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Thursday, January 05, 2017

Ultimo duello Obama-Trump

LA TRANSIZIONE TRA I DUE PRESIDENTI USA DIVENTA UN INCUBO

di Mauro Suttora

Washington, 5 gennaio 2017

Nessuno aveva immaginato i fuochi d’artificio degli ultimi due mesi. Barack Obama e Donald Trump se le stanno dando di santa ragione. Fortuna che il 20 gennaio il primo se ne va e il secondo gli subentra alla Casa Bianca, altrimenti la commedia dei due presidenti Usa andrebbe avanti e non si saprebbe più chi comanda negli Stati Uniti.

Obama fa condannare dall’Onu gli insediamenti di Israele in Palestina? «Non preoccupatevi, tenete duro che fra un mese arrivo io», twitta Trump al governo israeliano. 

Il presidente uscente espelle 35 diplomatici russi da Washington, accusati di essere spie? Quello russo fa il magnanimo e rinuncia a vendicarsi, perché sa che dopo il 20 gennaio l’amico Trump annullerà tutto. 

Obama proibisce di estrarre petrolio dall’Artico? Donald nomina ministro dell’Energia un texano lobbista dei petrolieri.

Al di là del colore dei capelli e della pelle, Obama e Trump sono uno l’opposto dell’altro. Per idee politiche, carattere, stile. Un democratico di sinistra e un repubblicano di destra. Un intellettuale compassato e un miliardario esuberante. Un politico riflessivo e un uomo d’affari imprevedibile.

Obama non ha mai nascosto la sua disistima per Trump: «Sfrutta rabbia, frustrazione e paura. È inadatto a fare il presidente. In gioco c’è la democrazia». 
E Trump ha detto peste e corna di Obama (mettendo perfino in dubbio che fosse nato negli Stati Uniti), salvo poi ringraziarlo dopo il primo loro incontro «per la cordialità e l’utilità». 
Ma la faccia schifata di Obama nella foto è sembrata quella di Enrico Letta mentre dava il campanellino a Renzi.

Sepolto ogni galateo. Da 220 anni gli Stati Uniti eleggono il presidente all’inizio di novembre, e dopo 70-80 giorni c’è la cerimonia di inaugurazione. Due mesi e mezzo di interregno che non avevano mai causato problemi. Neanche quando si sono dati il cambio avversari agli antipodi, come Carter e Reagan nel 1980 o Clinton e Bush vent’anni dopo.

Questa volta invece la transizione è drammatica. «Un capo alla volta», la regola che vige a Washington e che viene rispettata perfino a Roma, con l’inedita coabitazione fra due Papi e l’assoluto rispetto dell’emerito Ratzinger per il successore Bergoglio, è saltata. 
Anche perché i democratici sono furibondi: Hillary Clinton in realtà ha avuto quasi tre milioni di voti più di Trump, ma ha perso a causa del sistema elettorale frazionato in collegi.

Luttwak: «Casa Bianca patetica»

Di chi è la colpa della frattura? «Il presidente eletto deve tacere, senza intromettersi nelle ultime decisioni di quello uscente», dice Wolf Blitzer, il giornalista più famoso della Cnn. 
«Però quello uscente deve mostrare eguale rispetto per il successore», ribatte il commentatore Edward Luttwak, «quindi non può prendere decisioni importanti. Obama si è limitato all’ordinaria amministrazione su Israele e Russia? No. Le sue provocazioni sono patetiche».

Ma cos’è successo esattamente? Su Israele, da 40 anni l’Onu condanna le colonie israeliane che continuano a sorgere nel territorio del futuro stato di Palestina. Ma per la prima volta gli Usa non hanno messo il veto, e quindi la risoluzione è passata. Con grande scorno del premier di Tel Aviv, Benjamin Netaniahu.

«Anche gli israeliani più intelligenti sanno che costruire su suolo palestinese allontana la pace», ha rincarato il segretario di Stato John Kerry. 
Trump invece è così vicino alla destra israeliana da avere già annunciato il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme (non riconosciuta come capitale di Israele).

Vladimir Putin è inoltre accusato da Obama di aver mobilitato hacker per danneggiare la campagna elettorale di Hillary Clinton. Un’interferenza gravissima, mai avvenuta neppure al culmine della Guerra fredda. Sono state pubblicate mail in cui i capi democratici favoriscono Hillary contro l’avversario delle primarie Bernie Sanders.

Chi le ha fornite a Wikileaks? La Cia è sicura: i russi. I quali ospitano a Mosca anche Edgar Snowden, l’ex agente segreto Usa che ha rivelato le manovre della Nsa (National security agency)
.
Anche qui, Trump non si è fatto scrupoli nel contraddire la Cia. Per “ripulirla” ha nominato l’italoamericano del Kansas Mike Pompeo. Un conflitto con pochi precedenti fra un presidente e i propri servizi segreti, che ingoiano ogni anno l’astronomica cifra di 500 miliardi di dollari. 

Obama invece ha ritenuto l’intromissione russa così grave da meritare una rappresaglia immediata: via 35 finti diplomatici di Mosca.

E avanti così, in un’interminabile sequenza di ripicche fra i due presidenti Usa. L’“anatra zoppa” Obama e Trump la scorsa settimana si sono telefonati. Gli addetti stampa assicurano che il colloquio è stato «tranquillo e costruttivo», ma la realtà degli attacchi via tweet di Trump dice il contrario.

Altro che anatre: questi sono due galli che si azzuffano nello stesso pollaio.

Mauro Suttora

Friday, December 23, 2016

Sopra la panca, Ivanka



IL PRESIDENTE TRUMP SCEGLIE LA FIGLIA COME SUO NUMERO DUE

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 23 dicembre 2016 

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump sostituirà la First Lady con la First Daughter? Sua moglie Melania non si trasferirà con lui alla Casa Bianca il 20 gennaio. Ufficialmente perché non vuole far interrompere al figlio l’anno scolastico a New York. Ma in realtà tutti sanno che all’ex modella slovena, terza moglie di Trump, la politica interessa poco. E quando ha cercato di aiutare il marito spesso ha combinato disastri. Come alla Convention democratica della scorsa estate, quando ha copiato un discorso di Michelle Obama.

La figlia Ivanka Trump, invece, è sempre accanto al presidente da quando, 40 giorni fa, è stato eletto. Addirittura partecipa assieme a lui a vertici internazionali come quello con il premier giapponese Shinzo Abe.

Finta bionda come mamma Ivana, naso e seno rifatti, tre figli, la 35enne Ivanka non si limita a presenziare. L’arrembante daughter, infatti, è capace di organizzare scherzi orrendi a politici e vip che, dopo aver insultato il padre, ora si recano in mesta processione a baciargli la pantofola nella Trump Tower di Manhattan.

La prima vittima è stato l’ex vicepresidente Al Gore, premio Nobel e Oscar. Dopo un colloquio di mezz’ora con lei e cinque minuti col padre è sceso nell’atrio magnificando le idee “ecologiste” di Ivanka. Risultato: tre giorni dopo Trump ha nominato ministro dell’Ambiente un tizio che nega il cambiamento climatico.

Poi è stato Leonardo DiCaprio a finire nella rete della furba figlia. Anche lui democratico e ambientalista militante, è andato a Canossa senza ottenere alcun risultato.

L’ultimo incredibile voltafaccia propiziato da Ivanka col marito Jared Kushner è stato quello dei big del computer. Bill Gates di Microsoft e i capi di Apple, Google e Amazon, tutti supporter di Hillary Clinton fino a novembre, si sono lanciati in un coro di adulazioni per il «nuovo John Kennedy» (così lo sprovveduto Gates ha definito Trump). «Dobbiamo collaborare con chiunque sia al potere», si giustificano i neopatrioti.

«Mio padre mi ha insegnato a colpire per prima gli avversari, così capiscono subito con chi hanno a che fare»: parola di Ivanka a David Letterman nel suo show tv pochi anni fa. La ragazza non è cambiata. E ora si appresta a trasferirsi a Washington con il “first genero” Jared per essere la principale scudiera di Donald.

Dribbleranno la legge del 1967 contro il nepotismo che vieta al presidente dinominare parenti (come fece Kennedy col fratello Bob procuratore generale), evitando di percepire compensi. A Ivanka basterà incassare i 4 milioni di dollari del suo appartamento su Park Avenue messo in vendita a New York per rientrare nelle spese.

Lei non è stupida: ha frequentato il liceo di Jackie Kennedy a Manhattan, si è laureata a 23 anni in Economia nella stessa università del padre, la Wharton business school in Pennsylvania. E il marito Kushner continuerà a fare l’eminenza grigia on line di Trump, con la sua strategia di bufale per bypassare gli odiati giornalisti.
Mauro Suttora


I POTENTI IN GINOCCHIO DAVANTI A LORO

Questa foto fa capire subito il nuovo clima che si è instaurato negli Stati Uniti verso il nuovo presidente Donald Trump. Osteggiato e insultato durante la campagna elettorale, quando nessuno pensava potesse vincere, ora i potenti di Wall Street (finanza) e Silicon Valley (computer) fanno a gara per ottenere un incontro con i Trump nella sua Tower di New York. E a tutti i vertici c’è Ivanka (qui sotto indicata dalla freccia, accanto al fratello Eric), che spesso promuove in prima persona gli incontri.

Questo, in particolare, ha visto presenti i big californiani di Apple (Tim Cook, fuori dall’inquadratura), Facebook e Amazon (Jeff Bezos, quinto da sinistra). La California ha votato contro Trump al 70 per cento, e New York all’80, ma adesso i cosiddetti “poteri forti” mettono le vele al vento, e si rassegnano a collaborare con quello che ritenevano soltanto un personaggio folkloristico. La Borsa sembra approvare: da quando Trump è stato eletto, è ai massimi storici.
Mauro Suttora


Wednesday, December 07, 2016

Melania Trump in privato

di Mauro Suttora

Oggi, 7 dicembre 2016

«Ma allora siamo diventati poveri!» Questa, narra la leggenda, è la frase ironica che avrebbe pronunciato Melania Trump dopo la sua prima visita alla Casa Bianca.
In effetti, le stanze della residenza del presidente Usa non brillano per magnificenza. E certo non possono competere con i tre piani di attico e superattico per un totale di 3.000 metri quadri dove abita attualmente la coppia presidenziale.

Ma com’è nel privato la futura First Lady? Una donna arguta e dotata di senso dell’umorismo, come testimonierebbe la battuta sull’austera modestia della sua nuova dimora washingtoniana, o soltanto la terza “moglie trofeo” di un miliardario zotico, come insinuano gli avversari di Trump?
Lo abbiamo chiesto all’italiana che conosce meglio Melania e Donald: Susi Mion, signora originaria del Veneto, da dieci anni loro amica e vicina di casa nella Trump Tower di New York. Lei al 32esimo piano, loro dal 66esimo in su.

«Ho conosciuto prima Donald, per alcune questioni di condominio», ci dice la signora Mion, scovata a Manhattan dal quotidiano Libero. «Gentilissimo, ha voluto invitarmi a casa loro per presentarmi sua moglie. Così sono salita su, e mi ha accolto una giovane signora che, ho scoperto, oltre alla bellezza, possiede un dolce sorriso, eleganza e fascino».

Le vicine hanno subito legato, e Melania ha invitato Susi nella loro magione di Mar-a-Lago in Florida: «L’unico motivo per cui non ho accettato, è che temo che la mia cagnolina maltesina disturbi durante il viaggio nel loro aereo privato».

Che tipo di moglie è Melania?
«Una donna molto tranquilla, quasi imperturbabile. Le piace stare a casa, non esce molto. Direi che è la classica casalinga: cucina per Donald i piatti tipici del proprio Paese, la Slovenia, si dedica alle faccende domestiche. Uno potrebbe pensare: la bellissima ex modella capricciosa e presenzialista che passa il tempo a rompere le scatole al marito ricco con 24 anni di più. Invece è l’esatto contrario: una moglie devota. Capace di restare silenziosa, ma anche di ascoltare Donald, e soprattutto di dargli un consiglio al momento giusto. E di volare sopra le critiche, a lei e a lui».

Gli unici attacchi che Melania non sopporta sono quelli al figlio Barron. Che durante il discorso della vittoria del padre, alle due del mattino del 9 novembre, si stava quasi addormentando in piedi. Normale, per un bambino di dieci anni (anche se ne dimostra di più, è altissimo). Hanno detto che ha i sintomi dell’autismo, diffondendo video che lo proverebbero. Mamma Trump ha subito diffuso una violenta diffida del suo avvocato. Hanno dovuto scusarsi.
«Come madre Melania è affettuosa e piena di premure. Spesso accompagna il figlio a scuola, e lo va a prendere. Crea attorno a lui e a Donald quel clima di serenità che è fondamentale in ogni famiglia. Lei sarebbe anche un’abile imprenditrice, e lo ha dimostrato. Ma da anni ha deciso di dedicarsi alla famiglia. Anche molto del suo tempo libero lo trascorre a casa: invita amiche, legge, fa ginnastica pilates».

Barron frequenta una delle scuole private più costose d’America: la Columbia Grammar Prep, sulla 93esima Strada dell’Upper West Side, dall’altra parte di Central Park. Costa 45mila dollari l’anno (42mila euro), come l'università di Harvard.

Melania, contrariamente a Michelle Obama che si trasferì subito con le figlie a Washington, resterà a New York fino a giugno, per non far cambiare scuola a Barron durante l’anno scolastico. Con relativi brontolii dei genitori degli altri alunni, in un quartiere che ha votato Hillary Clinton al 90%: «All’ultima riunione di classe gli agenti dei servizi segreti ci hanno bloccato l’ascensore, siamo dovuti salire a piedi!».

«Ma Melania è tutt’altro che arrogante», assicura Susi Mion, «anzi la definirei timida: non urla mai, non eccede. Riesce ad avere un ottimo rapporto anche con Ivanka e gli altri figli di Donald». 
Il che non è facile, poiché la differenza d’età con loro è di pochi anni, e Ivanka non è la più mansueta delle creature.

Insomma, signora Mion, lei ci dipinge Melania come una donna praticamente perfetta.
«Ma se è vero, perché dovrei mentire? Guardi, un anno fa, all’inizio della campagna elettorale, il New York Times mi intervistò con altri vicini di casa. Chiesi l’anonimato, e dissi questa frase: “Se Trump ha scheletri nell’armadio, la Clinton ne ha il doppio”. Ma il giornale mi identificò come una “signora con la maltesina”. Il giorno dopo Donald mi mandò un biglietto di ringraziamenti».

Quindi neanche un punto debole in Melania? 
«Senta, quant’è bella lo vedono tutti. In più è intelligente e simpatica. Posò senza vestiti da modella? Meglio lei nuda che Hillary vestita. Con le altre donne non è competitiva, anzi è solidale e garbata. Parla sei lingue: sloveno, serbo, inglese, italiano, tedesco, francese. Se la si conosce la si ama. Piano piano conquisterà il cuore di tutti. Sarà una splendida First Lady».
Mauro Suttora

Thursday, November 17, 2016

parla Riccardo Mazzucchelli, secondo marito di Ivana Trump

Donald Trump conserva ottimi rapporti con le due ex mogli, e ha coinvolto tutti i figli nella sua avventura politica. Da tenere d’occhio soprattutto il giovane genero Kushner

di Mauro Suttora

New York, 17 novembre 2016



«Incontravo Donald nell’ascensore della Trump tower a Manhattan. Io andavo all’ultimo piano, nell’attico dove viveva Ivana, la sua moglie separata. Lui si fermava prima, nell’appartamento dove stava dopo la separazione.
Ci salutavamo, avevamo rapporti cordiali, ma a un certo punto gli dissi: “Senti Donald, io amo la tua ex moglie, però vedo che avete buoni rapporti e che siete ancora molto legati dai vostri tre figli piccoli, Donald junior, Ivanka ed Eric. Quindi dimmelo subito, perché fra sei mesi sarà troppo tardi: se pensi che fra voi possa esserci una riconciliazione, io mi ritiro in buon ordine. Non voglio rovinare una famiglia”».

Riccardo Mazzucchelli, 73 anni, racconta a Oggi i suoi incontri ravvicinati del 1991 con Donald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti.
«Lui, sempre gentile, mi rispose: “No problem Riccardo, go ahead”». Vai avanti.

Così Mazzucchelli, businessman internazionale che oggi vive a Spalato (Croazia), divenne il secondo marito di Ivana Trump (il terzo, Rossano Rubicondi, ha confermato la passione della signora per gli italiani, così come il suo successivo fidanzato, Marcantonio Rota).

E Trump, dopo aver liquidato sontuosamente Ivana, sposò l’attricetta americana Marla Maples dopo anni di clandestinità. Leggendario rimane lo scontro fra la moglie Ivana e l’amante Marla su una pista di sci ad Aspen (Colorado) nel 1990.

Nel ’97, quasi contemporaneamente, Ivana divorziò da Riccardo e Donald da Marla. Il paperone newyorkese aveva incontrato la terza moglie Melania, confermando la propria passione per le slave.

Trump e le donne. Lui si vanta di conquistarle tutte grazie ai suoi soldi. Non va lontano dal vero, ma per questa ovvietà è stato crocifisso: maschilista. Eppure le sue ex mogli continuano ad avere ottimi rapporti con lui: Ivana ha sposato Rubicondi nel favoloso palazzo trumpiano di Mar-a-Lago in Florida, Marla non ha più pubblicato il libro contro Donald annunciato con la fanfara.

Entrambe gli hanno dato l’endorsement pubblico per la candidatura, e imperversano sui reality tv. Dopo The Apprentice che ha reso Donald un eroe tra i giovani, Ivana ha condotto il Grande Fratello Usa. E questa primavera Marla ha ballato con le stelle.

Fosse stato per lui, dopo la Convention repubblicana le avrebbe invitate anche sul palco della vittoria l’8 novembre, come un patriarca magnanimo. A Tiffany, 23enne unica figlia di Marla, ha appena regalato una casa nel quartiere più esclusivo di New York, l’Upper East Side, per la sua laurea alla Penn University (in quella Pennsylvania ex democratica che ha inopinatamente conquistato).



Ma a fare la parte del leone sono i tre figli di Ivana. Il miliardario ha annunciato che lascerà loro tutte le sue società, in un blind trust per evitare il conflitto d’interessi. E già molti avevano storto il naso per questa successione familiare assai poco blind (cieca).

Poi è arrivato l’incredibile annuncio: i tre trentenni sono tutti imbarcati nel Transition team, la squadra che sceglierà i ministri e gli altri 4 mila nuovi dirigenti che governeranno gli Stati Uniti. Un rinnovamento gigantesco, perché Trump è totalmente estraneo alla politica. E Ivanka farà politica come e più della matrigna Melania, splendida First Lady.

C’è posto anche per i generi, nella tribù Trump. Ricordatevi questo nome: Jared Kushner. Marito di Ivanka, pure lui come Donald figlio di un costruttore edile (condannato per evasione fiscale, finanziamenti illegali a politici e subornazione di testimoni), a 25 anni ha comprato il settimanale New York Observer per 10 milioni di dollari: «Li ho guadagnati vendendo case durante l’università ad Harvard». È stato uno dei cervelli del trionfo elettorale, per amor suo Ivanka si è convertita all’ebraismo. Conterà molto nella Casa Bianca.

Negli Anni 30 la mamma di Donald Trump approdò in America come emigrante dalla Scozia. Era poverissima: possedeva solo i vestiti che indossava. Trump senior, figlio di un immigrato tedesco, manifestava a New York col Ku Klux Klan contro gli immigrati italiani cattolici fascisti che minacciavano la supremazia degli anglosassoni protestanti come lui.

Il loro figlio un anno fa era dato al 2 per cento di possibilità di diventare presidente. Qualunque cosa si pensi del tycoon coi capelli arancioni, un altro sogno (o incubo) americano si è avverato.
Mauro Suttora

Tuesday, November 08, 2016

I segreti della Casa Bianca

di Mauro Suttora

Washington, 8 novembre 2016



Donald Trump, appena eletto 45esimo presidente degli Stati Uniti, si trasferirà in questo palazzo bianco il 20 gennaio 2017. E per quattro anni (al massimo otto) governerà non solo il proprio Paese, ma anche il mondo, visto che gli Usa ne sono ancora la principale superpotenza.

Ma come si svolge la vita quotidiana alla Casa Bianca? Diciamo anzitutto che il famodo Studio ovale, con la scrivania presidenziale, non si trova nel corpo centrale del palazzo, costruito nel 1801, bruciato dagli inglesi nel 1814 e ricostruito.

Studio Ovale nascosto dagli alberi

La Oval room sta nella West Wing della Casa Bianca, aggiunta nel 1902. Questa Ala ovest non si vede mai nelle foto, perché è alta solo due piani ed è nascosta dagli alberi del parco interno.
Il presidente la raggiunge ogni mattina dai suoi appartamenti privati, al secondo e terzo piano del corpo centrale. Ma attenzione: nessuno, per ragioni di sicurezza, sa più esattamente in quale stanza dorma.

L’attuale President Room, infatti, fino al 1974 ospitava di solito le First Lady, che dormivano separate dal marito fino alla presidenza di Gerald Ford. Era la camera da letto di Jacqueline Kennedy, e John stava nella stanza accanto, che adesso è la Private sitting room (salotto privato).

La West Wing ospita tutti gli uffici operativi, compresa la Situation room per le riunioni d’emergenza, da dove Barack Obama nel 2011 ordinò l’uccisione di Osama bin Laden.
Obama è stato particolarmente severo nel proteggere la privacy della sua famiglia. Nessuno, tranne i parenti e gli amici strettissimi, sa neppure se le due figlie, la moglie Michelle e la suocera abbiano le stanze da letto al secondo o al terzo piano.

«Mi sveglio ogni mattina in un palazzo costruito da schiavi afroamericani come me»: queste parole della First Lady hanno infiammato la Convenzione democratica lo scorso luglio. Ed è vero: i lavori durarono nove anni, tanto che il primo presidente George Washington non riuscì mai ad abitarci (prima la capitale era Filadelfia). Ma al secondo piano c’è pure la stanza di Abraham Lincoln, che nel 1865 abolì la schiavitù (e fu assassinato).

Ogni stanza della Casa Bianca racconta un pezzo di storia. L’ex studio di Lincoln era anche il preferito di Richard Nixon, unico presidente a essere cacciato con l’impeachment nel 1974 per lo scandalo Watergate.

Sempre al secondo piano, la Yellow Oval room fu lo studio ovale usato dal presidente Franklin Delano Roosevelt che, costretto in carrozzina, non andava fino alla West Wing: qui gli giunse la terribile notizia dell’attacco di Pearl Harbor nel 1941.
E al piano terra la Map room era la Situation room della Seconda guerra mondiale, con tutte le cartine del mondo.

Mauro Suttora

Wednesday, March 16, 2016

parla l'italiano che presentò Trump a sua moglie

PAOLO ZAMPOLLI, L'ITALIANO CHE HA FATTO CONOSCERE DONALD TRUMP ALLA SUA TERZA MOGLIE MELANIA KNAUSS

New York (Stati Uniti), 9 marzo 2016

di Mauro Suttora



Il Kit Kat Club era uno dei locali più in voga a Manhattan alla fine degli anni 90. E lì Paolo Zampolli, l’italiano proprietario dell’agenzia ID models, organizzò la festa annuale durante la settimana della moda newyorkese 1998: «Una delle mie modelle più carine era Melania, una slovena che avevo scoperto a Milano pochi anni prima».

Di cognome faceva Knavs, ma se lo cambiò in Knauss per dare un’idea di Germania. Allora, nell’età d’oro delle supermodelle, essere tedesche era un plus: Claudia Schiffer, Heidi Klum. «Anche Heidi faceva parte della nostra scuderia», ricorda Zampolli, «e dopo la separazione da Marla Maples, sua seconda moglie, Donald Trump frequentava volentieri i nostri eventi».

Paolo e Melania sono coetanei, allora erano entrambi 28enni. «Io stavo con la sua migliore amica, la modella ungherese Edit Molnar. Melania era seria e determinata, non le piaceva granché la vita notturna. Venne al party quasi per dovere. Era professionale, aveva una gran voglia d’arrivare. Più che nelle sfilate, eccelleva nei servizi fotografici. E una sua immagine era finita addirittura su un palazzo intero di Times Square».

«Quella donna è incredibile, la voglio»
Al Kit Kat Club quella sera Zampolli, Edit e Melania erano seduti sui sui divanetti della zona vip. Trump, allora  52enne, si presentò con una donna. Ma quando vide la modella slovena dagli occhi grigioblu, fu attrazione immediata: «È incredibile, la voglio», confidò a Edit.

«Ma Melania non cadde ai suoi piedi», continua Zampolli, «e quella sera non diede a Donald il suo numero di telefono. Non lo avrebbe mai fatto, con un uomo accompagnato a un’altra donna. Si limitò a prendere il suo».
Insomma, l’esatto opposto del già famosissimo miliardario. Noto anche per le sue fiammeggianti avventure di coppia: prima con la ceca Ivana, anche lei modella dell’Est, poi con Marla.

«Qualche settimana dopo Trump venne a una cena a casa mia, nella zona di Gramercy park. Ed ebbi una sorpresa: si presentò con Melania. Lei gli aveva telefonato, e la relazione era cominciata».

E via, nella tumultuosa vita notturna di New York: «Una sera prendemmo tutti una limousine nera di quelle lunghe per andare a cena al ristorante Cipriani con il mago David Copperfield».

Elicotteri, aerei: «A volte il venerdì sera Melania e Donald mi davano un passaggio sull’aereo privato di Trump per andare in Florida nei week-end. Allora aveva un Boeing 727, ora ha il 757. Era uno dei pochissimi con il permesso di decollare dall’aeroporto La Guardia, invece di dovere andare fino a quello di Teterboro nel New Jersey, riservato ai voli privati. Loro atterravano a Palm Beach e raggiungevano il palazzo di Mar-A-Lago, io proseguivo per Miami».

La coppia Melania-Donald resiste da 18 anni. Memorabile è rimasto il servizio fotografico del 2000 sul mensile GQ in cui lei appare nuda, sdraiata sul letto dell’aereo privato, indossando soltanto una collana. Titolo: Sesso a 10mila metri di altezza, Melania Knauss accumula le sue miglia.

Nel 2008, chiusa l’agenzia di modelle, Zampolli lavora con Trump nell’immobiliare. Ora si è messo in proprio ed è  ambasciatore all’Onu dell’isola Dominica. Sposato, ha un figlio di sei anni.

Anche Melania e Donald si sono sposati nel 2005, e il loro figlio Barron ha dieci anni. Al matrimonio parteciparono Hillary e Bill Clinton. Erano amici. Ora di meno: a novembre la sfida presidenziale potrebbe essere fra Donald e Hillary. E se quest’ultima perderà, Melania diventerà First Lady come lei.
Mauro Suttora

Wednesday, September 02, 2015

Ritratto indiscreto di Melania Trump

Sorprese: la moglie del candidato repubblicano alla Casa bianca ha posato nuda. Bella, determinata, disinibita, Melania Knauss scalda già i motori per le presidenziali

AMERICANI, SARO' LA VOSTRA FIRST LADY!

Fra 14 mesi si vota. Il miliardario Donald Trump guida i sondaggi. Sua moglie, ex modella slovena, prima di sposarsi fece qualche peccatuccio fotografico

New York, 26 agosto 2015

di Mauro Suttora



Sarebbe la First lady più bella della storia. Nessuno rimpiangerebbe più Jacqueline Kennedy o Carla Bruni. Se suo marito Donald Trump, 69 anni, diventasse presidente degli Stati Uniti, Melania Knauss, 45 anni, sarebbe anche la prima first lady degli Stati Uniti ad aver posato nuda. Non la prima al mondo: Carla Bruni l’ha anticipata nel 1993.

Poi, essendo slovena, sarebbe la prima inquilina della Casa Bianca a non parlare inglese dalla nascita. Non la prima straniera: John Quincy Adams, presidente nel 1825, era marito di una britannica.

Melania è nata nel 1970 a cento chilometri dall’Italia in un paesino di 5 mila abitanti sul fiume Sava, nella Jugoslavia comunista. E arriva a Milano nel 1988 con mamma Amalia, che la spinge a fare la modella (prima sfilata a 5 anni).

Figlia di un austriaco, arriva a Milano.
Il padre, Victor Knavs, è austriaco e lavora in una concessionaria d’auto. Il cognome cambia quando lei, in carriera, vuole sembrare più tedesca (come Claudia Schiffer e Heidi Klum).


Dopo la facoltà di Architettura a Lubiana, l’educata e timida Melania viene ingaggiata dal milanese Paolo Zampolli, che con la sua agenzia di modelle la porta a New York.


«Era seria, molto professionale. Le piaceva starsene a casa, non era una party girl», ricorda Zampolli. «Il suo viso dominava Times Square in una pubblicità della Camel, ma lei andava solo al lavoro e in palestra».


Nel 1998 in una festa di Zampolli al Kit Kat Club durante la Fashion Week newyorchese incontra Trump, che dopo Ivana (pure lei ex modella slava) aveva lasciato anche la seconda moglie Marla Maples. Melania ha 28 anni, lui 52.

Amore a prima vista per Donald. Non per lei. Lui le chiede il numero di telefono, lei rifiuta. «Era con una donna, non glielo avrei mai dato», racconterà. Si mettono assieme dopo il divorzio da Marla. Fine della vita da playboy di Donald.


«Facciamo sesso in modo incredibile almeno una volta al giorno, a volte an- che di più», dice Melania nel 2000 al mensile GQ che la fotografa svestita su un tappeto di pelle d’orso nel jet privato di Trump. «Lei è molto sexy quando indossa solo mutandine», spiega lui.

Alta un metro e 80, misure 89-61-89, Melania continua a lavorare come modella. A chi la accusa di essere un’arrampicatrice risponde: «Non si può vivere con chi non si ama. Non si può abbracciare un bell’appartamento. Non si può baciare un aereo».

Si sposano nel 2005 in uno dei resort di lusso di Trump in Florida. Lei ha un vestito Christian Dior da 100 mila dollari. In prima fila l’ex presidente Bill Clinton e sua moglie Hillary, allora senatrice di New York, oggi rivale democratica del repubblicano Trump per la Casa Bianca.

A Melania, che è diventata cittadina statunitense, piace inondare i suoi 42 mila followers su Twitter di foto sulla sua vita opulenta nell’attico e superattico della Trump Tower di Manhattan, con il figlio Barron di 9 anni.

Gli ha consigliato lei di non attaccare Bush jr.

Non si interessa di politica, ma da quando Trump (ricchezza personale: 9 miliardi di dollari) è sceso in campo gli dà qualche consiglio. Per esempio, non attaccare Jeb, il terzo Bush candidato presidente, perché lei lo frequenta nel giro dei galà di beneficenza.


La campagna presidenziale è lunga. Le primarie repubblicane sono a febbraio, e lì per ora Trump sembra non avere rivali: gli ultimi sondaggi lo danno al 24%, contro il 13 di Jeb Bush. Tutti gli altri indietro.

Fra 14 mesi, poi, il voto finale. E in questi ultimi giorni, sorpresa: il distacco con Hillary si è ridotto da 16 a soli 6 punti: 51 a 45. Pochi pensano che Donald ce la possa fare. Però nessuno pensava neanche che Ronald Reagan conquistasse la Casa bianca, nel 1980.

«Dopo il primo presidente nero, il primo arancione», scherzano, riferendosi all’incredibile colore dei capelli di Trump. Riporto? Parrucchino? Mistero.

Quel che è certo, è che se il sogno per la bella Melania dovesse realizzarsi, alla Casa Bianca non ci sarà un altro caso Monica Lewinsky: «Se non gli piaccio più, bye bye», dice lei. Insomma, liquiderebbe Trump così come lui fa con i concorrenti del suo talent show tv The Apprentice: «Sei fuori!».

Se eletto, Trump aumenterà le spese militari ma legalizzerà ogni droga: «Combatterle costa troppo». E continua a scandalizzare: ora vuole negare la cittadinanza ai figli dei clandestini nati negli Usa (ius soli).

Melania Knauss Trump non ha mai avuto problemi a farsi fotografare senza veli, fino al matrimonio nel 2005. Le immagini potrebbero danneggiare il marito nella campagna presidenziale, visto che il suo partito repubblicano ha molti elettori conservatori. Ma il ciclone Trump che sta investendo gli Stati Uniti è fatto di provocazioni, e il ricchissimo Donald ne è maestro.

Mauro Suttora


Wednesday, August 19, 2015

Trump: un cafone alla Casa Bianca

FA BATTUTE ORRENDE CONRO DONNE E IMMIGRATI. E VUOLE LA NOMINATION DEI REPUBBLICANI ALLA PRESIDENZA USA. RITRATTO DI DONALD IL MALEDUCATO

di Mauro Suttora

Oggi, 12 agosto 2015 

Con lui non ci si annoia mai. Insulta le donne che non gli piacciono: «Troia grassa, cagna, animale disgustoso». Una giornalista gliel’ha rinfacciato, la scorsa settimana in un dibattito tv. Lui ha risposto: «Il grande problema degli Stati Uniti è la correttezza politica».
Poi ha rincarato, e di quella stessa giornalista ha detto: «Aveva il sangue agli occhi contro di me. Le usciva sangue dappertutto…», alludendo al mestruo. Risultato: espulso dal prossimo dibattito per le primarie.

Donald Trump, 69 anni, vuole diventare presidente degli Stati Uniti. Si è candidato per il partito repubblicano. E più le spara grosse, più avanza nei sondaggi. L’ultimo lo dà al 23%, contro il 10-15 dei migliori fra gli altri sedici candidati alle primarie (Jeb Bush, figlio e fratello degli ex presidenti, il senatore Marco Rubio, il governatore Scott Walker).

«Il Messico ci manda spacciatori e violentatori. Brutta gente, gli immigrati». «Abolirò l’assistenza sanitaria per i poveri introdotta da Obama». «La Cina è nostra nemica, dobbiamo batterla». «Per sterminare gli estremisti islamici, rafforziamo l’esercito». «Se Hillary Clinton non ha soddisfatto suo marito, come può soddisfare l’America?».

Queste sono alcune delle sue “perle”, che attraggono gli spettatori tv. Le elezioni sono ancora lontane: primarie a gennaio, presidenziali a novembre 2016. Ma i capi repubblicani sono preoccupati. Se Trump vince le primarie, perderà il confronto col candidato democratico (probabilmente la Clinton) perché è troppo a destra. Ma se verrà sconfitto fra i repubblicani si presenterà come indipendente, e li farà egualmente perdere togliendo loro voti. Come accadde nel 1992 con Ross Perot, che consegnò la vittoria a Bill Clinton contro il presidente Bush padre.

Trump è alla ribalta da 40 anni. Costruttore edile figlio di costruttore edile, ricco sfondato (patrimonio di nove miliardi), sposa la modella cecoslovacca Ivana nel 1977. Dopo il divorzio del 1990 altre nozze glamour con l’attrice Marla Maples. Ivana invece si dà agli italiani. Ne sposa due: Riccardo Mazzucchelli, poi Rossano Rubicondi. Ora sta con Marcantonio Rota.

Donald si acquieta con un’altra modella slava, Melania Knauss. Da tredici anni vivono nel superattico della Trump Tower sulla Quinta Avenue di Manhattan. Dove ci sono altri tre grattacieli col nome Trump: quello nero e altissimo di fronte all’Onu (262 metri, 72 piani, appartamenti di Sophia Loren, Valentino Rossi, Bill Gates, Harrison Ford, Madonna), l’hotel a Columbus Circle e l’ex hotel Delmonico sulla Park Avenue. L’impero Trump si estende poi su innumerevoli palazzi a Chicago, Las Vegas, Atlantic City e in Florida.

Ma nella cultura pop Trump è famoso anche come patron dei concorsi Miss Usa e Miss Universo, attore in film e serial tv (Sex and The City) e infine, come seviziatore di giovani ambiziosi nel reality The Apprentice.
In effetti, Donald è un misto fra Flavio Briatore (il boss dell’Apprentice italiano), Silvio Berlusconi e Ronald Reagan. Anche quest’ultimo era un outsider, attore disprezzato come politico, quando arrivò alla Casa Bianca nel 1980. Difficilmente Donald eguaglierà Ronald. Ma almeno per qualche mese ci divertiremo.
Mauro Suttora


Wednesday, March 11, 2009

Rottamare le case

Lezione dagli Usa: ricostruire i palazzi dopo 70 anni

di Mauro Suttora

Libero, martedì 10 marzo 2009

Negli Stati Uniti a settant’anni sono già vecchi. Quindi si buttano giù, si rottamano, e al loro posto se ne costruiscono altri nuovi di zecca in pochi mesi. I palazzi di New York sono affascinanti. Basta stare via da Manhattan per qualche anno, e al ritorno la città è irriconoscibile. Lo skyline della capitale del mondo è in perpetuo cambiamento.

Speriamo che la scossa edilizia annunciata da Berlusconi tolga dal torpore le città italiane, dove invece si conserva maniacalmente tutto, anche le topaie di cent’anni fa senza alcun valore storico: quelle che meriterebbero solo di essere rase al suolo per il benessere dei loro stessi inquilini.

A New York il programma misto pubblico/privato Equity fund, nato vent’anni fa e molto utilizzato dall’ex sindaco Rudy Giuliani per riqualificare zone invivibili del Bronx, ha permesso di rinnovare più di 20mila appartamenti di case popolari degradate. I costruttori ci hanno messo soldi (due miliardi di dollari) e cantieri, in cambio di cospicui tagli di tasse cittadine e statali (qui il federalismo fiscale è una realtà). «Gli inquilini sono stati trasferiti in “case-polmone” per 24 mesi, e al loro ritorno hanno ritrovato un appartamento di eguale metratura completamente nuovo», spiega Kathryn Wylde, presidente della società Housing Partnership.

Ovviamente questo meccanismo funziona dove la proprietà dei singoli appartamenti non è frazionata, e gli inquilini sono in affitto. Ma anche nel caso di molti proprietari in un unico stabile, con un’offerta allettante di può procedere alla rottamazione in tempi rapidi.

Gli americani non hanno pietà. Gli architetti Diller e Scofidio hanno appena finito di ricostruire la Alice Tully Hall, famosa sala concerti del Lincoln Center, nonostante avesse solo cinquant’anni. E sempre in questa zona di New York, che fino agli anni ’50 ospitava i fatiscenti tuguri portoricani in cui Leonard Bernstein ambientò la sua West Side Story, Donald Trump e altri «developers» hanno innalzato negli ultimi anni grattacieli di 60 piani con appartamenti dotati di vista sul fiume Hudson.

Di fronte a casa mia, all’angolo di Broadway con la 93esima Strada, ho visto incredulo sorgere a tempo record un «condo»(minio) di 16 piani dopo la distruzione di un vecchio palazzo di 4 piani. Hanno costruito al ritmo di un piano a settimana.

Mentre a Milano si conservano religiosamente obbrobri urbani come via Padova o viale Monza, e a Roma il Tiburtino o il Prenestino offrono squallore metropolitano, a New York procede senza soste la «gentrification». Che significa rinnovamento e miglioramento di interi isolati, con l’afflusso di inquilini di livello migliore, negozi più belli, ristoranti alla moda, servizi. Così si sono rinnovate l’Upper West Side, Tribeca, Soho, l’East Village e perfino Harlem. L’esatto contrario di quel che avviene in Italia, dove i quartieri lasciati andare poco a poco decadono. I prezzi crollano, arrivano gli immigrati, e così addio Esquilino a Roma, o Sarpi a Milano.

Ora la crisi sta mordendo duro nelle città americane. Manhattan non fa eccezione: sono almeno trenta i cantieri di grattacieli bloccati. Ce l’ha fatta per un pelo il palazzone residenziale al numero 15 di Central Park West, accanto a una delle tante torri Trump, sorto sulle rovine di una costruzione fine Ottocento: i costruttori Zeckendorf hanno venduto tutti gli appartamenti poche settimane prima della crisi. Fra gli acquirenti, l’attore Denzel Washington (ha pagato 12 milioni per 300 metri quadri con vista su Central Park) e il cantante Sting. Non così fortunato il nuovo palazzo di Richard Meier, l’architetto della contestata Ara Pacis a Roma: la sua residenza di lusso a Chelsea, con le vetrate che danno sull’Hudson, è piena solo a metà.

Comunque gli statunitensi non sono dei barbari: se un edificio ha un valore architettonico viene risparmiato. Quindi nessuno ha toccato la Grand Central Station. Il Madison Square Garden, invece, inaugurato nel ’68 con l’incontro di boxe Benvenuti-Griffith, è il quarto della serie. E presto verrà abbattuto, per costruirne un quinto.

Mauro Suttora

Friday, November 18, 2005

Bob Tisch

PORTACHIAVI, ALBERGHI, FOOTBALL. COSI' BOB TISCH DIVENTO' L'ANTI TRUMP

di Mauro Suttora

Il Foglio, 18 novembre 2005

Addio allo zio Paperone piu' simpatico d'America

New York. La sua famiglia traslocava ogni tre anni. Così, ogni volta risparmiava tre mesi d'affitto: lo sconto iniziale offerto dai proprietari per attirare nuovi inquilini. Non che i genitori di Bob Tisch fossero poveri. Suo padre, emigrato dalla Russia, era piccolo imprenditore nel ramo vestiti, e poi si è dato alla pallacanestro. Ma la depressione degli anni '30 costringeva anche la classe media a risparmiare su tutto.

Gli inflissero un nome impressionante, quando nacque nel 1926: Preston Robert. Mai usato. Bob scorrazza per Bensonhurst, il quartiere di Brooklyn dove ebrei e italiani convivono nei termini di una perenne tregua armata. Il "C'era una volta in America" del ragazzo Tisch si dipana poi (causa i traslochi triennali) nel Bronx, e quindi di nuovo a Brooklyn, dove prende il diploma liceale. Tutte le estati nel campeggio gestito dalla mamma, piccolo investimento familiare. Infine la guerra, e nel '44 l'università. Lì lo incontra Joan, mentre lui vende portachiavi di fronte allo stadio di football: uno per dieci cents, due per quindici. Si sposano nel '48.

Bob è ancora studente di legge ad Harvard quando consiglia a suo padre di comprare un vecchio albergo del New Jersey per 175mila dollari. Lo rimettono a posto, aggiungono una piscina e inventano "promozioni" bizzarre, come le tre renne fatte venire apposta dalla Finlandia per trascinare una slitta invernale. Successone. Iniziano gli anni '50: la famiglia Tisch ha tanti di quei soldi che si mette a giocare a Monopoli con terreni, case e hotel ad Atlantic City. Il fratello di Bob, Larry, fiuta gli affari e compra alberghi decrepiti, anche a Manhattan, per pochi dollari. Poi arriva Bob che li restaura, aumenta le tariffe e li gestisce. Controlla tutto: vuole assumere di persona perfino i fattorini.

Nel 1956, quando costruisce il suo primo grande albergo in Florida, paga sull'unghia 17 milioni di dollari. Nienti prestiti, il contrario di Donald Trump. Il primo anno ha già fatturato 12 milioni. Il segreto: le convenzioni aziendali. Nel 1960 l'antitrust costringe il colosso del cinema Loews a dividersi in due: da una parte la produzione dei film, dall'altra le sale. I fratelli Tisch comprano queste ultime con 65 milioni. Poi ne demoliscono alcune per costruirci alberghi, come il Summit da 800 camere a Lexington Avenue, primo nuovo hotel a Manhattan dai tempi della Depressione. E l'Americana con duemila stanze è l'albergo più alto del mondo (cinquanta piani) quando apre nel '62.

Bob e Larry non sanno più dove mettere i soldi. Differenziano gli investimenti, e nasce un "conglomerato": comprano società di tabacco (Lorillard), assicurative (Cna), di orologi (Bulova). Mentre il fratello coltiva la passione della tv (presidente Cbs per nove anni) e il figlio Steve quella cinematografica (produttore di "Forrest Gump"), Bob si dà al servizio civico. Negli anni '70 inventa i "power breakfast", i leggendari "breakfast da Ti...sch" che tiene ogni mattina nel suo hotel Regency di Park Avenue, e ai quali partecipano Henry Kissinger, l'allora sindaco di New York David Dinkins, e politici, finanzieri, industrali, attori. Si mangia, si chiacchiera e si fanno affari.

Bob Tisch ha una simpatia straordinaria ("larger than life") e contagiosa. S'impegna per tirar fuori la Grande Mela dalla crisi finanziaria del '76: viene nominato "ambasciatore di New York a Washington" dal sindaco, e conserva questa carica informale e gratuita fino al '93. Coagula gli investimenti per il centro congressi Javits. Nel '76 e '80 è presidente organizzativo delle convention democratiche, ma il suo impegno è bipartisan. Nell'86 Ronald Reagan lo nomina a capo delle Poste Usa, che subiscono la concorrenza dei corrieri privati.

A Bob piace lavorare anche di domenica, e quindi fino a 35 anni non vede neanche una partita di football. Ma a 65 anni vuole togliersi un altro sfizio, e compra la metà della squadra dei New York Giants. Rischia di passare alla storia soprattutto per questo, a giudicare dai necrologi di ieri. Coincidenze: l'altro proprietario, Wellington Mara, è morto tre settimane fa a 89 anni, di tumore. Il fratello Larry, dopo aver finanziato la costruzione di metà New York University (compreso il restauro della stupenda villa Acton, campus fiorentino), è scomparso due anni fa. Oggi l'impero Tisch vale 74 miliardi di dollari. Un anno fa a Bob è stato diagnosticato un tumore al cervello. Lui ha continuato a far colazione al Regency e a regalare centinaia di milioni per costruire palestre nelle scuole. Il Paperone simpatico è morto il 15 novembre a 79 anni nella sua casa di Manhattan.

Friday, September 09, 2005

Ivana Trump

Oggi, 14 settembre 2005

NELLA GUERRA DEI GRATTACIELI IVANA VOLA PIU' IN ALTO DI DONALD

L'ex signora Trump costruira' a Las Vegas una megatorre per vip

Con ottanta piani sara' il palazzo dei record nella capitale americana del gioco, e superera' anche la Trump International Tower dell'ex marito. Pronto nel 2008, avra' 943 appartamenti extralusso

Il bidet c’è soltanto nelle suites più spaziose: Nizza, Positano e Amalfi. Perchè nei Paesi anglosassoni non si usa, è considerato un’eccentricità un po’ ambigua e decadente dell’Europa continentale. Quindi anche nel nuovo grattacielo Trump a Las Vegas, che sarà pronto alla fine del 2008, la maggior parte dei bagni ne sarà sprovvista. Per il resto, però, gli ottanta piani di quello che si annuncia come il palazzo più alto nella capitale del gioco statunitense verranno arredati lussuosamente: rubinetti dorati, vetrate con viste mozzafiato, rifiniture in legno pregiato. Com’è tipico dello stile Trump, rutilante fino all’eccesso.

Solo che questa volta a costruirlo non sarà il miliardario Donald Trump. E’ infatti scesa in campo Ivana, la sua ex moglie cecoslovacca 56enne, che debutta firmando il suo primo grattacielo. I 943 appartamenti sono già in vendita, sotto lo slogan ambivalente “Size matters” (“La misura conta”). Faranno concorrenza ai 64 piani di un’altra torre, la Trump International Tower, questa tirata su dal Donald originale. Il quale non è per nulla contento dello scherzetto giocatogli dalla sua ex: un po’ perchè ha invaso il suo campo di specializzazione, ma soprattutto per lo schiaffo dei sedici piani in più.

«Sono due progetti diversi, non paragonabili», attacca lui. «Il mio è in centro, proprio nel cuore di Las Vegas, vicino al nuovissimo casinò appena aperto da Steve Wynn. Ho già venduto in anticipo tutti i miei 1.268 appartamenti, con anticipi del dieci per cento sui prezzi, che vanno dagli 800 mila agli otto milioni di dollari l’uno. Il palazzo di Ivana invece è troppo a nord, alla fine della Strip, in quello che una volta era il centro di Vegas, ma che ora è diventato periferia».

Anche Ivana, però, sembra avere successo. Il suo socio Victor Altomare assicura di avere già venduto la metà degli appartamenti, che hanno un ventaglio più ampio di prezzi: dal mezzo milione di dollari per i monolocali, ai 35 milioni del superattico. E la pubblicità è appena iniziata. Come anticipo, tuttavia, lei si accontenta di appena diecimila dollari per unità. In ogni caso, sarà un progetto colossale: i soli costi di costruzione si aggirano intorno ai 500 milioni di dollari. A quanto ammonta la quota di Ivana, non è dato sapere. Ma quel che conta è che sul grattacielo ci sia la sua firma, con la sottolineatura in color rosa rossetto che è il simbolo degli altri suoi prodotti: profumi, vestiti, accessori.

Ivana conservò il diritto all’uso del cognome Trump quando si separò nel 1992, dopo quindici anni di matrimonio e tre figli. Si fece liquidare con 25 milioni di dollari: allora fu il divorzio più costoso della storia, dopo quello di
Steven Spielberg. Per questo oggi la bionda signora può tranquillamente rispondere, all’ex marito il quale insinua il sospetto che Ivana si faccia usare dai costruttori per il suo cognome: «Sono contenta che Donald si preoccupi per me, ma non sono proprio il tipo di persona che si fa usare...»

Ivana divide il proprio tempo fra le magioni a New York, Londra e Saint Tropez e il suo yacht. E’ attratta dagli uomini italiani: tutti i partner con cui si è accompagnata dopo il divorzio sono nostri connazionali. Prima Riccardo
Mazzucchelli, sposato in un albergo di New York alla fine del ‘95 e lasciato ventidue mesi dopo. Poi il principe Roffredo Gaetani di Laurenzana dell’Aquila Lovatelli d’Aragona, concessionario Ferrari a New York incontrato al ballo della Croce Rossa a Montecarlo. Infine, da tre anni e mezzo, il trentenne romano Rossano Rubicondi.

Nel frattempo, l’ex signora Trump si è costruita un proprio piccolo impero economico, Ivana Inc., che fattura 50 milioni di dollari l’anno e vende vestiti col marchio House of Ivana. Approdata a Capri, si è fatta conquistare dai
cameo dell’antica ditta Scognamiglio di Torre del Greco e ora li vende sul suo sito internet. Con l’aiuto di un ghost writer ha scritto tre libri: due romanzi e la guida per le prime mogli The Best Has Yet To Come (Il Meglio deve Ancora Venire), con il sottotitolo Come affrontare il divorzio e godersi di nuovo la vita. Tiene conferenze per signore separate in tutti gli Stati Uniti, è in prima fila alle sfilate di moda a Parigi e New York, risponde ai lettori di un settimanale di gossip, frequenta il festival di Cannes e ora - dopo il mattone - vuole sfidare l’ex marito anche in campo televisivo: è pronto per lei l’ennesimo reality show, Ivana Young Man.

Donald Trump ha avuto un grande successo nelle ultime due stagioni con il reality L’Apprendista, in cui ogni settimana elimina senza pietà un giovane aspirante businessman: «You are fired!», sei licenziato, è lo slogan ormai trasformatosi in tormentone, che Donald ha perfino appeso su un lenzuolo appeso alla facciata del suo grattacielo più famoso, la Trump Tower della Quinta Avenue a Manhattan. Dopo aver divorziato dalla seconda moglie Marla Maples a gennaio si è sposato per la terza volta, con la modella slovena Melania Knauss.

«Le donne sono come le bustine di the», recita una delle frasi preferite di Ivana, «non ti accorgi mai di quanto sono forti finchè non entrano nell’acqua bollente». Per lei ora la sfida è rappresentata da quel grattacielo di Las
Vegas, la città che si sta espandendo più velocemente negli Stati Uniti assieme a Phoenix in Arizona e a Naples in Florida, anch’esse nella «cintura del sole» che attrae i ricchi pensionati. «Ivana manhattanizzerà Las Vegas», urlano i titoli dei giornali, riferendosi all’altezza del suo palazzo. Sarà in buona compagnia: sono addirittura un centinaio i grattacieli attualmente in progetto nella capitale del poker, con seimila appartamenti già in vendita e prenotazioni
per altri dodicimila. Finora lei aveva pubblicizzato un resort di lusso in Australia e il condominio Bentley Bay Miami, ma non si era mai spinta fino a battezzare con il proprio nome un intero palazzo.

L’abbiamo incontrata al Fizz di New York, il club privato più chic del momento dove ha dato il via alla campagna marketing per il suo grattacielo grigio-rosa. «Parecchi italiani hanno già prenotato», dice sorridendo, a noi e alla folla di fotografi che ci assedia. I suoi tre figli ormai sono grandi, Ivanka è anch’essa entrata nel jet set dei «figli di», come l’ereditiera Paris Hilton, «famosi solo per essere famosi».

Lei, emigrata prima in Canada e poi negli Usa dai poveri monti Tatra boemi, si è arrampicata e ce l’ha fatta, prima grazie a quel cognome, poi per merito della propria intraprendenza. E ora la sfida passa nel campo del cemento armato. «Voglio bene a Donald, lo considero ancora parte della mia famiglia», giura lei. Le crediamo, anche perchè in tanti anni assieme sicuramente si è rinforzata anche con qualche tondino d’acciaio. Lui l’aveva messa a capo del leggendario hotel Plaza subito dopo averlo acquistato. E lei ha imparato (troppo bene) la lezione.

Mauro Suttora

Monday, August 08, 2005

Giuseppe Cipriani, successo a New York

Smentite e rivelazioni di Giuseppe Cipriani, il re della dolce vita newyorkese

IO E SIMONA VENTURA? 
BUGIE, AMO UNA MODELLA DI 29 ANNI

"Simona è solo un'amica, ci siamo incontrati al mare, tutto qui". L'irresistibile ascesa dell'ex genero di Gardini, ora fidanzato con Carolina Parsons, socio di Briatore e proprietario dei ristoranti più alla moda di Manhattan

dal corrispondente a New York Mauro Suttora

Oggi, 10 agosto 2005

Essere figli di un padre famoso è sempre un problema. Che raddoppia quando si sceglie il suo stesso lavoro. E triplica quando si eredita la sua azienda. A meno che non si riesca a superarlo.

Giuseppe Cipriani ci sta riuscendo. Il figlio del mitico Arrigo, proprietario dell'Harry's Bar di Venezia sbarcato vent'anni fa a New York, è diventato il re delle notti di Manhattan grazie ai ben otto ristoranti e sale di gala aperti negli ultimi anni. 

E' stato addirittura coniato un nuovo aggettivo, «ciprianesque», con cui gli americani invidiosi definiscono l'atmosfera di elegante dolce vita che si respira nei suoi locali. 
«Ormai posso stare tranquillo, qui negli Stati Uniti c'è Giuseppe», sorride soddisfatto papà Arrigo, 72 anni, carattere non facile.

Anche Giuseppe, 40 anni, è scontroso. Non ama i giornalisti, custodisce con cura la propria vita privata. Figurarsi quindi dieci giorni fa, quando qualche rotocalco italiano lo ha spacciato come il nuovo uomo di Simona Ventura. 
Non si è preoccupato neppure di smentire. Per lui lo fa la sua pierre di New York, Stefania Girombelli: «Bufala totale, Giuseppe è felicemente fidanzato da quattro anni con una modella cilena qui a New York». 

Understatement: Carolina Parsons, 29 anni, è «la» modella del Cile, famosa nel suo Paese quanto Valeria Mazza lo è nella vicina Argentina. Amiche e vicine di casa, le due bellezze sudamericane, e ad ogni Capodanno ospiti della magione Cipriani a Punta Del Este, la Portofino dell'Uruguay.

Giuseppe Cipriani si muove con disinvoltura e familiarità nel jet set internazionale. Pochi mesi fa lui e Carolina erano invitati al matrimonio americano del secolo (per ora): quello di Donald Trump in Florida con la sua Melania Knauss, modella slovena pure lei amica di Carolina. 

Ma è rimasto in ottimi rapporti anche con Ivana, ex di Trump, ed è gran compare dell'ex di Ivana, il principe Roffredo Gaetani Lovatelli d'Aragona, il quale a sua volta era l'uomo di fiducia di Gianni Agnelli a New York. E tutto questo giro vorticoso di uomini ricchissimi e donne bellissime si ritrova a ogni pranzo nel ristorante Cipriani sulla Quinta Avenue, davanti a Central Park, e ogni sera in quello di Soho, a West Broadway.

Lì si celebra il trionfo del Bellini, l'aperitivo prosecco/succo di pesca che è il simbolo dell'Harry's Bar di Venezia: inventato da nonno Giuseppe nel 1931, e assaporato da clienti come Ernest Hemingway, Truman Capote, Orson Welles e Peggy Guggenheim. 

Oggi le celebrità ai tavoli newyorkesi si chiamano Roberto Cavalli e Naomi Campbell, Leonardo DiCaprio e Nicole Kidman: tutti sono ghiotti di carpaccio e tartare di tonno. 
«Donne con scollature troppo basse e uomini col portafogli troppo grosso», brontola qualche vecchio americano bigotto dell'Upper East Side, di quelli che corrono a dormire alle dieci, insinuando che le prime siano quasi tutte prezzolate e che per i secondi si tratti di un infernale miscuglio fra protettori, spacciatori e mafiosi. 

Ma ormai lo stile stigmatizzato come «eurotrash» (spazzatura europea) dalle mummie benpensanti ha avuto la meglio, e ha conquistato le nuove generazioni del glamour statunitense. 
Un giorno sì e uno no «Page Six», la rubrica gossip più famosa d'America, pubblica l'elenco dei personaggi apparsi la sera prima da Cipriani Downtown.

Poi ci sono le altre gemme dell'impero di famiglia, che ormai fattura sui 150 milioni di euro all'anno. In primis la Rainbow Room, mitico ristorante con salone per feste al 65esimo piano del grattacielo più alto del Rockefeller Center, con la migliore vista a 360 gradi sui tramonti di Manhattan.

Costruita negli anni Trenta e incastonata da tempo in tutte le guide turistiche, la Rainbow Room è stata conquistata dai Cipriani nel '99. Anche qui, per vendicarsi, qualche geloso newyorkese dell'establishment Wasp (White Anglo Saxon Protestant) ha messo in giro la voce che, per piegare i potenti sindacati dei camerieri, Giuseppe avrebbe fatto intervenire addirittura Cosa Nostra.

Di che cosa può essere accusato un italiano di successo negli Stati Uniti, se non appunto di essere un novello Soprano, affiliato al clan Gotti? 
La verità è che la corporazione dei camerieri in America è così esosa che quasi tutti i ristoranti che impiegavano iscritti al sindacato hanno dovuto chiudere (compreso il più famoso di tutti, "Le Cirque" del lucchese Sirio Maccioni).

Stesso destino ha rischiato il Cipriani della Quinta Avenue, salvato in extremis poche settimane fa da un accordo che ha abbassato il costo del lavoro. Ma ormai la maggioranza dei ristoranti newyorkesi (una vera e propria industria, la maggiore della città) per sopravvivere è costretta ad arruolare sudamericani clandestini e studenti che campano di sole mance.

«Altro che dolce vita, io lavoro dalle nove del mattino alle due di notte», risponde Giuseppe Cipriani a chi lo definisce un playboy. Eppure quegli abbracci e baci alla Supersimo nazionale a Porto Cervo sono stati fotografati, non può negarli.

«Solo amici», tronca lui. Che si trovava in Costa Smeralda per un buon motivo, d'altronde: da due anni la cucina del Billionaire di Flavio Briatore è assicurata da Cipriani. Solo luglio e agosto, toccata e fuga, prezzi a livelli newyorkesi: cento euro a testa per il menù fisso al grill della piscina, ancora di più nel ristorante. 

Ma il successo maggiore, attualmente, è quello dell'altra recente joint-venture con Briatore: il ristorante di Londra, che sforna 400 coperti al giorno e che è stato così lodato dal critico del quotidiano Independent: «Dalla più antica città commerciale del mondo (Venezia) ci è giunto l'export che avevano sempre aspettato». 

Meglio così. Perchè quando una rubrica gastronomica newyorkese aveva invece azzardato una stroncatura, i Cipriani hanno ribattuto: «La prossima volta quel giornalista si levi il preservativo dalla bocca...»

«Ma ormai gli orizzonti di Giuseppe si stanno ampliando oltre la ristorazione», spiega il suo amico Paolo Zampolli, che lavora per Trump, «e grazie al suo brillante marketing si espandono nel settore immobiliare». 

Cipriani, alleato al potente gruppo ebraico Witkoff, costruirà sul fiume Hudson il salone per ricevimenti più grande di New York. E nella nuova sala di Wall Street (un'ex banca) ospita una serie di concerti privati di prestigio, da Rod Stewart a Stevie Wonder, da Sheryl Crow ad Alicia Keys. Prezzo per un tavolo: centomila dollari.

Giuseppe Cipriani ha due figli avuti dalla ex moglie Eleonora Gardini, figlia di Raul, il padrone del gruppo Ferruzzi-Montedison suicidatosi nel '93: Ignazio, 17 anni, e Maggio, 14. 

Quel matrimonio è finito. Ma l'ambitissimo cuore di Giuseppe sembra ancora saldamente occupato dalla bella Carolina cilena. La caccia al misterioso nuovo amore americano di Simona Ventura (sempre che ce ne sia mai stato uno) può continuare.
Mauro Suttora