosi' : " Ho tre milioni di soldati dietro di me " . L' incauto Zhao gli ha risposto : " Io ho tutto il popolo cinese " . E lui gli ha spiegato : " Allora non hai nulla " . E invece il " nulla " durante questo maggio ha dimostrato di poter contare qualcosa , in Cina .

Gli studenti sulla Tienanmen sono uno schiaffo permanente in faccia a Deng . La loro primavera sembra adesso avere come avversario piu' temibile l' estate , che a Pechino e' gia' arrivata : con il suo caldo , i suoi 35 gradi , la tortura di stare seduti per terra sotto tende di cellophane tenute in piedi da canne di bambu' , o al riparo di qualche ombrellone .

Nell' afa , nelle lunghe ore di attesa , le notizie , vere e false , arrivano e si diffondono come cerchi di pietre buttate in uno stagno . Lunedi' 29 si e' alzata altezzosa l' ennesima sfida al regime : una statua della Liberta' di ben 20 metri , costruita in una sola notte dagli studenti con un' impalcatura di tubi . Naturalmente , l' hanno dedicata " alla democrazia , ai diritti umani e alla legalita " .

Martedi' 30 un improvviso thriller . C' e' chi giura che il governo sta per mandare i soldati all' assalto della statua . Immediatamente torna l' atmosfera di mobilitazione . Le fonti divergono , però c' e' chi valuta in un milione i pechinesi tornati sulla Tienanmen per difendere la Liberta' . Ma i soldati non si fanno vivi e la statua resta li' . Come Mitterrand con la sua piramide del cinese Pei al Louvre , piazzata sulla verticale dell' Etoile , anche gli studenti di Pechino hanno intaccato una storica prospettiva : quella fra il ritratto del presidente Mao e il mausoleo che lo fronteggia , un chilometro piu' in la' .

Adesso la maggioranza degli studenti (o forse una minoranza di arrabbiati , comunque la maggioranza di quelli che occupano Tienanmen) ha deciso di prolungare il sit in fino al 20 giugno . La proposta dei loro capi Wuercaixi e Wan Dan , di levare le tende alla fine del mese e di limitarsi a occupare la piazza ogni domenica , non e' passata . " Staremo qui fino alla vittoria " , annuncia Liu , fiero e inesausto . Quale vittoria , Liu ? Volete le dimissioni di Li Peng e Deng ? " No , ci basta la convocazione del Congresso nazionale del popolo " . Che e' quanto di piu' simile esista in Cina ai nostri Parlamenti : naturalmente non e' eletto , ma non e' neanche controllato totalmente dal partito . Si dovrebbe riunire nel palazzo in cui Gorbaciov e' dovuto entrare dalla porta di servizio , per non inciampare negli studenti . Il suo segretario e' convocato per il 20 giugno , e per questo i ragazzi della Tienanmen hanno scelto quella data come nuovo obiettivo .

Adesso pero' , giorno dopo giorno , aumentano le probabilita' di un intervento dell' esercito . Deng finora ha intelligentemente evitato la prova di forza , e ha usato i militari solo per purgare i liberali di Zhao . Ma se gli studenti in piazza diminuiranno , sara ' piu' facile sgomberarli . I segni di stanchezza ci sono . Non e' uno scherzo tenere occupata la piazza piu' grande del mondo . Dopotutto , gli studenti del maggio ' 68 a Parigi non si sognarono certo di occupare per un mese place de la Concorde , ne' gli italiani piazza del Popolo o gli americani Times square .

Nel " camping " studentesco rifiuti e cartacce svolazzano dappertutto e fermentano sotto il sole di mezzogiorno . Negli ultimi giorni sono arrivati nella piazza migliaia di studenti dalle altre citta' cinesi , accampandosi in permanenza . Gli universitari che abitano a Pechino , invece , in famiglia o nei college , possono andare a turno a dormire e a darsi una lavata a casa .

Liu ci mette un quarto d' ora in bici per raggiungere il suo appartamento : sono 40 metri quadrati dove si affollano in cinque . Oltre al fratello e ai genitori c' e' la nonna . " Mio padre e' d' accordo con me . Anche lui , dal ' 47 al ' 49 , fece parte di un movimento : quello di Mao contro il Kuomintang . E combatte' la guerra civile . Ma non e' iscritto al partito : allora i comunisti stavano dalla parte del popolo , adesso non piu' . Molti leader del Pc sono ricchi e corrotti . E anche i loro figli " .

Fra due anni , quando comincera ' a lavorare come ingegnere , Liu prendera' 55 yuan (15 mila lire) al mese , come tutti i giovani al primo impiego . Unico vantaggio : la leva non e' obbligatoria , e gli universitari sono troppo preziosi per non lavorare . Suo padre , pensionato , guadagna 200 yuan (60 mila lire) , che e' lo stipendio medio di professori e impiegati . E vero che un chilo di riso costa solo cento lire , e il biglietto del bus dieci . Ma e' comunque miseria nera , Terzo mondo , anche se nessuno muore di fame . Perfino la bici e' un lusso . L' auto , neanche parlarne : 20 mila yuan . Solo una famiglia su cinque ha il frigo .

Le ragioni della rivolta sono gia' tutte qui . Forza Wu , coraggio Liu ! Avrete trent' anni nel Duemila : il prossimo secolo sara' tutto vostro . E forse , con un po' di fortuna , riuscirete a farlo cominciare con qualche anno d' anticipo. Senza ammazzare nessuno, questa volta.

Mauro Suttora