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Tuesday, December 27, 2022

La Croazia nell'euro riunisce l'Adriatico, come ai tempi della Repubblica veneziana



Dal primo gennaio sarà di nuovo possibile, dopo 225 anni, viaggiare da Venezia fino alle più lontane città adriatiche della ex Serenissima senza dover cambiare valuta, attraversare dogane né mostrare documenti

di Mauro Suttora

HuffPost.it, 27 dicembre 2022 

Risorge il Leone di San Marco: dal primo gennaio sarà di nuovo possibile, dopo 225 anni, viaggiare da Venezia fino alle più lontane città adriatiche della ex Serenissima senza dover cambiare valuta, attraversare dogane né mostrare documenti.

La Croazia adotta la nostra moneta: entra nell'eurozona e nello spazio Schengen. Viene così ripristinata l'unità economica e politica fra Veneto, Friuli, Istria, isole del Carnaro e Dalmazia rotta nel 1797: in quell'anno Napoleone invase Venezia, la repubblica più antica, ricca, civile e tollerante del mondo, e poi la diede all'Austria con il trattato di Campoformio. 

Da Ancona a Pola, da Pescara a Zara, da Bari a Spalato e giù fino a Ragusa/Dubrovnik (anch'essa repubblica indipendente per secoli fino al 1808), il mare Adriatico tornerà ad essere "golfo di Venezia", com'era denominato su tutti gli atlanti fino al '700. 

Quindi la Croazia, dopo la Slovenia nel 2004, fa ingresso a pieno titolo nell'Europa unita, abbandonando la propria moneta (kuna) per l'euro. Porta in dote il suo porto principale, Fiume/Rijeka, che come Trieste non era mai stato veneziano: fino al 1918 fu lo sbocco al mare dell'Ungheria, così come il capoluogo giuliano era il porto dell'asburgica Vienna. 

Per la verità un'unità adriatica si era già ripristinata nel 1815-66, quando da Venezia alle bocche di Cattaro/Kotor, oggi porto montenegrino, comandava l'impero austriaco. Ma fu appunto una dominazione straniera, contestata sia dagli irredentisti italiani (Niccolò Tommaseo veniva da Sebenico, e dalmata era pure Antonio Baiamonti, sindaco di Spalato fino al 1880), sia dai nazionalisti croati. 

Non è un caso che gli unici due stati italiani non risorti con la Restaurazione del 1815 siano stati Venezia e Genova: erano repubbliche, quindi invise ai regni nuovamente padroni d'Europa dopo la ventata democratica napoleonica.

Il ritorno di Veneto e Friuli all'Italia nel 1866, dopo la terza guerra d'indipendenza, incattivì l'imperatore austriaco Francesco Giuseppe. Da allora in Istria e Dalmazia gli austriaci si vendicarono favorendo i croati rispetto agli italiani. Così esasperarono gli opposti nazionalismi fra due popolazioni che sotto Venezia avevano convissuto pacificamente per secoli, con proficua divisione del lavoro: marinai e pescatori gli italiani, contadini i croati. Un esempio di tolleranza per gli attuali irriducibili sciovinismi dell'est europeo, dalla Bosnia alla Russia, dal Kosovo all'Ucraina, dalla Serbia alla Crimea. 

Nella nostra parte del continente l'Unione europea ha fatto dimenticare il sangue degli ultimi cent'anni. Oggi a Gorizia, città martire della prima guerra mondiale, la nostra frontiera con la Slovenia è impercettibile quanto quelle con Francia o Austria. E Trieste ha sorpassato l'incubo dei carri armati comunisti incombenti sul Carso fino al 1989.

Festeggia Renzo Codarin, presidente dell'Anvgd (Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia): "Si ricompone l'unità dell'italianità adriatica. Accogliamo con favore la completa integrazione della Croazia nell'Unione europea, che abolisce il confine sloveno-croato e restituisce continuità territoriale a Istria, Carnaro e Dalmazia".

Ma non c'è alcun accento revanscista da parte dei 350mila esuli italiani del 1947: "Abbiamo vissuto con dolore e sofferenza l'imposizione di confini che seguivano la logica della guerra fredda, senza considerazione per le istanze dell’italianità autoctona e del principio di autodeterminazione dei popoli. Ora gli esuli, i loro discendenti e le comunità italiane di Slovenia e Croazia potranno finalmente ritrovarsi nella lingua, cultura e tradizioni comuni, all'interno di una struttura statuale libera e democratica, con la salvaguardia delle culture locali".

 

Thursday, November 17, 2016

parla Riccardo Mazzucchelli, secondo marito di Ivana Trump

Donald Trump conserva ottimi rapporti con le due ex mogli, e ha coinvolto tutti i figli nella sua avventura politica. Da tenere d’occhio soprattutto il giovane genero Kushner

di Mauro Suttora

New York, 17 novembre 2016



«Incontravo Donald nell’ascensore della Trump tower a Manhattan. Io andavo all’ultimo piano, nell’attico dove viveva Ivana, la sua moglie separata. Lui si fermava prima, nell’appartamento dove stava dopo la separazione.
Ci salutavamo, avevamo rapporti cordiali, ma a un certo punto gli dissi: “Senti Donald, io amo la tua ex moglie, però vedo che avete buoni rapporti e che siete ancora molto legati dai vostri tre figli piccoli, Donald junior, Ivanka ed Eric. Quindi dimmelo subito, perché fra sei mesi sarà troppo tardi: se pensi che fra voi possa esserci una riconciliazione, io mi ritiro in buon ordine. Non voglio rovinare una famiglia”».

Riccardo Mazzucchelli, 73 anni, racconta a Oggi i suoi incontri ravvicinati del 1991 con Donald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti.
«Lui, sempre gentile, mi rispose: “No problem Riccardo, go ahead”». Vai avanti.

Così Mazzucchelli, businessman internazionale che oggi vive a Spalato (Croazia), divenne il secondo marito di Ivana Trump (il terzo, Rossano Rubicondi, ha confermato la passione della signora per gli italiani, così come il suo successivo fidanzato, Marcantonio Rota).

E Trump, dopo aver liquidato sontuosamente Ivana, sposò l’attricetta americana Marla Maples dopo anni di clandestinità. Leggendario rimane lo scontro fra la moglie Ivana e l’amante Marla su una pista di sci ad Aspen (Colorado) nel 1990.

Nel ’97, quasi contemporaneamente, Ivana divorziò da Riccardo e Donald da Marla. Il paperone newyorkese aveva incontrato la terza moglie Melania, confermando la propria passione per le slave.

Trump e le donne. Lui si vanta di conquistarle tutte grazie ai suoi soldi. Non va lontano dal vero, ma per questa ovvietà è stato crocifisso: maschilista. Eppure le sue ex mogli continuano ad avere ottimi rapporti con lui: Ivana ha sposato Rubicondi nel favoloso palazzo trumpiano di Mar-a-Lago in Florida, Marla non ha più pubblicato il libro contro Donald annunciato con la fanfara.

Entrambe gli hanno dato l’endorsement pubblico per la candidatura, e imperversano sui reality tv. Dopo The Apprentice che ha reso Donald un eroe tra i giovani, Ivana ha condotto il Grande Fratello Usa. E questa primavera Marla ha ballato con le stelle.

Fosse stato per lui, dopo la Convention repubblicana le avrebbe invitate anche sul palco della vittoria l’8 novembre, come un patriarca magnanimo. A Tiffany, 23enne unica figlia di Marla, ha appena regalato una casa nel quartiere più esclusivo di New York, l’Upper East Side, per la sua laurea alla Penn University (in quella Pennsylvania ex democratica che ha inopinatamente conquistato).



Ma a fare la parte del leone sono i tre figli di Ivana. Il miliardario ha annunciato che lascerà loro tutte le sue società, in un blind trust per evitare il conflitto d’interessi. E già molti avevano storto il naso per questa successione familiare assai poco blind (cieca).

Poi è arrivato l’incredibile annuncio: i tre trentenni sono tutti imbarcati nel Transition team, la squadra che sceglierà i ministri e gli altri 4 mila nuovi dirigenti che governeranno gli Stati Uniti. Un rinnovamento gigantesco, perché Trump è totalmente estraneo alla politica. E Ivanka farà politica come e più della matrigna Melania, splendida First Lady.

C’è posto anche per i generi, nella tribù Trump. Ricordatevi questo nome: Jared Kushner. Marito di Ivanka, pure lui come Donald figlio di un costruttore edile (condannato per evasione fiscale, finanziamenti illegali a politici e subornazione di testimoni), a 25 anni ha comprato il settimanale New York Observer per 10 milioni di dollari: «Li ho guadagnati vendendo case durante l’università ad Harvard». È stato uno dei cervelli del trionfo elettorale, per amor suo Ivanka si è convertita all’ebraismo. Conterà molto nella Casa Bianca.

Negli Anni 30 la mamma di Donald Trump approdò in America come emigrante dalla Scozia. Era poverissima: possedeva solo i vestiti che indossava. Trump senior, figlio di un immigrato tedesco, manifestava a New York col Ku Klux Klan contro gli immigrati italiani cattolici fascisti che minacciavano la supremazia degli anglosassoni protestanti come lui.

Il loro figlio un anno fa era dato al 2 per cento di possibilità di diventare presidente. Qualunque cosa si pensi del tycoon coi capelli arancioni, un altro sogno (o incubo) americano si è avverato.
Mauro Suttora