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Friday, April 14, 1989

Guerre senza fine: la violenza torna a divampare a Beirut

L’ultima crociata


“Liberare il Libano dai siriani”: è lo slogan di Michel Aoun, premier cristiano della zona est della città. Ma nasconde anche uno dei tanti regolamenti di conti tra opposte fazioni. E intanto nel tiro incrociato finiscono i civili


dall’inviato a Beirut Mauro Suttora


Europeo, 14 aprile 1989

 

“Cosa pensano di noi i cristiani d'Europa?", mi domanda Bassam Kafrouni, 23 anni, sottotenente delle forze libanesi, gli occhi azzurri assetati di solidarietà internazionale. "Assolutamente nulla", gli rispondo sincero, "indifferenza totale. L'unica cosa che si pensa è che forse siete un po' tutti stufi di farvi guerra in Libano dopo 14 anni, no?" I baffetti neri di Bassam si irrigidiscono sulla bocca chiusa. 

È Pasquetta. Sono le due del pomeriggio. Stiamo attraversando piazza dei Martiri. Era il centro di Beirut: negozi, uffici, ristoranti e sfavillanti night club. Adesso di colorato è rimasto solo lo scheletro di una grande pubblicità luminosa: orologi Orient. Tutto il resto sono solo palazzi abbandonati. Diroccati, bruciacchiati, forati soprattutto. Basta con il cedro: il nuovo simbolo del Libano anni Ottanta è il foro del proiettile. Sventagliate di mitra o colpi di fucile di cecchini isolati. E poi i buchi più grandi: quelli di bazooka, obici, cannoni. Dei missili. Non c’è casa a Beirut, anche nei quartieri residenziali più chic, che non esibisca qualche foro sui muri.

"Sono come le cuvées", scherza il fotografo Karim Daher. "Si possono riconoscere le annate. Queste sono le tracce dei combattimenti del '76 , queste dell'82 , queste dell'86… I più esperti riescono perfino a distinguere i buchi fatti dai vari eserciti: siriani, israeliani, palestinesi, falangisti, sciiti…” 


Pasqua a Beirut. La guerra del Libano compie 14 anni. Fu una scaramuccia fra i palestinesi e la scorta del presidente cristiano ad accendere la miccia, nell'aprile 1975. In quegli stessi giorni i nordvietnamiti conquistavano Saigon. Beirut invece era la "Parigi del Medio Oriente": la città più ricca, elegante e cosmopolita del Mediterraneo. Nessuno poteva immaginare che il Libano proprio in quel momento stesse ereditando dal Vietnam l'orrendo ruolo di guerra più lunga ed estenuante del secolo.

Da allora, nell'unica democrazia del mondo arabo sono morti in 120 mila. Calcolando che il Libano ha appena tre milioni di abitanti, in proporzione sarebbe come se in Italia una guerra facesse due milioni e mezzo di vittime. E la mattanza continua. 

In marzo a Beirut è scoppiata la terza guerra del 1989. Quest'anno il ritmo è infernale: ogni mese una nuova guerra. In gennaio c’è stato il conflitto fra sciiti prosiriani del partito Amal, "Speranza" in arabo, e quelli pro iraniani di Hezbollah, il "partito di Dio". In febbraio, a san Valentino, un rapido ma sanguinoso regolamento di conti in campo cristiano: le forze libanesi del falangista Samir Geagea contro l'esercito regolare libanese del generale Michel Aoun. Il quale poi, arrivata la primavera, ha lanciato l'ultima, temeraria sfida: "Comincia la guerra di liberazione, via gli invasori siriani dal Libano". 


Ci sono 30mila soldati siriani attualmente in Libano. Occupano i due terzi del paese: la valle della Bekaa, il nord, tutto il sud tranne la striscia dei filo israeliani e quella dell'Onu. E Beirut ovest, quella prevalentemente musulmana. Ai libanesi cristiani rimangono solo 1.500 chilometri quadrati, una striscia costiera lunga una cinquantina di chilometri e larga 30 che si stende da Beirut est su verso il nord. Niente di più. 

Da sette mesi, ormai, il paese non è più unito. Neanche formalmente. Alla scadenza del mandato del presidente Amin Gemayel, infatti, si sono formati due governi. A Beirut est c’è quello guidato dal capo dell'esercito Aoun. L'altro, a Beirut ovest e nel Libano occupato dalla Siria, è presieduto dall'ex premier musulmano Selim Hoss. I libanesi cristiani però sottolineano che la guerra d’indipendenza è rivolta solo ed esclusivamente contro gli invasori siriani . E che non si può quindi parlare di "guerra civile fra libanesi". Nessuna accusa di collaborazionismo sfugge mai contro Hoss, gli sciiti, i sunniti o i drusi. 

Fatto sta che i cannoni di Beirut est stanno bombardando le case dei civili a Beirut ovest, e viceversa.


Anche i pretesti, naturalmente, sono simmetrici ed equivalenti. "Colpiamo solo le postazioni siriane. Sono loro, per proteggersi, che si mettono in mezzo ai civili", dice il generale Aoun. "Colpiamo solo obiettivi strategici come la sede presidenziale dove Aoun si è installato illegalmente", si giustificano dall'altra parte. Anzi, a Beirut ovest nessuno si giustifica, perché ufficialmente nessuno spara . Però, chissà come, ogni giorno dalle quattro del pomeriggio alle due di notte anche da lì piovono bombe. 

Ne hanno fatto le spese soprattutto i quartieri residenziali attorno al palazzo del presidente Aoun, a Baabda. Ma anche piazza Sassine, nel cuore del quartiere cristiano di Achrafie, zona considerata sicurissima, ha ricevuto la sua dose di obici da 155 a 240 millimetri che hanno perforato i muri dei condomini, entrando ed esplodendo in piena notte nelle camere da letto. Il risultato finale è sempre lo stesso, da 14 anni: per ogni soldato morto, da una parte o dall'altra, venti sono i civili innocenti ammazzati.


L'immoralità delle guerre moderne, bomba atomica o no, è contenuta tutta in questo semplice ma tragico rapporto di proporzione: uno a venti. Fino alla prima guerra mondiale erano soprattutto i soldati a morire in battaglia. Adesso invece i militari sparano e i civili muoiono. In Libano è successo tante di quelle volte: a Tall El Zatar nel '76 i soldati siriani massacrarono donne e bimbi palestinesi perché nei sotterranei del campo profughi i fedayn avevano nascosto i loro carri armati; lo stesso fecero i falangisti a Sabra e Chatila nell'82; o gli sciiti nel campo di Bourj El Barainj nell'87; o i palestinesi filosiriani di Abu Mussa contro altri palestinesi nell'estate ' 88 . Eccetera.

Ma almeno questi nomi di stragi rimarranno in qualche modo nella storia degli orrori libanesi. Chi si ricorderà, invece, dei signori Tanios Dumit, Elias Dumit o Suad Kassaifi, tre delle vittime dei bombardamenti di questa Pasquetta '89, colpiti solo perché la loro casa era troppo vicina al palazzo presidenziale di Baabda?

A Beirut non ci sono più giornalisti. Sette anni fa erano in duemila ad affollare gli alberghi; oggi siamo in tre ad aggirarci nell'atrio vuoto dell'hotel Alexandre. Peccato, generale libanese Michel Aoun, la tua guerra di liberazione contro gli invasori siriani non interessa il mondo: eppure l'hai sparata grossa venerdì santo, quando hai dichiarato: "Se per liberare il Libano Beirut dovrà essere distrutta, che lo sia: è già stata ricostruita otto volte nella sua storia, la ricostruiremo ancora".

E il giorno dopo hai rischiato grosso: mentre ti intervistava un giornalista di Zurigo, nel tuo studio sotterraneo, è caduta una pioggia di obici sul palazzo di Baabda, dove lo scorso settembre l'ultimo presidente Amin Gemayel ti nominò presidente del Consiglio solo tre minuti prima che gli scadesse il mandato, dopo averti odiato per anni. Il tassista del giornalista zurighese, che aspettava nel parcheggio, si è preso le schegge. Ma tu, presidente, saresti morto se fossi stato alla tua scrivania normale: un missile si è piantato proprio in mezzo alla sedia.


"Nous tiendrons jusqu'au bout", grida durante la messa di Pasqua una donna dal fondo della chiesa cattolica di Nostra Signora dell'Assunzione. "Resisteremo fino in fondo": se lo giurano in molti, fra il milione di cristiani assediati nell'enclave libanese. Di mattina i bombardamenti cessano, e così a Pasqua a Beirut est tutte le chiese erano piene zeppe. In quella di Nostra Signora dell'Assunzione vengo coinvolto in una scena incredibile assieme al fotografo francese Alain Nogués, fondatore dell’agenzia Sygma. È in corso la messa, in arabo. Diciamo al sacrestano che alla fine vorremmo parlare con il prete. Ma questi, avvertito immediatamente della presenza di due giornalisti europei, ci convoca sull'altare in piena messa. Ci bisbiglia in francese: "Dopo la predica dirò qualcosa su di voi". Lo farà, rivolto ai fedeli: "Fratelli, sono fra noi due rappresentanti dell'opinione pubblica cristiana europea. Che Dio li illumini e possa far descrivere loro la nostra situazione e la nostra continua lotta in difesa della cristianità”.

Alé, abili e arruolati sul campo, mille anni dopo la partenza della prima crociata contro gli infedeli! Ma è esattamente questo il clima in cui vivono centinaia di migliaia di cristiani libanesi oggi. E non capiscono perche', invece di aiutarli a cacciare via i siriani dal Libano, il presidente francese Francois Mitterrand abbia accolto proprio durante la settimana santa il ministro degli Esteri siriano a Parigi. E si sia addirittura impegnato a incontrare presto il presidente della Siria Hafez Assad.

 

Esattamente come i Pieds Noirs algerini trent'anni fa, i cristiani di Beirut, tutti arabi ma francofoni, considerano la Francia la loro protettrice e madrepatria. Anche gli armeni cilici di Antelias, sulla strada verso il porto di Junie, discutono e commentano i bombardamenti che non li hanno fatti dormire la notte precedente. Sotto la cipria, profonde occhiaie: siamo andati nei rifugi, ci siamo addormentati solo verso le tre, si lamentano le mamme.

A ogni incrocio di Beirut est c’è un altarino alla Madonna. Ogni due incroci, un murale con il ritratto del vecchio Pierre Gemayel. Ogni tre, quello del figlio Bechir, il leader della falange fatto saltare in aria poco dopo essere stato eletto presidente nell'82. Il fratello Amin, che ne ha preso il posto ed è sopravvissuto per sei anni, invece non è più popolare: "Troppi compromessi con i siriani", gli rimproverano. 

Anche Amin, assieme ad altri sei ex presidenti e primi ministri del Libano (la costituzione lasciata nel '43 dai francesi stabilisce che i presidenti siano cristiani e i primi ministri musulmani), è volato a Tunisi la scorsa settimana per i negoziati condotti, in nome della Lega Araba, dall'ambasciatore del Kuwait in Siria. Ma diversi cristiani accusano l'ultimo dei Gemayel di essersi arricchito illecitamente durante la presidenza. E poi ormai vive a Parigi, ha chiesto il divorzio dalla moglie, convive con un'amante… e i maroniti storcono il naso.


Riuscirà il generale Aoun a diventare il nuovo eroe nazionale dei cristiani del Libano? Sta facendo del suo meglio. A nord dell'enclave il territorio controllato dal cristiano Suleiman Frangie, ottuagenario ex presidente, è sotto dominio siriano. Anche Pierre Hobeika, capo dei falangisti fino al 1986 e tristemente famoso per la strage di Sabra e Chatila, è passato con Damasco. Ma, a parte questi due "Giuda", il fronte cristiano ha ritrovato la sua compattezza contro la Siria. I due risultati più concreti degli scontri intercristiani di febbraio sono stati il ritorno del controllo dell'intero porto di Beirut nelle mani dell'esercito regolare, quindi dello Stato, e la chiusura del quotidiano Le Reveil. Era l'organo delle forze libanesi (falangisti più i liberali di Eddy Chamoun più i Guardiani del Cedro) e ha sospeso le pubblicazioni per un motivo molto semplice: l'edificio dove veniva stampato è passato sotto il controllo fisico dell'esercito.

Una disavventura simile, del resto, è toccata anche al principale quotidiano libanese scritto in francese, L'Orient Le Jour: ha la redazione a Beirut est, ma la tipografia all'ovest. Così, per essere venduto anche nell'enclave cristiana, viene spedito via telefax ogni notte.


Ma le Forze libanesi continuano a essere un potentissimo stato nello stato , nel Libano cristiano. Il traghetto che collega di notte Cipro al Libano (unico modo di arrivare a Beirut se l'aeroporto è chiuso) è di loro proprietà. Appena salito a bordo, sabato santo, mi sono accorto che il potere anche nel Libano cristiano è diviso in due: accanto al funzionario statale che controllava i passaporti c'era quello delle Forze Libanesi. 

Il traghetto viene spesso bombardato da drusi e siriani quando arriva al porto di Junie, 15 km a nord di Beirut, ma rimane l'unico contatto dell'enclave cristiana col mondo esterno. Infatti i siriani dal 20 marzo hanno bloccato tutti i passaggi fra Beirut est ed ovest. La linea verde, il confine fra le due Beirut, con quella specie di muro di Berlino improvvisato fatto di container che ostruiscono ogni via di accesso tranne i pochi passaggi ufficiali, è anch'essa spartita, dalla parte cristiana, fra esercito e miliziani delle Forze Libanesi. Queste ultime controllano la parte nord, vicina al mare. E qui, da 40 giorni ininterrottamente è stazionato il sottotenente Kafrouni. La milizia gli dà tutto: mangiare, dormire, vestiti e 200 dollari al mese. "Mi bastano, perchè non sono sposato". "Sei fidanzato?". "Sì". " E lei è contenta che non ritorni a casa da 40 giorni?". “È normale, è la guerra". " È più brutta questa guerra contro i siriani o quella del mese scorso contro l'esercito regolare?". "Con l'esercito c'è stato solo un piccolo problema. Con i siriani il problema è molto più profondo". 

Friday, February 10, 1989

Il treno della leva

In divisa sul treno della domenica da Verona al Friuli

L'ULTIMA TRADOTTA

Si chiamano Gianfranco, Mauro, Diego. Vengono da Torino, Tropea, Bergamo. E ogni settimana si incontrano sui vagoni che li riportano in caserma. Fra noia e spinelli

di Mauro Suttora

Europeo, 10 febbraio 1989
 
Il treno numero 2596 parte ogni sera alle 19.58 da Verona. Va verso est: Vicenza, Treviso, Pordenone. Ma solo la domenica viene prolungato fino a Pontebba, in Friuli. Serve a riportare nella loro caserma i soldati di leva che per il fine settimana hanno ottenuto una licenza a casa. È un treno sempre pieno zeppo, con centinaia di giovani che ogni volta rimangono pigiati in piedi per ore. 

Ma almeno questo sovraffollamento non avviene per colpa delle ferrovie dello Stato. È fatale, infatti, che l'ultimo treno utile per rientrare prima del fatidico limite di mezzanotte sia l'unico preferito dai ragazzi. Per loro ogni mezz'ora in piu' rubata dalla casa alla caserma e' d'oro . Cosi', preferiscono due ore in piedi a un viaggio comodo due ore prima.

Da qualche settimana, però, la "tradotta dei deportati di leva", com'e' stato soprannominato il Verona-Pontebba della domenica, e' diventato il treno della discordia. Per due motivi. Il primo e' la campagna scatenata dal Psi contro la droga. Sostanza di cui, non e' un mistero, si fa largo uso durante la naia. Semplicemente per sfuggire la noia , o per astrarsi da un ambiente poco piacevole. 

"La leva produce drogati", e' la dura accusa di don Antonio Mazzi, uno dei piu' attivi preti antidroga di Milano. Cosi' ultimamente e' successo diverse volte che, al loro arrivo a Udine a mezzanotte, i soldati siano stati accolti non dagli autobus e dai camion militari per riportarli in caserma, ma dalle perquisizioni dei finanzieri con tanto di segugi antidroga.

"Ci bloccano nel tragitto obbligato del sottopassaggio", racconta Mirko di Bergamo, "e uno alla volta ci fanno annusare dai cani. Cosi' per terra compaiono improvvisamente decine di pezzi di hashish e ciuffi di marijuana di cui la gente si disfa prima di essere beccata ". 

Il secondo motivo di discussione e' la proposta lanciata dal Pci di abolire o almeno dimezzare la leva. Nel qual caso, il treno Verona Pontebba potrebbe anche essere soppresso. Un esercito di volontari professionisti , infatti, non avrebbe bisogno di 100mila soldati (un terzo del totale) acquartierati perennemente in Friuli aspettando un invasore che, grazie a Gorbaciov, si spera sempre piu' improbabile. Facciamo allora un viaggio in questo treno della "droga di leva", su cui hanno gia' viaggiato centinaia di migliaia di italiani maschi passati attraverso l'esperienza della naia in Friuli.

Quali sono le parole dei marmittoni dell'89? Da Verona a Vicenza il 2596 e' un treno svizzero. Carrozze nuove e pulite , colorate di arancione e viola , poltrone semivuote. Il convoglio si ferma a ogni stazione , fa servizio locale per rastrellare tutti i fortunati che dai paesini di Lonigo, San Bonifacio o Altavilla possono cosi' approdare direttamente in caserma. 

A Vicenza, invece, il diluvio. Assaltano ogni spazio disponibile i soldati scesi dal treno intercity in partenza da Torino alle 17 , che ha raccolto tutti i piemontesi e i lombardi. 

Gianfranco , 22 anni , viene da San Mauro , un paesone appena fuori Torino . Suo padre , immigrato siciliano , ha un' officina di carpenteria metallica , lui si e' diplomato odontotecnico , ma aspettando il militare ha lasciato perdere i denti e si e' messo a lavorare con il padre . " Mi mancano sei mesi , sono partito ad agosto. Ma ho gia' capito che questo e' un anno perso , non serve assolutamente a niente . Serve solo a tenerci lontani dalle famiglie e dal lavoro. Comunque la vita militare fa capire bene quello che e' l' Italia : una grandissima schifezza , dove contano solo il potere e i soldi . Gli ufficiali se la prendono con i sottufficiali , e i sottufficiali si rifanno con noi". 

Gianfranco sta in una delle basi militari piu' importanti del mondo: quella di Aviano, sopra Pordenone . Li' ci sono gli americani , con le loro bombe atomiche e gli aerei F 16 sempre in volo pronti a caricarle e a sganciarle. Ma lui , nella sua camerata della caserma Zappala', di tutto cio' non si rende conto. " Si' , siamo dentro alla base , ma non nella parte riservata agli americani . Li' non puo' assolutamente entrare nessuno di noi . Vediamo gli americani soltanto qualche volta nelle pizzerie del paese , dove arrivano con le loro macchinone targate Afi (American Forces Italy , ndr) . In settembre , appena sono arrivato ad Aviano dopo il Car , c' era una specie di esercitazione della Nato , Display Determination , ma non ho capito bene cosa fosse . Tanto , per quello che fanno fare a noi , interessarsi e' completamente inutile " . 

Non gliene importa nulla , insomma , a Gianfranco , di " mostrare determinazione " nelle esercitazioni . Finora ne ha fatta una sola , vicino a un paese dal nome stupendo che pero' evoca ricordi tremendi nei marmittoni : Casarsa della Delizia . Per dieci giorni lui , che in caso di guerra sara' telefonista , ha dovuto assicurare i collegamenti via cavo fra il campo e la base . Poi e' ricominciato il tran tran in caserma . Comunque li' dentro e' una vita di merda . Un sottufficiale basta che incroci un sottotenentino e deve scattare sull' attenti per salutarlo . No , no . . . Se dovessi metter firma , farei il corso ufficiali . Sicuro come l' oro " . 

Di fronte a Gianfranco, un giovanotto dai capelli bruni scuote la testa . " Perche' , non sei d' accordo ? " , gli domanda Gianfranco . " No " , risponde quello , " non e' affatto vero che gli ufficiali trattino male i sottufficiali . Io sono ufficiale di complemento , mai mi sognerei di mancare di rispetto a un sottufficiale . Quanto alla carriera , e' evidente che ci siano delle differenze : per diventare sottufficiali basta la terza media , per il corso ufficiali ci vuole il diploma " . 

Scopriamo che stiamo parlando con l' ufficiale medico di una caserma di Sequals , il paese del pugile Primo Carnera . L' ufficiale medico e' un figura mitica nelle nostre forze armate . Su di lui convergono insistenti tutte le speranze di ogni soldato : permessi , ricoveri , " imboscamenti " . Il nostro viene da Tropea , in Calabria , ha 30 anni , e' laureato in medicina e ha fatto il corso per ufficiali medici di tre mesi a Firenze (ne escono cento al mese) . Sta ritornando da Torino , dove ha visitato parenti . " Sono soddisfatto dei miei 15 mesi di leva , ho potuto aiutare molti giovani " . In che senso " aiutare " ? Mandandoli a casa per malattie immaginarie ? " A vent' anni e' difficile avere malattie gravi " , ammette , " la meta' viene da noi solo perche' stressata psicologicamente . Il mio comandante e' un amico , ma io ho la testa dura . Cosi' ho potuto aiutare molti ragazzi " , ripete , sorridendo enigmatico . 

La sua esperienza piu' divertente e' stata curare per mezzo mese gli americani della Guardia nazionale (cittadini normali che danno alle forze armate un mese all' anno e un week end al mese ) venuti in Italia per un' esercitazione Nato . Rambo con pancetta ? " Loro giocavano . Pero' ci credono : sono convinti di essere venuti in Europa per difenderci . Noi , un po' meno . Abolire la leva ? Mi sembra una buona idea " . 

" No , e' meglio dimezzarla , la leva . Ma farla fare veramente a tutti, allo stesso modo , senza discriminazioni . Oggi rimangono a casa in troppi. Invece, un po' di militare e' utile". È l'opinione di Mauro, 21 anni, bergamasco. Gli mancano 140 giorni. Sta a Udine in un ufficio, nella caserma Spaccamela. Studia economia e commercio, sotto militare e' riuscito a dare un esame. "Ma concentrarsi e studiare e' difficile". Sostiene che per imparare a fare il soldato bastano tre mesi . Ma soprattutto non riesce a capire perche', avendo il sabato libero, lo lasciano uscire di caserma solo alle 12. "Cosi' ieri sera sono arrivato a casa alle sette e mezzo. E oggi alle cinque sono dovuto ripartire".

Peggio e' andata a tre milanesi "in fuga" da Trento per un giorno solo : hanno fatto sette ore di treno per il piacere di stare a casa tre ore. "Pero' adesso, con la primavera , andremo sul Garda", medita uno, " che e' un bel puttanaio dove si puo' incampanare". 

Di donne, invece, in Friuli meglio non parlarne. "Quelle sono tutte vaccinate", ride Gianfranco di Torino, "devono sopportare militari da cinque generazioni!". Diego, 19 anni, da Saronno, e' triste. Quattro giorni fa lo hanno trasferito d'improvviso a Vittorio Veneto dalla base delle Frecce tricolori. Perche'? "Non lo so, mi hanno detto che avevano bisogno di un autista. Ma non e' vero. La verita' e' che li' dentro e' tutto sbagliato". E la droga? "Spinelli a non finire. Ma di nascosto naturalmente".

Ecco la stazione di Udine. La torma di scontenti corre verso gli ultimi pullman. Molti devono prendere il taxi. Per questa volta i cani antidroga non c' erano.
Mauro Suttora

Friday, November 18, 1988

Onorevole rabbino

Dopo la vittoria degli ebrei fondamentalisti alle elezioni

dal nostro inviato a Gerusalemme Mauro Suttora

Scuole e cinema. Ascensori e occhiali. Il Tempio e il servizio militare. I deputati religiosi, ago della bilancia nella Knesset, si batteranno per questo. E anche contro i palestinesi? No, semmai contro i sionisti. In nome della Bibbia, naturalmente

Europeo, 18 novembre 1988

I più contenti sono gli oculisti e gli ottici. La vittoria dei quattro partiti religiosi di Israele, infatti, provocherà sicuramente un aumento dei fondi statali per le scuole private ebraiche, le yeshiva. E i rabbini sono insegnanti implacabili: i bimbi affidati alle loro cure imparano a leggere prestissimo, anche a quattro anni. Dopodiché, giù a studiare la Bibbia e il Talmud per tonnellate di ore, anche dieci al giorno.

Risultato pratico: è pressoché impossibile trovare, fra gli ebrei ortodossi, uno che non abbia dovuto ricorrere agli occhiali già in tenera età. Occhialuti e occhiuti, gli ultras della religione affollano severi le strade di Gerusalemme. Eccoli stazionare alle otto di ogni venerdi sera in Ben Yehuda, la strada chic del centro: controllano che tutti i cinema rispettino il riposo coatto dello shabbat. Eccoli affrettarsi a passi rapidi verso la città vecchia e il muro del pianto, dove però al tramonto i canti e le litanie dei figli di Israele sono sovrastati dalle lamentazioni del muezzin della moschea Al Aqsa.

Paradosso della storia: il luogo più sacro della religione ebraica, il Tempio costruito da Salomone tremila anni fa e distrutto due volte (dai babilonesi nel 586 avanti Cristo, dai romani nel 70 dopo Cristo), è tuttora in mani islamiche. Nel 1967 i soldati israeliani conquistarono Gerusalemme Est, ma si guardarono bene dal profanare i luoghi sacri agli arabi e ai cristiani. Ebbene, oggi non è raro trovare, sulle macchine di Gerusalemme, adesivi con su scritto "Il Tempio è nostro". Gli estremisti della religione e del nazionalismo infatti gradirebbero dare la scalata al muro del pianto, e impadronirsi dell'intera collina del Tempio. 

"Tanto, l'Islam ha molti altri luoghi sacri. Per noi invece questo è l'unico", spiegano i temerari. Non tutti gli ebrei fondamentalisti, però, sono così antiarabi. Anzi, nel rione ortodosso di Mea Sharim l'amore per la religione spesso fa velo a quello per la nazione. "Request and warning: women, dress properly", sta scritto sullo striscione all'entrata del quartiere. Donne, vestitevi adeguatamente: una richiesta, ma anche un avvertimento. Per le goy, le non ebree, "vestirsi in maniera adeguata" significa coprirsi le braccia e le gambe fino al ginocchio: comandamento facile da rispettare. Ma sulle proprie donne gli ortodossi infieriscono: raramente fuori di casa, e rapate a zero per non suscitare lussuria neanche nel coniuge. Il marito, in cambio di tanta mortificazione dei sensi e di perdita di diottrie sui libri della Torah, ha però un vantaggio rispetto agli altri cittadini maschi di Israele: non deve farsi i tre anni di servizio militare.

Ed è questo il punto di frizione più grosso fra i partiti religiosi e tutti gli altri, di destra come di sinistra: i 20 mila giovanotti con treccioline, cappello e caffettano nero che "approfondiscono la Bibbia" e che, ogni anno, evitano l'esercito. Contro di loro, gli strali di tutti: "Non entrerò in un governo che favorirà la diserzione di massa", minaccia il generale Rafael Eitan, capo del partito di estrema destra Zomet. Da sinistra gli fa eco Ran Cohen, deputato del Ratz, il movimento per i diritti civili : "Posso capire duemila studenti di religione esentati ogni anno, ma 20 mila sono veramente troppi".

Uno di questi obiettori religiosi è Eliezer Weiss, marito di Rachel, la donna di 27 anni bruciata viva a Gerico il giorno prima delle elezioni dalla bombe molotov palestinesi . Sono stati soprattutto i quattro morti di Gerico (Rachel e i suoi tre figli) a provocare l'aumento dei voti per i partiti religiosi, passati dal 10% del 1984 al 15% di oggi. Il bus attaccato a Gerico portava la famigliola da Tiberiade a Gerusalemme, dove Eliezer e Rachel, entrambi figli di rabbini, tornavano per votare. Si erano trasferiti a Tiberiade due mesi fa perché il marito voleva studiare per un anno religione in un nuovo collegio . E così era Rachel a lavorare per mantenere la famiglia.

I palestinesi non potevano scegliere come loro vittime una famiglia più tipicamente ebrea di questa. Il suocero dell'assassinata infatti, il rabbino Shraga Weiss, è nientemeno che il capo di tutte le scuole private religiose del partito Agudat. "Rachel invece aveva 17 fratelli, e la sua famiglia è a Gerusalemme da otto generazioni", bisbiglia ammirato uno studente di yeshiva presente al funerale. Al corteo funebre , fino al cimitero sul monte degli Ulivi, ha partecipato tutta la Gerusalemme religiosa. Una marea di uomini in spolverino nero, che però non si sono lasciati andare: quando alcuni estremisti di destra hanno sventolato cartelli con su scritto "Dio vendicherà il sangue dei suoi servitori, Deuteronomio 32:43", li hanno guatati con un silenzio di disapprovazione.

I partiti religiosi si disapprovano fieramente anche fra loro. Lo scandalo di queste elezioni è stato il rabbino Eliezer Schach, uscito dal partito Agudat per fondarne uno nuovo, Degel Hatora. Il capo di Agudat, rabbino Menachem Porush, felicissimo per essere passato da due a cinque seggi, è tuttavia amareggiato per la frattura, che ha portato in parlamento anche due deputati di Degel Hatora: "Hanno riesumato una divisione vecchia due secoli fra hassidim e mitnagdim, gli ebrei lituani".

Andiamo al quartier generale di Degel Hatora a Gerusalemme: "No journalist, speak hebrew here". In verità molti ortodossi fra loro non parlano neppure ebraico, bensì yiddish. Quanto all'inglese, quei pochi che l'hanno studiato non hanno nessuna intenzione di esibirlo, specie con i giornalisti stranieri. "Voi non ci capirete mai", mormora Yehuda, adolescente pallido e magro, il viso incorniciato da treccine attorcigliate, "adesso dite che i rabbini hanno conquistato il potere in Israele. Ma quella che non riuscite a vedere è la guerra che c'è fra lituani e hassidim. Quando il rabbino di Lubavich ha ordinato ai suoi di votare massicciamente per Agudat, la pace è finita. È tremendo".

Ecco, la pace per gli ebrei ortodossi è quella che ci puoò essere fra le varie credenze ebraiche, o al massimo fra gli aschenaziti di origine europea e i sefarditi mediorientali. E la pace con i palestinesi e gli arabi? "Per noi è andata male", ammette Ezechiele Landau, leader del gruppo pacifista religioso Zve Shalom e supporter del nuovo partito Meimad, che non è riuscito ad arrivare neanche ai 28 mila voti necessari per un deputato. Meimad voleva coniugare religione e sionismo ma stando più a sinistra. Tentativo fallito. "Eppure, prima o poi dovremo deciderci a concedere l'autodeterminazione ai palestinesi", dice il sionista progressista Landau. 

Gli altri partiti religiosi, invece, non sono sionisti: non gliene importa nulla dello stato d'Israele, che pensano potrà esistere solo dopo l'arrivo del Messia. Chi è più a destra? I sionisti o i bigotti? Domanda oziosa. È di sinistra o di destra voler installare dappertutto ascensori che durante il sabato si fermano automaticamente almeno al terzo, sesto e nono piano, per permettere al vero ebreo di non "lavorare" (anche premere il pulsante è lavoro)? Gioverà ai palestinesi l'abolizione delle partite di calcio al sabato, grande battaglia che i religiosi si apprestano a combattere ora che sono diventati determinanti per fornire la maggioranza sia alla destra sia alla sinistra? Perché questi sono i problemi che veramente stanno a cuore ai partiti ortodossi.

Quanto alla Cisgiordania (o, come la chiamano loro, Giudea e Samaria), sono possibilisti: "Il diritto assoluto del popolo ebreo alla terra di Israele è stabilito nella Torah", proclamano quelli di Degel Hatora. Ma aggiungono: "Bisogna evitare ad ogni costo lo spargimento di sangue ebreo". Anche permettendo uno Stato palestinese in Cisgiordania ? "La prima preoccupazione dev'essere la sicurezza degli ebrei", rispondono. Ma non dicono di no. Sangue ebreo, morti ebrei. 

E i 350 palestinesi uccisi dall'esercito israeliano in un anno di intifadah, alla media di uno al giorno? In fondo, i quattro morti di Gerico portano ad un totale di appena nove le vittime israeliane della rivolta palestinese. 350 a 9. Non è un bilancio pesante? "No", risponde il pacifista Landau, "il valore della vita umana non si può quantificare. Anche un solo morto è sempre troppo, da una parte come dall'altra. Ma qualsiasi altro governo avrebbe represso la rivolta causando molte più vittime. Guardiamo in Algeria, il doppio dei morti dell'intifadah in soli tre giorni, guardiamo i curdi in Irak. Se al posto di Israele i palestinesi avessero avuto di fronte un qualsiasi governo arabo, sarebbe stata una strage". Viva Israele, allora ? "No, no. La verità è che sia i nostri governanti sia quelli dell'Olp hanno messo i propri giovani in trappola , costringendoli ad ammazzarsi fra loro". E questo la Bibbia non lo vuole. 

Friday, October 14, 1988

Droga legalizzata

Droga di legge

A Bruxelles, esperti di tutto il mondo rilanciano la parola d'ordine della liberalizzazione

dal nostro inviato speciale Mauro Suttora

Europeo, 14 ottobre 1988

Bruxelles. Si arrabbiano se qualcuno li definisce "apostoli della droga libera": "Macché liberalizzazione", tuona Marco Pannella, il leader radicale che ha organizzato il primo "Convegno internazionale sull'antiproibizionismo" a Bruxelles dal 29 settembre al 1 ottobre, "noi vogliamo depenalizzare, legalizzare, regolamentare la vendita delle droghe. Esattamente il contrario di quello che avviene adesso, cioè della libertà assoluta di comprare dosi all'angolo della strada".

Ma Pannella, nel prestigioso consesso riunito nel palazzo dei congressi della capitale belga, una volta tanto fa la figura del moderato. Perché, nei loro interventi, gli esperti internazionali che propongono la fine del proibizionismo si rivelano più radicali degli stessi radicali italiani.

"Ormai non si può più parlare razionalmente di droga, nel mondo", si lamenta Peter Cohen, responsabile del programma contro le tossicomanie ad Amsterdam, "perché questa è diventata una questione di tipo religioso. Per esempio, un'accurata indagine ha stabilito che nella nostra città, definita a vanvera 'capitale mondiale della droga', i consumatori anche occasionali di cocaina non arrivano in realtà al 5 per cento, mentre la percentuale di eroinomani è microscopica, appena dello zero virgola qualcosa".
Meno che nelle altre città europee?
"Il confronto non si può fare per un motivo molto semplice: mancano dati attendibili per tutte le altre capitali. E questo è normale: i numeri, nelle questioni religiose, non servono".

Si sa comunque che i drogati sono ormai centinaia di migliaia in ogni paese, li vediamo per strada ogni giorno…
"Ma anche se i consumatori di cocaina fossero il 50 e non il 5 per cento", è la sorprendente risposta dell'operatore olandese, "non vorrebbe dire nulla. Perché la pericolosità del consumo di droghe dipende dal contesto, dalla sicurezza, dalle condizioni personali di chi ne fa uso. Insomma, è evidente che sniffare durante un party per divertimento è ben diverso dall'iniettarsi eroina in un ghetto per disperazione".

Egualmente per disperazione molti degli attuali alfieri della droga legale sono arrivati alle loro attuali convinzioni. Il professor Peter Reuter della Rand Corporation di Washington, uno dei maggiori "think tank" dell'intellighenzia americana, informa per esempio che durante l'era Reagan, dal 1981 al 1988, i milioni di dollari spesi dagli Stati Uniti per la repressione poliziesca della droga (sia leggera sia pesante) si sono moltiplicati , passando da 800 all'anno a 2.000. Per la prevenzione, invece, il governo statunitense quest'anno spende appena 372 milioni di dollari, il 14% della cifra totale.

"E non parliamo della cura, cioè dei contributi ai centri di assistenza e alle comunità terapeutiche", denuncia il professor Reuter, "che dall'81 all'86 erano addirittura diminuiti da 221 milioni all'anno a 166. Secondo l'amministrazione Reagan, infatti, questo compito non spettava allo Stato, ma ai privati, alle chiese e ai volontari. Poi hanno cambiato idea e negli ultimi due anni i contributi sono raddoppiati, anche a causa della minaccia di Aids".

Ma i risultati sono desolanti: in questi anni di repressione, invece di diminuire il consumo di eroina e cocaina negli Stati Uniti e nel mondo è aumentato. Cosicché un sempre maggior numero di esperti ha aderito a quella che, quando Pannella la lanciò nell'84, sembrava solo una provocazione: "Legalizziamo la droga".

Prima il premio Nobel dell'economia Milton Friedman, più per ragioni ideologiche che empiriche, in nome del liberalismo e del no all'intrusione dello stato negli affari privati dell'individuo.
Poi, qualche mese fa, colpo di scena: Ralph Salerno, dirigente della polizia antidroga negli Stati Uniti, ammette durante una memorabile intervista televisiva che la "guerra alla droga" di Reagan è completamente fallita, e propone di passare alla legalizzazione.

Da allora, un effetto a catena: si schierano a mano a mano contro il proibizionismo giornali come l'Economist di Londra e il Pais di Madrid, negli Stati Uniti nasce la Drug policy foundation, in Europa il Movimento per la normalizzazione della politica contro la droga, in Italia i radicali intensificano la loro battaglia dando vita al Cora (Comitato radicale antiproibizionista) e convincono anche un membro del Csm, Michele Coiro.

Uno dei sostenitori più appassionati della tesi secondo cui "il male non si combatte proibendolo" è Fernando Savater, commentatore principe del Pais, il più grande quotidiano spagnolo: "Mi preoccupa l'assenza degli intellettuali di sinistra da questo dibattito, la loro collaborazione all'oscurantismo antidroga. Proibire la droga in uno Stato democratico è come proibire la pornografia, l'eterodossia religiosa e politica o i gusti dietetici. Viviamo in uno Stato clinico, che si arroga il diritto di decidere cos'è bene o male per la nostra salute, così come un tempo pretendeva di imporci idee politiche , religiose o artistiche".

Ma i danni della droga, soprattutto di quella pesante, sono riconosciuti da tutti.
"Certo, la droga perturba lo spirito e le abitudini, provoca malattie, spese per il recupero dei tossicomani, improduttività, morte. E indisciplina nel lavoro: troppo spesso la paura per il declino della produttività viene ribattezzata 'salute pubblica'. Ma le droghe eroina, marijuana, vino, tabacco, sono pericolose esattamente come l'alpinismo, l'automobile o il lavoro in miniera, che non sono vietati. E in ogni caso, mai quanto la guerra. La vita non appartiene né allo Stato né alla comunità, ma a ciascuno di noi".
Indifferenza, quindi, nei confronti dei tossicomani?
"No, i tossicodipendenti che vogliono abbandonare la loro mania hanno il diritto di essere aiutati dalla società".

Più concreta la preoccupazione del professor Lester Grinspoon, docente di psichiatria ad Harvard e consulente giuridico del governo americano: dove trovare i soldi per la cura dei tossicomani?
"Mettendo una tassa sul consumo delle droghe, come già succede per l'alcol e il tabacco. Così, gli stessi consumatori pagherebbero i costi per campagne di informazione e prevenzione nelle scuole, e per la cura di chi abusa delle sostanze stupefacenti".

Tesi strampalate? Mica tanto. Venerdì 29 settembre alla Tv italiana c'è stato un sondaggio sulla legalizzazione delle droghe. Fra la sorpresa di tutti ha prevalso, con il 51%, la tesi antiproibizionista di Pannella. Il quale commenta soddisfatto: "Anche prima della legalizzazione di aborto e divorzio i contrari temevano un aumento di aborti e divorzi, che poi non è avvenuto. Con la fine del proibizionismo, a perderci sarebbero solo gli spacciatori e la mafia".
Ma il leader radicale non è riuscito a convincere né il ministro Rosa Russo Jervolino, democristiana, che annuncia anzi leggi più severe, né le comunità terapeutiche per i tossicodipendenti, contrarie alla legalizzazione.
Mauro Suttora

Friday, September 30, 1988

Parlano i curdi gasati da Saddam

Viaggio nei campi profughi curdi

UN POPOLO SENZA

Non hanno una terra, oggi divisa tra Turchia, Iran, Irak e Siria. Non hanno un leader né un progetto unitario. Per questa antica gente c'è una sola speranza: la guerra altrui

dal nostro inviato speciale Mauro Suttora

Europeo, 30 settembre 1988

Dyarbakir (Turchia). "Il 25 agosto, alle sei del mattino, stavo dormendo. Mio fratello mi ha svegliato all'improvviso gridando 'Scappa Guhdar, scappa, gli aerei dell'Irak stanno arrivando'. Ho avuto solo il tempo di mettermi queste scarpe e di fuggire con lui nel bosco dietro il villaggio. Stavamo a Spendarok, nella valle del fiume Habur, prima della città di Zaku".

Guhdar Muhmad Salih è un bel ragazzino curdo di 12 anni, capelli nerissimi e occhi grandi. Racconta la sua storia nel campo profughi di Dyarbakir, in Turchia, dove da pochi giorni hanno trovato rifugio 12mila donne, uomini, vecchi e bimbi curdi. Si riposano sotto le tende bianche montate dal governo di Ankara in un terreno sulla riva del fiume Tigri. Solo per pochi metri non siamo in Mesopotamia: sull'altra sponda inizia infatti la regione più carica di storia di tutto il mondo, la terra "in mezzo ai fiumi" dove si sono succedute ventisette civiltà. E dove ora succedono le massime inciviltà.

Tigri ed Eufrate nascono qui in Turchia prima di ansimare in mezzo ai deserti siriano e iracheno e gettarsi infine, uniti, nel Golfo Persico. Chissà, forse un antenato di Guhdar, il ragazzino che adesso i soldati iracheni hanno cacciato dalla sua valle, era un fiero sumero e 4.000 anni fa già combatteva per il possesso di questa terra magica, improvvisamente fertile dopo gli aridi altipiani dell'Anatolia e prima delle sabbie arabe.

Ma quattromila anni di storia sembrano aver insegnato poco agli uomini. Proprio nella culla del mondo, poco a sud del monte Ararat dove si incagliò Noè con i suoi tre figli pronti a ricominciare (a vivere e ad ammazzarsi), sta ricominciando un dramma: quello dei profughi. Curdi, questa volta. Un amaro debutto, con una novità: il gas chimico che gli iracheni sono accusati di aver utilizzato per spingerli via dalla loro terra.

Quello di Dyarbakir è il più grande dei sei campi che ospitano i rifugiati curdi in Turchia. Quanti siano nessuno lo sa: dai 50 ai 120mila, a seconda delle cifre ondeggianti fornite di giorno in giorno dai funzionari turchi. È curioso come la gente da queste parti, dopo averli inventati, abbia perso ogni confidenza nei numeri. Così, il tragico destino dei curdi sembra essere quello del silenzio, dell'incredulità, dell'indifferenza internazionale.

L'opinione pubblica è annoiata e disattenta: i profughi non sono per definizione palestinesi o afghani, o al massimo vietnamiti? E poi, Irak e Iran non hanno appena fatto la pace? Cosa vogliono ancora questi curdi dai nasi adunchi che rapiscono i tecnici italiani in Irak e forse hanno perfino ammazzato Olof Palme? Che se ne stiano calmi nelle loro montagne, e ci facciano continuare tranquilli i nostri affari con Baghdad.

"Israele è più democratico dell'Irak", si lamenta Akram Maji, 32 anni, barbuto partigiano da sette, "perché lascia vedere a tutto il mondo cosa succede ai palestinesi. In Irak invece durante una sola giornata possono essere ammazzati anche mille curdi, ma nessuno lo sa, nessuno lo vede in tv, nessuno ci crede. E anche quando lo sanno, i vostri governi tacciono. Nessuno di loro domanda all'Irak: perché uccidete così la vostra gente?"

Sotto la tenda 222, in mezzo al campo profughi di Dyarbakir, mentre Akram parla nel suo incerto inglese, arrivano altri "peshmerga" (partigiani) giovani e anziani. Si tolgono le scarpe da ginnastica che portano incongruamente assieme alle divise verdi e kaki senza gradi, e si siedono silenziosi per terra, sui tappetini, le stuoie, i sacchi a pelo. Fuori il sole batte forte, 35 gradi all'ombra, e i numerosissimi bambini scorrazzano da una tenda all'altra.

Oltre ad Akram, laureato all'università di Bassora (è ingegnere agricolo), parla inglese anche un ex maestro elementare: nel '79 non aveva voluto diventare membro del partito unico iracheno Baas perdendo così il posto di lavoro, e nell'85 è diventato partigiano perché, dopo essersi rifiutato di denunciare un suo fratello guerrigliero, gli iracheni lo avevano cacciato dalla sua casa.

Allora, queste armi chimiche? Come mai i medici turchi non hanno trovato nessun segno del loro uso su di voi? "La mattina del 25 agosto io ero nel principale campo militare dei peshmerga vicino a Zaku", racconta Akram, "e gli aerei dell' Irak hanno bombardato con armi chimiche. Ce ne siamo accorti subito , perché sono silenziose, non fanno rumore. Il campo era nascosto fra gli alberi, non ci hanno preso. Ma in un villaggio vicino, Tuka, sono morti tutti gli abitanti, e anche gli animali e le galline. La voce delle bombe chimiche è bassa, non c'è sangue. Noi non abbiamo nessuna difesa, nessuna maschera antigas, ho mandato un gruppo dei miei uomini a seppellire le vittime, ma non ce l'hanno fatta: sono ritornati con gli occhi rossi, non riuscivano a respirare".

È la prima volta che venite attaccati chimicamente?
"Sì, per lo meno nella nostra area: sapevamo che gas chimici erano già stati usati dagli iracheni contro gli iraniani e anche contro i curdi nella zona di Suleiman e poi, qualche mese fa, per distruggere completamente Halabja. Quindi ce l'aspettavamo. Quello che invece non prevedevamo era un bombardamento preventivo a tappeto contro tutti i villaggi, contro le donne, i vecchi, i bambini. Pensavamo che avrebbero usato le armi chimiche solo contro di noi, nei punti di resistenza, per farci sloggiare dagli accampamenti militari".

E la tua famiglia, Akram?
"Non sono sposato. La famiglia dei miei genitori è scappata in Iran qualche anno fa. Ma ho dei cugini in Irak, e non so nulla di loro. Ho paura che i militari li ricattino per causa mia".
"Io ho visto la nuvola gialla che i gas tossici formano quando arrivano a terra", dice l'ex maestro elementare. "Le bombe chimiche non esplodono, non fanno schegge, non provocano ferite. Fischiano silenziose e si sentono soltanto con il respiro e l'odore. Ad alcuni dei feriti uscivano acqua e sangue dal naso e dalla bocca, ma sono morti molto in fretta, dopo appena mezz'ora".

E tu, piccolo Guhdar, le bombe chimiche le hai viste?
"La mattina che sono scappato ho visto sei o sette aerei che stavano bombardando il villaggio di Zawik… E nulla più".

Tutti i curdi che incontriamo nel campo di Dyarbakir, sia civili sia peshmerga, sono unanimi: "Gli iracheni ci hanno bombardato con i gas".
Prove, segni concreti, nessuno: solo Behcet Naif, 20 anni, nel villaggio di Barhol (sempre nella valle dell'Habur, fiume che nasce in Turchia e poi finisce nel Tigri in Irak), appena saputo che sono "gazeteji", giornalista, si apre i primi due bottoni della camicia militare e mi chiede di fotografargli il collo: "Con il gas la gola si era tutta gonfiata, mi era diventata rossa anche la pelle fuori".
Adesso, però, non c'è molto da constatare.

Insomma, l'uso dei gas è destinato a rimanere un mistero: che abbiano ragione i Paesi della Lega araba, i quali hanno espresso compatta solidarietà all'Irak? Che abbia ragione l'Irak, che accusa i giornali occidentali di montare una campagna diffamatoria?
Eppure gli Stati Uniti hanno dichiarato di possedere prove certe dell'uso di armi chimiche contro i curdi, e dieci Paesi dell'Onu hanno chiesto di mandare una commissione investigativa in Irak. Rifiutandola, il governo di Baghdad diventa automaticamente poco credibile.

Il primo ministro turco Turgut Ozal è arrivato venerdì 16 settembre in pompa magna a Dyarbakir, per visitare il campo profughi assieme alla moglie Semra. Ne ha approfittato per fare anche un po' di campagna elettorale in vista del referendum del 25 settembre (su un piccolo cambiamento costituzionale) che perderà sicuramente.
Ozal si è spostato in giro per Dyarbakir su un pullman carico di altoparlanti che trasmettevano musica, e con sul tetto una quantità incredibile di agenti in divisa e in borghese col mitra spianato.

Durante la conferenza stampa internazionale di Ozal a Dyarbakir è successo un fatto molto strano, che però spiega varie cose. Anzi, quasi tutto. Il premier turco è stato molto attento a non pronunciare mai due parole: curdi e armi chimiche. Perché?

La parola "curdo" è da sempre tabù in Turchia. Anche qui come in Irak, infatti, c'è una fortissima minoranza curda: dieci milioni di abitanti su 50, concentrati tutti a sud est, nella parte turca del Kurdistan (altra parola proibita in Turchia: un funzionario della Mezzaluna rossa la Croce rossa islamica si è arrabbiato quando gli ho detto che andavo a visitare i profughi in Kurdistan. "Il Kurdistan in Turchia non esiste", mi ha risposto seccato).

Ankara considera i propri curdi una grave minaccia per lo stato fondato da Kemal Ataturk nel 1920. Dappertutto a Dyarbakir, capoluogo di questa nazione fantasma, sono dipinti in caratteri giganti i proclami del defunto padre della patria: "Dalla Tracia a Dyarbakir, da Istanbul a Van, siamo tutti turchi".
Così, per non pronunciare la parola maledetta, Ozal definisce oggi i profughi curdi come cittadini iracheni.

Quanto all'altra parola chiave, i gas chimici, Ozal ha graziosamente evitato di menzionarli per non rovinare i rapporti con l'Irak. Rapporti ottimi: nei primi cinque mesi del 1988 l'export della Turchia verso l'Irak è aumentato del 154 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, raggiungendo la cifra record di 773 milioni di dollari (più di mille miliardi di lire), e che anche le importazioni sono raddoppiate.

Durante gli otto anni della guerra Iran-Irak la Turchia è riuscita a mantenersi equidistante fra i due contendenti, e anche i rapporti con Teheran sono buoni. Ma, sempre per andare sul concreto, l'export turco verso l'Iran nei primi cinque mesi di quest'anno è stato di appena 164 milioni di dollari.

Insomma, la Turchia ha molti più interessi in Irak che in Iran. Nessuna meraviglia, quindi, per l'estrema cautela di Ozal. Cautela peraltro ricambiata dai profughi curdi, ai quali dei curdi che vivono in Turchia, Siria e Iran non importa niente. Perlomeno, questo è quanto risponde diplomaticamente Akram Qun quando gli chiedo cosa pensa del Pkk, il Partito dei lavoratori curdi che si batte per l'indipendenza dei curdi di Turchia (soprattutto assassinando centinaia di connazionali accusati di collaborazionismo con il governo di Ankara): "Non so cosa dire, questi non sono problemi che ci riguardano, sulla Turchia non so nulla. Noi vogliamo solo l'autonomia del Kurdistan iracheno nell'Irak".

Sì, autonomia e basta: questi terribili peshmerga, coraggiosi guerrieri che furono gli unici a sconfiggere i mongoli, si battono in realtà per un obiettivo moderato: "Non chiediamo l'indipendenza, non vogliamo uno stato del Kurdistan libero. Vogliamo solo una vera autonomia da Baghdad, pur restando nell'Irak".

Questa è la posizione ufficiale del Pdk, il Partito democratico curdo al quale appartengono quasi tutti i profughi del campo di Dyarbakir. Il capo del Pdk è Masud Barzani e sta in Iran. L'altro partito dei curdi iracheni è il Puk , Unione patriottica curda, guidato da Jalal Talabani, che si appoggia alla Siria.

Contrariamente ai palestinesi, che sovente si ammazzano fra loro, i rapporti fra le due organizzazioni curde sembrano essere abbastanza buoni. Ma sarà molto difficile per entrambe far accettare il concetto di "autonomia" a Baghdad. L'unica autonomia che i curdi iracheni erano riusciti a conquistarsi negli ultimi anni era quella concessa dal vuoto della guerra Iran-Irak: "Tutto l'esercito era mobilitato contro Khomeini", spiega Akram, "e così noi al nord, a Mosul, Kirkuk e Zaku, eravamo riusciti a liberare gran parte del territorio. I soldati di Saddam riuscivano a controllare soltanto le strade principali e le città".

Ma quella che i partigiani curdi chiamano con orgoglio la loro freedom area si è sciolta come neve al sole nel giro di un mese quando Saddam Hussein, dopo la tregua con l'Iran, ha potuto traslocare il proprio esercito da est a nord. Con due risultati: riprendere il controllo del Kurdistan e dar qualcosa da fare ai 600mila militari per i quali è difficile trovare un lavoro civile dopo otto anni di guerra.

"Ma Hussein è forte solo perché i vostri paesi gli spediscono armi", accusa Akram. E qui c'è una sorpresa. Gli chiediamo se per caso il suo gruppo abbia preso qualche ostaggio occidentale in Irak. "Ma certo", sorride tranquillo Akram, "una volta, verso l'83-'84, abbiamo avuto come 'ospite' anche un italiano".
È il signor Antonio Chiaverini, il quale se adesso vuole rivedere i suoi carcerieri può andarli a trovare nel campo di Dyarbakir. Dove adesso le parti si sono capovolte, perché Akram e i suoi sono praticamente prigionieri del governo turco: nessuno può uscire dal campo, nessuno, tranne i giornalisti, può entrarci, e ai curdi non è permesso neanche comunicare fra loro da un campo all'altro.

Insomma , per ora più campi di concentramento che campi profughi. E i 500 mila abitanti di Dyarbakir, tutti curdi anche loro, tranne i poliziotti, i militari e i funzionari del governo, possono osservare i loro connazionali solo da lontano, col binocolo, dagli antichi spalti in basalto della città.
Mauro Suttora

Friday, March 25, 1988

Fobie

La paura fa 90

Ci sono i rupofobi, i cleptofobi, i tachifobi. E poi i cinefobi , i cinofobi e i claustrofobi. Qualcuno non sopporta la profondità dell'universo, altri i capezzoli, le spalle, i laghi. Riconoscete qui la vostra angoscia privata. E tranquillizzatevi in buona compagnia

di Mauro Suttora e Fiamma Arditi

Europeo, 25 marzo 1988

Scusi, lei che fobia ha? Domanda indiscreta, privata, impertinente. Alla quale riesce a rispondere, probabilmente, solo chi di fobie veramente gravi non ne ha. Da quando, nel 1908, Sigmund Freud scopri' che il piccolo Hans, un bimbo di 5 anni, aveva la fobia di essere morso dai cavalli, di acqua ne e' passata sotto i ponti. Ma, anche se aggredite scientificamente dalla psicanalisi, le fobie non sono certo scomparse. Anzi.

"Per la verita' , almeno nel caso delle nevrosi isteriche , la scoperta della finzione drammatizzante le ha fatte diminuire drasticamente", avverte Giuseppe Zappone, psicoterapeuta comportamentale di Milano , autore del libro Origine e superamento delle paure inutili (ed . Masson) . " In compenso sono aumentate , negli ultimi decenni e soprattutto negli ultini anni , le fobie estetiche : quanti adolescenti , anche maschi , che non escono di casa perche' hanno paura di essere brutti , o comunque non all' altezza dei modelli proposti dalla pubblicità".

"Freud metteva le fobie in relazione alle figure interiorizzate dei genitori", spiega Massimo Ammanniti, professore di psicopatologia a Roma, "e infatti in generale le fobie sono legate ai conflitti edipici. Molto frequenti nei bambini , in alcuni adulti rimangono come conflitti residui ed entrano a far parte del carattere".

Spiegazione tranquillizzante ? Proviamo a ripetere la domanda : scusi, qual e' la sua fobia ? Ecco un elenco (nient'affatto esaustivo) di novanta paure, incubi e ossessioni che attanagliano personaggi della cultura, dello spettacolo, della politica. Alcuni sono semplici fastidi, raccolti al volo, altri sono veri e propri terrori cosmici . Ma anche le fobie piu' piccole e insignificanti possono essere fastidiose: sia per chi le ha, sia per chi gli sta attorno. E quando si trasformano in manie, seppur simpatiche e inoffensive, sono dolori per tutti . Cominciando dalle piu' comuni, ne elenchiamo novanta, in omaggio al detto: " La paura fa novanta".

CHIUSO. Soffre furiosamente di claustrofobia , oltre a Renato Vallanzasca, l'editrice Adelina Tattilo.
APERTO . " Da bambino avevo l' agorafobia , ma forse per il lavoro che faccio mi sta scomparendo ". Ippolito Pizzetti, architetto di giardini .
SILENZIO . Arrigo Cipriani , proprietario dell' Harry' s Bar a Venezia : " Non mi piace il rumore dell'Harry's Bar vuoto ". ASCENSORI . Gabriella Farinon , ex presentatrice tv , moglie dell'imprenditore Stefano Romanazzi , ha evitato gli ascensori dopo aver subito un tentativo di violenza in quello di casa sua. Il giornalista Giuliano Ferrara non sopporta gli ascensori chiusi, senza porte di vetro. Anche Antonio Del Pennino, deputato repubblicano, tituba dopo essere rimasto prigioniero di un ascensore per tre ore una domenica d'estate .
VOLARE . Oltre all' ex campione del mondo dei pesi massimi Cassius Clay Muhammad Ali, Sandra Mondaini , Raimondo Vianello e Monica Vitti , anche Adriano Celentano e Mina, nonche' Pupi Solari, proprietaria di negozi di moda , sono vittime di un' insuperabile paura di volare . E per questo che non hanno mai tenuto concerti negli Stati Uniti .
SPORCO . Rupofobia , dal greco " rupos " . " Sono sempre con lo straccio della polvere in mano " , dichiara l' attrice Paola Borboni , 88 anni . " E una mania legata alla mia infanzia : mia madre mi ha cresciuto con il terrore dei microbi che portano le malattie , e che si trovano nella polvere . Ma almeno e' una paura positiva : la mia casa e' uno specchio" .
CUOCHI . " Ho una paura furiosa delle pentole , dei piatti , ho il terrore che un leggero residuo di polvere o di grasso sia rimasto su di loro . Ecco perche' ho paura dei cuochi . Per il resto la polvere puo' ricoprire tutto : i libri , le persone , le cose , non mi importa " . Valentino Zeichen , poeta .
PULITO . La fobia per lavaggi e abluzioni frequenti non e' piu' monopolio dei sozzoni . Parlate con un dermatologo . " I bimbi , le donne , gli anziani e chi ha la pelle asciutta , non deve lavarsi tutti i giorni " , avverte infatti il professor Giancarlo Armuzzi di Milano . L' eczema da troppa pulizia e' in aumento .
VELOCITA' . La tachifobia quasi paralizza Joanne Woodward , moglie di Paul Newman : ha fatto tarare la propria auto per non poter superare i 40 chilometri all' ora , neppure spingendo al massimo l' acceleratore . Purtroppo per lei , suo marito e' invece un noto fanatico delle auto da corsa .
ANGOLI . Mai tagliare gli angoli delle strade e accarezzare sempre gli spigoli . Lo raccomanda l' ex deputato comunista Antonello Trombadori .
SPECCHI. Guai se si rompono . Sono molti a crederlo . Anche Marisa Bellisario , amministratore delegato dell' Italtel . SCALE. Monica Vitti . Se per distrazione passa sotto una scala , da attrice comica , qual e' diventata , ritorna a essere una diva drammatica come ai tempi del film Deserto rosso.
OLIO E VINO. Quando li rovescia inavvertitamente a tavola, l'industriale Pietro Barilla , per superare il trauma , bagna il dito e si tocca il lobo dell' orecchio.
SERPENTI. Ofidiofobici sono sia l'attrice Ann Margret sia il deputato liberale Paolo Battistuzzi : " Mia moglie ed io volevamo comprare una casa di campagna in Umbria " , racconta Battistuzzi , " sapendo che in zona si avvistavano serpenti , abbiamo cambiato idea " .
TOPI . L' attore Clint Eastwood e la psicologa Gianna Schelotto (deputata della Sinistra indipendente) condividono lo stesso schifo : per i topi . " Specialmente quando il tu per tu avviene in una stanza " , precisa la Schelotto .
CIVETTE . Stefano Romanazzi , imprenditore barese e marito di Gabriella Farinon (vedere alla voce ' ' ascensori' ' ) , appena scorge la sagoma di una civetta su un quadro o su una stoffa scappa .
FORMICHE . Alberto Bevilacqua , scrittore : " Ho il terrore delle persone che , come le Formicole rosse nel romanzo di Remo Lugli , ti si appiccicano addosso recitando sentimenti di finta amicizia , ma soltanto per spremerti qualcosa . L'ipocrisia e' una mistificazione che va ben oltre la semplice bugia " .
UCCELLI . Sono numerosi gli amanti dell 'omonimo film di Alfred Hitchcock : quelli che non ce la fanno ad attraversare piazza Duomo o piazza San Marco per paura dei piccioni .
SE STESSI . Autofobia : " La mia sola paura e' di vedermi e farmi vedere la mattina presto , quando non sono ancora truccata " . Jaclyn Smith , Charlie' s Angel .
INFLAZIONE . Pietro Citati , scrittore : " Mi scusi tanto , ma in questo periodo ho dato tante di quelle interviste che ho paura di inflazionarmi " .
BALLERINI . " Mi sento male a guardarli " , dice la regista Muzi Lofredo , " se trasmettono un film di Fred Astaire alla tv devo girare subito la faccia dall' altra parte " .
GATTI. Alberto Dall' Ora , avvocato : " Ricordo con terrore i 700 metri di retromarcia che mia moglie mi ha fatto fare nel centro di Vigevano dopo che di fronte alla nostra auto era passato un gatto nero " . Davanti ai gatti neri perdono ogni ritegno anche il giornalista sportivo Paolo Valenti , Corrado , Alberto Sordi , nonche' il sottosegretario socialista alla Sanita ' , senatrice Elena Marinucci .
CANI. Cinofobia. La Quaker Chiari e Forti è una società leader nella produzione di cibi per animali. Ma, ironia della sorte, il suo presidente Giulio Malgara non può soffrire i cani.
CINEMA. Cinefobia . Che fine ha fatto il piu' volte annunciato film di Federico Fellini Viaggio di G. Mastorna ? Il superstiziosissimo regista lo ha avviato , ma non lo ha mai portato a termine . Molte le scuse : un' inspiegabile malattia , improvvisi intoppi della produzione , persino un misterioso incendio del copione . Ce n' e' abbastanza per decretare una fobia di Fellini verso questo disgraziatissimo film .
TELEVISIONE. " Non sono un voyeur " . Giorgio Caproni , poeta . " Per me la tv non esiste , la detesto " . Emilio Servadio , psicanalista . " Ho otto figli e preferisco stare con loro " . Giuseppe De Rita , sociologo . " Non guardo la tv , ma devo passare le mie serate a sentire opinioni sulla tv . . . " . Grazia Cherchi , critica letteraria .
INTERVISTE IN TV. Marella Agnelli, moglie del presidente della Fiat Giovanni: "Le ho sempre rifiutate, con la fermezza di una roccia. Mi disturba perfino pensarci. Mi fanno sentire come da ragazzina prima d'un esame: inadeguata. Dovrei nascondermi dietro qualcosa, per farle. Ad esempio dietro un cappello... La tv trasforma i non valori in valori. Peccato".
INTERVISTE AL TELEFONO . Francesco Rosi , regista : " Ho la fobia di voi giornalisti che volete fare le interviste per telefono " .
SENZA TELEFONO . " Ho la fobia di non comunicare con l' esterno . Mi sembra di stare in una casa morta " . Achille Bonito Oliva , critico d' arte .
NATURA . Il prototipo del maschio virile , John Wayne , non si vergognava di ammettere in pubblico il proprio sacro terrore di fronte agli elementi primordiali della natura : vento (anemofobia) , fuoco (pirofobia) , acqua (talassofobia) : " Ho avuto a che fare con tutti e tre , ragazzi , e vi dico che l' avrebbero avuta vinta se non mi fossi sbrigato a scappare " .
TERREMOTI . " Faccio spesso un sogno : io , mio marito e i miei figli stiamo su un' isola bellissima , incantata . Improvvisamente , pero' , arriva un terremoto o un maremoto . Mi sveglio morta d' angoscia " . Rosanna Vaudetti , annunciatrice tv.
DIAVOLO . Per Paolo Pietroni, ideatore e curatore di Sette, la paura e' un desiderio negativo . La sua fobia per il maligno lo conferma. Lo teme come principe della notte , come entita' negativa all' armonia di un mondo possibile. Lo corteggia e lo usa , quando lo sente in se' come anima nera , per distruggere : un rapporto , un' impresa , un affare .
INFERNO . Anthony Burgess , scrittore inglese , laico : " Non possono esserci molti dubbi che ci aspetta un inferno dopo questa vita " .
FANTASMI . " Mi terrorizzano . Avverto le ' ' presenze' ' di provenienza arcana per una qualche facolta' paranormale che mi porto addosso da sempre . Di notte mi fanno rischiare l' infarto " . Sandra Milo , attrice .
MORTE . L' unica paura di Roberto d' Agostino , arbiter elegantiarum , potrebbe forse essere quella di apparire normale . E invece no , il suo cruccio e' assai normale : " Fobie ? Paure ? Mah . . . forse la morte " .
VECCHIAIA. Marina Punturieri, 46 anni, moglie di Vittorio Ripa di Meana , ex Lante della Rovere , e' gerontofoba : " Ho paura del declino fisico che si subisce inevitabilmente con l' eta'. Chi dice che si puo' invecchiare bene fa della retorica , o sfugge alla realta' . La morte non la temo : e' una tappa , l' ultima , gia' scontata . Ma il declino fisico , e ancor piu' quello intellettuale , mi fanno proprio orrore " .
AMBULANZE . " Mi viene la nausea quando vedo un' ambulanza con la scritta ' ' ambulanza' ' alla rovescia " , Luciano Satta , linguista .
SOLITUDINE . "Per esistere bisogna che si mettano in tanti" : cosi' Jean Paul Sartre, nella Nausea, bollava sprezzante i monofobici . Ma Dario Argento, regista dell' orrore , e' un uomo dominato da questa paura : " Non posso dormire da solo . Il clima angoscioso dei miei film rispecchia le mie ansie personali , le mie nevrosi " .
LADRI . Alberto Lattuada , regista , e' cleptofobo : " Provo una vera e propria repulsione nei confronti dei ladri di ogni tipo : da quelli delle tangenti miliardarie a quelli dei furtarelli da 30 mila lire . Rifiuto quindi i doni , non mi faccio mai corrompere " .
BUIO . Ornella Vanoni non dorme mai a luce spenta. Laura Antonelli di notte accende tutte le lampade di casa : " Il buio mi mette addosso una sensazione di terrore che mi prende alla gola e quasi mi paralizza , sia fisicamente che psicologicamente . Mi rendo conto che e' puerile tenere le luci accese quando si dorme , perche' con gli occhi chiusi la luce non si vede piu' . Ma il buio mi angoscia". Stessa fobia anche per la pur battagliera Jane Fonda.
LUCE . Fotofobico era Ugo La Malfa , convinto che alzarsi dopo il levar del sole portasse male . E l' industriale Alberto Pirelli faceva ogni sera il giro degli uffici della sua societa' per chiudere tutte le luci . Fobia da bolletta ?
GAS . " Avro' spento il gas ? " . Rosi dall' incertezza , si alzano e rialzano dal letto finche' il sonno non li fa crollare . Su questa fobia diffusa Giorgio Gaber ha montato una celebre gag .
NEVE . " La neve e la montagna mi danno un senso di distacco , di convalescenza . La neve , cosi' immacolata , mi ricorda malattie letterarie come la tubercolosi , che da grande magari ti fanno diventare uno scrittore famoso " . Achille Bonito Oliva , critico .
MARE . La puntata di Love Boat dove e' apparsa Janet Leigh ha dovuto essere girata tutta a terra , in una cabina ricostruita e su un ponte finto che dava su un prato verde . " Se vado in mezzo al mare " , ha spiegato l' attrice americana , " provo la sensazione di essere inghiottita da un momento all' altro " .
ONDE . " Da quella volta che ho rischiato di affogare a Fregene " , dice Gianni Mattioli , capogruppo dei Verdi alla Camera , " il mio incubo ricorrente e' di venire travolto da enormi onde grigio giallastre che mi passano sulla testa " . Curiosamente anche un' altra deputata verde , Laura Cima , ha la stessa fobia .
LAGO . " Ho la fobia di affogare in un lago fatto solo di semolino " . Raimonda Gaetani , scenografa .
ISOLE . Carmen Llera , moglie di Alberto Moravia : " Mi fanno sentire prigioniera . Anche la Sicilia , che e' bella grande . Non posso dipendere da nulla , neanche da un aereo o da una nave . Mi ricordo quando si ruppe un piccolo aereo , eravamo in Gabon e rimanemmo bloccati per due giorni . Cominciai a piangere e a urlare in mezzo all' aeroporto".
CITTA' . " La mia fobia e' di essere condannato a vivere in citta " . Matteo Spinola , press agent .
CAMPAGNA. Barbara Alberti , scrittrice : " La campagna e' odiata da tutti gli intellettuali , di destra e di sinistra . E io muoio se li devo accompagnare " .
ARIA . L' attrice Mariangela Melato e' pneumofoba : " Ho la fobia dell' ossigeno , dell' aria pura . Fino a svenirne " . MANCANZA D'ARIA. Dudu' La Capria , scrittore : " La mia fobia e' di rimanere soffocato da qualche parte . Mi angoscia dover vivere in una situazione protratta di mancanza d' aria " .
MOVIMENTO . La critica d' arte Lea Vergine , tra le tante paure o inquietudini che la tormentano , confessa l' ultima fobia . Riguarda il cambiare luogo o posizione . Dall' entrare o uscire da una stanza al decidere di viaggiare . DISORDINE . " Ho una forte tendenza , continuamente disattesa dalla vita , a organizzare non solo i miei cassetti ma anche la quotidiana realta' . Il disordine mi fa sentire perduta , in balia degli avvenimenti " . Patrizia Carrano , scrittrice .
PROFONDITA' DELL' UNIVERSO. Alberto Ongaro, scrittore : " Non vorrei sembrare pomposo , ma a volte mi prende la consapevolezza della profondita' dell' universo . Vengo assalito da un vero e proprio senso di panico . Mi puo' accadere in ogni ora e in ogni luogo , per esempio guardando il cielo . A pensarci bene , pero' , questa non e' una fobia : e' la condizione normale dell' uomo . Ma noi ci dimentichiamo spesso della nostra condizione " .
NOIA . " Non riesco a sopportare le persone noiose , le evito in tutti i modi . Quando ne avvisto una per strada cambio subito marciapiede . Se mi telefonano a casa , faccio dire che non ci sono . E se riescono a trovarmi , rispondo testualmente : non ci sono . Sono uscita " . Camilla Cederna , giornalista .
FESTE . L'attrice Adriana Asti sfugge come la peste tutte le riunioni mondane : " Mi annoio con il prossimo , anche se sto attenta a evitare gli imbecilli . La noia ha su di me effetti devastanti . I sintomi sono precisi : pallore , brividi , svenimento . So gia' che moriro' durante una conversazione tediosa " .
PRETI E POLACCHI . Federico Zeri , critico d' arte : " Ho la fobia dei preti che fanno politica . Ma anche degli individui arroccati al potere che fanno finta di essere di sinistra . Inoltre mi sono odiosi tutti i polacchi". Perche'? " Per un'infinita' di motivi che sarebbe troppo lungo elencare " .
CATTOCOMUNISTI . " Da piccolo sognavo che mi uccidevano perche' sono omosessuale . Adesso sono insofferente verso chi parla sempre di democrazia e di pace , come i cattocomunisti di ogni tipo : dal Pci alle Acli alla Caritas". Angelo Pezzana, fondatore nel 1971 del Fuori (Fronte unitario omosessuali rivoluzionari italiani) , libraio , consigliere regionale del Piemonte .
ORGOGLIOSI E MILLANTATORI . Monsignor Loris Capovilla , vescovo di Loreto , ex segretario di papa Giovanni XXIII : " Come cristiano accetto tutti , ma se penso all' etimologia della parola ' ' fastidio' ' mi accorgo che essa deriva da due parole latine : ' ' fastus' ' , che significa orgoglio , e ' ' tedium' ' , noia . Noia degli orgogliosi e dei millantatori , quindi . Nessun odio e nessuna fobia , pero' , per carita' ! Chi odia avvelena se stesso e l' ambiente in cui vive , mentre gli uomini sono nati per stare tutti assieme , formando una sinfonia " .
PERDERE . " Ho paura di ogni tipo di sconfitta " . Nino Benvenuti , ex campione mondiale dei pesi medi .
VINCERE . Lo scrittore Giorgio Manganelli ha la fobia dei premi letterari : quando sa di essere stato selezionato , arriva fino al punto di telefonare ai giurati a uno a uno , pregandoli di non farlo vincere .
ANIMA . Ruggero Guarini , giornalista : " La mia idiosincrasia e' per gli ideologi che fanno i romanzieri , per i professori che fanno i poeti e per tutti quelli che non si fanno i fatti loro . Volgarita' per me e' il tentativo disperato di sembrare quello che non si e' : ho la fobia di chi considera un privilegio avere un' anima , quando l' anima ce l' hanno tutti , anche le portiere " .
VOLGARI . " Ho la fobia della volgarita' , di ogni tipo : dal linguaggio ai gesti , al modo di vestirsi , alla tv , alle copertine di certi giornali . . . " . Elisabetta Catalano , fotografa .
GELOSI . Silvio Ceccato , cibernetico : " Ho una fobia verso i gelosi . Sono convinti di essere gli unici che amano davvero . E invece amano solo se stessi " .
INCIDENTI . Tutte le mamme sono apprensive e ansiose . Ma mai quanto la cantante Orietta Berti: "Una sera , prima di uno spettacolo , ho telefonato a casa e mi hanno detto che Omar, mio figlio , non era ancora tornato dal mare . Poco dopo essere andata in scena sono svenuta " .
NUMERO QUATTRO . Stava antipatico a Jorge Luis Borges : durante una conferenza stampa lo scrittore argentino chiese ai giornalisti di saltare la quarta domanda.
TREDICI. Il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi ha sempre un funzionario pronto a subentrare quando il numero dei presenti a pranzi e riunioni si arresta sul fatidico tredici . Giovanni Agnelli ha inveito contro il martedi' 13 durante il quale , qualche mese fa , si e' rotto la gamba . E l' ufficio stampa della Fiat ha diligentemente diffuso la sua imprecazione in un comunicato ufficiale .
DICIASSETTE Fa rabbrividire Sandro Pertini , che cada di venerdi' o in un qualsiasi altro giorno della settimana : non prende decisioni , manda a casa i collaboratori , una volta ha perfino spostato un comizio . " Sono convinto che se Luigi XVII si fosse chiamato 16 bis non sarebbe finito ucciso da bambino " , assicura lo scrittore Luciano De Crescenzo .
DICIOTTO . Alla fobia per i numeri si concede anche Giovanni Mariotti , scrittore e critico letterario . Con qualche sorpresa : "Spesso alcuni che considero malevoli si mostrano benevoli , e viceversa . Ora ho in sospetto il 18 , che ritenevo buonissimo " .
PARI . Il poeta Vittorio Sereni non voleva che i suoi libri fossero pubblicati negli anni pari , che considerava infausti .
VENERDI . Renato Ruggiero, adesso ministro del Commercio estero, nominato segretario generale del ministero degli Esteri , chiese di anticipare l' entrata in carica di 24 ore per non farla cadere di venerdi' . E il ministro Giulio Andreotti lo accontento' .
SABATO . "Il sabato porta sfortuna a chi lavora", mormora Woody Allen, "bisogna riposarsi e , per maggior sicurezza , evitare gli jettatori " . In effetti , molti degli interpreti dei programmi tv trasmessi negli Stati Uniti il sabato sera negli ultimi anni sono finiti male : come David Soul (l' Hutch di Starsky & Hutch) che , dopo avere perso il lavoro e la moglie , ha tentato di uccidersi .
DOMENICA . Glabrofobia domenicale quella del calciatore Francesco Graziani , che si e' ritirato due mesi fa : non si faceva mai la barba il giorno della partita .
UN ATTIMINO . Logofobia , o fobia delle parole : Giorgio Forattini e' allergico all' " attimino " che segretarie e centraliniste ci pregano invariabilmente di aspettare .
CARNE . Non la puo' sopportare Enrico Cuccia , consigliere anziano di Mediobanca , benche' si dichiari lontano mille miglia dalle ideologie vegetariane e " animaliste " .
PUNTEGGIATURA. La fobia per i punti attanagliava , a volte , lo scrittore Giuseppe Berto . E anche lo svizzero Friedrich Duerrenmatt , con le sue " 24 frasi lunghe " , non e' da meno . Per non parlare del flusso continuo del cecoslovacco Bohumil Hrabal .
AUTOGRAFI . Non li regalava mai volentieri il vecchio Ernest Hemingway . E non sopportava proprio gli scippatori in vena di furberie . Per esempio , quelli che gli scrivevano solo per ricevere una risposta firmata . Hemingway , cortese , rispondeva . Ma con una lettera anonima . In fondo , al posto del nome , uno spazio bianco .
LINGUA MATERNA . Per Paul Wolfson , scrittore americano nato a New York , e' impossibile parlare inglese . Fino dall' adolescenza ha dei veri e propri sconvolgimenti fisici nel sentire parole in lingua materna . Cosi' e' cresciuto inseguendo per radio e televisione programmi stranieri e ha raggiunto la notorieta' con due opere scritte in francese .
COLORI . Odiano il viola Wanda Osiris, Ronald Reagan, tutta la gente di spettacolo in genere , nonche' l'editore Edilio Rusconi. Il quale e' cromofobo anche nei confronti della pelle nera: poche settimane fa ha vietato la pubblicazione , sulle copertine delle sue riviste Eva e Onda Tv, di foto del comico di colore Eddie Murphy e del presentatore Sammy Barbot .
CAPEZZOLI SCURI. Nico Orengo , scrittore: "Anni fa corteggiavo una ragazza in Francia. Erano i primi tempi del topless, e lei era bellissima. Ma la vista dei suoi capezzoli, scurissimi, mi disturbo' a tal punto che la lasciai".
NUDO . " Fin da piccolo il mio incubo e' quello di camminare nudo per strada . E nudo mi sento di fronte alle delegazioni dei Cobas " . Giovanni Galloni , dc , ministro della Pubblica Istruzione .
SANGUE . Renzo Arbore : una brillante carriera stroncata sul nascere dall' ematofobia . Dalla natia Foggia sarebbe dovuto andare a studiare medicina a Napoli , ma rinuncio' dopo che svenne assistendo a un' incisione a un dito nello studio dello zio medico .
CALVIZIE . Pippo Baudo , presentatore tv : " Ho sofferto moltissimo per i capelli . Ero calvo , ho dovuto ricorrere ai trapianti per superare questo complesso , sottoponendomi a cinque interventi a Parigi " .
DENTISTA . "L' ultima volta che ci sono dovuta andare quasi mi veniva l' esaurimento nervoso " . Giuliana De Sio , attrice .
SPALLE . Armando Costa , avvocato : " Ho la fobia delle spalle al vuoto . Quando mi siedo devo avere sempre le spalle protette , da una parete , da una libreria , da qualcosa " .
MANI . Nell' ambiente pubblicitario e' nota la fobia di Gavino Sanna per la stretta di mano . E capace di trucchi di ogni tipo pur di evitarlo .
OROLOGI . Ciriaco De Mita non riesce piu' a mettere quel bellissimo orologio in acciaio e oro che portava al polso il giorno della batosta elettorale della Dc , nel giugno 1983 .
VESTITI NUOVI . Piero Bassetti , presidente della Camera di commercio di Milano , preferisce indossare fino alla consunzione i vecchi abiti , perche' e' convinto che gli portino fortuna .
SCARPE . L' attrice Brooke Shields non le indossa mai nuove : le fa provare prima alla sua segretaria . E Nancy Reagan le odia sotto al letto di notte .
TUTTO . "Vivo nella paura . Paura del caos , dei politici che sbagliano e ti fanno pagare i loro errori , dei terroristi della guerra nucleare ". Barbara Bouchet , attrice .
FOBIE . Alberto Ronchey , giornalista : " Fobie ? No , no . Non ho di questi problemi , io " . Fobofobico ?

Ecco , queste sono novanta fobie da Vip . Le conclusioni facciamole trarre da Cesare Musatti , padre della psicanalisi italiana . Che , personalmente , non ha paure da denunciare : " Se uno di noi ha una fobia e vuole curare gli altri , bisogna che prima se la cavi , come l'appendicite . Da cosa dipendono le fobie ? Beh , mettetevi in analisi , e allora lo capirete..."
Mauro Suttora
Fiamma Arditi
Ha collaborato Alessandra Baldini

Saturday, January 09, 1988

A noi la molecola

Scommesse sul futuro: alla ricerca di nuovi materiali

Idee geniali. Denari pochi. Da 20 anni la chimica italiana campa sugli allori di vecchi brevetti. La via d'uscita per il 2000? Una fusione tra i nostri due giganti, Montedison ed Enichem