Tuesday, April 29, 2003

Onu/3: disastro Kosovo

Il fallimento delle Nazioni Unite in Kosovo, e i motivi per cui non se ne vogliono andare

Il Foglio, 29 aprile 2003

New York. Molti vorrebbero che l’Onu amministrasse l’Iraq. Ma qual è il bilancio della missione di peacekeeping (“mantenimento della pace”) delle Nazioni Unite in Kosovo?

“Poveri iracheni, se l’Onu arriverà anche da loro”, commenta Beqe Cufaj, 33 anni, giornalista e scrittore kosovaro. Dopo quattro anni di protettorato Onu, infatti, il Kosovo ha ancora l’economia a pezzi. Anzi, con la diminuzione degli aiuti internazionali la situazione sta peggiorando. Ogni giorno l’elettricità manca per ore, anche se le centrali elettriche kosovare non erano state bombardate dalla Nato quattro anni fa. “Prima esportavamo la nostra energia elettrica in Macedonia e Grecia, ora siamo al buio”, ha denunciato il 23 aprile Nexhat Daci, presidente del Parlamento.

Finora l’amministrazione delle Nazioni Unite ha speso nove miliardi di euro per ricostruire il Kosovo. Ma molti soldi sono finiti nel nulla sta per iniziare il processo contro Joseph Trutschler, un tedesco 36enne nominato presidente della società elettrica kosovara, accusato per tangenti da quattro milioni e mezzo di euro.

A capo della missione Unmik (United Nations Mission Kosovo) c’è da un anno il 53enne tedesco Michael Steiner, un diplomatico succeduto all’altrettanto opaco danese Hans Haekkerup, che resistette solo pochi mesi. Prima di loro si era misurato con il Kosovo il francese Bernard Kouchner.

Questo turbinio di capi si aggiunge a quello delle sigle. L’Onu ha infatti delegato alla Ue la ricostruzione e lo sviluppo economico, mentre il compito di riorganizzare la vita politica è stato subappaltato all’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), ente dalla dubbia utilità con sede a Vienna è un’ossificazione della Conferenza di Helsinki del 1975, sopravvissuto alla fine del loro la guerra fredda.

L’Osce ha in qualche modo portato a termine il suo compito, con i suoi 1.500 dipendenti ha organizzato le elezioni locali e poi le politiche nel 2001, che hanno eletto presidente Ibrahim Rugova. Presidente di che cosa, però, non si sa bene, perché lo status del Kosovo è ancora tutto da decifrare in teoria fa ancora parte della federazione Serbia-Montenegro, ma nella realtà è ormai indipendente. Resta la questione della minoranza serba nella zona settentrionale di Mitrovica, bubbone che l’Onu si guarda bene dall’affrontare.

Nella vita quotidiana, le Nazioni Unite gestiscono direttamente polizia, giustizia e amministrazione civile. Ma nessuno osa fare più previsioni sulla durata del mandato Onu. Il partito di Rugova continua a litigare con quello del rivale Hashim Thaci, e non si sa che cosa succederebbe se partissero i 30 mila soldati Nato (fra i quali settemila statunitensi e quattromila italiani) e i 4.389 poliziotti Onu ancora stanziati in Kosovo.

La composizione della polizia è esoticissima: fra gli altri, ci sono 84 agenti del Bangladesh, 500 indiani, 426 giordani, 16 senegalesi, 124 polacchi, 62 filippini, quattro kirghisi, cinque vengono addirittura dall’isola di Mauritius e ben 34 dalle isole Figi. Gli italiani sono 58. Un unico belga. Insomma, un vero e proprio Palazzo di Vetro trasferito sul campo.

Gli indiani sembrano andare d’accordo con i 182 pakistani. L’arruolamento, visti gli stipendi, è particolarmente attraente per i poliziotti del terzo mondo. I 522 statunitensi e gli altri europei occidentali, invece, provengono soprattutto dalla pensione. In che lingua riescano a comunicare fra di loro, non è dato sapere. Quanto alla loro efficacia, le rudi bande del leggendario crimine organizzato balcanico e i contrabbandieri albanesi sembrano abbastanza soddisfatti dell’attuale situazione.

Nel suo ultimo rapporto del 14 aprile, fatto proprio da Kofi Annan, il povero Steiner ammette che nei primi tre mesi del 2003 la criminalità è aumentata difficile parlare di Stato di diritto, gli assalti con granate contro la polizia sono all’ordine del giorno anche a Pec, nel settore in teoria sotto il controllo italiano. Nei 57 nuovi tribunali si è già accumulato un arretrato di 13 mila cause civili e 11 mila penali. Anche perché ogni documento dev’essere tradotto in quattro lingue inglese, albanese, serbo e turco. “Riusciamo a punire il 21 per cento dei reati contro la proprietà, una quota maggiore rispetto a molti paesi europei”, si consola l’Onu.

L’arresto di alcuni membri del Kla (Esercito di liberazione del Kosovo) da parte del Tribunale dell’Aia ha provocato nelle settimane scorse dimostrazioni di protesta in tutto il paese. Il partito di Thaci è un’emanazione del Kla, e tuttora il vero potere locale resta nelle mani dei suoi uomini, armati. Il partito di Rugova si oppone al disegno di Thaci di far arruolare in blocco gli ex partigiani del Kla nell’esercito regolare kosovaro e nella polizia. Così non c’è verso di far decollare un esercito accettato da tutti.

Gli ex guerriglieri continuano a controllare 59 caserme e postazioni, contro un piano quinquennale che si proponeva di ridurle a 27. Quanto al sogno di un “esercito multietnico” coltivato dalle ingenue Nazioni Unite, non se ne vedrà mai l’ombra a nessun serbo passa per la testa di arruolarsi nelle forze armate dei nemici.

Naturalmente anche il Kosovo, come ogni area di crisi umanitaria, ha subìto un’invasione da parte delle Ong (Organizzazioni non governative) se ne sono registrate ben 2.292, di cui 381 straniere. Tutte alla costante ricerca di fondi – per lo più pubblici – con i quali far funzionare il proprio apparato. Intanto l’Onu, invece di esercitare una salubre autocritica sui suoi fallimenti, se la prende con i giornalisti locali sono stati comminati 51 mila euro di multa ai giornali che hanno pubblicato articoli sgraditi (“Titoli infiammatori e sensazionalisti”, accusa la censura del Minculpop onusiano, e speriamo che la sua giurisdizione non si estenda anche al Foglio…).

L’economia kosovara non si risolleva. L’amministrazione Onu-Ue, invece di favorire una rapida privatizzazione che valorizzi l’innato spirito d’iniziativa individuale della gente locale, mette i bastoni fra le ruote finora ha privatizzato solo sei aziende sulle 480 lasciate in eredità dal comunismo jugoslavo. “I burocrati internazionali sono rimasti gli ultimi nostalgici dell’economia pianificata”, accusa il giornale di Pristina Koha Ditore.

La principale preoccupazione dell’Onu sembra quella di garantire la non discriminazione della minoranza serba, invece di affrontare alla radice un problema insolubile e proporre uno scambio territoriale alla Serbia è evidente, infatti, che la provincia di Mitrovica non ne vuole sapere di rimanere in un Kosovo dominato dagli albanesi. I serbi rifiutano perfino le nuove targhe automobilistiche kosovare preferiscono tenere quelle vecchie con la stella rossa, che permettono loro di viaggiare liberamente in Serbia (oltre che di risparmiare sull’assicurazione).

Per tutti gli anni Novanta i kosovari perseguitati da Slobodan Milosevic avevano sviluppato una rete di resistenza clandestina formata da istituzioni parallele scuole e università in lingua albanese, ambulatori, servizi di assistenza. Ora i serbi kosovari si vendicano, e praticano a loro volta il boicottaggio delle istituzioni ufficiali. L’Onu deve così tollerare uffici serbi in teoria vietati dalla risoluzione 1244 del 1999 che pose fine al conflitto, con dodici impiegati delle Poste nel paese di Kamenica i quali prendono ancora lo stipendio dalla Serbia, e altri dipendenti pubblici di uffici di collocamento e dell’anagrafe che continuano imperterriti a obbedire a Belgrado invece che a Pristina.

Quanto ai politici kosovari, rifiutano tuttora ogni contatto diretto con il governo serbo. Il presidente del Parlamento kosovaro Daci è durissimo: “L’Onu vorrebbe restare qui ancora per un secolo. Perché dovrebbero andarsene? Prendono stipendi molto più alti che nei loro paesi, le nostre donne sono belle e abbiamo i migliori ristoranti della regione. All’Occidente avevamo chiesto professionisti, e invece loro ci hanno mandato politici e burocrati del diciannovesimo secolo. Non vogliamo che l’Onu se ne vada domani, ma che acceleri il trasferimento delle competenze e riduca drasticamente il suo staff. Dicono che i nostri politici litigano fra di loro? E ci mancherebbe altro non è proprio questa, la democrazia?"

Continua Daci: "Non abbiamo bisogno né di zar né di dei calati dall’esterno. E che i diecimila dipendenti Onu in Kosovo la smettano di spedire a New York rapporti falsi, per farsi belli. Abbiamo bisogno soltanto di poche centinaia di esperti tecnici, non di decine di migliaia di funzionari il cui unico contributo alla nostra economia è quello di drogarla ormai il trenta per cento delle nostre entrate dipende dagli aiuti internazionali. Il mio stipendio è inferiore a quello di una qualsiasi donna delle pulizie pagata dall’Onu per lavorare nei suoi uffici di Pristina. E i giovani assunti come traduttori dalle Nazioni Unite guadagnano 750 dollari al mese, mentre un professore universitario ne prende cento”.
(3. continua)
Mauro Suttora

Tuesday, April 22, 2003

Onu/2: disastro Unesco

L’Unesco colleziona critiche, sprechi e quintali di carta griffata Onu. Tornano gli Stati Uniti. Basterà?

Il Foglio, 22 aprile 2003

di Mauro Suttora

New York. Tutto merito di Laura Bush, moglie di George W. Ex maestra elementare e bibliotecaria, ha convinto il presidente, contro l’opinione dei neoconservative, a far rientrare gli Stati Uniti nell’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation), dopo ben 18 anni di polemicissimo autoesilio. E così, nel discorso del 12 settembre 2002 all’Onu, passato alla storia per l’annuncio della nuova strategia della guerra preventiva, Bush ha anche promesso che gli Stati Uniti torneranno dall’ottobre 2003 nell’organismo che ha sede a Parigi.

La pace Stati Uniti-Unesco è stata ufficializzata il 13 febbraio scorso, con una cena solenne nella Public Library di New York il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha nominato la signora Bush ambasciatrice onoraria per il Decennio dell’Alfabetizzazione. Non che sia un grande onore: gli ambasciatori Unesco sono ben 37, e si va da Giancarlo Elia Valori a Pelè, da Claudia Cardinale a Pierre Cardin, da Catherine Deneuve a Renzo Piano. Ma la signora Bush è contenta, anche perché appena arrivata alla Casa Bianca aveva lanciato pure lei un suo programma “Ready to Read, Ready to Learn” (“Pronti a leggere, pronti a imparare”, peccato che traducendo si perda il gioco di parole).

Nel 1984 Ronald Reagan e l’anno dopo Margaret Thatcher fecero uscire Stati Uniti e Gran Bretagna dall’Unesco. Anche Singapore se ne andò. Gli inglesi sono rientrati nel ’97. E ora, in barba a tutte le accuse di unilateralismo, pure gli Stati Uniti tornano. E’ singolare che la mossa venga attuata da un’Amministrazione repubblicana. Ma l’apertura durante gli anni di Bill Clinton era resa impossibile dalle perduranti malversazioni: “L’Unesco ha ancora troppi problemi”, sentenziò la segretaria di Stato, Madeleine Albright, nel ’97.

L’Unesco è l’agenzia Onu che ha ricevuto più critiche durante i suoi 57 anni di vita. Il nuovo direttore generale giapponese Koichiro Matsuura, 66 anni, subentrato nel ’99 alle sciagurate gestioni del senegalese Amadou-Mahtar M’Bow e dello spagnolo Federico Mayor, sostiene di essere riuscito a dimezzarne l’esorbitante staff dirigenziale. “In realtà, confrontando il bilancio 2003 con quello del ’99, si legge che i dirigenti sono calati appena da 110 a 103. E che i 782 alti funzionari in carica cinque anni fa si sono ridotti soltanto di 40 unità”, avverte Brett Schaefer della Heritage Foundation, acerrimo avversario dell’Unesco.

Matsuura getta la croce su Mayor: “Ho ereditato un’organizzazione in pessime condizioni. In termini di management, era molto peggio di ciò che mi aspettavo. Il mio predecessore si era circondato di una trentina di consiglieri personali, cinque dei quali molto potenti. Spacciati per consulenti, in realtà avevano più potere dei vicedirettori generali. Erano totalmente fedeli al direttore generale, ma non necessariamente all’organizzazione”. Matsuura li ha confinati in cantina, aspettando che scadessero i loro contratti annuali.

Ma anche i dirigenti si erano moltiplicati vergognosamente: 200, quasi il doppio rispetto all’organico ufficiale (e questo spiega la discrepanza rilevata da Schaefer), molti dei quali nominati per raccomandazione politica, senza concorso. “Ai 20 di loro che erano stati promossi all’ultimo minuto ho annullato la promozione”, dice il tremendo giapponese, “agli altri ho dato incentivi per andarsene”.

L’Unesco spende 272 milioni di dollari all’anno. I dipendenti a tempo pieno, che erano 400 nel ’60, oggi sono quasi 2 mila. Ma la vera greppia sono consulenze (spesso agli ex dirigenti, che vanno in pensione a 60 anni) e contratti a termine. Il 60 per cento del bilancio finisce in stipendi, in alcuni casi la percentuale dei costi di struttura ha raggiunto l’80 per cento.

Tre anni fa Matsuura ha dovuto affrontare perfino uno sciopero della fame di dieci giorni da parte dei dirigenti che aveva retrocesso. E solo nel 2001 è riuscito a chiudere una rivista mensile che perdeva undici miliardi di lire all’anno: un miliardo a numero. Il principale problema dell’Unesco è che la sede centrale sta in una città molto bella, per cui i dipendenti sul campo appena possono si fanno trasferire a Parigi. Così i tre quarti del personale ingrossano le fila di una burocrazia centrale esorbitante, superiore anche ai due terzi dei dipendenti Fao concentrati a Roma.

Ma americani e inglesi se n’erano andati per motivi politici, oltre che gestionali. Negli anni 80, infatti, l’Unione Sovietica e i suoi satelliti volevano colorare di rosso i programmi culturali ed educativi dell’organizzazione. Si vagheggiava un orwelliano “nuovo ordinamento mondiale dell’informazione e della comunicazione”, che avrebbe dovuto ufficializzare la censura dei media da parte delle dittature del Terzo mondo, con la scusa che giornali e tv del Primo mondo non sarebbero liberi in quanto in mano a poteri forti industriali e finanziari (ritornello familiare anche in Italia).

Alla fine il piano è finito nel cestino. Gli Stati Uniti, accettando di rientrare, si accolleranno 60 milioni di dollari annui che corrispondono al 22 per cento del bilancio. Le spese Unesco, dopo anni di vacche magre, potranno aumentare del 12 per cento. C’è stata battaglia, all’ultima riunione dell’Ufficio esecutivo di aprile: i più rigorosi non avrebbero voluto allargare i cordoni della borsa. Alla fine, però, è prevalsa l’euforia per il ritorno degli odiati/amati americani.

Ma come mai l’Amministrazione Bush ha cambiato idea? “Gli Stati Uniti hanno bisogno anche dell’Unesco e dei suoi programmi educativi per controbilanciare le campagne di odio verso gli ideali occidentali che riescono a farsi strada solo se prevale l’ignoranza”, dicono le “colombe” del Congresso a Washington.

L’Unesco produce tonnellate di documenti che nessuno legge, e ha nostalgia dei piani quinquennali sovietici. Attualmente è in corso il Decennio dell’Alfabetizzazione, che si propone di dimezzare gli 861 milioni di analfabeti (che esattezza sospetta!) entro il 2013. Altri Decenni si intersecano fra loro, come quello per i Popoli indigeni (1995-2004) e quello per la Pace (2001-10). Vengono inoltre proclamate Giornate (proprio domani c’è quella “del libro e del diritto d’autore”), Settimane (dal 6 al 13 aprile si festeggiava l’Educazione per Tutti, che deve raggiungere i sei obiettivi stabiliti in un congresso a Dakar due anni fa), e il 2003 è l’Anno dell’Acqua Dolce.

L’Unesco tende a occuparsi di tutto: educazione familiare e della prima infanzia, strutture edilizie, introduzione ai computer, assistenza d’emergenza, programmi per donne in Africa, studi di specializzazione, insegnamento dell’“inclusione”, introduzione alla nonviolenza, corsi di sradicamento della povertà, istruzione secondaria, scuole elementari, scienza e tecnologia, bambini che lavorano o abbandonati in strada, scambi culturali con l’estero, sviluppo sostenibile, e chi più ne ha più ne metta.

“Mancanza di focus e mission”, direbbero gli esperti di marketing se si trattasse di un’impresa privata. Gran parte di questa programmazione disordinata e a pioggia, oltretutto, è un doppione rispetto a iniziative private o di altre agenzie Onu. Ma poiché lo scopo sottinteso dell’Unesco è quello di strappare schiere di sociologi e intellettuali alla disoccupazione, la sua missione può dirsi compiuta.
(2. continua)
Mauro Suttora

Friday, April 18, 2003

Answers in the Straits Times

The Straits Times (Singapore)

Is UN irrelevant?

April 18, 2003 Friday

MR MAURO Suttora ('The UN is the last thing the Iraqis need'; ST, April 16) sounds like an apologist for the United States action in Iraq.
He cited instances of the ineffectiveness of the United Nations, corruption and high salaries of its officials.
Even if those charges were true, his implicit proposition that the US is doing a better job is unacceptable. To use an analogy, just because democratic governments can become ineffective and corrupt does not mean that the concept of a democratic government is irrelevant. The alternative to a democratically elected government is dictatorship.

So whether it is an individual government or a world body, progress should be measured according to the implementation of democratic processes. Democracy encompasses as far as possible non-violent resolution of issues, consensus forging, will of the majority and respect for the minority and many more principles.
However, what has happened in Iraq shows that there is a retrogression of democracy in settling international issues.

If there are areas of weakness in the UN operations, member governments must suggest ways to tackle them. This is their responsibility to their own citizens and all citizens of the world.
It is not good enough if they are treating the UN principally as a forum for settling issues. They must look at how it is run at the bureaucratic level. The writer's accusations have certainly given us cause for concern.
Without an improved UN, big brother will likely usurp its role in policing the world. We can see how small the UN appears after the collapse of the regime in Iraq. If this trend continues, very soon more and more people will begin to believe the US is a better solution.

But that is depending on one nation to decide the fate of the world and the lives of citizens everywhere. This is going for a form of international dictatorship willingly. Do we want that to happen?
In any case, I see no serious fault in the current procedure used by the Security Council to approve military action on a member country. If the writer sees anything amiss with it, he should suggest better and democratic ways to improve it. He may also recommend any alternative global forum to settle international issues.

But in the end the alternative will more or less be similar in purpose and role. Why re-invent the wheel? Let's support the UN and urge member governments to treat it with more respect by improving its functions, checks and balances.
CHIA HERN KENG

NO
Depending on one nation to decide the fate of the world and the lives of citizens everywhere is going for a form of international dictatorship willingly. Do we want that to happen?
I see no serious fault in the current procedure used by the Security Council to approve military action on a member country. If the writer sees anything amiss with it, he should suggest better and democratic ways to improve it.
He may also recommend any alternative global forum to settle international issues.
But in the end the alternative will more or less be similar in purpose and role. Why re-invent the wheel?

YES
I AM pleased to finally see an honest and gutsy article ('The UN is the last thing the Iraqis need'; ST, April 16). Mr Mauro Suttora is right on the dot and if anyone disputes his report, they only have to look at the way Saddam Hussein and his regime have been living with the blessings of the United Nations' oil-for-food programme, while the Iraqi population lived in abject poverty.
The U in United Nations should read more like 'Useless' than anything else. I hope we have more articles like the above rather than the everyday wishy-washy ones that we see from AP, AFP, CNN and the gang. The credit goes to Newsweek and Mr Suttora.

WILMA ELIZABETH CHAI (MRS)

Wednesday, April 16, 2003

Iraq and the U.N.

THE LAST THING IRAQIS NEED

Newsweek, April 21, 2003

Keeping luxury hotels occupied is perhaps the main contribution of U.N. officials to the local economies they are unsuccessfully advising

by Mauro Suttora

http://www.newsweek.com/last-thing-iraqis-need-134083

Unfortunately, I am a lousy tennis player. Otherwise I would have had a great time in Sao Tome, a wonderful equatorial island off the Atlantic coast of Africa. My friend, a United Nations employee, played every day, early in the morning and at twilight, when the temperature was bearable. The tennis courts belonged to the only five-star hotel in the capital. The rest of the hot day, he retreated into the air-conditioned hotel, where he sometimes held meetings. I was the only 'normal' guest. All the others belonged to one U.N. agency or another, and I found this to be true for many of the luxury hotels in Africa. Keeping them occupied is perhaps the main contribution of U.N. officials to the local economies they are unsuccessfully advising.

I am amazed that as Saddam Hussein statues were toppled all over Iraq last week, all my fellow Europeans could talk about was the importance of U.N. rule in the country, and the danger of a long-term American occupation. They've got it backward. Wherever the United Nations goes, it tends to stay forever, and to perpetuate problems. It's been in Bosnia for eight years now, in Kosovo and East Timor for four, in the Palestinian territories since '48. In Gaza the U.N. agency running the refugee camps is the main purveyor of jobs. I am a refugee's son myself: my father fled the territories that Italy lost to Yugoslavia in 1945. After a few months all 350,000 refugees had found jobs, houses, new lives. There was no U.N. presence, which was perhaps their good fortune.

Today there is no sign that the United Nations will leave Bosnia or Kosovo. No solution for Cyprus after almost 30 years. Nevertheless, 'U.N.' has become a magic phrase, the last redoubt for pacifists. Even my paper - the largest Italian weekly, normally quiet and middle-of-the-road - has turned pacifist: for Christmas it published an article by a Catholic bishop against the war, and as counterbalance an article by a former communist against the war.

I was once a pacifist demonstrator myself, fighting the placement of U.S. nuclear cruise missiles in Sicily. But now I don't mind anybody getting rid of Saddam, by any means necessary. We Italians should know: Rome invented the word 'dictator', the first modern dictator was Italian (Adolf Hitler was a pupil of Benito Mussolini) and even Silvio Berlusconi, our current premier, has been called by his adversaries the model of the postmodern media dictator. Nevertheless, Europeans don't care anymore about dictators (or freedom). They rave about peace. They crave the United Nations.

Now, pardon my bluntness, but why should we condemn the poor Iraqis to be governed by lazy and incompetent bureaucrats? It's no secret that the United Nations has more tolerance than most for petty despots: Libya currently holds the presidency of the U.N. Human Rights Commission. The U.N. bureaucracy is a Gogolian monster with 65,000 employees and a budget of $2.6 billion a year. For each problem the United Nations has set up a special agency, and this week in Vienna the UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime - the longer the name, the more wasteful the body) is discussing how the war on drugs is going. It's a disaster, actually: halfway through a 10-year effort to eradicate drug cultivation, production has soared. Is the agency closing down because of this failure? No, it's asking for new funds.

The system is corrupt. When I give money for the hungry, I send it directly to the missionaries instead of UNICEF or the World Food Program or anyone else whose first-class air-travel budget could feed tens of thousands. UNESCO is a successful Paris job-creation program for sociologists and intellectuals, famous for overhead expenses that eat up as much as 80 percent of some programs. Officials of the Human Rights Commission have been sent home for allegedly trafficking women and young girls for prostitution in Bosnia. At the U.N. High Commissioner for Refugees (yearly budget: $740 million), four officials have been arrested for smuggling refugees. The U.N. apparatus has grown so much that in 1994 a new Office for Internal Oversight Services was established to keep track of everyone. It promptly hired 180 more people, at an extra cost of $18 million a year.

Has the United Nations really proved its competence in dealing with Iraq? Past experience says no: not only did the Oil-for-Food Program allow Saddam and his cronies to pocket large sums, but an audit found the program had overpaid $1 million for services. U.N. officers are well paid: six-digit tax-free salaries in dollars, plus innumerable allowances. Most of them are decent people, frustrated by their own red tape. But why on earth should they go to Baghdad? Let them play tennis elsewhere.

Suttora is U.S. bureau chief for Oggi (Rizzoli Corriere della Sera) in New York.

© 2003 Newsweek, Inc.



Newsweek

May 26, 2003, Atlantic Edition

SECTION: LETTERS; Pg. 16

Mail Call

Mauro Suttora's April 21 piece on the U.N.'s ineptitude ignited a heated debate among readers. "A great article!" cheered one. "The U.N. has proven weak and useless," chimed another. But the U.N.'s defenders accused us of "tabloid journalism." One reader simply urged that the U.N. be rehabilitated.

The U.N. Under Attack

I was disappointed to see NEWSWEEK descend to tabloid journalism with Mauro Suttora's "The Last Thing Iraqis Need" (April 21)--a farrago of gossip, unsubstantiated assertions and outright falsehoods masquerading as reportage. Allow me to rebut the most egregious of his misstatements. He says, "Today there is no sign that the United Nations will leave Bosnia," but we have already left. The U.N. troops have been gone since 1996, and we closed down our civilian mission last year. The U.N.'s role in East Timor changed with that country's independence in 2002; we are now there only at the government's request, to assist the authorities, not supplant them. The U.N. has 9,600 employees, not 65,000; even counting every international organization in the U.N. system--including the World Health Organization and the International Labor Organization--Suttora's calculation is excessive. U.N. staff do not fly first class; only the secretary-general does. Suttora twists facts to substantiate his prejudices: he even criticizes the establishment of a tough audit mechanism, the Office of Internal Oversight Services, whose effectiveness is acknowledged by the U.N.'s major contributors. The U.N. may not be perfect, but its record needs to be examined with more accuracy and integrity than in this article that is unworthy of your magazine.

Shashi Tharoor
Under Secretary-General for Communications and Public Information
United Nations
New York, N.Y.


It was a pleasure reading Mauro Suttora's article on the United Nations. The fact that the U.N. is inefficient, inadequate and ineffective is, of course, not a closely guarded secret, but it is important for those who fund it, or perceive it to be a sort of savior, to be aware of this and of some of the reasons behind the U.N.'s blatant ineffectiveness.

Morris Kaner
Givatyim, Israel


What a great article! It's time someone spoke out against the United Nations with a few home truths. Anyone who follows international affairs knows that the U.N. has proved weak and useless in most cases. You can't blame America and England for not paying their U.N. dues when they are the ones invariably forced to do the work the U.N. is incapable of completing, thanks to its incompetence. The last vestige of respect was gone when the U.N. backed down, under pressure from Israel, from sending a committee to investigate the atrocities and damage caused by the Israeli invasion of refugee camps in the Palestinian territories. There may be many dedicated, well-meaning workers in the U.N., but the organization has lost its credibility as an effective operation. If Iraq is to get on its feet again, don't let it fall into the hands of the U.N.

Kaye Krieg
Inzlingen, Germany


As a Vietnamese refugee, I personally experienced the incompetence of the United Nations High Commissioner for Refugees. Coming to Britain, I've seen the corrupt nepotism and cronyism of charity/voluntary organizations. There are too many bosses, no one can assert authority and there's no competition for them whatsoever. The U.N. needs to be rehabilitated.

Thong V. Lam
Newcastle-Upon-Tyne, England


As a U.N. official with a 25-year career in many refugee-crisis situations in the world, I'm shocked by Suttora's vicious article. He singles out some shortcomings of the U.N. and blows them out of proportion. This is a body that can be only as good as the individual entities that constitute it. Not only have I never flown first class, but my colleagues and I often work under unbearable conditions--lacking both basic amenities and physical safety. U.N. salaries are comfortable but not competitive with those in the private sector or some foreign services. "Staff assessment," equivalent to our nations' income tax, is deducted from our gross salary. We take pride in our humanitarian work and serve without political bias in accordance with the U.N. Charter. We help innocent civilians who have suffered persecution or violence to rebuild their lives. Those of us who work in the field often have to live without electricity, running water or heating. Many U.N. workers have been taken hostage, sustained injuries, even lost their lives while performing their duty. As for the UNHCR, the yearly budget cited by Suttora would hardly cover the support we offer to 21 million refugees and other similarly displaced people. The UNHCR has twice won the Nobel Peace Prize; we're proud to have repatriated millions of people, enabling them to live normal lives. Yes, there are shortcomings in the U.N. system. But the last thing the world needs is the denigration of the one international humanitarian body that gives states a forum where differences can be reconciled. What the United Nations needs is for all--individuals, states and the media--to help us best fulfill our humanitarian task. If we fail, there is no substitute.

Marion Hoffmann
Representative of the United Nations High Commissioner for Refugees in Albania
Tirana, Albania


The United Nations' presence in Iraq is an issue that cannot be dealt with in an ironic, one-sided op-ed piece like Mauro Suttora's. It is true that the U.N. system is not run efficiently and that its peacekeeping operations have rarely managed to facilitate peace. What Europeans want is not U.N. "rule" in Iraq, as Suttora says, but its "role" in international legality. This opens up important issues that transcend the functioning of the United Nations and go to the very core of the debate on American imperialism. It's reductive to rule them out with the sarcastic comments of an Italian tabloid journalist.

Fabrizio Tassinari
Copenhagen, Denmark

© 2003 Newsweek

Onu/1: a che cosa serve?

ONU DE' NOANTRI - SPRECHI, INEFFICIENZE, BILANCI IMBARAZZANTI: ECCO PERCHE' L'ULTIMA COSA DI CUI HANNO BISOGNO GLI IRACHENI E' UN PALAZZO DI VETRO.

16 aprile 2003

Dopo Oriana Fallaci sul Wall Street Journal e Beppe Severgnini sull'Economist, un altro giornalista italiano scrive le proprie opinioni direttamente in inglese sui giornali anglosassoni: Mauro Suttora, corrispondente da New York del settimanale Oggi. Su Newsweek di questa settimana - e oggi su Il Foglio - appare un suo commento sull'Onu in Iraq, dal titolo esplicito: "The last thing Iraqis need" ("L'ultima cosa di cui gli iracheni hanno bisogno").

Suttora si scaglia contro le Nazioni Unite, accusandole di essere un "mostro gogoliano" con 65mila dipendenti e un bilancio di 2,6 miliardi di dollari, "pieno di burocrati pigri e incompetenti che perpetuano i problemi invece di risolverli". Esamina alcuni casi di amministrazione Onu (Palestina, Bosnia, Kosovo) e si stupisce che l'Onu, nonostante abbia gia' dato prova di inefficienza anche in Iraq, sia diventata "l'ultimo ridotto" dei pacifisti che la invocano "come se fosse una parola magica".

Mauro Suttora per Il Foglio

New York. L'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, vuole l'Onu in Iraq: lo detto domenica sera davanti a tredici milioni di telespettatori americani durante il programma "60 Minutes" della Cbs. Anche il furbo Joe Biden, capo dei Democratici alla commissione Esteri del Senato, favorevole all'Onu: "Perché dobbiamo rischiare le vite dei nostri ragazzi agli incroci di Baghdad? E perché i contribuenti statunitensi dovrebbero continuare a pagare tutto intero il conto del mantenimento dell'ordine in Iraq? Che ci vadano anche i peace-keepers dell'Onu, o almeno quelli della Nato".

Argomenti concreti, che fanno breccia nell'americano medio ormai saziato dalla vittoria su Saddam Hussein. Quindi Onu sarà, lo ha deciso anche l'Amministrazione Bush. Ma la supervisione delle operazioni resterà saldamente in mano agli angloamericani.

Questa volta gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di farsi scippare controllo della situazione. Anche perché bilancio delle altre operazioni Onu in giro per il mondo oscilla fra l'inutile e il disastroso. Altro che "nation rebuilding": ovunque vadano, i funzionari delle Nazioni Unite sembrano posseduti dall'irresistibile tendenza a perpetuare i problemi invece di risolverli.

L'atto d'accusa di Terzani sulla Cambogia

"Dopo il fallimento degli interventi in Somalia e nell'ex Jugoslavia, la missione Onu in Cambogia viene citata come straordinario successo', indicata come modello da seguire e usata per riscattare reputazione di un organismo le cui strutture andrebbero rimesse in discussione.

In realtà, l'operazione si è rivelata carissima (due miliardi e mezzo di dollari, ventiduemila uomini) ed è stata segnata sprechi, inefficienze ed episodi di corruzione senza precedenti: quattrocento milioni di dollari sarebbero finiti nelle tasche di alcuni funzionari - alcuni di altissimo livello - i quali avrebbero messo in piedi un efficiente sistema di ordinazione materiali che non venivano mai consegnati o venivano pagati a loro complici a prezzi fuori mercato (...).

Ancora poche settimane fa gli alberghi di Phnom Penh erano pieni, le ville affittate alla gente dell'Onu per cifre tipo quelle di Tokyo o New York e quasi non c'era famiglia in cui un membro non lavorasse direttamente o indirettamente per l'Onu.

Ora tutto questo è drammaticamente cambiato. Gli alberghi sono vuoti, le ville sfitte, la gente disoccupata, i ristoranti deserti e al calar del sole strade si svuotano perché diventano dominio di ombre senza scrupoli - spesso soldati o poliziotti in borghese - che, pistole alla mano, portano via automobili, motociclette, soldi e a volte la vita a chi osa uscire. Dopo il grande amore per tutto ciò che è Onu, visto come Dio venuto da fuori a salvare la Cambogia, la delusione per quel che l'Onu ha fatto e per il suo stesso partire - visto come un tradimento - si esprime ora in una crescente ostilità verso tutto ciò che è occidentale".

Questo è il bilancio imbarazzante che Tiziano Terzani tracciava qualche anno fa dell'intervento in Cambogia, uno dei primi esperimenti di amministrazione Onu. Ciononostante, oggi "Nazioni Unite" sembra essere diventata una parola magica, l'ultima trincea per i pacifisti sconfitti anch'essi, assieme a Saddam, dalle tre settimane di guerra di Donald Rumsfeld.

Ma che cosa sono in realtà, oggi, le Nazioni Unite? Un mostro burocratico con 65 mila dipendenti fissi con decine di migliaia di collaboratori e consulenti superpagati, che costano 2,6 miliardi di dollari l'anno. Vanno calcolati a parte i costosissimi programmi di "peacekeeping" (mantenimento della pace), pagati direttamente dai paesi che inviano i contingenti, e i sei miliardi annui di dollari in aiuti al Terzo mondo.

Sbaglia chi identifica l'Onu esclusivamente con la sua sede centrale di New York, il grattacielo costruito nel 1952 da Le Corbusier su un terreno regalato dai Rockefeller. Lì hanno sede il segretariato, guidato attualmente da Kofi Annan, l'Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza e l'Ecosoc, il pletorico organismo di consulenza economica e sociale.

Ma la maggioranza del personale Onu lavora nelle numerose sedi in giro per il mondo: Ginevra (con i palazzi in stile anni Venti della sfortunata Società delle Nazioni), Vienna (Aiea, Ufficio antidroga), Roma (Fao), Parigi (Unesco), l'Aia (Corte internazionale di giustizia), Nairobi (Unep, United Nations Environmental program), Gaza (Agenzia profughi palestinesi).

Ogni problema ha la sua bella agenzia Onu, cosicché a Santo Domingo c'è l'Instraw (Institute for training and advancement of women), a Berna l'Upu (Unione postale universale), a Londra l'Imo (International Maritime Organization) e a Montreal l'Icao (International Civil Aviation Organization).

Chi si occupa dei Diritti umani?

Gli Stati membri sono 191. Gli ultimi due arrivati sono Timor Est e la Svizzera, che hanno aderito nel settembre del 2002. Dopo il crollo del comunismo la maggioranza degli Stati non appartiene più alle dittature, le quali tuttavia riescono tuttora a impedire il funzionamento di organismi delicati, come la commissione per i Diritti umani. Proprio in questi giorni si sta svolgendo a Ginevra, in avenue de la Paix, l'annuale sessione dell'inutile Commissione, alla cui presidenza quest'anno è stata eletta la Libia.

Fino al 2002, Alto commissario per i Diritti umani era la combattiva ex presidente irlandese Mary Robinson, che per cinque anni ha denunciato l'opera ostruzionistica portata avanti da Cina, Siria, Sudan, Cuba e Vietnam. Quando se n'è andata, consumata dalla frustrazione, Kofi Annan l'ha sostituita con l'assai più malleabile Sergio Vieira de Mello, placido burocrate 55enne, brasiliano con carriera tutta interna all'Onu, reduce da Timor Est. Geoffrey Robertson, avvocato londinese, uno dei massimi esperti mondiali di Diritti umani, è drastico: "Per decenza, l'Onu farebbe meglio ad abolire l'Alto commissariato".

Il fallimento del piano Arlacchi

Un altro organismo dalla dubbia utilità è l'Unodccp (acronimo di stile sovietico che sta per United Nations Office for Drug Control and Crime Prevention), anch'esso attualmente riunito a Vienna in una di quelle conferenze Onu ormai leggendarie per spreco di risorse (si è sviluppata una vera e propria microeconomia dei congressi Onu, occasioni di svago e turismo per funzionari governativi di mezzo mondo).

Questo Ufficio antidroga, presieduto da un anno da quella brava persona che è Antonio Maria Costa (fratello dell'eurodeputato Raffaele di Forza Italia), è reduce dal disastroso mandato di Pino Arlacchi, il quale cinque anni fa aveva avventatamente promesso di sradicare le coltivazioni di droga nel mondo entro il 2008. Siamo a metà del programma, ma la produzione di sostanze stupefacenti invece di diminuire è aumentata. E invece di chiudere per missione fallita, l'Agenzia Onu chiede nuovi fondi.

E' normale che i funzionari pubblici, anche quelli internazionali, pensino soprattutto alla conservazione del proprio posto di lavoro. All'Unesco, dove i costi fissi di struttura per alcuni programmi raggiungono anche l'80 per cento del bilancio totale, tre anni fa i dipendenti si sono messi in sciopero della fame quando il nuovo segretario voleva tagliare certi sprechi.

Ma i più abili sono i dirigenti dell'Unrwa (United Nations Relief and Work Agency), l'Agenzia che da ben 55 anni assiste i profughi palestinesi. Erano poche centinaia di migliaia nel 1948, oggi sono quasi quattro milioni. Quasi contemporaneamente al loro esodo, nel 1947 anche 350 mila profughi istriani e dalmati dovettero abbandonare le proprie terre alla Jugoslavia. Gli esuli italiani affollarono i campi dei rifugiati per qualche mese e poi trovarono casa e lavoro, oppure emigrarono. Senza alcuna assistenza da parte dell'Onu.

Tre generazioni dopo, invece, i palestinesi sono sempre lì, moltiplicati e coccolati con l'assegno giornaliero delle Nazioni Unite. Tutta l'economia della striscia di Gaza è mantenuta in piedi dall'Agenzia per i profughi, che è diventata il maggior datore di lavoro per i palestinesi.

Ma anche in Bosnia, dopo otto anni, e in Kosovo, dopo quattro, le Nazioni Unite non danno alcun segno di volersene o potersene andare. La criminale omissione di intervento nel 1995 da parte dei soldati Onu provocò - fra le altre - la strage di Srebrenica: settemila morti. I pacifisti vogliono che in Iraq si ripetano altri vergognosi episodi come questo? Un governo è caduto, in Olanda, per le responsabilità di un comandante olandese a Srebrenica. Ma nessun dirigente Onu ha avuto problemi con la propria carriera. Anzi, quello di mettere tutto a tacere sembra un bel vizietto, nel sistema delle Nazioni Unite.

Sempre in Bosnia, quattro anni fa accuse inequivocabili avevano scoperchiato uno scandalo di notevoli proporzioni: funzionari dell'Alto Commissariato Onu per i Diritti umani a Sarajevo erano stati coinvolti nel traffico di donne (anche minorenni) fatte prostituire contro la loro volontà. L'imbarazzante episodio venne salomonicamente risolto rispedendo a casa sia gli accusati, sia gli accusatori.

Un personale sovrabbondante

Alla Commissione Onu dei Rifugiati, che spende ogni anno 740 milioni di dollari, escluse le emergenze, si era andati più in là: quattro suoi funzionari arrestati a Nairobi avevano inventato una specie di programma "Sex for food". Nei campi africani dove sono raccolti gli sventurati scampati alle stragi del Ruanda (anche lì: Onu, dov'eri?) donne e bambine venivano violentate, sfruttate e ricattate in permanenza. Vuoi mangiare? Vieni a letto.

Casi estremi, certo. Ma in tutte le Agenzie Onu l'inefficienza e la pigrizia regnano sovrane. Nel Palazzo di Vetro a New York l'attività principale della maggior parte del sovrabbondante personale diplomatico (in città vivono alla grande ben 35 mila diplomatici) è quella di partecipare a banchetti e gala. Si distinguono in questa attività frenetica i funzionari dei regimi del Terzo mondo, quasi sempre parenti, figli, amici o clienti del dittatorello locale. Non è un mistero: in molti paesi sottosviluppati il posto di ambasciatore all'Onu, che permette di vivere permanentemente negli Stati Uniti con gli agi dell'indennità diplomatica, vale più della carica di ministro degli Esteri.

(1. continua)

Dagospia.com 16 Aprile 2003