IL SISMA DEL 6 MAGGIO 1976 NELLE PAROLE DEGLI STESSI SOPRAVVISSUTI, ALLORA E OGGI
di Mauro Suttora
Oggi, 6 maggio 2016
«La casa, vecchia, era mia. Proprio al numero 24 di via Properzia, a Gemona. L’avevo sistemata di recente e da pochi mesi mi ero comperato la sala da pranzo nuova. Adesso non c’è più casa, né mobili, né via, né contrada, né amici. Tutto distrutto, cancellato. Non abbiamo nemmeno lacrime da piangere perché bisogna preoccuparsi del futuro.
«È andata così. Verso le 9 di sera di giovedì 6 maggio, conclusa la cena, ero andato dabbasso a chiudere la porta. E qui ho avvertito la prima scossa del terremoto. Ho gridato: “È il preannuncio, verrà subito la seconda scossa, scappiamo!”.
«Sono salito e ridisceso a balzi, spingendo avanti mia moglie Luigia, tirandomi dietro i nostri due figlioletti, Stefano di 12 anni e Gabriele di 10. Mia madre Rosa, meno pronta a muoversi per l’età avanzata, 73 anni,
era rimasta indietro. Sono tornato a prendere pure lei. Incredibile. Il tutto in una ventina di secondi.
Varco la soglia: si scatena il finimondo. La mia e le case vicine si sbriciolano con una serie di schianti tremendi, una grossa pietra sfiora tutta la mia famiglia mentre un’altra, più piccola, mi cade sulla testa.
«PER UN’ORA SI SENTE GRIDARE “MAMMA, MAMMA!”»
«Mia madre, sofferente di cuore, viene ferita alla testa e alle gambe. S’innalza un polverone che acceca, divampa un coro di urla, invocazioni, gemiti. Per un’ora non si sente che gridare “Mamma, mamma!”.
Buio e orrore. Incontro sul cancello della sua casa mio fratello, mezzo morto. Ma purtroppo non ho il tempo di occuparmi di lui. Il mio bambino più piccolo è bagnato di sangue: per fortuna è il mio, che esce dalla ferita.
«Con la prima auto, all’ospedale di Udine: medicano me, suturando la ferita con vari punti, ma non possono accogliere la mamma perché sono già al completo. Altra corsa, al policlinico di Palmanova, lascio la mamma in buone mani per tornare in paese. Contiamo 13 morti dalla nostra parte della strada e 23 accanto».
Così raccontava Luigi Londero, 44 anni, dipendente della Solari di Udine, agli inviati di Oggi in Friuli nel maggio 1976. Il terremoto aveva fatto quasi mille morti. Londero è scomparso nel 2007.
Il suo figlio minore Gabriele, che fotografammo con lui, oggi maresciallo dei Carabinieri a Udine dopo aver girato l’Italia (Milano, Bolzano, Roma, Vicenza, Modena, Paularo in Carnia), ricorda adesso quei drammatici giorni:
«Nostro padre ebbe quasi un presentimento e ci spinse subito fuori. Oltre la soglia della porta c’era l’inferno. Noi ragazzini eravamo già in pigiama, a piedi nudi. Andammo al centro del cortile, lontano dai muri che potevano ancora crollare. Nel buio sentivamo solo preghiere e pianti.
«TENDE DI NYLON, POI FUGGIMMO IN CANADA»
«Quella notte raggiungemmo scalzi un fienile in campagna e dormimmo lì. Poi ci sistemammo in tende di nylon vicino a casa. Dopo qualche giorno mio fratello ed io andammo in Canada da mio zio, che era emigrato lì vent’anni prima con mio padre. Tornammo il 10 settembre, e proprio l’11 ci fu la replica del terremoto.
«Il boato e la paura furono peggio della prima volta. Ci evacuarono a Lignano, e lì abitammo per tutto l’inverno. Io facevo la prima media. Poi ci misero in prefabbricati donati dalla Slovenia, fino al 1981.
«In questi 40 anni ho assistito alla rinascita e al miracolo economico del Friuli. Ricostruimmo prima le fabbriche, e poi le case. Sono sposato e ho due figli, di 17 e 7 anni. Nel 2002 sono andato come volontario della Croce Rossa a soccorrere le vittime del terremoto in Molise. Momenti che non si dimenticano, purtroppo».
«SIAMO VOLATI DALL’ATTICO GIÙ NELL’ORTO»
Da Gemona a Majano, pochi chilometri a sud: «La sera del 6 maggio ero nel nostro appartamento, un semiattico del condominio Astor, al quinto piano», raccontava a Oggi 40 anni fa Marcella Cozzutti.
«Mio marito, che ha l’ufficio quasi di fronte, sul lato opposto della strada, mi aveva telefonato che avrebbe fatto tardi. Lo aspettavo per cenare. Erano con me nella sala da pranzo i miei figli Alessandra di 12 anni, Marco di 11
e Ilaria di 4. Giusi, 8 anni, leggeva il giornalino nella camera vicina.
«Arriva la prima scossa, noi quattro usciamo sul terrazzo cercando di parlare con i vicini: non ero sicura che fosse il terremoto. Grido verso Giusi: “Vieni, scappiamo!” E lei: “No, non è il terremoto, sono tuoni”. Ed ecco che
mi sento spintonata di qua e di là da una forza immane, tutto scricchiola e crolla mentre piomba il buio.
Ho pensato soltanto: “Stiamo morendo”. Finisco distesa. Marco mi afferra per le gambe gridando: “Mamma, resta qui”. Ritorno in piedi. Fra tanto terrore e caos avevo la sensazione di essere ancora in cima al palazzo. Invece Marco mi avverte: “Mamma, siamo finiti nell’orto”. Era vero. Con un piccolo salto, come scendere uno scalino, mi sono ritrovata sull’erba.
«Comincio a toccare e a contare i figli. Finché Giusi, che non era con noi, ma tra ciò che restava della stanza di fianco, mi dice con voce nemmeno spaventata: “Mamma, mamma, sbrigati a tirarmi fuori di qui, sono piena di calcinacci”. Insomma, 18 appartamenti afflosciati, spariti di colpo, e 25 morti. Noi, i bambini e io, incolumi.
«Mio marito, sceso dall’ufficio, tra il buio e la polvere non riusciva più a orizzontarsi. È andato avanti e indietro per qualche minuto prima di accorgersi che il condominio non esisteva più. Ha scorto Agostino, un vicino di casa che ha perduto la moglie sotto le macerie.
Dice lui: “Coraggio, Dino, sono morti tutti. Dobbiamo rassegnarci”. Ribatte mio marito: “No, io cerco. Ho speranza”. Mi chiama, lo sento e gli rispondo. L’appartamento era nostro, l’abbiamo perduto con i mobili. Poi i ladri mi hanno rubato i gioielli: ho ritrovato le scatolette, vuote».
«ABBIAMO PAGATO IL MUTUO PER ALTRI 30 ANNI»
«Il nostro condominio, costruito solo pochi anni prima, è crollato perché sotto c’era una faglia d’acqua», ci spiega adesso Alessandra Cozzutti, figlia di Marcella. Sposata, due figli grandi, abita nel paese accanto
a Majano, San Daniele, ma lavora sempre col padre commercialista.
«Andammo a vivere prima in roulotte, poi in una baracca fino al 1984. Abbiamo finito di pagare il mutuo per la casa crollata solo dieci anni fa, non abbiamo avuto risarcimenti. E ne abbiamo dovuto fare un altro per la casa nuova. Ma non ci lamentiamo.
Mia madre è originaria di Trapani, ai terremoti era abituata.
Ma quello del settembre 1976 ci fece ancor più paura del primo, anche se non ci furono morti. E oggi ricordiamo quei giorni allo stesso tempo con dolore, ma anche con nostalgia. Perché eravamo giovani, con tanta energia per ricostruire».
Un benemerito della ricostruzione fu Giuseppe Zamberletti, il politico democristiano di Varese (oggi 82enne) che la coordinò come commissario.
Il terremoto del Friuli, contrariamente ad altri prima e dopo (Belice, 1968, e Irpinia, 1980) non provocò polemiche. Dopo pochi anni i paesi sono rinati, senza sprechi o tangenti. E negli Anni 80 il boom della produzione di mobili e vino ha reso ricco il Friuli.
Mauro Suttora