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Wednesday, April 16, 2003

Onu/1: a che cosa serve?

ONU DE' NOANTRI - SPRECHI, INEFFICIENZE, BILANCI IMBARAZZANTI: ECCO PERCHE' L'ULTIMA COSA DI CUI HANNO BISOGNO GLI IRACHENI E' UN PALAZZO DI VETRO.

16 aprile 2003

Dopo Oriana Fallaci sul Wall Street Journal e Beppe Severgnini sull'Economist, un altro giornalista italiano scrive le proprie opinioni direttamente in inglese sui giornali anglosassoni: Mauro Suttora, corrispondente da New York del settimanale Oggi. Su Newsweek di questa settimana - e oggi su Il Foglio - appare un suo commento sull'Onu in Iraq, dal titolo esplicito: "The last thing Iraqis need" ("L'ultima cosa di cui gli iracheni hanno bisogno").

Suttora si scaglia contro le Nazioni Unite, accusandole di essere un "mostro gogoliano" con 65mila dipendenti e un bilancio di 2,6 miliardi di dollari, "pieno di burocrati pigri e incompetenti che perpetuano i problemi invece di risolverli". Esamina alcuni casi di amministrazione Onu (Palestina, Bosnia, Kosovo) e si stupisce che l'Onu, nonostante abbia gia' dato prova di inefficienza anche in Iraq, sia diventata "l'ultimo ridotto" dei pacifisti che la invocano "come se fosse una parola magica".

Mauro Suttora per Il Foglio

New York. L'ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, vuole l'Onu in Iraq: lo detto domenica sera davanti a tredici milioni di telespettatori americani durante il programma "60 Minutes" della Cbs. Anche il furbo Joe Biden, capo dei Democratici alla commissione Esteri del Senato, favorevole all'Onu: "Perché dobbiamo rischiare le vite dei nostri ragazzi agli incroci di Baghdad? E perché i contribuenti statunitensi dovrebbero continuare a pagare tutto intero il conto del mantenimento dell'ordine in Iraq? Che ci vadano anche i peace-keepers dell'Onu, o almeno quelli della Nato".

Argomenti concreti, che fanno breccia nell'americano medio ormai saziato dalla vittoria su Saddam Hussein. Quindi Onu sarà, lo ha deciso anche l'Amministrazione Bush. Ma la supervisione delle operazioni resterà saldamente in mano agli angloamericani.

Questa volta gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di farsi scippare controllo della situazione. Anche perché bilancio delle altre operazioni Onu in giro per il mondo oscilla fra l'inutile e il disastroso. Altro che "nation rebuilding": ovunque vadano, i funzionari delle Nazioni Unite sembrano posseduti dall'irresistibile tendenza a perpetuare i problemi invece di risolverli.

L'atto d'accusa di Terzani sulla Cambogia

"Dopo il fallimento degli interventi in Somalia e nell'ex Jugoslavia, la missione Onu in Cambogia viene citata come straordinario successo', indicata come modello da seguire e usata per riscattare reputazione di un organismo le cui strutture andrebbero rimesse in discussione.

In realtà, l'operazione si è rivelata carissima (due miliardi e mezzo di dollari, ventiduemila uomini) ed è stata segnata sprechi, inefficienze ed episodi di corruzione senza precedenti: quattrocento milioni di dollari sarebbero finiti nelle tasche di alcuni funzionari - alcuni di altissimo livello - i quali avrebbero messo in piedi un efficiente sistema di ordinazione materiali che non venivano mai consegnati o venivano pagati a loro complici a prezzi fuori mercato (...).

Ancora poche settimane fa gli alberghi di Phnom Penh erano pieni, le ville affittate alla gente dell'Onu per cifre tipo quelle di Tokyo o New York e quasi non c'era famiglia in cui un membro non lavorasse direttamente o indirettamente per l'Onu.

Ora tutto questo è drammaticamente cambiato. Gli alberghi sono vuoti, le ville sfitte, la gente disoccupata, i ristoranti deserti e al calar del sole strade si svuotano perché diventano dominio di ombre senza scrupoli - spesso soldati o poliziotti in borghese - che, pistole alla mano, portano via automobili, motociclette, soldi e a volte la vita a chi osa uscire. Dopo il grande amore per tutto ciò che è Onu, visto come Dio venuto da fuori a salvare la Cambogia, la delusione per quel che l'Onu ha fatto e per il suo stesso partire - visto come un tradimento - si esprime ora in una crescente ostilità verso tutto ciò che è occidentale".

Questo è il bilancio imbarazzante che Tiziano Terzani tracciava qualche anno fa dell'intervento in Cambogia, uno dei primi esperimenti di amministrazione Onu. Ciononostante, oggi "Nazioni Unite" sembra essere diventata una parola magica, l'ultima trincea per i pacifisti sconfitti anch'essi, assieme a Saddam, dalle tre settimane di guerra di Donald Rumsfeld.

Ma che cosa sono in realtà, oggi, le Nazioni Unite? Un mostro burocratico con 65 mila dipendenti fissi con decine di migliaia di collaboratori e consulenti superpagati, che costano 2,6 miliardi di dollari l'anno. Vanno calcolati a parte i costosissimi programmi di "peacekeeping" (mantenimento della pace), pagati direttamente dai paesi che inviano i contingenti, e i sei miliardi annui di dollari in aiuti al Terzo mondo.

Sbaglia chi identifica l'Onu esclusivamente con la sua sede centrale di New York, il grattacielo costruito nel 1952 da Le Corbusier su un terreno regalato dai Rockefeller. Lì hanno sede il segretariato, guidato attualmente da Kofi Annan, l'Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza e l'Ecosoc, il pletorico organismo di consulenza economica e sociale.

Ma la maggioranza del personale Onu lavora nelle numerose sedi in giro per il mondo: Ginevra (con i palazzi in stile anni Venti della sfortunata Società delle Nazioni), Vienna (Aiea, Ufficio antidroga), Roma (Fao), Parigi (Unesco), l'Aia (Corte internazionale di giustizia), Nairobi (Unep, United Nations Environmental program), Gaza (Agenzia profughi palestinesi).

Ogni problema ha la sua bella agenzia Onu, cosicché a Santo Domingo c'è l'Instraw (Institute for training and advancement of women), a Berna l'Upu (Unione postale universale), a Londra l'Imo (International Maritime Organization) e a Montreal l'Icao (International Civil Aviation Organization).

Chi si occupa dei Diritti umani?

Gli Stati membri sono 191. Gli ultimi due arrivati sono Timor Est e la Svizzera, che hanno aderito nel settembre del 2002. Dopo il crollo del comunismo la maggioranza degli Stati non appartiene più alle dittature, le quali tuttavia riescono tuttora a impedire il funzionamento di organismi delicati, come la commissione per i Diritti umani. Proprio in questi giorni si sta svolgendo a Ginevra, in avenue de la Paix, l'annuale sessione dell'inutile Commissione, alla cui presidenza quest'anno è stata eletta la Libia.

Fino al 2002, Alto commissario per i Diritti umani era la combattiva ex presidente irlandese Mary Robinson, che per cinque anni ha denunciato l'opera ostruzionistica portata avanti da Cina, Siria, Sudan, Cuba e Vietnam. Quando se n'è andata, consumata dalla frustrazione, Kofi Annan l'ha sostituita con l'assai più malleabile Sergio Vieira de Mello, placido burocrate 55enne, brasiliano con carriera tutta interna all'Onu, reduce da Timor Est. Geoffrey Robertson, avvocato londinese, uno dei massimi esperti mondiali di Diritti umani, è drastico: "Per decenza, l'Onu farebbe meglio ad abolire l'Alto commissariato".

Il fallimento del piano Arlacchi

Un altro organismo dalla dubbia utilità è l'Unodccp (acronimo di stile sovietico che sta per United Nations Office for Drug Control and Crime Prevention), anch'esso attualmente riunito a Vienna in una di quelle conferenze Onu ormai leggendarie per spreco di risorse (si è sviluppata una vera e propria microeconomia dei congressi Onu, occasioni di svago e turismo per funzionari governativi di mezzo mondo).

Questo Ufficio antidroga, presieduto da un anno da quella brava persona che è Antonio Maria Costa (fratello dell'eurodeputato Raffaele di Forza Italia), è reduce dal disastroso mandato di Pino Arlacchi, il quale cinque anni fa aveva avventatamente promesso di sradicare le coltivazioni di droga nel mondo entro il 2008. Siamo a metà del programma, ma la produzione di sostanze stupefacenti invece di diminuire è aumentata. E invece di chiudere per missione fallita, l'Agenzia Onu chiede nuovi fondi.

E' normale che i funzionari pubblici, anche quelli internazionali, pensino soprattutto alla conservazione del proprio posto di lavoro. All'Unesco, dove i costi fissi di struttura per alcuni programmi raggiungono anche l'80 per cento del bilancio totale, tre anni fa i dipendenti si sono messi in sciopero della fame quando il nuovo segretario voleva tagliare certi sprechi.

Ma i più abili sono i dirigenti dell'Unrwa (United Nations Relief and Work Agency), l'Agenzia che da ben 55 anni assiste i profughi palestinesi. Erano poche centinaia di migliaia nel 1948, oggi sono quasi quattro milioni. Quasi contemporaneamente al loro esodo, nel 1947 anche 350 mila profughi istriani e dalmati dovettero abbandonare le proprie terre alla Jugoslavia. Gli esuli italiani affollarono i campi dei rifugiati per qualche mese e poi trovarono casa e lavoro, oppure emigrarono. Senza alcuna assistenza da parte dell'Onu.

Tre generazioni dopo, invece, i palestinesi sono sempre lì, moltiplicati e coccolati con l'assegno giornaliero delle Nazioni Unite. Tutta l'economia della striscia di Gaza è mantenuta in piedi dall'Agenzia per i profughi, che è diventata il maggior datore di lavoro per i palestinesi.

Ma anche in Bosnia, dopo otto anni, e in Kosovo, dopo quattro, le Nazioni Unite non danno alcun segno di volersene o potersene andare. La criminale omissione di intervento nel 1995 da parte dei soldati Onu provocò - fra le altre - la strage di Srebrenica: settemila morti. I pacifisti vogliono che in Iraq si ripetano altri vergognosi episodi come questo? Un governo è caduto, in Olanda, per le responsabilità di un comandante olandese a Srebrenica. Ma nessun dirigente Onu ha avuto problemi con la propria carriera. Anzi, quello di mettere tutto a tacere sembra un bel vizietto, nel sistema delle Nazioni Unite.

Sempre in Bosnia, quattro anni fa accuse inequivocabili avevano scoperchiato uno scandalo di notevoli proporzioni: funzionari dell'Alto Commissariato Onu per i Diritti umani a Sarajevo erano stati coinvolti nel traffico di donne (anche minorenni) fatte prostituire contro la loro volontà. L'imbarazzante episodio venne salomonicamente risolto rispedendo a casa sia gli accusati, sia gli accusatori.

Un personale sovrabbondante

Alla Commissione Onu dei Rifugiati, che spende ogni anno 740 milioni di dollari, escluse le emergenze, si era andati più in là: quattro suoi funzionari arrestati a Nairobi avevano inventato una specie di programma "Sex for food". Nei campi africani dove sono raccolti gli sventurati scampati alle stragi del Ruanda (anche lì: Onu, dov'eri?) donne e bambine venivano violentate, sfruttate e ricattate in permanenza. Vuoi mangiare? Vieni a letto.

Casi estremi, certo. Ma in tutte le Agenzie Onu l'inefficienza e la pigrizia regnano sovrane. Nel Palazzo di Vetro a New York l'attività principale della maggior parte del sovrabbondante personale diplomatico (in città vivono alla grande ben 35 mila diplomatici) è quella di partecipare a banchetti e gala. Si distinguono in questa attività frenetica i funzionari dei regimi del Terzo mondo, quasi sempre parenti, figli, amici o clienti del dittatorello locale. Non è un mistero: in molti paesi sottosviluppati il posto di ambasciatore all'Onu, che permette di vivere permanentemente negli Stati Uniti con gli agi dell'indennità diplomatica, vale più della carica di ministro degli Esteri.

(1. continua)

Dagospia.com 16 Aprile 2003

Thursday, January 25, 2001

Arlacchi al capolinea

IL DIRETTORE ITALIANO DELL'AGENZIA ONU ANTIDROGA SOTTO ACCUSA

di Mauro Suttora

Il Foglio, 25 gennaio 2001

Chissà se l’onnipotente Enzo Biagi riuscirà a salvare il posto a uno dei suoi innumerevoli datori di lavoro: Pino Arlacchi. Il sociologo calabrese, infatti, sta per perdere la carica di direttore dell’Ufficio antidroga dell’Onu a Vienna.
Nominato quattro anni fa dall’Ulivo (anche per far posto a Tonino Di Pietro come senatore del Mugello), Arlacchi è in scadenza a settembre, ma difficilmente il suo mandato verrà rinnovato. Gran Bretagna, Francia, Germania e Svezia lo hanno già scaricato, e i governi di Parigi e Berlino si sono perfino rifiutati di presentare il Rapporto della sua Agenzia.

Così Arlacchi ha ripiegato mesto su Milano, dove stamane il suo Rapporto 2000 viene esibito in pompa magna nella sala più prestigiosa del palazzo comunale. Presiede Enzino, assieme al suo cardinale pret-à-porter Ersilio Tonini, al ministro dell’Interno Enzo Bianco (che sotto sotto mira alla poltrona di Arlacchi) e alla lobby antidroga di San Patrignano rappresentata da due signore: la giudice dei minori Livia Pomodoro e Letizia Moratti. Anche quest’ultima, come Biagi, è stata «nominata» da Arlacchi «civic ambassador to Italy»: un titolo antidroga tanto vacuo quanto altisonante.

Giornata di gloria per il povero Pino, quindi, che si consola per le sberle che ormai gli piombano addosso quasi ogni giorno. Dopo la sua prima scivolata in dicembre al vertice di Palermo («Ormai la mafia è vinta», disse), è arrivata la denuncia di undici pagine in cui Michael von Schulenburg, numero due dell’Ufficio di Vienna, rimprovera al suo capo una «politica personale» caratterizzata da «indifferenza e disprezzo» per i suoi collaboratori, «programmi annunciati e mai realizzati» e «un grande dispendio di denaro».

Poi i grandi giornali europei si sono scatenati sul caso dei 60 milioni di lire che l’ufficio di Mosca dell’agenzia di Arlacchi ha regalato a Dennis Oren, un simpatico svedese residente nelle isole Canarie. Questo tizio avrebbe dovuto girare il mondo su una barca a vela dispensando ai giovani «informazione sulla droga», argomento sul quale però non possedeva alcuna competenza professionale. Il rappresentante Onu a Mosca non voleva finanziarlo, ma poi è arrivato l’ordine direttamente da Pino. Il quale ora si difende: «No, Oren non è mio amico, l’ho solo incontrato due o tre volte. Ho semplicemnte pensato che la sua fosse una buona idea, e il mio staff ha condiviso la valutazione».

Peccato che lo stesso staff sia trattato da Arlacchi col capriccio del satrapo mesopotamico: «Non riceve il personale, non risponde alle lettere, non si fida di nessuno, ha il culto della segretezza, accentra tutto su di sè», accusa Von Schulenburg. Così ormai siamo arrivati a sette direttori fatti fuori in tre anni.

Uno degli ultimi è l’inglese Tony White, già capo dell’Agenzia Onu per l’applicazione della legge, ed ex dirigente di Scotland Yard: «In 33 mesi sono riuscito a vedere Arlacchi solo una volta. Il suo ufficio privato è un buco nero che si espande sempre più, e ha ridotto la politica delle risorse umane a livelli vergognosi». Tradotto: si fa carriera non per merito, ma solo se si è amici di Pino.

Il trattamento riservato a White ha irritato a tal punto il governo britannico che ora Londra mette in dubbio la prosecuzione del suo finanziamento all’Agenzia di Vienna. Critico anche Jean-François Thony, magistrato francese che doveva organizzare un «Programma globale contro il riciclaggio finanziario». Se n’è andato sbattendo la porta e accusando un consulente italiano nominato da Arlacchi di avere cercato di piazzare una relazione copiata, che l’Onu avrebbe dovuto pagare diecimila dollari.

Infine, perfino l’autore del Rapporto mondiale presentato oggi in Italia ha mollato Pino: il coordinatore Francisco Thaomi si è dissociato dal testo finale, perché Arlacchi lo ha voluto «purgare» pesantemente. Sono stati rimaneggiati soprattutto i capitoli sulle anfetamine e la marijuana, nel tentativo di esagerare i risultati ottenuti da Arlacchi.

In realtà, com’è noto, i principali produttori di oppio (eroina) e coca, cioè Afghanistan, Birmania e Colombia, continuano indisturbati ad aumentare la produzione e la raffinazione. Con i 50 miliardi regalati da Arlacchi i talebani afghani hanno comprato armi. Quanto alla canapa indiana (hashish, marihuana), la stessa Agenzia Onu stima in quasi due milioni di ettari i campi coltivati in ben 120 Paesi, con 144 milioni di consumatori.

Commenta Franco Corleone, sottosegretario alla giustizia: «Arlacchi non perde occasione per glorificare le sorti della “guerra alla droga” e soprattutto per attribuirsi i meriti di successi straordinari nel mondo intero. Ma in tutta Europa le politiche sulla droga si stanno indirizzando verso la depenalizzazione».

Marco Pannella accusa: «Un ex collaboratore russo-georgiano di  Arlacchi è sospettato di avere avuto rapporti non chiari con la criminalità: era presente nello stesso albergo di Tblisi nei giorni in cui si teneva una riunione della potentissima mafia georgiana». Antonio Russo, giornalista di Radio radicale che indagava in loco, è stato assassinato misteriosamente tre mesi fa.

Intanto, con una norma inserita alla chetichella nell’ultima finanziaria, l’Italia destina all’Agenzia Onu antidroga il 25 per cento dei beni confiscati ai mafiosi: una boccata d’ossigeno per Arlacchi nel caso che gli altri Paesi europei gli taglino i fondi. Ma che rischia di arrivare quando a Vienna Pino non ci sarà più.
Mauro Suttora