Wednesday, May 12, 2004
Che emozione recitare a New York con la Kidman
Sunday, May 09, 2004
Newsweek: My Big Date With Nicole
LETTER FROM NEW YORK; Page 11
By Mauro Suttora
https://www.newsweek.com/my-big-date-nicole-127681
"I had dinner with Nicole Kidman." Hmm... I hadn't known my friend Christian, an Italian journalist, was a celebrity hound. Like most New Yorkers, we make a point of ignoring such people. "Where?" I asked. "At the Mercer Kitchen." What did you talk about, I wanted to know. And how did a poor schmuck like Christian meet Nicole? Well, he explained, "we weren't at the same table. Just next to each other. But I was as close as possible."
Christian's boast came to mind when I received this e-mail from another friend, a casting agent: "Looking for protesters on Sunday. Movie: The Interpreter with Nicole Kidman and Sean Penn. Location: the United Nations. All ethnicities welcome. Pay: $75. Bring photo I.D."
Why not? It was my day off. I was curious. And for the rest of my life I'd be able to say I acted with Nicole Kidman. Besides, "The Interpreter" would be an international blockbuster. My mother in Italy would love it, and Christian would die of envy.
That Saturday night I could hardly sleep. Nicole! I rose before dawn, showered, shaved and headed out into the rainy darkness of my new career. Outside a rundown building on 44th Street, not far from the United Nations, a van was unloading doughnuts, and a queue of several hundred would-be extras wound out the front door. We were ushered into a huge room on the third floor, overlighted and full of grubby plastic chairs. Sadly, this was not going to be an intimate thing between Nicole and me. I spent the morning filling out forms.
Around midday, a chorus of less-than-courteous young men and women began shouting that it was time for "the talent" (meaning us) to get out on the set. It had stopped raining, so they herded us into Dag Hammarskjold Plaza. We were issued signs to wave around and told to demonstrate. Nearby, a little group of real demonstrators huddled in a tent, campaigning for a free Tibet. Tourists glared, furious that because of us they couldn't visit the United Nations. "You are the only ones who get TV coverage, huh?" one muttered, eyeing the microphones and the cameras focused on us instead of the soggy Tibetans. "Be professional," a fierce little assistant director barked. The problem was that Sean Penn had shown up, along with legendary director Sydney Pollack. In the movie Penn plays a secret agent, incognito in our midst. Right. Who wouldn't crane their necks to look at him?
After a couple of hours, we were ordered back to our holding pen, where we were again scolded--this time for jumping too enthusiastically on the buffet of turkey sandwiches. Extras may be artists, I learned, but it takes sharp elbows to get your share of free food. During the afternoon shoots, I was selected as a passerby who refuses the leaflets handed out by the protesters. I hope Pollack didn't notice; otherwise, my face will be edited out of close-ups of the demo itself. Either I protest, or I don't give a damn, but I shouldn't be permitted to switch sides so swiftly. I mean, this is not Italian politics--nor Italian B-movies of the '50s, in which Roman slaves could be seen wearing wristwatches.
At 7 p.m. we queued to get our pay. But instead of money we got another form to fill out: "No signature, no pay!" Two weeks later I received a check for $62, after federal, state and city taxes. I calculated that Nicole and Sean every day make 20 times more than all 600 extras combined. My pay amounted to $4 an hour. My maid makes $15. And I got only a glimpse of Nicole. Don't tell Christian.
© 2004 Newsweek
Wednesday, May 05, 2004
Niall Ferguson al Cfr
Il Foglio, mercoledi 5 maggio 2004
"Anglobalizzazione". Dr. Ferguson invita gli Stati Uniti a essere imperialisti (per il bene dell'"Anglobalizzazione", come la chiama il prof scozzese)
New York. "Anglobalizzazione", la chiama lo scozzese Niall Ferguson, 40 anni ma gia' professore a Oxford e alla New York University, nonche' senior fellow della Hoover Institution a Stanford (Palo Alto, California). Lui ne va entusiasta: "Al mondo farebbe bene un lungo periodo di semina delle istituzioni anglosassoni: gli Stati Uniti hanno la responsabilità di continuare l'opera civilizzatrice dell'impero britannico".
Ma i suoi interlocutori al Cfr (Council on Foreign Relations) di New York, dove presenta il suo ultimo libro ("Colossus: the Price of the American Empire") non ne sono convinti: "L'America non e' un impero coloniale, anche se ringraziamo Ferguson per le sue stimolanti provocazioni polticamente scorrette", lo liquida educatamente Alan Brinkley, rettore della Columbia University.
Eppure Ferguson, senza essere un neocon, possiede argomenti che lasciano il segno, e sfidano quel misto di ipocrisia, dissimulazione e falsita' che gli americani chiamano "denial": "Non potete negarlo, ormai anche commentatori di sinistra come Michael Ignatieff ammettono che il vostro e' un impero. La parola ha perso il suo connotato negativo. Ma certo, non e' detto che gli Stati Uniti vogliano essere all'altezza della sfida che viene loro lanciata: quella di raccogliere l'eredita dell'impero liberale britannico, durato tre secoli."
L'autore di libri scorrevoli come "La Prima guerra mondiale: il più grande errore della storia mondiale" (pubblicato in Italia da Corbaccio) e "Soldi e potere nel mondo moderno. 1700-2000" (Ponte alle Grazie) constata l'ovvio: "Mai prima d'ora, nella storia umana, una nazione si era trovata cosi' davanti alle altre in tutti i campi: politico, economico, culturale, militare. In politica estera gli Stati Uniti mirano esplicitamente a cambiare i regimi e a ricostruire nazioni. In economia il modello del libero mercato non ha alternative. La cultura pop americana, dal cinema alla musica, e' amata universalmente. E le vostre forze armate hanno una capacita' di dominio globale. Perche' non chiamarlo impero?"
Il pudore nel pronunciare questa parola, sostiene Ferguson, viene da lontano: da quando le tredici colonie ribelli dell'impero che oggi hanno sostituito s'imbarcarono nell'annessione di mezzo continente: "Gli americani si sono sempre considerati messaggeri di liberta'. E se oggi se ne vergognano, e' un brutto segno. Perche' se non esiste la consapevolezza di essere un potere imperiale, con tutti i suoi diritti e i suoi doveri, si resta vittima della cronica disattenzione per le cose del mondo che e' il maggior difetto della classe dirigente statunitense oggi".
Ferguson accusa gli americani di non impegnarsi abbastanza, in sostanza di non essere abbastanza imperialisti, di non possedere la mentalita' coloniale: "Contrariamente agli inglesi di uno e due secoli fa, pochissimi fra i vostri migliori laureati vogliono partire verso i Paesi in via di sviluppo per aiutarli a crescere. Oggi a Bagdad quasi nessun americano conosce l'arabo. Ne' fra i giovani universitari e' aumentato l'interesse verso l'Islam dopo l'11 settembre. Gli americani, quando invadono un Pese, dicono: 'Ce ne andremo il piu' presto possibile'. Invece sarebbe necessario l'esatto contrario: l'Inghilterra pianificava secoli di permanenza, e tutte le sue ex colonie oggi ne godono i frutti. Anche gli Stati Uniti, hanno ottenuto risultati solo nei luoghi dove sono rimasti a lungo: in Giappone sette anni, in Germania dieci, in Corea addirittura per combatterci un'altra guerra. E le truppe americane stazionano ancora in questi tre fortunati Paesi, dopo piu' di mezzo secolo. Viceversa, dov'e' stata adottata la tecnica del mordi e fuggi i risultati sono stati negativi: Libano, Liberia, Cambogia, Somalia. Haiti e' stata occupata dal 1915 al '34, poi di nuovo nel '94: un disastro. E cosi' nella Repubblica Dominicana, amministrata dal 1916 al '24. Per far attecchire concetti come stato di diritto, legalita', sistemi fiscali equi, dipendenti pubblici onesti, separazione dei poteri, liberta' di stampa e istituzioni forti che li proteggano, occorrono decenni, se non secoli. Democrazia non e' improvvisare un'elezione".
Un interlocutore nella platea del Cfr obietta che il mondo islamico non ha mai accettato colonizzazioni, e porta l'esempio delle rivolte algerina contro la Francia, libica contro l'Italia e irachena contro il governo filoinglese nel '58: "Ma l'Indonesia islamica e' stata amministrata per secoli dall'Olanda", risponde Ferguson, "e negli altri Paesi la trasformazione e' stata troppo superficiale per produrre benefici. Londra ha comunque influito sull'Iraq dal 1918 al '58: magari gli Stati Uniti durassero quarant'anni! Invece voi ragionate in termini di cicli elettorali: al massimo quattro anni. E questa e' la miglior ricetta per il disastro. Certo, anche gli imperi liberali commettono errori. La strage britannica di Amritsar in India contro i gandhiani, per esempio: 300 morti. Ma domandiamoci anche qual era la misura degli altri massacri in quegli stessi anni: i centomila morti della strage di Nanchino commessa dai giapponesi nel '37?".
Mauro Suttora
Saturday, April 24, 2004
Il neocon Kagan fa marcia indietro
SAPER FARE LE ALLEANZE
Il Foglio, 24 aprile 2004
di Mauro Suttora
Ora il neocon Kagan dice che Rumsfeld se ne deve andare, e che Bush sa affrontare i nemici ma non gli amici
New York. Robert Kagan, 46 anni, autore del manifesto neocon "Paradiso e potere", ribadisce la sua richiesta: "Donald Rumsfeld se ne deve andare". Ma accanto al segretario della Difesa mette pure il segretario di Stato: "Dopo l'uscita del libro di Bob Woodward anche la posizione di Colin Powell è diventata insostenibile".
Gran folla l'altra sera alla Japan Society per un dibattito fra le due K più prestigiose nella politica estera americana: Kagan e il clintoniano Charles Kupchan, autore nel 2002 di "The End o f the American Era".
"È vero", ammette subito Kagan, "Bush non sta facendo un buon lavoro in Iraq. È stato bravo nell'affermare il diritto alla difesa preventiva, nel sollecitare la riforma del mondo arabo e nell'affrontare con realismo la questione palestinese. Ma non riesce a gestire bene il nuovo mondo unipolare, una situazione confusa e senza precedenti dai tempi dell'impero romano. Occorre coltivare le alleanze, anche con accordi e compromessi, perchè la questione della legittimità conta molto in politica estera: è importante ciò che il mondo pensa di noi, non possiamo ignorarlo. Dobbiamo riconciliare il nostro potere con l'ordine internazionale, per riassicurare coloro che normalmente starebbero dalla nostra parte".
Parole di moderazione sorprendenti in bocca a un neocon, ma anche Kagan deve fare i conti con gli scricchiolii della Coalizione dei volenterosi: dopo la Spagna, anche la Polonia si è messa a borbottare. "Gli europei comunque non si illudano", avverte, "anche con un eventuale presidente Kerry non sarà automatico trovare un accordo. Ormai fra Europa e America c'è una grande divisione. E prima o poi ci ritroveremo davanti i problemi di Iran e Corea del Nord: rimandarli non significa risolverli. Chi oggi tanto invoca Onu e Consiglio di sicurezza sa bene che questi organismi non hanno mai funzionato. Insomma, si accusa l'amministrazione Bush di aver distrutto una trama di relazioni internazionali che in realtà non era stata mai tessuta, a cominciare dall'intervento in Kosovo non autorizzato dall'Onu".
"Il più grosso equivoco nel quale si cullano gli europei", dice Kagan, "è che la politica estera americana sia improvvisamente caduta in mano a un gruppetto di estremisti. In realtà il desiderio di cacciare Saddam è enormemente condiviso, è sempre esistito un consenso bipartisan su questo. E non c'è voluto l'11 settembre per convincerci. Andate a rileggervi i discorsi di Clinton dal '97 al '99: avrebbe potuto pronunciarli chiunque, nell'attuale amministrazione. E' inutile domandarsi chi scatena le guerre, perchè la risposta non è mai univoca. Chi provocò la guerra contro la Spagna del 1898, per esempio? Teddy Roosevelt, William Randolph Hearst? No, tutti gli Stati Uniti la volevano, non era solo l'isteria di qualcuno, e il presidente William McKinley era popolarissimo. Stesso discorso su Pearl Harbor o il Vietnam, che non fu certo un'avventura solitaria di Robert McNamara".
"Quella del Kosovo fu una guerra illegale ma legittima, questa in Iraq è legale ma illegittima", ribatte Kupchan, "e mi spiego: avrei voluto che l'asticella del livello di pericolo necessario per attaccare preventivamente l'Iraq fosse messa più in alto. La minaccia non era così imminente. Insomma, il concetto di guerra preventiva è giusto, ma è stato sbagliato inaugurarlo con l'Iraq, discreditandolo. Ci siamo bruciati le dita, e ora sarebbe molto più difficile attaccare, che so, la Corea del Nord. Gli Stati Uniti non sono più visti come la soluzione ma come il problema, perchè l'unipolarismo funziona solo se il polo unico è considerato legittimo. La nostra arma principale non sono le portaerei o gli aerei F16, ma il prestigio. Non è vero che è meglio essere temuti che amati".
Anche Kupchan converge al centro e ammette: "Bush ha fatto cose buone, per esempio l'antiterrorismo non militare: è notevole che da due anni e mezzo non ci siano attentati negli Stati Uniti, anche se prima o poi mi sembra inevitabile che qualcosa accada. Un altro punto su cui Bush ha ragione è che l'Onu limita il nostro potere. È vero, ma è esattamente questo il motivo per cui al resto del mondo l'Onu piace. Cosa ci costava, per esempio, avvertire preventivamente Xavier Solana del nostro sì all'ultimo piano di pace di Ariel Sharon? Dimostriamo una straordinaria assenza di tatto... Ma dò ragione a Kagan: con Kerry non cambierà molto. L'internazionalismo liberal del nordest è ormai tramontato, negli Stati Uniti. E dall'Iraq non possiamo andarcene".
Mauro Suttora
Monday, April 12, 2004
Mauro of Manhattan
Wednesday, January 28, 2004
Sandra Savaglio a Baltimora
Wednesday, January 14, 2004
Duccio Macchetto e il telescopio Hubble
Thursday, January 01, 2004
Il sexyconiglio compie 50 anni e mette all' asta le conigliette vip
New York (Stati Uniti)
Hugh Hefner era un furbo ragazzotto di 27 anni quando mezzo secolo fa, nel 1953, stampò le prime 50 mila copie del mensile Playboy: "Sulla copertina non scrissi neanche "numero 1", tanto ero sicuro che non mi avrebbero permesso di arrivare al secondo", ricorda oggi. Bisogna immaginare cos'erano gli Stati Uniti allora: una nazione bigotta dove i negri non potevano salire sugli autobus dei bianchi, dove chi era accusato di essere comunista perdeva il lavoro, e dove perfino i cattolici venivano discriminati dalla maggioranza protestante (l'elezione del primo presidente cattolico John Kennedy nel ' 60 fu storica anche per questo). Figurarsi pubblicare la foto di un'attricetta nuda sconosciuta: tale Marilyn Monroe...
Ma il motivo della mancata indicazione della data sulla copertina era anche un altro, più pratico: la rivista non sarebbe mai scaduta, e infatti fece registrare il tutto esaurito. Il primo trionfo di Marilyn. Ancora oggi, in America Playboy viene venduto sigillato e nascosto dentro una busta di plastica nera. La sua nascita e la sua durata, quindi, possono tranquillamente essere paragonate a una rivoluzione. E la settimana scorsa la celebre casa d' aste Christie's ne ha celebrato il cinquantenario, vendendo più di 400 foto e documenti dal suo archivio. Incasso totale: 2,7 milioni di dollari.
Nonostante la concorrenza (prima Penthouse, il giornale ormai fallito di Bob Guccione, poi Hustler del miliardario Larry Flynt, oggi Maxim e i siti porno di Internet), Playboy gode di buona salute: vende tre milioni e 200 mila copie al mese, la metà rispetto ai massimi di trent' anni fa, ma più di qualsiasi altro mensile maschile. Inoltre le vendite di programmi tv e di video hanno fruttato l'anno scorso 121 milioni di dollari, superando per la prima volta gli introiti della rivista (111 milioni). In totale, l' impero Playboy rende ogni anno a Hefner e a sua figlia Christie, che lo gestisce oggi, la bellezza di 35 milioni di dollari di profitti netti.
Proprio di fronte alla libreria Rizzoli sulla 57ª Strada di Manhattan, e all' ufficio di Oggi da dove scriviamo questo articolo, vediamo il palazzo perennemente illuminato di Playboy. In realtà si chiamerebbe Crown Building, ed è uno dei più prestigiosi di New York: al piano terra c'è la gioielleria Bulgari e davanti l'altra gioielleria Tiffany, sulla Quinta Avenue. Ma tutti in città chiamano il palazzo con il nome del suo più illustre seppur controverso inquilino, che ne occupa vari piani.
Soltanto otto isolati più in là, nel Rockefeller Center, si è svolta l'affollatissima asta di Christie's. E per coloro che associano il nome di Playboy soltanto al pornosoft delle "conigliette" nude è stata una sorpresa. Fra i "pezzi" offerti, infatti, ci sono stati manoscritti del romanziere inglese Ian Fleming, creatore di James Bond, il celeberrimo agente 007, dello scrittore e poeta Jack Kerouac, padre della Beat Generation, e del russo Vladimir Nabokov, autore di Lolita: veri e propri reperti letterari che si sono affiancati alle preziose dodici pagine originali del racconto di Ernest Hemingway Consiglio a un giovanotto pubblicato postumo nel gennaio 1964, e a un articolo di Woody Allen del 1966. Di Fleming era offerto un dattiloscritto originale, con varie correzioni a mano, di Al servizio di Sua Maestà: il documento era stimato tra 18 mila e 24 mila dollari, ma è stato "battuto" per 17 mila.
Tra gli altri pezzi autografi di protagonisti della letteratura contemporanea sono stati messi all'asta testi di Allen Ginsberg, Henry Miller e addirittura del filosofo francese Jean Paul Sartre. Sono state offerte lettere dell'attrice Joan Crawford, del cantante Frank Sinatra e del padre della psichedelia Timothy Leary.
Particolare successo ha riscosso il nudo fotografico di Sophia Loren mentre nuota in piscina: la base d' asta era di mille dollari, ma è stato venduto per il triplo. La fotografia era stata pubblicata nell'agosto 1960, a corredo di un articolo intitolato Sophia la caldissima. Meno fortunata Gina Lollobrigida: Christie' s prevedeva di incassare 1.000 1.500 dollari per una sua foto in bianco e nero pubblicata nel settembre '54, che invece è stata aggiudicata per appena 750 dollari (meno di 600 euro). C'è da dire però che la foto non era granché, anche come misure (24 per 17 centimetri), e che nonostante questa piccola débacle la Lollo continua a essere adorata negli Stati Uniti: ancora tre settimane fa era ospite d'onore, con il cantante Billy Joel, all'inaugurazione di un hotel di lusso, il Mandarin Oriental di New York, nelle nuove Torri Gemelle Time Warner.
Fra le altre immagini storiche che vi riproponiamo, la più famosa resta quella di debutto di Marilyn, stesa su un lenzuolo di tessuto rosso, venduta a 18 mila dollari contro una base d'asta di ottomila. Seconda si è piazzata Bo Derek, con la copertina che nel marzo 1980 definì un'epoca: la foto scattata dal marito John (scomparso cinque anni fa, e autore per Playboy di foto delle sue due altre mogli, Ursula Andress e Linda Evans) è "andata" per 12.000 dollari, contro i 5.000 di base d' asta. Triplicato rispetto alle previsioni l'incasso di un'altra famosa immagine di Marilyn Monroe stampata nel numero del dicembre 1960, subito dopo l' elezione di Kennedy: da 3.000 a 9.500 dollari, per la splendida attrice ritratta mentre fa colazione a letto. Brigitte Bardot, infine, vince su Madonna per 8.500 dollari a 7.000: la fotografia dell' attrice francese apparve nel marzo 1958, quella della cantante statunitense nel settembre 1985.
Hefner, prima di diventare direttore editore di Playboy, era un disegnatore di vignette, e molte ne pubblicò sulla propria rivista. Decine di disegni originali dei migliori cartoonist mondiali sono finiti all' incanto: con tutti quelli pubblicati dal mensile nei suoi 50 anni si potrebbe allestire un museo di quest'arte minore. Anche la miglior musica è stata ottimamente rappresentata su Playboy: articoli, ritratti e foto su jazzisti come Benny Goodman, Louis Armstrong, Dave Brubeck, Chet Baker, lettere di Cole Porter ed Henry Mancini (reduce nel '62 dal successo di Moon River, colonna sonora del film Colazione da Tiffany con Audrey Hepburn), fino ad arrivare ai favolosi Anni Sessanta con gli originali delle interviste ai Beatles (febbraio '65) e a Bob Dylan (marzo '66).
Oltre alle prime immagini erotiche scattate da maestri della fotografia come Helmut Newton e Herb Ritts, l' asta di Playboy ha offerto un cimelio politico: l'intervista al líder máximo Fidel Castro del gennaio ' 67. Nonostante la perdurante antipatia dell'America nei confronti del dittatore cubano, il dattiloscritto originale ha triplicato il proprio valore durante l'asta, raggiungendo i 7.500 dollari. Successo anche per il colloquio con Martin Luther King del '65.
Dopo questa parentesi politica, però, l' asta è tornata su terreni più favorevoli per Playboy, offrendo immagini di "conigliette" di lusso come Nastassja Kinski ritratta da Newton, Joan Collins, Brigitte Nielsen (ex moglie di Sylvester Stallone), Jerry Hall (ex di Mick Jagger), Paulina Porizkova e la top model Cindy Crawford. Ultima divina messa all'asta, Elle MacPherson: la sua foto del maggio del 1994 è un po' il simbolo di tutti gli anni '80 e '90, quando lo scettro della bellezza femminile è passato dalle attrici alle modelle.
Tuesday, December 16, 2003
Convenzione repubblicana 2004 a New York
FALL MEDIA WALK-THROUGH AND RECEPTION
DECEMBER 16, 2003
FALL MEDIA WALK-THROUGH: The 2004 Republican National Convention will host its Fall Media Walk-Through in New York City at Madison Square Garden on December 16, 2003.
Please join us for a briefing session of Convention logistical matters and a tour of proposed media areas of Madison Square Garden and the Farley Post Office Building.
EVENT WHAT: Fall Media Walk-Through
WHEN: Tuesday, December 16, 2003
Registration: 11:30am - 1:00pm
Media Briefing and Tour: 1:00pm - 5:00pm
Final Q&A session: 5:00pm - 5:30pm
WHERE: Registration: Lobby of the Theater at Madison Square Garden
Media Briefing and Tour: Madison Square Garden and the Farley Post Office Building
Final Q&A session: Farley Post Office Building
MEDIA WALK-THROUGH RECEPTION: Media Walk
A private reception will be held at The Sea Grill Restaurant, which overlooks the ice skating rink at Rockefeller Center. and just below the world famous Christmas tree.
Food and drinks will be served and registered guests will also be invited to skate. Fall Media Walk-Through participants will be transported from the Farley Post Office Building at 5:30pm immediately following the briefing and tour.
EVENT WHAT: Fall Media Walk-Through Reception
Food and drinks at The Sea Grill Restaurant
Ice skating at Rockefeller Center (optional)
WHEN: Tuesday, December 16, 2003
6:00pm-9:00pm
WHERE: The Sea Grill Restaurant
19 West 49th Street (between 5th and 6th Avenues)
ACCOMMODATIONS HOTEL: The 2004 Republican National Convention has secured a block of rooms at the Westin New York Times Square Hotel at a rate of $208/ per night (not including taxes). Members of the media who require hotel accommodations should call at the Westin can make reservations by calling (888) 627-7149 no later than December 1st. Members of the media making hotel reservations will need to identify themselves as being with the 2004 Republican National Convention Fall Media Walk-Through to receive the special Media Walk-through hotel rate.
REGISTRATION: Attached is a form to pre-register for both the Fall Media Walk-Through and the reception. Please respond by Friday, December 5, 2003.Registration will be from 11:30am ñ 1:00pm in the lobby of the Theater at Madison Square Garden.
Paid for by the Committee on Arrangements for the 2004 Republican National Convention
310 First Street, Southeast ( Washington, D.C. 20003 ( (202) 863-8800
Not authorized by any candidate or candidate committee.
MEDIA WALK-THROUGH PRE-REGISTRATION FORM
MADISON SQUARE GARDEN
TUESDAY, DECEMBER 16, 2003
Registration 11:30am-1:00pm
Briefing and Tour 1:00pm-5:00pm
Please respond no later than Friday, December 5, 2003
Please email the completed form to: mediawalkthrough@2004nycgop.org
NAME: Mauro Suttora
NEWS ORGANIZATION: Oggi Rizzoli
TITLE: U.S. Bureau Chief
ADDRESS: 31W 57 St., New York, NY 10019
EMAIL ADDRESS: mauro.suttora@rcsnewyork.com
OFFICE NUMBER: 212.418.2308
MOBILE NUMBER: 917.655.7424
Capacity for the Fall Media Walk-Through reception is limited to those registered for the Fall Media Walk-Through. Thank you.
For additional information please contact 212-356-2225 or email HYPERLINK "mailto:mediawalkthrough@2004nycgop.org" mediawalkthrough@2004nycgop.org
Paid for by the Committee on Arrangements for the 2004 Republican National Convention
310 First Street, Southeast ( Washington, D.C. 20003 ( (202) 863-8800
Not authorized by any candidate or candidate committee. Media Walk-Through Information and Pre-Registration FormRe mediawalkthrough@2004nycgop.org mediawalkthrough200 J.'ı
Wednesday, November 12, 2003
Morandi alla maratona di NY
Gianni Morandi, in America per la maratona, stupisce tutti
"Abbiamo pensato di sposarci qui, dove si può fare in quattro e quattr'otto", rivela il cantante, "ma alla fine abbiamo deciso di rimandare, però solo di qualche mese..." "Che gioia fare il papà a tempo pieno !"
di Mauro Suttora
Oggi, 12 novembre 2003
New York (Stati Uniti).
Al terzo tentativo c'è riuscito: quest'anno Gianni Morandi ha convinto la compagna Anna Dan ad accompagnarlo alla maratona di New York. Anche la signora ha corso, con un tempo più che onorevole per una debuttante: cinque ore e 18 minuti. Quattro ore e nove minuti ci ha invece messo Gianni, a coprire i 42 chilometri della corsa più popolare del mondo: i partecipanti sono stati 34 mila, 1.200 dei quali italiani, e fra questi 200 bolognesi.
"E pensare che la prima volta, cinque anni fa", ricorda Morandi, "da Bologna con la squadra "Celeste" eravamo appena in nove, e io ci misi quattro ore e mezzo. L'anno dopo, nel '99, stabilii invece il mio record: tre ore e quaranta".
Ora il cantante sta per compiere 59 anni ed è dovuto rimanere fermo parecchio dopo aver subito operazioni a entrambe le ginocchia: "Non correre più", mi ha detto il mio medico, "se lo fai rischi la protesi". E io gli ho risposto: "Ma con la protesi posso comunque continuare a cantare, no ? E allora rischio".
Incontriamo Morandi al ristorante Sandomenico. Defilata come sempre, c'è la compagna Anna Dan, che non ama mettersi in mostra. "Sì, quest' anno corre anche mia moglie", ci dice. Moglie ? Vi siete sposati ? "Ma guarda che stavamo per farlo proprio qui a New York", scherza, ma non troppo. "Alain Elkann, che è qui per l'inaugurazione della mostra su Fellini al museo Guggenheim, mi ha assicurato che si può fare in quattro e quattr'otto, senza pubblicazioni. È un matrimonio valido, poi lo si fa trascrivere dal consolato americano in Italia. Lui dice che si è sposato così, due anni fa, con Rosi Greco... Comunque io chiamo già "moglie" Anna perché ci sposeremo, probabilmente entro qualche mese".
E vostro figlio Pietro dov'è ? "L'abbiamo lasciato a Bologna dagli zii. Ormai ha sei anni, va a scuola, fa la prima elementare. Frequenta anche i corsi di calcio ogni pomeriggio, e a me piace accompagnarlo. Dopo la fine della trasmissione Uno di noi, lo scorso gennaio, mi sono preso un bel periodo di riposo proprio per passare più tempo assieme a lui. Non bisogna trascurare i figli, perché poi capita che quando finalmente torni a casa ti accorgi che hanno già fatto il servizio militare...".
Be' , non sembra che con gli altri due suoi figli, Marco e Marianna, il risultato sia stato negativo. "No, però quando loro erano piccoli io lavoravo veramente troppo".
È difficile intervistare Morandi, si è continuamente interrotti da amici e fan. Gianni, quanto si è allenato per questa maratona ? "Non molto, ho corso parecchio sull' erba ma non sul duro, che è più faticoso. Mia moglie ha fatto 21 chilometri a Bologna".
Come hai trovato New York quest'anno ? "L'ultima volta che sono venuto, nel '99, prima di tornare in Italia avevo visitato le Torri Gemelle. Sono rimasto molto colpito dall'11 settembre, ma mi pare che la città si sia ripresa bene dopo la depressione".
E New York ha ricompensato Morandi e sua "moglie" con alcune delle sue più belle giornate autunnali. La prima mattina, appena arrivati, i corridori bolognesi del gruppo Celeste, sotto la guida della veterana Laura Fogli (dodici maratone all' attivo, otto delle quali da vera atleta e una volta è arrivata seconda), si sono dati appuntamento alle otto all' entrata del parco, e poi hanno corso fino al Reservoir, il famoso lago attorno al quale correva il Maratoneta Dustin Hoffman nell' omonimo film.
Ma la vera sorpresa arriva il giorno dopo, la mattina di sabato primo novembre, quando al gruppetto dei jogger mattutini di Morandi si aggiunge per una sgambata Romano Prodi. Il presidente dell'Unione europea, anche lui bolognese, è appena arrivato dalla Cina dov'era andato in visita ufficiale con Silvio Berlusconi, e per ritornare in Europa ha preferito proseguire verso Est fino agli Stati Uniti. Incurante del fuso orario, Prodi ha corso e scherzato con Morandi. Ed è lo stesso Gianni a offrire ai lettori di Oggi la foto scoop privata di questo incontro inaspettato a New York.
Il prossimo appuntamento di Morandi con i fan italiani è per gennaio, quando partirà la sua tournée. Intanto in queste settimane su tutte le Tv arriva lo spot (voluto dal ministro del Welfare, Maroni), con la canzone Il mio amico composta da Gianni e dedicata ai disabili: "Il mio amico cammina che sembra un pendolo/ma tu guarda che razza di scherzi ti fa la vita".
Mauro Suttora
Monday, November 10, 2003
Difesa europea
di Mauro Suttora
Diritto e Libertà
10 novembre 2003
Sarà una donna a partorire l'esercito europeo? Michèle Alliot-Marie, ministro della Difesa francese, si ostina ad assicurare che l'embrione di forza armata continentale concepito nell'aprile 2003 da Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo non sarà concorrenziale con gli Stati Uniti, ma in integrazione. Intanto però la sede del suo comando è già stata scelta: si installerà a Tervuren, nella periferia di Bruxelles, ben separata da quella della Nato. Quindi non si tratterà certamente di quel «pilastro europeo della Nato» che gli statunitensi auspicano da anni, sollecitando insistentemente gli alleati a metter mano al portafogli. Anche perchè la data dell'annuncio del concepimento è sospetta: proprio all'apice della polemica franco-belga-tedesca contro l'attacco americano a Saddam Hussein.
La compagine dei promotori coincide poi con l'«Axis of weasels» (Asse delle puzzole), insulto che i media statunitensi più patriottici (New York Post e Fox tv di di Rupert Murdoch) hanno scagliato contro gli oppositori della guerra contro l'Iraq, riecheggiando l'«Axis of evil» (Asse del male) di bushiana invettiva. Un'altra invettiva, d'altronde, si è già guadagnato il Comando militare Ue autonomo di Tervuren: un furibondo portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Richard Boucher, lo ha definito «riunione di produttori di cioccolata», riferendosi alla prestigiosa tradizione gastronomica belga che si situa agli antipodi di ogni valore marziale.
Il 2003 è anche il decimo anniversario della nascita di Eurocorps, la brigata franco-tedesca che il 14 luglio di quest'anno ha addirittura aperto la parata della Festa nazionale francese sugli Champs-Elysées. Ma tutte queste sono iniziative estemporanee di Francia e Germania, spesso utilizzate dal «nocciolo renano» dell'Unione Europea in funzione polemica contro i Paesi filo-Usa (la Gran Bretagna sotto qualsiasi premier, la Spagna di Aznar e l'Italia di Berlusconi, con gli imminenti rinforzi dei nuovi membri dell'Est).
La verità tuttavia è che gli unici due stati europei che possono contare su Forze armate di una qualche efficienza, supportate da un'industria bellica di peso, sono Francia e Gran Bretagna. Sono anche le uniche due potenze atomiche, e gli unici due Paesi europei con seggio permanente e diritto di veto nel Consiglio di sicurezza dell'Onu. Finchè Parigi e Londra staranno su sponde opposte nei rapporti con Washington, quindi, l'Europa rimarrà «un gigante economico, un nano politico e un verme militare». E gli Stati Uniti saranno ben felici di questo «divide ed impera» che neutralizza ogni velleità da parte di alleati sempre più riottosi.
E' da undici anni che l'Unione Europea si gingilla con l'idea di una "Forza di reazione rapida" di 60mila uomini, pronti a partire per qualunque posto al mondo nel giro di 60 giorni e a restarci fino a un anno. Le missioni (perlopiù umanitarie) di questa forza vennero definite in un albergo tedesco nel '92. Di qui il nome: accordi di Petersberg. Poi nel '99 è arrivata la sanzione ufficiale, con la nascita della Pesc (Politica estera e di sicurezza comune) e la nomina di Mister Pesc nella persona dello spagnolo Javier Solana. Ma finora di concreto è stato fatto quasi nulla.
L'unica missione tangibile europea è quella dispiegata in Macedonia dal primo aprile del 2003, e mai pesce d'aprile fu più evidente. Il contingente europeo, infatti, è semplicemente la continuazione di una ex missione Nato, e sta in piedi solo grazie ai mezzi e alle capacità dell'Alleanza atlantica.
Nell'operazione sono impegnati 350 militari, ma la maggioranza dei loro stati di provenienza è tuttora extra Ue: si tratta dei 14 Paesi Nato non Ue (tutti tranne gli Usa), ai quali si aggiungono 13 Paesi Ue (tutti tranne Danimarca e Irlanda).
Stessa situazione per l'altra missione Ue in corso, quella ereditata il primo gennaio 2003 dall'Onu in Bosnia. Non si tratta di militari: 500 funzionari di polizia provenienti da 33 Paesi (anche qui perciò con quelli Ue in minoranza) che dovrebbero addestrare poliziotti locali per ripristinare la legalità nell'ex repubblica jugoslava dopo la strage dei settemila bosniaci a Srebrenica del luglio '95, l'attacco aereo Nato contro la Serbia e gli accordi di Dayton. Ma rappresentano solo un piccolo contorno di quello che è il contingente vero: 12mila soldati, di cui 1.700 statunitensi che Bush junior sarebbe lieto di ritirare.
Se i militari se ne andassero domani la Bosnia ripiomberebbe nel caos, perchè in otto anni nessun progresso politico è stato fatto e la Bosnia continua a essere una fantomatica unione di tre stati diversi (serbo, croato e bosniaco) con tre presidenti e tre apparati statali incollati artificialmente a spese della comunità internazionale (che scialacqua ogni anno 1.400 dollari per ogni bosniaco, 38 milioni di euro solo per i poliziotti). Il risultato è
desolante: «In Bosnia oggi non c'è stato di diritto», ha ammesso Paddy Ashdown, il capomissione britannico, «ogni fibra e cellula di questo Paese è infettata dalla criminalità, fino al midollo» (New York Times, 8 ottobre 2003).
La terza missione in teoria Ue è stata quella dell'estate 2003 in Congo, a Bunia, dove l'Onu è arrivata per l'ennesima volta a stragi fatte. La Francia ha mandato un migliaio di soldati, però ha voluto una copertura (anche finanziaria) europea che è stata simbolica ma importante. Per la prima volta, infatti, un contingente Ue di 1.500 militari è stato mandato fuori dall'Europa, senza che alla Nato venisse chiesto di farlo, dato il disinteresse Usa. L'operazione si è conclusa alla fine di agosto. Coordinatore Onu per la regione dei Grandi Laghi è una vecchia conoscenza radicale: Aldo Ajello, ex deputato della Rosa nel pugno dal '79 all'83.
Se questi sono i risultati a mezzo secolo esatto dal primo fallimento, quello della Ced (la Comunità Europea di Difesa abortita nel 1953), è meglio non illudersi che una Forza armata continentale, rapida o non rapida, possa nascere a breve termine. Anche perchè i militari per lavorare assieme devono contare su sistemi d'arma compatibili e parlare la stessa lingua. Ma nonostante decenni di apparente integrazione nella Nato, queste condizioni minime ed elementari non sono state mai raggiunte.
«Noi ci abbiamo messo 70 giorni per schierare 45mila soldati in Iraq, la Ue è ancora ben lontana dal suo obiettivo», ha sentenziato il ministro della Difesa britannico, Geoff Hoon. I francesi a loro volta disprezzano la missione inglese a Bassora: «Sono soltanto truppe di complemento degli Stati Uniti».
I polacchi in Iraq sono letteralmente pagati dagli Usa (una resurrezione moderna del mercenariato di stato?) Quanto ai tedeschi, per mancanza di mezzi di trasporto il trasferimento dei loro 1.500 soldati in Afghanistan è durato quasi due mesi. Eppure, tredici Paesi Ue sono oggi rappresentati nel contingente Nato di 5.500 uomini a Kabul, che comprende 33 nazioni. Mancano solo Portogallo e Austria. In Afghanistan oggi operano più truppe di terra europee che americane. In totale, i Paesi Ue hanno attualmente ben 50mila militari stanziati in Africa, nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan come peace-keepers.
«E' probabile che l'Ue possa organizzare altre missioni militari in futuro», spiega Daniel Keohane, giovanissimo (27 anni) analista del Cer (Center for European Reform) di Londra, «perchè le priorità Usa sono Iraq, Iran e Corea del Nord, e Washington non vuole essere coinvolta in conflitti nella fascia d'instabilità che percorre i fianchi Est e Sud dell'Europa, e si allunga fino all'Africa subsahariana. L'Ue sta valutando, per esempio, se sostituire i peacekeepers russi nella regione Transnestria della Moldavia».
Pochi sanno che l'Unione europea ha in realtà più soldati degli Stati Uniti. I 15 Paesi della Ue possono contare su un milione e 600mila militari, gli Usa su un milione e 414mila (dati 2001). Con l'allargamento a 25 della Ue entreranno altri 310 mila soldati, metà dei quali polacchi (163 mila).
Naturalmente il fatto di avere quasi due milioni di uomini sotto le armi non significa nulla dal punto di vista dell'efficienza. Basti dire che l'Italia, con i suoi 217mila soldati, supera numericamente la Gran Bretagna (210mila).
Ma nessuno si sogna di paragonare le due forze armate, anche perchè gli inglesi sono tutti professionisti. Il record va alla Germania, 296mila militari, ma è soltanto una pesante eredità dell'unificazione. Segue la Francia con 260mila uomini. La Grecia ha lo stesso numero di soldati della Spagna, 178mila, ma solo perchè si sente in dovere di fronteggiare i ben 515mila militari turchi.
Insomma, i numeri ci sarebbero. Non è vero inoltre, come sostengono i commentatori di cose militari (quasi tutti ex ufficiali o consulenti di industrie belliche), che l'Europa spende così poco per le proprie Forze armate. Certo, spreca meno degli Stati Uniti: il due per cento del Pil, in media, contro il tre e mezzo degli Usa.
Data l'immensità dell'economia Usa, questo significa che in cifre assolute gli americani stanziano per la difesa più del doppio di tutti i 15 Paesi Ue. Ma d'altra parte sarebbe sciocco inseguire gli Stati Uniti nel riarmo voluto da Bush junior dopo l'11 settembre 2001: da 300 miliardi di dollari annui a quasi 500 nel giro di 24 mesi, un aumento di spese militari di oltre il 60 per cento, senza precedenti in tempo di pace.
I furbi europei sanno che fronteggiare i terroristi islamici con carri armati e sottomarini, come pretendono di fare gli americani, equivale a voler combattere le mosche con i bazooka. E utilizzare truppe scelte (e costosissime) per l'ordine pubblico, per di più con problemi insormontabili di lingua, come stanno facendo oggi gli Usa in Iraq, è sbagliato oltre che controproducente. Il peacekeeping (mantenimento della pace) è un mestiere diverso rispetto al combattimento, e il peace enforcing (imposizione della pace) è un'altra cosa ancora. Ognuno necessita di competenze e addestramenti specifici.
Certo è che gli europei spendono male. L'integrazione dei sistemi d'arma e l'eliminazione dei doppioni consentirebbe risparmi enormi. Spesso (è il caso dell'Italia) per ragioni elettorali i politici preferiscono un esercito clientelare, statico e sovrabbondante rispetto a reparti snelli di operatività immediata. Quanto alle gerarchie militari, sono ossessionate dalla voglia di «mostrare la bandiera», proponendosi per missioni dall'altra parte del pianeta senza alcun criterio di prossimità geografica. Così come australiani e neozelandesi non sono venuti in Kosovo, è stato completamente inutile per gli italiani spingersi agli antipodi, fino a Timor Est. Anche la gendarmeria internazionale dev'essere razionale ed efficiente, senza trucchi per battere cassa con la scusa dell'usura mezzi.
Nel febbraio 2003 Jacques Chirac e Tony Blair hanno deciso che la Ue dev'essere in grado di schierare forze di aria, mare e terra nel giro di 5-10 giorni. Si tratta di un traguardo assai ambizioso ripetto agli attuali piani per la «forza di reazione» Ue, che come abbiamo visto prevedono tempi di 60 giorni. Ma tutti questi sono tutto sommato problemi tecnici. La questione dell'integrazione militare europea, invece, è soprattutto politica.
Individuazione della minaccia, innanzitutto. Solo terroristi islamici, per esempio, o in prospettiva anche la Cina? Solo regimi aggressivi nemici (Corea del Nord, Iran, Siria) o tutte le dittature, anche amiche (Arabia Saudita, Pakistan)? Interventi preventivi, come vuole la nuova dottrina Bush dal settembre 2002, o a cose (danni, stragi) fatte?
Diritto d'intromissione umanitaria o non ingerenza negli affari interni degli stati? Rimanere in una Nato a inevitabile egemonia americana, o accelerare la costruzione di un polo autonomo? Fuori o dentro la Nato? Con il rischio di perdere per sempre la Gran Bretagna? Accettare un coordinamento Onu, o agire unilateralmente in base all'orgoglio nazionale (non è un problema solo americano, di galletti abbonda anche il nostro continente)? Esportare con scarsa saggezza sistemi d'arma nel Terzo mondo per recuperare le spese di ricerca e sviluppo della propria industria bellica, come fanno troppo spesso gli Usa, o spingere per trattati internazionali restrittivi?
Il documento preparato da Solana nel giugno 2003 sulla strategia di sicurezza europea comincia a rispondere ad alcune di queste domande, con l'indicazione delle nuove minacce: terrorismo, proliferazione delle armi di distruzione di massa, stati allo sbando. «E' un documento scritto con un linguaggio sorprendentemente duro», commenta Keohane, «ma la Ue non può affrontare questi nuovi compiti senza cominciare almeno migliorando la cooperazione fra i propri servizi segreti. I governi europei si sono divisi sull'Iraq anche perchè non disponevano delle stesse valutazioni di intelligence. Ora che l'Eu gestisce operazioni militari, deve mettere in comune i servizi di spionaggio, incrementando in quantità e qualità l'attività di Europol, la polizia europea».
A proposito di intelligence, è stata proprio una nave europea (spagnola) a compiere pochi mesi fa una delle operazioni più preziose per la prevenzione del terrorismo. Aveva bloccato nell'oceano Indiano una nave pirata che trasportava missili nordcoreani nello Yemen. Poi però gli americani hanno permesso che il carico arrivasse a destinazione, perchè formalmente non violava alcun trattato. Rispetto della legalità o masochismo? Libero commercio internazionale o protezione del (proprio) export bellico? Forse l'Europa, proprio perchè più venusiana e meno marziana (secondo la famosa definizione di Robert Kagan), e quindi meno condizionata degli Usa nei confronti del proprio complesso militare-industriale, saprebbe compiere scelte più lungimiranti.
Diamo quindi uno sguardo all'industria bellica europea. Che, nonostante le concentrazioni degli ultimi anni, conserva ancora una forte impronta nazionale ed è percorsa dalle medesime divisioni politiche: da una parte Francia e Germania, dall'altra Gran Bretagna e Italia. I gruppi francesi Aérospatiale e Matra, la tedesca Dasa (Daimler Messerschmitt) e la spagnola Casa hanno dato vita nel 2000 a Eads (European Aeronautic Defence and Space), il primo gruppo aereo-missilistico continentale (e secondo mondiale) che produce gli aerei civili Airbus, il militare Eurofighter e quello da trasporto A400M, gli elicotteri Eurocopter, i missili Meteor, i satelliti Galileo e i razzi Ariane. I padroni sono francesi e tedeschi, gli spagnoli hanno solo il cinque per cento delle azioni. Parigi e Monaco di Baviera passano la maggior parte del loro tempo a litigare fra loro, con due sedi, due presidenti e due amministratori delegati. Dei trenta miliardi di euro fatturati da questo gigante nel 2002, però, solo il venti per cento appartengono al mercato militare.
Nella classifica mondiale delle industrie belliche Eads è appena ottava, superata dai cinque colossi Usa foraggiati dal Pentagono (Lockheed, Boeing, Northrop Grumman, Raytheon e General Dynamics), dalla britannica Bae Systems (erede di British Aerospace e Gec Marconi) e anche dalla francese Thales (ex Thompson). All'undicesimo posto c'e' la nostra Finmeccanica, con 2,7 miliardi di fatturato militare (un sesto rispetto agli oltre 15 miliardi di Bae Systems). Finmeccanica, attraverso la controllata Alenia, partecipa con il 19,5% al programma Eurofighter (l'aereo caccia europeo), in cui l'Eads franco-tedesco-spagnola ha il 43% e la britannica Bae il 37,5.
L'Alenia nel 2001 ha dato vita a una joint venture con la Bae: Ams (Alenia Marconi Systems), specializzata nell'elettronica e nel controllo del traffico aereo. Fattura 1,2 miliardi di euro annui, vende in cento Paesi ed è la terza produttrice mondiale di radar. E' fallita, invece, la joint venture fra Eads e Bae nel campo dei satelliti militari e civili: quest'anno la società Astrium è tornata sotto il controllo totale di Parigi e Berlino, dopo che Londra si era rifiutata di partecipare all'aumento di capitale e ha quindi ceduto la propria quota del 25%.
«Il mercato unico europeo della difesa è ancora una chimera», scrive Alfonso Desiderio su "Limes", «si è molto lontani da risultati apprezzabili sia sul lato della razionalizzazione della domanda con l'accordo Occar (Organisme Conjoint de Coopération en matière d'Armement) fra Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania per uniformare la politica degli approvvigionamenti, sia sul lato dell'offerta con l'accordo Loi (Letter of Intent) fra i quattro Paesi Occar più Spagna e Svezia». Incredibilmente, infatti, il settore industriale della difesa rimane ancora fuori dalle regole comunitarie. I trasferimenti di tecnologia avanzata subiscono ancora controlli da parte dei singoli governi: perfino gli ingegneri di una stessa azienda ma di nazionalità diverse devono chiedere permessi, in base a un sorpassato principio di protezione della sicurezza "nazionale".
Non parliamo poi delle commesse ottenute dai singoli Paesi grazie ad accordi politici, come quella favolosa ottenuta dalla Gran Bretagna con l'Arabia Saudita, che garantisce alla Bae fatturato per tre miliardi di euro all'anno: qui non solo ognuno fa per sè, ma tutti lottano contro tutti. Così spesso, di fronte a concorrenti europei divisi, vincono le offerte dei giganti americani. A volte, poi, sono gli stessi europei a fare lo sgambetto a se stessi in favore di Washington.
È il caso dell'Italia, che nel 2001 ha preferito l'aereo Usa Jsf all'europeo A400M, o della Polonia che ha acquistato 48 caccia F16 dell'americana Lockheed invece dei Jas-39 Gripen anglosvedesi o dei Mirage Dassault francesi.
Mauro Suttora
Monday, November 03, 2003
Vagina rejuvenation
SULLE MISURE IDEALI DEL PENE, SAPPIAMO TUTTO E DI BRUTTO. PERCHÈ NESSUNO PARLA DELLE TAGLIE DIVERSE DELLE DONNE?
Mauro Suttora per Il Foglio
3 novembre 2003
New York. Nel 1969 Mario Puzo inseri' nel suo "Il Padrino" la surreale descrizione dell'amante di un mafioso ucciso la quale si fece ridurre la vagina da un chirurgo plastico: temeva che la grossezza dell'organo sessuale del defunto l'avesse sformata a tal punto da renderla inappetibile per il futuro. E' uno dei tanti episodi che rimasero fuori dal film di Francis Ford Coppola, tre anni dopo.
E' passato un terzo di secolo, e negli Stati Uniti si sono moltiplicati i Laser Vaginal Rejuvenation Institute: tutto è migliorabile artificialmente, anche laggiù, al prezzo medio di settemila dollari. Ma ora l'indicibile approda sul prestigioso settimanale "New York Observer", che dedica un'intera, disinibita, esilarante seconda pagina all'argomento: quali sono le misure desiderabili della vagina? A rispondere al quesito è George Gurley, penna fine del giornale: memorabile la sua lunga intervista a Oriana Fallaci dello scorso gennaio, sempre sull'"Observer", uno dei rari articoli usciti in America su "The Rage and the Pride".
Questa volta Rabbia e Orgoglio delle femministe Usa vengono sfidate da un'inchiesta quasi entomologica, titolata provocatoriamente "My Vagina Monologue". Gurley parte dalla banale constatazione che ciascuno di noi, uomo o donna, può fare ogni mattina aprendo la posta elettronica: decine di e-mail ci propongono di aumentare la misura del pene. "Volete un'enorme bestia dentro ai vostri pantaloni?", chiedono gli spammer. E' diventata un'ossessione. Ma perchè nessuno parla invece delle misure delle donne?
"Eppure", scrive Gurley, "tutti sappiamo che anche le confezioni delle signore offrono taglie diverse". E la taglia conta eccome, giura il romanziere Marc Spitz. No, non conta niente, replica la sua collega Francine Maroukian: "Non mi sono mai posta il problema, mi interessa solo se è troppo grande o troppo piccolo quel che mi entra dentro". La pornostar australiana Cherie Lamour difende gli uomini: "Tutte a discutere fino alla morte delle dimensioni del pene, e mai una parola sulla vagina... Eppure la sua larghezza non dipende dal numero degli uomini con cui siamo andate a letto, o dal numero dei figli che abbiamo avuto".
L'attrice Chloe Sevigny partecipa al dibattito: "Ci sono forme e calibri di ogni tipo. Sfortunatamente ora va di moda il molto stretto. Mi hanno raccontato che Greta Garbo era preoccupata di averla troppo larga". "La verità è che non ci poniamo il problema", dice Dian Hanson, che lavora per i libri Taschen a Los Angeles, "perchè da sempre i maschi sono così contenti di avere avuto il permesso di entrare lì dentro che, se le pareti sono un po' rilassate, non si lamentano. Anche perchè temono, sollevando il problema, di essere loro ad averlo troppo piccolo".
Pare che, contrariamente a ciò che sembrerebbe naturale, siano le donne più sottili ad avere gli interni maggiormente cavernosi. Conferma Tad Low del canale musicale VH1: "Sono stato con una modella supermagra, e non sentivo niente". Il chirurgo plastico David Matlock dice che la maggioranza delle sue pazienti sono mamme con muscoli vaginali rilassati: "Le faccio tornare diciottenni. La gratificazione sessuale è collegata direttamente alla forza frizionale generata durante il rapporto".
"Piccolo è bello, questa è la tendenza", aggiunge il dottor Edward Jacobson, "gli interventi stanno aumentando. E' un po' come l'aumento dei seni negli anni '70". L'attrice Jackie Clarke ricorda che suo padre si lamentava: "Le donne americane arrivano a trent'anni con baffi rasati e vagine molli ed enormi, diceva. Beh, ora io ho 28 anni, ma nessuno si è mai lamentato. E se qualcuno osasse, concluderei che ce l'ha lui troppo piccolo".
"E invece ogni uomo, prima o poi, si è imbattuto nella spiacevole sensazione di annegare in un abisso", replica l'attore tv Dean Winters, "anche se non è detto che le mamme debbano preoccuparsi. Una signora con due figli aveva paura di far brutta figura, invece fu piacevolissimo: per alcuni minuti mi sembrò di stare con una diciassettenne."
L'unica a rifiutarsi di partecipare all'inchiesta è stata Glenn Close, incontrata da Gurley alla festa di compleanno newyorkese per l'attrice Naomi Watts: "Quando le ho chiesto se pensava che la misura della vagina rappresentasse un problema, mi ha guardato con disgusto". Eppure proprio la Close fu quella che nel 2001, interpretando i "Monologhi della vagina" al Madison Square Garden, fece alzare in piedi e urlare ripetutamente "Cunt!" ("Figa") ben 18 mila spettatori.
Mauro Suttora
Thursday, October 30, 2003
Il più elegante a Manhattan...
Flaminia Lubin per Dagospia
30 ottobre 2003
Il Guggenheim Museum di New York rende omaggio a Federico Fellini a dieci anni dalla sua morte con una retrospettiva inedita, completa dei tanti lavori del grande maestro, magistralmente curata dal boss della cultura italiana in America, il professor Antonio Monda. All'inaugurazione della mostra, la stampa italiana che vuole contare c'era tutta. Pochi i reporters stranieri, ben presenti invece al grande party organizzato dal museo.
Partecipi i vari gruppi Rai, tra cui Vincenzo Mollica, caro amico di Fellini, e anche lui tra gli organizzatori dell'evento. Maurizio Molinari della Stampa ad un certo punto e' corso via. Probabilmente ad occuparsi di economia..... americana naturalmente. Pupi Avati a capo della Fondazione Fellini e' stato dolce quando ha sbagliato termine in inglese e ha detto "Sostengo questo monster" (intendeva sostengo questa mostra che in inglese si dice exhibition e non monster).
Alain Elkann faceva le veci del ministro Urbani, i Della Valle sono stati gli sponsor dell'evento. Mauro Suttora, dei giornali Rizzoli, era in assoluto l'uomo piu' elegante, non in onore della retrospettiva credo, ma del gran gala da Cipriani sulla moda dove si sarebbe recato al calar del sole.