Speciale Oggi, gennaio 2017
di Mauro Suttora
I dipendenti del Trump Hotel di Las Vegas (il più alto
della città, 64 piani, inaugurato nel 2008) sono felici. Improvvisamente a
dicembre, dopo mesi di proteste e trattative, hanno ottenuto quel che
chiedevano: aumenti salariali, copertura pensionistica e sanitaria, orari più
leggeri, distribuzione equa delle mance.
Questo perché l’elezione di Donald Trump a presidente
lo ha ammorbidito verso il sindacato. Temendo l’accusa di essere un padrone
dispotico, ha ceduto su tutta la linea. Anche gli ex studenti della Trump
university che lo avevano denunciato per truffa hanno avuto 25 milioni di
dollari di risarcimento. E può darsi che venga demolito persino il muro sul
mare del Trump Golf Club in Irlanda, dopo anni di inutili battaglie.
L’impero economico di Trump vale diversi miliardi di
dollari: da 3 a 10, a seconda delle stime. Si va a tentoni, perché lui rifiuta
di rendere pubbliche le proprie dichiarazioni dei redditi e i conti della Trump
organization, che non è quotata in Borsa. D’altra parte, dopo averli tenuti
nascosti per tutta la campagna elettorale, perché dovrebbe cedere proprio ora
che ha vinto?
Mai nella storia degli Stati Uniti era stato eletto un
presidente così ricco. Le proprietà immobiliari di Trump coprono 25 Paesi in
quattro continenti. Sul suo impero non tramonta mai il sole. Ci sono gli
alberghi, da New York a Washington, da Las Vegas a Manila. I golf club, dal New
Jersey alla Florida, dalla Scozia a Los Angeles. I palazzi per uffici e i
condomini residenziali. I progetti immobiliari faraonici dal Sudamerica
all’India, dalla Georgia al Giappone. I casinò, i resort. I diritti sul
concorso Miss Universo, su programmi tv come The Apprentice. E perfino
una flotta di sei fra elicotteri e aerei, tutti col gigantesco nome “Trump”
dipinto sulle fiancate.
I residenti della Trump Place di Manhattan sono
riusciti, dopo l’elezione, a far togliere le lettere dorate del suo cognome che
sovrastavano la loro entrata. Otto newyorkesi su dieci gli hanno votato contro
l’8 novembre. Ma altri condomini dei suoi grattacieli di lusso, per esempio
quello nero altissimo di fronte all’Onu, sono fieri di avere comprato da lui.
Negli anni 50 un affittuario di suo padre a Brooklyn
gli dedicò una canzone, Old Man Trump,
definendolo uno «sporco speculatore». Era un veterano di guerra: Woody Guthrie,
padre artistico di Bob Dylan. Dopo le case in convenzione, Trump senior e il
figlio fecero il grande balzo in avanti nel 1980 con la Trump Tower sulla
Quinta avenue. Donald ebbe un’idea geniale: per costruire più in alto rispetto
ai palazzi vicini, acquistò i diritti di edificazione dall’adiacente negozio di
Tiffany. Ne fu tanto orgoglioso da battezzare Tiffany la secondogenita. Oggi la
Trump Tower vale quasi mezzo miliardo di dollari.
Fra le sue 144 società Trump ha dal 2010 anche il
Central Park Carousel, l’iconica giostra vintage ribattezzata
‘Trump Carousel’, che incassa 586mila dollari annui, e l’altrettanto famosa
pista di pattinaggio sul ghiaccio nel cuore del polmone verde di Manhattan, il
Wollman Rink (8,7 milioni di incassi l’anno).
Da questo impero ora Trump dovrà staccarsi, per non
rischiare conflitti di interesse. Compito difficile, perché i suoi tre figli
maggiori sono coinvolti ai massimi livelli (come vicepresidenti) nel business
di famiglia.
Di Trump Tower se ne contano a decine in tutta America
ma anche all’estero: Istanbul, Dubai, Mumbai, Seul, Panama, Toronto, Vancouver.
Anche in Messico. Sono comunque le attività di New York alla base di almeno il
66% della ricchezza di Trump, con il 64% del giro d’affari generato dal settore
immobiliare. La sede dell’organizzazione è nella Trump Tower, 30 piani sotto il
suo attico da 3mila metri quadri (che da solo vale 50 milioni).
Gli altri palazzi Trump più famosi a Manhattan sono il
40 Wall Street, storico edificio del 1930 fra i più conosciuti dello skyline
con il suo tetto spiovente azzurro, acquistato nel 1995; il Trump International
Hotel di Columbus Circle, nell’angolo sud-ovest di Central park, che agli
ultimi piani ospita anche appartamenti privati, fra cui l’attico da 500 mq.
venduto due anni fa per 33 milioni (66mila dollari a mq); il Trump Park Avenue
all’angolo con la 59esima Strada, storico ex hotel Delmonico che ospitò i
Beatles nel loro primo tour Usa del 1964, trasformato in condominio, comprato e
ristrutturato 15 anni fa da Trump, il quale ne conserva 23 appartamenti che
affitta a canoni stratoferici (fino a 100mila dollari mensili).
Altri ex hotel di Trump a New York sono il Barbizon, a Central Park South, e il 610 Park Avenue (ex Old Mayfair),
acquistato vent’anni fa assieme al gruppo Colony Capital di Tom Barrack
(proprietario della Costa Smeralda per dieci anni, fino al 2012); l’ultimo
nato, il condo-hotel Trump Soho, aperto nel 2010, unico edificio del quartiere
alto il triplo degli altri, non si sa in base a quali favoritismi.
D’inverno Trump, come molti paperoni di New York,
fugge al caldo di Palm Beach in Florida. La sua proprietà a Mar-a-lago da 250
milioni e 10mila mq. ha 126 stanze e una storia curiosa. Fu costruita negli
anni 20 da una eccentrica miliardaria che poi la cedette al governo federale,
con la clausola (mai rispettata) che fosse destinata a residenza dei presidenti
Usa.
Venne comprata nel 1985 da Trump come residenza
privata fino al 1995, quando la converti in un club privato di lusso. Perciò
costruì piscina, salone di bellezza, spa, campi da tennis e da croquet.
Solo oggi la volontà della vecchia miliardaria viene
rispettata, per uno scherzo del destino.
A Washington è stato appena inaugurato l’ultimo Trump
hotel, nell’ex palazzo centrale delle Poste. Sta al numero 1100 di Pennsylvania
Avenue, a metà strada fra la Casa Bianca e il Congresso. Se qualche suo ospite
si troverà nella capitale per incontrare membri di uffici governativi (come
capita alla metà di chi va a Washington), ecco delinearsi un bel conflitto
d’interesse con Donald, che del governo è il capo. Gli avvocati democratici non
vedono l’ora di sollevare cause.
Ma l’hotel Trump più alto degli Stati Uniti sta a
Chicago: con i suoi 423 metri è il quarto grattacielo d’America, superato solo
dall’One World Trade Center (ex Torri Gemelle) e dal 432 Park Avenue di New
York (finiti l’anno scorso) e dalla Willis Sears Tower di Chicago. È costato
1,2 miliardi di dollari, la quota di Trump era il 10%.
Mauro Suttora