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Saturday, September 20, 1986

Aberdeen e Stavanger

IL FUTURO E' NERO PER LO SCEICCO BIANCO

La nuova miseria delle capitali del petrolio europeo

Europeo, 20 settembre 1986

Aberdeen in Scozia , Stavanger in Norvegia : due storie parallele di improvviso benessere quando l' oro nero valeva 30 dollari al barile . gli inviati dell' " Europeo " hanno percorso la rotta del loro improvviso declino . il 1986 passera' alla storia per il crollo dei prezzi del petrolio : un barile , che all' inizio dell' anno costava 30 dollari , a luglio veniva venduto per 6-7 dollari . poi , dopo l ' accordo fra i paesi dell' OPEC in agosto , i prezzi sono risaliti agli attuali 15 dollari . Ma le prospettive per i paesi produttori rimangono incerte , in qualche caso drammatiche . Gran Bretagna e Norvegia da dieci anni sono diventati grossi produttori di oro nero , grazie ai giacimenti scoperti nel Mare del Nord . ma la crisi che quest' anno ha colpito gli sceicchi del Medio Oriente tocca anche loro . che cos' e' cambiato , in concreto , nella vita quotidiana di coloro che fino a pochi mesi fa erano considerati i " miracolati del Mare del Nord " ? Due storie parallele : Aberdeen in Gran Bretagna e Stavanger in Norvegia .

di Mauro Suttora
fotografie di Stefano Archetti

Gli occhi di John Morrice si illuminano quando il disc jockey della sala da ballo Ritzy mette la sua canzone preferita , You' re my favourite waste of time . E giovedi' sera ad Aberdeen , capitale del petrolio britannico : per andare a ballare i ragazzi hanno lasciato a casa i jeans , proibiti in molti locali , e le ragazze si sono messe le loro scarpe laccate , color giallo acceso o arancione cangiante . E adesso bevono , bevono . E difficile ubriacarsi con la birra , eppure loro ci riescono in un battibaleno : ogni tanto qualcuno stramazza al suolo o si trascina verso il gabinetto con la mano premuta sulla bocca .

John ha 22 anni , e al giovedi' esce da solo . Il venerdi' e il sabato , invece , porta fuori la sua fidanzata Tracy , lasciando a casa il bambino che lei ha avuto due anni fa da un altro ragazzo . John lavora , sbuccia e insacca patate otto ore al giorno in cambio di 72 sterline alla settimana (poco piu' di 150 mila lire) . Fortunato perche' non e' disoccupato come molti dei suoi coetanei , o sfortunato perche' guadagna solo 600 mila lire al mese ? Lui non si lamenta : " I' m doing okay " mi va bene cosi' . Ogni settimana dò 20 sterline a mio fratello , con cui vivo , per il mangiare e il dormire . Dodici sterline le risparmio per il viaggio che faro' a San Francisco : sono gia' arrivato a 400 , quando fra due anni ne avro' duemila partiro' . Cosi' mi restano 40 sterline per i vestiti e per divertirmi . Abbastanza , no ? " . Contento lui . . . Se non lavorasse prenderebbe un sussidio di 40 sterline alla settimana , quelle che spettano a tutti i tre milioni di disoccupati che attualmente affollano il Regno Unito . Come Tracy , la quale in piu' incassa venti sterline per il bambino , non paga l' affitto e il latte , e ogni tre mesi ha diritto a un contributo vestiti per il baby .

John Morrice e' uno dei pochi abitanti di Aberdeen per i quali e' assolutamente indifferente che la propria citta' sia stata miracolata dal petrolio . Qui ci sono i quartieri generali della Shell e della Bp , qui da dieci anni prosperano le centinaia di societa' di servizi che costruiscono piattaforme e oleodotti , qui gli alti salari pagati per tutti i lavori che riguardano il petrolio e il gas hanno mandato fuori mercato le altre industrie . Gli abitanti sono passati da 150 a 250 mila , i taxi sono aumentati da 300 a 700 , le camere d' albergo per businessmen di tutto il mondo da 1700 a 2400 , le tariffe delle prostitute da cinque sterline a cinquanta . Ma adesso la cuccagna e' finita . Il prezzo del petrolio e' crollato . Le compagnie petrolifere hanno gia' cominciato a tagliare le attivita' : prime fra tutte , quelle di esplorazione di nuovi giacimenti nel Mare del Nord .

" L' eliporto di Aberdeen resta il primo al mondo , ma mentre prima il movimento era di 6 mila persone al mese , adesso e' di 3 mila " , grida David Stewart della British Airways , una delle dodici compagnie di elicotteri che si fanno concorrenza nel trasporto sulle piattaforme dei tecnici , degli ingegneri e degli operai . Sulla pista c' e' un gigantesco Sikorsky pronto per il decollo . I passeggeri hanno dovuto indossare pesanti tute arancioni , e hanno assistito per l' ennesima volta , silenziosi e con lo sguardo perso nel vuoto , alla proiezione della videocassetta con le istruzioni in caso di incidente . Nelle freddissime acque del Mare del Nord si sopravvive pochissime ore con la tuta , solo qualche minuto senza . All' edicola dell' eliporto abbondano le riviste porno . Al bar , niente alcolici . Durante i 15 giorni di turno chi viene sorpreso anche con un solo bicchiere di vino e' immediatamente licenziato . Adesso , poi , con la crisi i salari stanno scendendo . Le compagnie di catering fanno stringere la cinghia ai dipendenti per offrire prezzi migliori e poter vincere qualche appalto .

Ad Aberdeen piove quasi sempre . Il grigiore del clima e' appesantito dal grigiore del granito , pietra di costruzione cosi' diffusa da far battezzare Aberdeen " granite city " . All' ufficio del turismo David Illingworth sostiene orgoglioso che il granito brilla sotto i raggi del sole . Peccato che per il resto del tempo , cioe' quasi sempre , tutto questo grigio renda le strade simili al cortile di una prigione . Sul muro esterno del palazzo del Comune il sindaco , che viene chiamato Lord provost , ha fatto affiggere uno striscione con due numeri : quelli dei disoccupati di Aberdeen e della regione . " Finora la crisi del petrolio ha eliminato 3 mila posti di lavoro " , dice l' assessore Robert Robertson . Il quale se la prende con il governo di Margaret Thatcher perche' spende troppi dei soldi del petrolio in armamenti , ma anche perche' Londra considera Aberdeen una citta' ricca .

" E questo non e' vero . Certo , stiamo meglio di altre zone della Gran Bretagna , abbiamo meno disoccupazione . Ma il petrolio ha distrutto le altre attivita' come la pesca , i cantieri e l' industria della carta , perche' ha alzato i prezzi delle case , dei consumi , dei salari . Cosi' , chi vuole iniziare un' attivita' economica adesso preferisce andarsene a Dundee , dove ci sono le agevolazioni per le zone sottosviluppate . Noi siamo troppo petrolio dipendenti " . Prezzi alti : ironia della sorte , nella capitale del petrolio la benzina costa di piu' che nel resto del paese , perche' le raffinerie sono tutte al Sud . E anche per bere una pinta di birra qui si pagano 90 pence , contro gli 80 della vicina Edimburgo .

Ma il segno piu' visibile del crollo dei prezzi del petrolio lo si ha nel quartiere residenziale al di la' del fiume Don , verso Nord : si moltiplicano i cartelli " For sale " , in vendita , esposti fuori dai villini bifamiliari . Sono gli immigrati del petrolio che se ne stanno andando , ma anche molti aberdoniani che non riescono piu' a pagare le rate dei mutui stipulati con leggerezza qualche anno fa . A sud della citta' invece c' e' l' altro fiume , il Dee : qui a Ferragosto e' giunta la regina Elisabetta sullo yacht Britannia . Quest' anno c' erano anche gli sposini Andrea e Sarah Ferguson . Ogni agosto la famiglia reale , sfidando la noia , passa le vacanze nel castello scozzese di Balmoral , sulle rive del Dee .

Sul porto di Aberdeen volteggiano alti e fieri i gabbiani , che portano i loro gridi su tutta la citta' di giorno e di notte . E al porto , seduto per terra con le gambe penzoloni sulla banchina , troviamo Stuart Vass , un vecchio pescatore di 83 anni che adesso si rende utile come sentinella dei pescherecci attraccati : " Sono sul mare da quando avevo 14 anni , ma adesso sono rimaste solo otto delle trecento grandi navi con le quali pescavamo in tutto l' Atlantico del Nord . Noi pensionati ci tengono qui a fare la guardia contro i ladri , e a sorvegliare i bambini che vogliono giocare . Ma solo fino alle sei di sera : quando arriva il buio mandano via anche noi , perche' hanno paura che cadiamo in acqua ubriachi " .

La pesca resta comunque un' importante attivita' : merluzzo e aringhe vengono scaricati ogni mattina a partire dalle quattro sui dock da piccoli pescherecci che si fanno largo tra le enormi navi appoggio delle piattaforme del petrolio , tutte con un eliporto sul ponte . Dopo la guerra con l' Islanda e quella contro la Cee , i pescatori scozzesi adesso ce l' hanno a morte con quelli danesi , che catturano enormi quantita' di pesce ancora piccolo per farne mangime . Gli aberdoniani sono ancora fieri della vittoria della loro squadra di calcio nella Coppa delle coppe di due anni fa . Ma sul retro delle macchine , oltre ai simboli della squadra , qualcuno ha appiccicato anche un adesivo che dice : " Dio , fa' si' che ci sia un altro boom del petrolio , e questa volta non ce lo pisceremo via " .

Si' , quassu' in Scozia , " meridione " povero della Gran Bretagna , c' e ' netta la sensazione che gli inglesi di Londra abbiano come sempre approfittato della ricchezza che una volta tanto la sorte aveva fatto cadere a Nord , su fino alle isole Shetland . Un mese fa gli scozzesi , laburisti al 75 per cento , hanno gettato uova marce contro l' odiata Thatcher , in visita a Edimburgo . E ad Aberdeen adesso guardano con timore gli uffici superlussuosi delle compagnie petrolifere Shell e Bp ai bordi della citta' , immersi fra i faggi delle colline : quando arrivera' , da Londra , l' ordine di licenziare altre migliaia di " redundant " , gente in soprannumero , inutile ?

La poco attraente capitale del petrolio , nonostante le sue belle rose esportate a milioni verso i veri sceiccati del petrolio (in Medio Oriente) e i suoi bei parchi , non puo' neanche aspettarsi molto dal turismo : solo uno dei dieci milioni di persone che ogni anno percorrono il tradizionale itinerario scozzese Edimburgo-Loch Ness-Inverness sceglie di visitare anche Aberdeen , passando per la costa orientale della Scozia . Chi lo fa , in questi mesi puo' ammirare un nuovo tipo di monumento : le molte piattaforme inutilizzate e parcheggiate tristi nel Mare del Nord , al largo della spiaggia di Aberdeen . Finche' il petrolio costa cosi' poco , tirarlo fuori non conviene piu' . E le piattaforme se ne stanno li' in attesa di tempi migliori .

Mauro Suttora

Saturday, July 26, 1986

Liberalizzare i voli

Libera concorrenza: comincia il grande duello sulle tariffe aeree

CIELI DI GUERRA

Milano-Roma: 350 km, 150 mila lire. New York-Los Angeles: 4mila km, 150mila lire. Chi non fa i conti giusti? Le compagnie europee. A sostenerlo, sorpresa, è proprio la Cee

di Mauro Suttora

Europeo, 26 luglio 1986

Avete 150 mila lire? In Italia riuscirete a malapena a comprarvi un biglietto Roma-Milano e a volare per 350 chilometri. Con gli stessi soldi, invece, negli Stati Uniti si va in aereo da New York a Los Angeles, e sono 4mila chilometri. Perché?
Semplice: negli Stati Uniti fra le compagnie aeree c'è libera concorrenza (e liberi prezzi), mentre in Italia e in Europa impera il monopolio delle compagnie di bandiera. Così l'Alitalia non teme che qualcuno offra prezzi piu' convenienti dei suoi, perché è l'unica abilitata a volare fra Milano e Roma.

Il ministro dell'Industria Renato Altissimo proclama che l'Italia deve aprire i cieli, che bisogna dar spazio ai privati e liberalizzare le tariffe , e che per costruire l'Europa sara' utile abbandonare gli egoismi nazionali. Il ministro dei Trasporti Claudio Signorile gli risponde picche, e da piu' di un mese non convoca la commissione che dovrebbe ridurre le tariffe Alitalia dopo il calo del petrolio e del dollaro .

Sembra che non ci sia niente da fare : nella nostra Italia tanto intrisa di mentalita' statalista e assistenzialista si fa finta di dimenticare che i trattati della Cee , da noi liberamente sottoscritti trent' anni fa , impongono il libero mercato nei trasporti aerei . E infatti il governo italiano , a parole tanto europeista , nei fatti a Bruxelles sulla diatriba del trasporto aereo difende posizioni conservatrici . Anzi , le piu ' retrive : assieme a Grecia , Francia e Spagna si batte contro la liberalizzazione dei cieli , favorendo il cartello delle compagnie aeree nazionali riunite nella Iata , che vogliono conservare intatto il loro oligopolio . Non tutte , per la verita' : l' inglese British Airways e l' olandese Klm vedrebbero con favore la " deregulation " , anche se diplomaticamente Krikor Geulemerian , general manager della Klm in Italia , si limita a dichiarare all'Europeo che la sua compagnia " appoggia una politica di maggiore liberta' nel traffico intereuropeo , che porti a una riduzione delle tariffe , alla libera scelta dei collegamenti , e alla liberta' di aprire nuove linee " .

Si' , perche' adesso le tariffe sono alte e uguali per tutti , e ogni collegamento dev' essere reciproco : ad esempio , per ogni volo Alitalia Roma Parigi ce ne dev' essere uno dell' Air France . Dopodiche' , qualunque cosa accada , le compagnie si spartiscono il bottino a meta' : se per ipotesi gli aerei Air France viaggiassero sempre vuoti e quelli Alitalia sempre pieni , gli italiani sarebbero costretti a versare comunque la meta' dei loro incassi ai francesi . E viceversa .

Per spezzare questo sistema , che ha fatto salire i prezzi fino all' inverosimile (chi vuole andare a Londra da Roma il lunedi' e ritornare in settimana , per esempio , e' costretto a spendere la tariffa intera : 1 milione e 260 mila lire) , e' sceso adesso in campo un combattivo quarantenne irlandese , Peter Sutherland , commissario della Cee . Dopo la sentenza della Corte europea di giustizia che due mesi fa ha condannato gli accordi fra le compagnie , Sutherland e' ricorso alle manieri forti e il 10 luglio ha lanciato un ultimatum : le dieci maggiori compagnie della Cee hanno due mesi di tempo per cessare le loro pratiche oligopolistiche .

Si arrivera' quindi alla liberalizzazione? " Non ci illudiamo che avvenga in tempi brevi " , rispondono all' Assoutenti , sezione italiana della Faturec (Federation of Air Transport Users Representatives in the European Community) , l' organizzazione dei " consumatori " di trasporto aereo . " Comunque , dopo il fiasco del vertice fra i ministri dei Trasporti del 19 giugno che non avevano neanche voluto discutere il problema , la dichiarazione congiunta di Sutherland e del commissario Cee ai Trasporti , Clinton Davies , che di solito e' molto piu' prudente e' di grande rilevanza " . Cos' hanno detto dunque di cosi' importante i due membri della Commissione europea ? " Siamo determinati a garantire ai cittadini della Cee l' accesso a una vasta gamma di servizi aerei a costi ragionevoli " .

Ma non saranno solo i comuni viaggiatori a beneficiare di una liberalizzazione: "Le nostre industrie devono poter trarre vantaggio dall' esistenza di un mercato interno comunitario . Non si puo' tollerare che le pratiche restrittive e i sovraccosti che esse provocano per il trasporto aereo ostacolino gli scambi nella Comunita' . Una maggiore trasparenza dei prezzi e dei costi in questo campo stimolera' lo sviluppo del turismo e delle industrie aeronautiche " .

Insomma , e' guerra aperta . Dalla parte dei liberisti ci sono la Commissione europea , i tour operator come la francese Nouvelles Frontieres , le industrie , i viaggiatori , alcuni governi (Gran Bretagna , Olanda) con le rispettive compagnie . Dalla parte dei protezionisti , gli Stati mediterranei con le loro compagnie , che temono i contraccolpi di un' eventuale liberalizzazione . In mezzo , abbastanza neutrali , la compagnia tedesca Lufthansa , quella scandinava Sas , quella belga Sabena . E evidente che se il cartello andasse per aria vincerebbero i piu' efficienti che riescono a offrire il miglior servizio al prezzo piu ' basso , come succede in ogni attivita' economica .

Ma e' pensabile per l' Europa occidentale una deregulation simile a quella americana ? "Certamente no" , sostengono all' Alitalia , " perche' le condizioni sono diverse . Noi siamo divisi in una miriade di Stati , ognuno con sue leggi e regolamenti particolari . E poi , chi ci garantisce che il protezionismo cancellato da un lato non risorga dall' altro , mascherato da restrizioni sull' uso di certi aeroporti o da contributi per sanare i bilanci delle compagnie di bandiera in deficit ? " .

In effetti , e' difficile pensare a un ipotetico (quanto improbabile) fallimento dell' Air France senza che l' orgoglioso governo francese non intervenga per salvarla . E pero' possibile che piccoli paesi come il Belgio , l' Austria o Malta debbano rinunciare al prestigio di avere una loro compagnia nazionale . Dopotutto , Danimarca , Svezia e Norvegia non hanno avuto difficolta' a consorziarsi nella Sas .

E l' Alitalia ? La resistenza della compagnia , guidata da Umberto Nordio ad accettare il libero mercato nasce dal timore di non farcela , o di perdere quote di mercato ? In verita' , nel 1985 ha raddoppiato gli utili e ha presentato il migliore bilancio della sua storia , e quindi non si comprende tanta riluttanza .

"Certo, forse all'inizio ne soffrirebbe", stima Nick Brough dell'Assoutenti, "perché ha una grossa struttura burocratica che non le permette di prendere decisioni con rapidita' . Ma la sua situazione finanziaria non e' negativa , e tecnicamente la sua flotta e' ottima . Anzi , forse e' la piu' moderna d' Europa " .

Arriverebbero tempi duri per i 26 mila dipendenti della compagnia . Tra i dirigenti dell' Alitalia c' e' chi ritiene che si potrebbe fare a meno di diverse migliaia di persone , anche se il gonfiamento degli organici e' stato bloccato gia' da qualche anno . " Ma dopo lo choc iniziale la compagnia italiana reagirebbe velocemente " , dice Brough , " soprattutto se le pressioni politiche non la costringessero a operare linee in perdita " .

Infatti , oltre a quelli per la Sardegna ( " Sono in rosso ma proiettati verso il futuro", dicono all'Alitalia , che e' costretta a praticare prezzi scontati) diversi altri voli si giustificano solo in termini di servizio pubblico : e' il caso , per esempio , del Roma-Bergamo , che secondo gli ultimi dati disponibili del ministero dei Trasporti vede riempiti in media solo 42 dei 125 posti disponibili ; del Palermo Napoli (31 posti) ; del Roma Trapani (43) ; del Milano Brindisi (49) ; del Palermo Pisa (51) .

Ecco , in questi casi , in barba alle proteste di deputati e notabili locali , se la dura legge della concorrenza invocata dalla Cee prevalesse , i collegamenti diretti sarebbero soppressi . O forse la salvezza verra' dall' Atr 42 , un aereo che ha 48 posti . In ogni caso , i viaggiatori di tratte frequentatissime , vere e proprie galline dalle uova d' oro come la Milano Roma (il cui prezzo " giusto " e' sotto le 100 mila lire) , non dovrebbero piu' finanziare con i loro soldi anche le linee in perdita.
Mauro Suttora

lettera al direttore:

LIBERI MA SELVAGGI 
Che sull' Europa aleggino, come ci spiega Mauro Suttora sull'Europeo n. 30, Cieli di guerra, non c'è dubbio. C'è da chiedersi pero' se questa ventata liberalizzatrice che trova il suo piu' strenuo sostenitore in Peter Sutherland, commissario della Cee per la concorrenza , muova da reali presupposti di difesa degli interessi dei consumatori , o viceversa se non risponda a logiche meno confessate e piu' di parte . Varrebbe la pena chiedersi perche ' al polo italo franco tedesco che invoca un maggiore controllo sulle compagnie aeree si sia contrapposto un fronte di " liberalizzazione selvaggia " costituito dall' Inghilterra e dall' Olanda , guarda caso gli Stati che hanno le piu' grandi compagnie aeree europee , che potremmo definire di tipo " imperiale ", sicuramente sopra dimensionate e alla disperata ricerca di nuove opportunita' di mercato. 

In realtà certe battaglie liberiste sembrano condotte piu' con l' occhio al campanile che all' interesse del consumatore . Chi si fa assertore delle tesi piu' oltranziste dovrebbe infatti meditare sui pericoli che deriverebbero al sistema dei trasporti aerei europeo dall' instaurarsi di un oligopolio formato da tre o al massimo quattro grandi compagnie che si spartirebbero il mercato secondo i propri interessi commerciali e politici a discapito delle altre che finirebbero inesorabilmente schiacciate . 

Quale futuro verrebbe riservato a questo punto a quelle compagnie che hanno raggiunto un certo grado di efficienza gestionale e tecnica nonostante la crisi del mercato mondiale ? Come impedire una corsa selvaggia allo sfruttamento delle rotte piu' commerciali e un abbandono di quelle meno remunerative ? Quale compagnia sarebbe disposta , ad esempio , a operare su rotte tradizionalmente in perdita nei collegamenti interni della nostra penisola che assumono viceversa un significato sociale e di promozione economica ? Altro che mentalita' statalista e assistenzialista . E semmai vero il contrario : per anni abbiamo lamentato che le nostre aziende pubbliche vivessero ripianando i propri deficit a spese del contribuente . Oggi da noi la situazione , almeno per quanto riguarda il trasporto aereo, è totalmente capovolta. 
Giuliano De Risi, capufficio stampa ministero dei Trasporti

Saturday, June 28, 1986

Scuola superiore di Pubblica amministrazione

Ambizioni nazionali. I supercorsi che formano i manager dello stato

NON BASTA ANDARE A CORTE PER SERVIRE LA REPUBBLICA

Quattro sedi, di cui una nella reggia dei Borboni a Caserta. Ma pochi mezzi. La scuola della pubblica amministrazione dovrebbe preparare commis d'Etat, come l'Ena francese. Invece sforna burocrati delusi. Ecco perché

di Mauro Suttora

Europeo, 28 giugno 1986  

"Gli presentano il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l'assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all' ufficio competente, che sta creando".

Questa surreale citazione, estratta dal Diario notturno di Ennio Flaiano, la troviamo a pagina 13 del libretto con cui si presenta al pubblico la Scuola superiore della pubblica amministrazione. Ai dirigenti della scuola non difetta il senso dell'humour e dell'autoironia: prendere in giro se stessi non è facile per nessuno, men che meno per dei sussiegosi burocrati statali. Ai quali per di più, poche settimane fa, è toccato ingoiare l'ennesima pillola amara: una ricerca dell'Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) ha decretato che l'Italia ha il primato negativo europeo in fatto di formazione del personale pubblico. 

Sabino Cassese, professore di diritto amministrativo all'Università di Roma, uno dei massimi conoscitori della macchina dello Stato, ha puntato in particolare il dito sulla Scuola superiore, nata nel 1962 con la nascosta ambizione di diventare la versione italiana dell'Ena, la celebre scuola nazionale di amministrazione di Parigi che sforna ministri e presidenti: "La nostra scuola doveva creare una nuova classe dirigente per cambiare l'amministrazione, e invece è stata costretta ad adeguarsi a essa, al suo livello più basso, fallendo lo scopo".

Il quadro e veramente così nero? Davvero non c'è speranza per il nostro Stato, che fornisce servizi scadenti in ogni campo (poste, ferrovie, scuola, sanità) e a costi altissimi (l'amministrazione pubblica ingoia oggi il 60 per cento del reddito nazionale contro il 30 per cento di solo vent'anni fa)? 
È evidente a tutti che il nodo centrale per il futuro dell'Italia , adesso che le imprese private sono tornate a guadagnare e sprizzano energia, sta nel risanamento dei servizi pubblici, sia statali che regionali. Basta con la polvere, l'inefficienza, le inutili complicazioni, le tre ore di lavoro medio giornaliero. Viva la produttività, la snellezza, la rapidità. Per cambiare l'amministrazione pubblica, uomini nuovi. E dovrà essere la Scuola superiore a prepararli, nelle sue quattro sedi sparse in Italia: Roma , Caserta, Reggio Calabria e Bologna.

Ma gli uomini nuovi nasceranno? E quando? Per ora, non nascono. Anzi: il primo corso di sei mesi per dirigenti del ministero delle Poste è miseramente abortito in aprile. Motivo: alcuni candidati esclusi hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, che ha bloccato tutto dopo ben quattro mesi di lezioni. Così, dopo aver aspettato per anni la legge del 1984 che istituisce i corsi per manager pubblici , la burocrazia come al solito si morde la coda e inciampa nei suoi stessi cavilli. Niente da fare : ai manager privati continuera' a pensare la Bocconi , mentre quelli pubblici restano una specie indesiderabile, vittime di quella che Ettore Rotelli, docente di spicco della scuola , descrive come "la diuturna lotta dei ministeri "per strapparsi l'un l'altro le competenze residue dopo la grande abbuffata (e i grandi sprechi) delle Regioni . Ma andiamo a vedere da vicino come funziona, e come potrebbe funzionare, la Scuola superiore, finora mancata Ena italiana.

La sede centrale e ' a Roma , in una palazzina al Foro Italico . Ma lo spazio e' scarso , cosicché gli uffici della direzione sono dall' altra parte del Tevere , agli ultimi piani del ministero per la Ricerca Scientifica. La scuola dipende direttamente dalla presidenza del Consiglio , attraverso il ministro senza portafoglio della Funzione Pubblica , che da tre anni e' il dc Remo Gaspari. Direttore della scuola è dal 1977 Domenico Macrì, un calabrese piccolo , segaligno e scattante di 63 anni . Lavora in regime di proroga , perche' i partiti non riescono ad accordarsi sul nome del suo successore . Macri' e' il direttore di una scuola senza professori e senza personale . Infatti chi lavora nella Scuola superiore viene " comandato " di anno in anno a quell' incarico dal proprio ministero , nei cui ruoli continua a figurare . In teoria , ciascun ministero potrebbe riprendersi i suoi funzionari e dirigenti " prestati " . Il direttore Macri respinge subito ogni confronto con l' Ena francese (vedere il riquadro a pag . 26) : " Quella e' una scuola d' elite , ristretta ai dirigenti e con corsi lunghissimi . Noi siamo una cosa diversa : organizziamo corsi di aggiornamento e formazione per i vari ministeri , e dal 1979 abbiamo iniziato quelli di reclutamento " . I neolaureati ammessi alla Scuola superiore dopo un concorso piuttosto severo (la media e' di un posto ogni dieci domande) non diventano dirigenti , come in Francia : al termine del corso retribuito di un anno chi viene assunto (i cinque sesti dei partecipanti , contro i due sesti in Francia) diventa impiegato ai due livelli piu' alti dell' amministrazione pubblica . La selezione durante il corso pero' e' inesistente , perche' gli allievi che nel frattempo vincono concorsi piu' prestigiosi (magistratura , notai) se ne vanno , liberando molti posti . Se a Roma c' e' la direzione della scuola , la sede piu' prestigiosa e' a Caserta : occupa un intero settore della famosa Reggia , con saloni , quadri e stucchi . Mentre i Borboni ci misero un secolo per costruire la loro fastosa dimora , il direttore Macri' e' in guerra da dieci anni con le altre branche dello Stato per realizzare il suo vecchio sogno : un college per gli allievi . Quella che all' estero e' prassi normale , un collegio residenziale per gli studenti che vengono da fuori , qui da noi ha assunto i contorni di una pretesa fantasmagorica . Solo adesso cominciano i lavori per ricavare una cinquantina di stanze in una delle due ali della facciata , dopo che un reggimento di cavalleria aveva resistito per anni , non volendo mollare le proprie stalle ai futuri manager dello Stato . 

Entriamo nell' aula dove si sta svolgendo un " master " del ministero delle Finanze per ispettori delle imposte dirette . Eccoli qui coloro che scopriranno tutte le falsita' contenute nelle dichiarazioni Irpef e si batteranno contro gli evasori fiscali per il bene dello Stato . Per adesso la discussione verte sul primo comma dell' articolo 52 del secondo titolo del decreto 596 per la determinazione del reddito d' impresa . E l' una , fa caldo , e gli allievi sono desiderosi di tornarsene in macchina a Napoli . Da li' viene la maggioranza dei fortunati 114 che hanno superato le forche caudine del concorso con duemila domande iniziali . Fortunati ? " Si' , rispetto a quelli che sono capitati qui da La Spezia o da Bari , e che si devono mantenere lontani da casa con un milione al mese , siamo fortunati " , riconosce Renato Di Gennaro , 34 anni , laureato in giurisprudenza ed economia e commercio , chissa' quanti concorsi alle spalle . " Ma dopo ? Sappiamo gia' che andremo quasi tutti al Nord . Ce la faremo ad affittare una casa , a mantenere la moglie , i figli , la macchina ? " . 

Ecco Marina Maiella, 26 anni, dottoressa in legge: "Già sappiamo in partenza quale sara' la nostra carriera : il massimo che possa capitarci e' diventare , a 40 o 50 anni , dirigenti , e di raggiungere lo stipendio di un milione e mezzo " . Cosi' , la principale aspirazione di questi servitori dello Stato , una volta catapultati a Bolzano o a Pordenone , e' quella di mettersi in proprio , di aprire uno studio di commercialista , e di insegnare ai propri clienti i trucchi per non pagare le tasse , gli stessi che lo Stato adesso sta insegnando loro a scoprire . C' e' di peggio , perche' ormai la tacita convenzione fra Stato e statali e' : io ti do pochi soldi , tu in cambio hai pomeriggi e sabati liberi , cosi' fai quel che vuoi . E finche' un professore da' lezioni private nulla di male , ma le consulenze clandestine in settori piu ' delicati si tramutano spesso in favori , tangenti e prigione . 

Ma perche' lo Stato non arruola i suoi manager , come una qualunque azienda , tra i neolaureati piu' brillanti nelle universita' specializzate , come la Bocconi o la Luiss ? Giriamo le domande al direttore Macri' : " Il vero problema non e' la retribuzione che lo Stato offre . Certo , sono importanti anche i soldi , ma la pubblica amministrazione puo' valorizzare la gente anche in altro modo . C' e' il potere , il prestigio . . . In nessuna nazione estera gli stipendi dei funzionari pubblici son particolarmente allettanti , ma li' e' grande il riconoscimento sociale . E , poi , molta gente fa questo mestiere anche per vocazione " . Le statistiche , pero' , dimostrano che in Italia la scelta della carriera statale viene compiuta soprattutto in mancanza di meglio . " Che opportunita' abbiamo noi giovani meridionali ? " , si chiede sfiduciata la signorina Maiella . " Aziende private al Sud non ce n' e' . Il prestigio , il potere ? Al settimo livello dei quadri direttivi certamente no " . 

Le feroci resistenze a far nascere nella Scuola superiore anche i dirigenti , come all' Ena francese , sono proprio il diretto risultato di questa frustrazione , che pervade le decine di migliaia di quadri direttivi : gia' oggi sono sovrabbondanti , e premono per la promozione a dirigenti . Cosi' , paradossalmente , ogni giovane formato alla Scuola superiore rappresenta un cadavere in piu' sul quale un bocconiano rampante dovrebbe passare per diventare dirigente a trent' anni , come accade nel settore privato . Si chiude insomma un vero e proprio circolo vizioso , che garantisce solo una cosa : l' impossibilita' di creare veri manager statali per i prossimi decenni . " A questo primo corso dirigenziale delle Poste " , si lamenta Macrì, "mi hanno mandato gente di 55 anni, che diventa dirigente per anzianità, per diritti acquisiti, automaticamente. Come si può fare un master per manager in queste condizioni? Promuoveteli direttamente, e buonanotte!" 

Allora, l'Ena resta un sogno proibito? 
"L'Ena è una conseguenza, non una causa", spiega Macrì. "Fa parte di un sistema che valorizza i tecnici, dove c' e' una vera divisione dei poteri e i politici rispettano l' autonomia degli esperti . La riforma sanitaria in Italia non va bene perche' non l' hanno fatta fare ai tecnici . Noi nei concorsi scegliamo sempre i molto colti , che pero' hanno quasi sempre una visione settoriale, sono i piu' spigolosi , con poca voglia di lavorare . Invece allo Stato servono soprattutto i tenaci, i volitivi. Perché anche nella burocrazia alla fin fine dipende tutto dagli uomini, e c'è necessita' e spazio per l' iniziativa individuale , per chi non nasconde la propria pigrizia dietro ai regolamenti e alle leggi". Leggi che, fra l'altro, i politici fanno troppo spesso senza ascoltare il parere dei tecnici. Perfino il decreto del presidente del Consiglio che disciplina la Scuola superiore è, nel suo genere, un piccolo gioiello: si preoccupa addirittura di stabilire che la ricreazione dura dalle 10.30 alle 11. Come se si trattasse di una scuola elementare, e non di un master per manager. 

"Diciamo le cose come stanno: il legislatore si è occupato della Scuola superiore durante una passeggiata", e' il duro giudizio di Massimo Severo Giannini, uno dei pochi ministri competenti che l'amministrazione pubblica abbia mai avuto. E che adesso, a sette anni di distanza dal suo storico ma inascoltato rapporto sulle disfunzioni dello Stato, non esita a dichiarare: "Le funzioni veramente pubbliche erogate dallo Stato sono in realtà pochissime: esteri, difesa, polizia… Tutto il resto può benissimo essere gestito con criteri privatistici, puramente manageriali". Che la Scuola superiore di pubblica amministrazione si debba allora trasferire da Caserta a Milano, come ha una volta proposto Giulio Andreotti?
Mauro Suttora

Saturday, March 08, 1986

Tra noi c'è un solo abusivo: la legge

NUOVI SOVVERSIVI/RAPPORTO DAL PAESE CHE GUIDA LA RIVOLTA DOPO IL CONDONO

Vittoria, in provincia di Ragusa, vanta due record: è la città più comunista d'Italia, e la più affollata di edifici illegali. Il suo sindaco ha guidato la marcia su Roma. Siamo andati a fare i conti in tasca a chi sostiene di non avere i soldi per fare il dovere di cittadino

di Mauro Suttora

foto di Maurizio Bizziccari

Europeo, 8 marzo 1986



Saturday, February 15, 1986

Italiani addestrano i piloti libici

Rivelazioni/Parla l'italiano che ha addestrato i piloti libici

SANNO FARE I KAMIKAZE, NON SANNO FARE LA GUERRA

I Mig e i Mirage di Gheddafi ronzano minacciosi sul Mediterraneo. Ma chi è ai comandi ci sa fare davvero? Abbiamo scovato il maestro. Ecco quel che ha visto e insegnato

di Mauro Suttora

Europeo, 15 febbraio 1986


Saturday, September 14, 1985

Leonardo, dai, vinci!


LEONARDO BRIGLIADORI, CAMPIONE MONDIALE DI VOLO A VELA

Lo zio della soubrette Eleonora, quando esce dall'ufficio, monta sull'aliante e colleziona trofei. Ma gli capitano anche buffe avventure: come quel giorno in cui fu scambiato per un Ufo...

di Mauro Suttora

Europeo, 14 settembre 1985

Il primo uomo che ha camminato sulla Luna, Neil Armstrong, è uno di loro. In Italia sono un migliaio, e ogni sabato e domenica si levano in volo dai 24 club sparsi per la penisola. Ottimi amici delle aquile, sorvolano crinali e planano su foreste, radure o distese di neve immacolate, silenziosi come uccelli.

Saturday, August 17, 1985

Brucia Africa, brucia

 

RAPPORTO DA UN CONTINENTE ALLA DERIVA

Brucia Africa, brucia

di Mauro Suttora e Pier Luigi Vercesi

Europeo, 17 agosto 1985

Il Sud Africa è in rivolta. In Uganda, dopo il golpe, si riaffaccia Idi Amin. Sahara spagnolo e Ogaden sono da dieci anni senza pace. E in quasi tutti gli altri Paesi fame, siccità, regimi dittatoriali, lotte tribali. Ecco i drammatici scenari delle aree più calde


 


Saturday, August 03, 1985

Dopo la tragedia della val di Fiemme/Cosa insegna il Vajont


VENTIDUE ANNI DOPO, GIUSTIZIA NON È FATTA


A Longarone sono arrivati molti miliardi e qualche scandalo. C’è stato il baby boom. C’è una chiesa monumento dove sostano i turisti. E c’è una lunga storia giudiziaria. Così lunga che non è ancora finita


dall’inviato Mauro Suttora


Europeo, 3 agosto 1985


“La lezione del Vajont non è servita a niente. Di fronte a disastri come quello di Tesero proviamo solo un’enorme amarezza e rabbia. Perché in realtà i disastri naturali non esistono: la causa è sempre l’uomo. Altro che protezione civile! Ci vogliono previsione e prevenzione prima, non protezione dopo”.


Chi pronuncia queste parole è un prete di 41 anni, don Giuseppe Capraro, nella sua casa di Longarone (Belluno). Quella sera di 22 anni fa, quando ci fu la strage con duemila morti, lui si salvò perché era in seminario a Belluno.


Longarone si trova a poche decine di chilometri da Tesero, due valli più in là. Ma mentre la val di Fiemme è un paradiso di pinete, quella del Piave è aspra e ingrata: montagne ripide e sassose, turisti pochi. Se si passa di lì, è solo per andare in Cadore e a Cortina.

 

L’autostrada Venezia-Monaco, promessa da vent’anni, si blocca a Vittorio Veneto. Il treno per Calalzo arranca, e ogni volta che si ferma alla stazione di Longarone ai passeggeri che si voltano a guardare la diga del Vajont ancora intatta (l’ondata, sollevata dalla frana del monte Toc, volò sopra lo sbarramento) viene sempre un brivido.


La sorella di don Giuseppe, Elsa, fa la centralinista. Esattamente come nel 1963. L’acqua entrò dalla finestra della sua casa, ma lei si salvò. Nel centro del paese, 2000 abitanti, questa fortuna capitò soltanto ad altri duecento. “Dopodiché, qualcuno mi accusò di essermi salvata perché avrei ascoltato delle telefonate che preannunciavano la sciagura”, racconta Elsa Capraro. La sua vecchia casetta è rimasta in piedi, ed è tuttora una delle più carine del paese.


Tutto il resto è soprattutto cemento. Su via Roma, la strada principale, incombono palazzine fitte, alte 4-5 piani, che soffocano qualche stitico alberello. Più che un paese predolomitico ricostruito a nuovo, sembra una periferia di Roma impestata dalla speculazione. Speculazione. Quando sentono questa parola, i longaronesi diventano guardinghi. Perché dopo la tragedia dell’alluvione in questi 22 anni c’é stata anche la tragicommedia degli scandali.


“Niente imposte per dieci anni per tutti gli abitanti e le imprese del luogo”, decretò il governo nel 1964. Giustissimo. Però non furono pochi i casi di persone e aziende che piombarono a trapiantarsi a Longarone solo perché la ritenevano una nuova Montecarlo. Come in Friuli dopo il terremoto del 1976, anche qui il cocktail di aiuti statali e di operosità degli abitanti ha prodotto ricchezza. In pochi anni, grazie agli immigrati dal basso Veneto, gli abitanti del paese, frazioni comprese, ridiventarono 4500. Ci fu anche un baby boom, e adesso le scuole sono piene zeppe.


La vita continua, come sempre. E meglio di prima. Se non fosse per quelle ombre di truffe, peculati, concussioni che si aggirano per il paese. Ancora l’anno scorso nove politici locali sono stati rinviati a giudizio per le assegnazioni delle case popolari Iacp. Prima, professionisti condannati per aver dirottato in Svizzera soldi ricevuti dallo stato. “Colpa delle lungaggini burocratiche se le aziende già finanziate non furono mai realizzate”, si sono difesi. La Siderurgica Landini, per esempio: inghiottì 13 miliardi prima di scomparire nel nulla.


Poi ci sono le divisioni politiche paesane. Perché a Longarone la democrazia funziona, destra e sinistra si alternano alla guida del Comune. Adesso il sindaco è democristiano: alle ultime elezioni Dc, Psdi e Pri hanno avuto il 60%, contro il 25 del Pci e il 15 al Psi. Ma prima c’era una giunta rossa, e anche all’epoca della catastrofe il sindaco era socialista. Con l’alternanza delle giunte c’è stata anche l’alternanza dei progetti di ricostruzione.


L’iniziale piano di Giuseppe Samonà, considerato troppo avveniristico e “di sinistra”, venne accantonato dai democristiani quando tornarono al potere: “Erano solo dei bunker di cemento, rischiammo di fare da cavie per gli esperimenti degli architetti”, dice l’attuale vicesindaco dc, l’avvocato Franco Trovatella, 49 anni. Nella tragedia perse tutti i familiari. Lui quella sera era andato a trovare la fidanzata, oggi sua moglie, in un paese vicino.


Comunque, nonostante le divisioni politiche, estetiche e anche etniche (fra i sopravvissuti che volevano “tutto come prima” e i ‘foresti’ arrivati dopo), la ricostruzione fu completata in pochi anni.


Non così il processo. Giustizia, per il Vajont, non è stata ancora fatta. Questo è l’aspetto che più interessa oggi, perché Tesero non è da ricostruire com Longarone, ma giustizia la reclamano tutti. Ebbene, ci credereste? Il processo per i danni civili è ancora aperto, a Firenze. “Per la prima volta nella storia giudiziaria italiana”, dice il vicesindaco Tovanella, “è stato riconosciuto ai comuni colpiti dalla strage il diritto non solo al risarcimento danni ai beni e alle persone, ma anche quello dei danni morali”. I quali però non si sa ancora a quanto ammontino.


L’Enel fu particolarmente sfortunato: con la nazionalizzazione dell’elettricità nel 1963, solo sette mesi prima del disastro, rilevò la diga del Vajont dalla società privata Sade, poi assorbita da Montedison. Nel 1969 offrì ai privati una transazione di dieci miliardi in cambio della rinuncia al risarcimento. Cosa che avvenne, ma senza cancellare la responsabilità nei confronti del comune di Longarone. E infatti nel 1983 Montedison è stata condannata a pagare una ventina di miliardi a Longarone.


Adesso è in discussione la cifra che Enel e Montedison devono ancora versare a Longarone (Enel tenta di scaricare tutto su Montedison, e viceversa), nonché il risarcimento ad altre amministrazioni statali come le Ferrovie, che ebbero binari cancellati per chilometri.


Ma il capolavoro d’ingiustizia fu il processo penale. Poi a venne trasferito da Belluno all’Aquila per “legittima suspicione”: si temeva che i sopravvissuti di Longarone e degli altri paesi colpiti, Erto e Casso, facessero troppo casino durante le udienze.


Dopo questa sterilizzazione geografica il processo s’impantanò nei tempi lunghi, rischiando la prescrizione. Nel 1971, otto anni dopo la strage, la sentenza definitiva. Condannati solo due imputati su otto: l’ingegnere Enrico Biadene, direttore idraulico della diga ormai settantenne, a due anni; e Francesco Sensidoni, ispettore del Genio civile, a otto mesi. Un po’ poco per un “eccidio premeditato”, com’è scritto su una lapide del cimitero di Longarone.


E adesso? Come scorre la vita nel paese distrutto e ricostruito? La nuova chiesa è stata inaugurata solo due anni fa, ma fa bella mostra di sé in tutta la valle: sembra un ufo, un museo Guggenheim atterrato sulle sponde del Piave. È costata un miliardo e 300 milioni, viene visitata ogni anno da migliaia di turisti che si fermano andando a Cortina.


“La chiesa è l’antidiga, il suo cemento bianco rappresenta la vita, contro quello grigio della diga della morte”, dice enfatico don Capraro. “È troppo grande, d’inverno è fredda”, replicano più prosaicamente alcuni fedeli. Il parroco la controlla dall’interno della sua nuova immensa canonica, con una tv a circuito chiuso.


Probabilmente per le esigenze del paese (siamo in zona ‘rossa’, la religiosità qui è minore che nel resto del Veneto) basterebbe e avanzerebbe la cappella sotterranea Kolbe. Ma la chiesa di Longarone è anche un monumento: “E la parola ‘monumento’”, dice don Capraro, “deriva dal latino monere, ammonire. Il monito del Vajont è: la vita umana innanzitutto”.


 

Saturday, June 29, 1985

Non si vive di sola mente



Cecchi Paone si difende

Si infiamma la polemica su 'Mister O', il programma Rai di parapsicologia. Diamo la parola anche alle ragioni contro la ragione

di Mauro Suttora

Europeo, 29 giugno 1985 

 

Saturday, February 23, 1985

Indovina chi serve a cena















BON TON/ LA TROVATA DI UNA SIGNORA MILANESE

Indovina chi serve a cena

di Mauro Suttora

Europeo, 23 febbraio 1985

Nome: Lalla Jucker. Classe: buona borghesia lombarda. Hobby: cucinare per conto terzi. È già una cosa strana. Ma la vera sorpresa è sotto lo smoking impeccabile dei suoi giovani camerieri




Saturday, December 15, 1984

Energia solare? No, grazie

Riscaldamento: gli italiani non vogliono risparmiare

di Mauro Suttora

C'erano 54 miliardi a disposizione di chi voleva installare pannelli solari per avere acqua calda gratuita. Ecco come burocrazia, impreparazione e dilettantismo hanno fatto fallire il piano

Europeo, 15 dicembre 1984



 

Saturday, September 08, 1984

Uganda: era meglio Amin Dada?

Stragi con 330mila morti, dice l'opposizione. Quindicimila, ammette il governo. Un fatto è certo: dopo quattro anni di apparente democrazia, regna sempre il terrore

di Mauro Suttora

Europeo, 8 settembre 1984


 

Saturday, August 18, 1984

Sovrappopolazione mondiale: esplodono le megalopoli

 LA TERRA È PICCOLA PER NOI

Nascono due bambini ogni secondo. Nel Duemila saremo sei miliardi. Città del Messico sfiorerà i trenta milioni di abitanti. Il nostro sarà ancora un pianeta vivibile? E, soprattutto, come sarà la qualità della vita nel Terzo mondo?

di Mauro Suttora

Europeo, 18 agosto 1984









































Saturday, October 22, 1983

Sarajevo prepara le Olimpiadi invernali 1984

JUGOSLAVIA
Ci vuole lo stadio? Facciamo una colletta

Un referendum. Migliaia di volontari. Un'autotassazione collettiva. Che s'ha da fare per ospitare le gare mondiali di sci in una città comunista...

di Mauro Suttora e Art Zamur

Europeo, 22 ottobre 1983








 

Saturday, October 08, 1983

Gli ecologisti tedeschi



IL MIO VERDE È PIU’ VERDE DEL TUO

Germania/Il movimento ecologista si spacca

Fondamentalisti, realpolitici, nonviolenti, filoamericani, gandhiani... Che cosa nasconde il fiorire di tante correnti all’interno del partito che sorprese tutti alle elezioni di sei mesi fa?

Europeo, 8 ottobre 1983

di Mauro Suttora

«Non vogliamo cadere nelle mani dei comunisti e del loro modo vecchio, burocratico e perdente di fare politica. Basta con il minoritarismo di sinistra», afferma deciso Ernst Hoplitschek, leader degli ecologisti berlinesi. E così da quest’estate i grünen, iverdi di Berlino Ovest, si sono messi in proprio, iniziando una campagna autonoma di iscrizioni e separandosi dalla Lista alternativa, con la quale avevano ottenuto il sette per cento e nove consiglieri due anni fa.

Berlino è da sempre il laboratorio politico della Germania. Tutto ciò che accade nella ex capitale prima o poi si ripercuote a livello nazionale. Così è stato, ad esempio, per il ritorno della Cdu al potere, avvenuto a Berlino già nel settembre 1981. E’ probabile, quindi, che le frizioni all’interno del partito verde e fra questo e gli altri settori della sinistra extraparlamentare che finora lo hanno appoggiato si moltiplichino nei prossimi mesi.

Già ci sono alcuni segni. A Brema, dove nel 1979 per la prima volta i verdi superarono alle elezioni la soglia-ghigliottina del cinque per cento, le votazioni appena avvenute hanno visto la concorrenza reciproca di ben tre formazioni ecologiste: quella dei verdi federali, la «Bremer grune liste» più conservatrice e localista, e la Lista alternativa del lavoro, piena di comunisti. Ma anche nel resto della Germania la presenza fra i verdi di molti marxisti sta cominciando a creare molti problemi agli ecologi meno politicizzati, e si vanno già formando due tendenze contrapposte all’interno del piccolo partito approdato in Parlamento da soli sei mesi: «fondamentalisti» e «realpolitici».

Forti soprattutto in Assia e ad Amburgo, i fondamentalisti criticano «dalle fondamenta» la società dei consumi, seguendo le teorie apocalittiche di Rudolph Bahro, 48 anni, intellettuale incarcerato e poi espulso (1978) dalla Germania Est, dov’era stato un importante tecnocrate in campo economico. Adesso, pur non essendo deputato, è l’ideologo e l’eminenza grigia dei verdi. Predica la «Ausstieg aus der Industriegesellschaft», l’uscita dalla società industriale che produce sempre più armi e fame.
Ma l’aspetto più controverso delle proposte di Bahro riguarda la strategia elettorale: egli afferma che sarebbe miope per i verdi limitarsi a fare la pulce a sinistra dell’Spd, e che essi devono rivolgersi invece a un elettorato molto più ampio, anche di destra, con un programma di «conservazione dei valori».

E quali sarebbero questi «valori» capaci di attrarre gli elettori democristiani di Helmut Kohl e Franz Strauss? La vita, minacciata dalle bombe atomiche; la comunità e la privacy, minacciate dall’invadenza dello stato assistenziale e poliziesco (vinta quest’anno la battaglia contro il censimento, i verdi si stanno ora battendo contro l’introduzione della carta d’identità magnetica, prevista per il 1984, considerata uno strumento di maggiore controllo sociale); le foreste, amate visceralmente da ogni tedesco e rovinate dalle piogge acide; l’unità della Germania, spezzata dalla divisione in blocchi nemici.

Ai fondamentalisti si contrappongono i realpolitici di Brema, Baviera e Baden-Wurttemberg, nonché i rossoverdi che mirano ancora al coinvolgimento degli operai (in settembre a Bonn il deputato Eckhart Stratmann ha organizzato un «foro dell’acciaio» assieme a delegati di fabbrica). I realpolitici vengono bollati in tal modo a cuasa della loro disponibilità ad allearsi con i socialisti, mentre per Bahro fra Spd e Cdu non c’è molta differenza.
«E gli emarginati, gli omosessuali, i carcerati, gli stranieri? Ci dimenticheremo di loro per correre dietro ai piccolo-borghesi?», domanda Thomas Ebermann, capogruppo dei verdi alla Dieta di Amburgo, preoccupato di perdere i contatti con i gruppi spontanei di protesta che fioriscono al di fuori della vita istituzionale. E anche i giovani estremisti «alternativi» delle grandi città non ne vogliono sapere di cercare i modi e le parole per attrarre «i fascisti della Cdu».

Ma non sono soltanto le grandi questioni ideologiche o le strategie elettorali a dividere i verdi. Si discute anche, e con ripercussioni che vanno al di là dell’area alternativa, di violenza e nonviolenza. Dove comincia l’una e finisce l’altra? Un sit-in davanti a una base Nato è già una forma di violenza?
Lukas Beckmann, 30 anni, deputato e tesoriere del partito, è stato appena condannato a pagare una multa di 500 marchi, a scelta all’erario o ad Amnesty International, per avere bruciato un missile di cartone davanti alla sede dell’Spd di Bonn. «Volevo far cambiare loro idea sugli euromissili», si è difeso. E per la verità, viste le ultime posizioni del partito di Willy Brandt su Cruise e Pershing 2, sembra esserci riuscito.

Lo stesso Beckmann due settimane fa, a una riunione del comitato che coordina le mainifestazioni pacifiste d’autunno, ha dichiarato: «Nonviolenza non vuol dire rispetto della legalità: non ci limiteremo a bloccare gli accessi alle basi americane in Germania, ci entreremo dentro». Quanti sono d’accordo?

All’inizio di agosto un deputato regionale verde dell’Assia, Frank Schwalba-Hoth (non si è ripresentato alle elezioni domenica scorsa, preferendo tornare alla propria professione di insegnante), ha spruzzato del sangue addosso a un generale americano durante un ricevimento ufficiale. «Ha offeso la dignità di un uomo», è stato il duro commento di Petra Kelly, ex collaboratrice di Martin Luther King e quindi nonviolenta integrale. «Orrendo», ha rincarato il suo compagno, l’ex generale ora pacifista Gert Bastian, che conserva ancora un certo rispetto per le divise nonostante sui giornali appaia sempre più frequentemente in foto mentre viene trascinato via di peso dai sit-in antimilitaristi. L’«azione del sangue» è stata però approvata da parecchi altri, comprsi gli stessi verdi dell’Assia.

Iniziatori del movimento per la pace, i verdi sin dalla loro nascita quattro anni fa vengono accusati di essere antiamericani. Una delle loro principali preoccupazioni è dimostrare il contrario: «Non ce l’abbiamo con gli americani, ma con tutti gli eserciti d’occupazione». Gandhiani convinti, hanno sostituito il vecchio «Yankee go home» con il gentilissimo «Soldato, lascia l’esercito e vieni con noi».

«Nessuna accondiscendenza verso slogan del tipo “Violenza contro i piedipiatti” in voga fra gli autonomi», assicura Hoplitschek, il capo dei verdi berlinesi. Ci tengono a ricordare che nel novembre ’81, quando l’allora leader sovietico Leonid Breznev andò a Bonn, gli organizzarono contro un corteo di ventimila persone. Per protestare contro il golpe del generale Wojciech Jaruzelski in Polonia si rifiutarono di partecipare a qualsiasi iniziativa assieme al Dkp, il partito comunista della Germania Ovest finanziato da Mosca. E anche dopo l’incidente del jumbo coreano (abbattuto dai sovietici il primo settembre, provocando la morte di 269 persone) non sono mancate le condanne.

«Non siamo fedeli all’Est o all’Ovest, ma al genere umano», sta scritto nel loro programma. Eppure, dice il deputato Joschka Fischer, «per me ogni negozio di McDonald’s rappresenta una garanzia che la vecchia Germania non rinascerà più. Ogni hamburger, anche se io li detesto e li trovo immangiabili, è un pezzo di libertà. Siamo tutti americani, e la nostra cultura democratica la dobbiamo agli Stati Uniti. Ma non all’America ufficiale: a quella degli anni Sessanta, dei diritti civili e della musica pop».

In giugno Petra Kelly (sempre più pallida e nervosa, ma affascinante quando investe le platee con la sua eloquenza ispirata e torrenziale) ha compiuto un lungo tour negli Stati Uniti invitata dal Freeze movement, l’organizzazione che propone di congelare gli arsenali atomici ai livelli attuali.

E a sottolineare la distanza dall’Unione Sovietica c’è l’atteggiamento che i verdi tengono nei confronti del dissenso tedesco orientale. Roland Jahn, espulso dal governo di Berlino Est per la colpa di avere organizzato un movimento pacifista indipendente, è stato «adottato» dai verdi. Da anni il cantautore Wolf Biermann, anch’egli dissidente esiliato dal rtegime di Erich Honecker, si esibisce durante le loro manifestazioni.

Divisi sul piano ideologico, impegnati a differenziarsi da un movimento pacifista ambiguo (anche il premio Nobel della letteratura Heinrich Böll ha controbattuto le accuse di filosovietismo e di pacifismo a senso unico: «Non mettiamo in pericolo la democrazia, la usiamo») e decisi a rompere uno dei tradizionali tabù della sinistra, l’antiamericanismo, i verdi hanno dovuto fare i conti anche con alcuni curiosi e imbarazzanti incidenti di percorso.

All’indomani delle elezioni del 6 marzo si viene a sapere che l’ultrasettantenne Werner Vogel, eletto nelle liste col simbolo del girasole, il quale si accingeva a presiedere la seduta inaugurale del Bundestag risultandone il decano, aveva trascorsi nazisti. Niente di gravissimo, in un paese dove perfino il passato del presidente della Repubblica Karl Carstens non è immacolato. Ma subito il vecchietto amante della natura è stato costretto a dimettersi.

In agosto poi c’è stato l’«affare del sesso». «Il verde che palpa le tette alle segretarie», ha titolato a tutta pagina con la sua solita eleganza la Bild Zeitung. E così finisce la carriera di deputato di Klaus Hecker, 53 anni, sposato con tre figli: «Sì, ho fatto qualche avance alle ragazze dello staff: mi sentivo tanto solo a Bonn d’estate...»
Il gruppo parlamentare lo invita a dimettersi. Un certo puritanesimo femminista imperante tra i verdi fa addirittura dichiarare a una deputatessa: «La lotta contro i missili e contro il potere maschilista è una cosa sola». In questo clima antifallico, Hecker viene paragonato a un Pershing e non gli rimane che fare le valigie.

Mauro Suttora