Saturday, August 03, 1985

Dopo la tragedia della val di Fiemme/Cosa insegna il Vajont


VENTIDUE ANNI DOPO, GIUSTIZIA NON È FATTA


A Longarone sono arrivati molti miliardi e qualche scandalo. C’è stato il baby boom. C’è una chiesa monumento dove sostano i turisti. E c’è una lunga storia giudiziaria. Così lunga che non è ancora finita


dall’inviato Mauro Suttora


Europeo, 3 agosto 1985


“La lezione del Vajont non è servita a niente. Di fronte a disastri come quello di Tesero proviamo solo un’enorme amarezza e rabbia. Perché in realtà i disastri naturali non esistono: la causa è sempre l’uomo. Altro che protezione civile! Ci vogliono previsione e prevenzione prima, non protezione dopo”.


Chi pronuncia queste parole è un prete di 41 anni, don Giuseppe Capraro, nella sua casa di Longarone (Belluno). Quella sera di 22 anni fa, quando ci fu la strage con duemila morti, lui si salvò perché era in seminario a Belluno.


Longarone si trova a poche decine di chilometri da Tesero, due valli più in là. Ma mentre la val di Fiemme è un paradiso di pinete, quella del Piave è aspra e ingrata: montagne ripide e sassose, turisti pochi. Se si passa di lì, è solo per andare in Cadore e a Cortina.

 

L’autostrada Venezia-Monaco, promessa da vent’anni, si blocca a Vittorio Veneto. Il treno per Calalzo arranca, e ogni volta che si ferma alla stazione di Longarone ai passeggeri che si voltano a guardare la diga del Vajont ancora intatta (l’ondata, sollevata dalla frana del monte Toc, volò sopra lo sbarramento) viene sempre un brivido.


La sorella di don Giuseppe, Elsa, fa la centralinista. Esattamente come nel 1963. L’acqua entrò dalla finestra della sua casa, ma lei si salvò. Nel centro del paese, 2000 abitanti, questa fortuna capitò soltanto ad altri duecento. “Dopodiché, qualcuno mi accusò di essermi salvata perché avrei ascoltato delle telefonate che preannunciavano la sciagura”, racconta Elsa Capraro. La sua vecchia casetta è rimasta in piedi, ed è tuttora una delle più carine del paese.


Tutto il resto è soprattutto cemento. Su via Roma, la strada principale, incombono palazzine fitte, alte 4-5 piani, che soffocano qualche stitico alberello. Più che un paese predolomitico ricostruito a nuovo, sembra una periferia di Roma impestata dalla speculazione. Speculazione. Quando sentono questa parola, i longaronesi diventano guardinghi. Perché dopo la tragedia dell’alluvione in questi 22 anni c’é stata anche la tragicommedia degli scandali.


“Niente imposte per dieci anni per tutti gli abitanti e le imprese del luogo”, decretò il governo nel 1964. Giustissimo. Però non furono pochi i casi di persone e aziende che piombarono a trapiantarsi a Longarone solo perché la ritenevano una nuova Montecarlo. Come in Friuli dopo il terremoto del 1976, anche qui il cocktail di aiuti statali e di operosità degli abitanti ha prodotto ricchezza. In pochi anni, grazie agli immigrati dal basso Veneto, gli abitanti del paese, frazioni comprese, ridiventarono 4500. Ci fu anche un baby boom, e adesso le scuole sono piene zeppe.


La vita continua, come sempre. E meglio di prima. Se non fosse per quelle ombre di truffe, peculati, concussioni che si aggirano per il paese. Ancora l’anno scorso nove politici locali sono stati rinviati a giudizio per le assegnazioni delle case popolari Iacp. Prima, professionisti condannati per aver dirottato in Svizzera soldi ricevuti dallo stato. “Colpa delle lungaggini burocratiche se le aziende già finanziate non furono mai realizzate”, si sono difesi. La Siderurgica Landini, per esempio: inghiottì 13 miliardi prima di scomparire nel nulla.


Poi ci sono le divisioni politiche paesane. Perché a Longarone la democrazia funziona, destra e sinistra si alternano alla guida del Comune. Adesso il sindaco è democristiano: alle ultime elezioni Dc, Psdi e Pri hanno avuto il 60%, contro il 25 del Pci e il 15 al Psi. Ma prima c’era una giunta rossa, e anche all’epoca della catastrofe il sindaco era socialista. Con l’alternanza delle giunte c’è stata anche l’alternanza dei progetti di ricostruzione.


L’iniziale piano di Giuseppe Samonà, considerato troppo avveniristico e “di sinistra”, venne accantonato dai democristiani quando tornarono al potere: “Erano solo dei bunker di cemento, rischiammo di fare da cavie per gli esperimenti degli architetti”, dice l’attuale vicesindaco dc, l’avvocato Franco Trovatella, 49 anni. Nella tragedia perse tutti i familiari. Lui quella sera era andato a trovare la fidanzata, oggi sua moglie, in un paese vicino.


Comunque, nonostante le divisioni politiche, estetiche e anche etniche (fra i sopravvissuti che volevano “tutto come prima” e i ‘foresti’ arrivati dopo), la ricostruzione fu completata in pochi anni.


Non così il processo. Giustizia, per il Vajont, non è stata ancora fatta. Questo è l’aspetto che più interessa oggi, perché Tesero non è da ricostruire com Longarone, ma giustizia la reclamano tutti. Ebbene, ci credereste? Il processo per i danni civili è ancora aperto, a Firenze. “Per la prima volta nella storia giudiziaria italiana”, dice il vicesindaco Tovanella, “è stato riconosciuto ai comuni colpiti dalla strage il diritto non solo al risarcimento danni ai beni e alle persone, ma anche quello dei danni morali”. I quali però non si sa ancora a quanto ammontino.


L’Enel fu particolarmente sfortunato: con la nazionalizzazione dell’elettricità nel 1963, solo sette mesi prima del disastro, rilevò la diga del Vajont dalla società privata Sade, poi assorbita da Montedison. Nel 1969 offrì ai privati una transazione di dieci miliardi in cambio della rinuncia al risarcimento. Cosa che avvenne, ma senza cancellare la responsabilità nei confronti del comune di Longarone. E infatti nel 1983 Montedison è stata condannata a pagare una ventina di miliardi a Longarone.


Adesso è in discussione la cifra che Enel e Montedison devono ancora versare a Longarone (Enel tenta di scaricare tutto su Montedison, e viceversa), nonché il risarcimento ad altre amministrazioni statali come le Ferrovie, che ebbero binari cancellati per chilometri.


Ma il capolavoro d’ingiustizia fu il processo penale. Poi a venne trasferito da Belluno all’Aquila per “legittima suspicione”: si temeva che i sopravvissuti di Longarone e degli altri paesi colpiti, Erto e Casso, facessero troppo casino durante le udienze.


Dopo questa sterilizzazione geografica il processo s’impantanò nei tempi lunghi, rischiando la prescrizione. Nel 1971, otto anni dopo la strage, la sentenza definitiva. Condannati solo due imputati su otto: l’ingegnere Enrico Biadene, direttore idraulico della diga ormai settantenne, a due anni; e Francesco Sensidoni, ispettore del Genio civile, a otto mesi. Un po’ poco per un “eccidio premeditato”, com’è scritto su una lapide del cimitero di Longarone.


E adesso? Come scorre la vita nel paese distrutto e ricostruito? La nuova chiesa è stata inaugurata solo due anni fa, ma fa bella mostra di sé in tutta la valle: sembra un ufo, un museo Guggenheim atterrato sulle sponde del Piave. È costata un miliardo e 300 milioni, viene visitata ogni anno da migliaia di turisti che si fermano andando a Cortina.


“La chiesa è l’antidiga, il suo cemento bianco rappresenta la vita, contro quello grigio della diga della morte”, dice enfatico don Capraro. “È troppo grande, d’inverno è fredda”, replicano più prosaicamente alcuni fedeli. Il parroco la controlla dall’interno della sua nuova immensa canonica, con una tv a circuito chiuso.


Probabilmente per le esigenze del paese (siamo in zona ‘rossa’, la religiosità qui è minore che nel resto del Veneto) basterebbe e avanzerebbe la cappella sotterranea Kolbe. Ma la chiesa di Longarone è anche un monumento: “E la parola ‘monumento’”, dice don Capraro, “deriva dal latino monere, ammonire. Il monito del Vajont è: la vita umana innanzitutto”.


 

Saturday, June 29, 1985

Non si vive di sola mente



Cecchi Paone si difende

Si infiamma la polemica su 'Mister O', il programma Rai di parapsicologia. Diamo la parola anche alle ragioni contro la ragione

di Mauro Suttora

Europeo, 29 giugno 1985 

 

Wednesday, April 10, 1985

Gesualdo Bufalino: "Per noi comisani la base non esiste"




"PER NOI COMISANI LA BASE NON ESISTE"

intervista allo scrittore Gesualdo Bufalino

di Mauro Suttora

Il Messaggero, 10 aprile 1985

"Per noi comisani la base non esiste. Anzi, può darsi che non esista davvero: nessuno, tranne gli americani, è mai entrato nel suo cuore intimo, dove sono custoditi i missili atomici. Gli operai e i militari italiani sono addetti a servizi secondari, non sanno niente. Quanto agli americani, chi li vede mai qui in paese? Vanno in giro a gruppi di tre o quattro, ogni tanto, tutti assieme..."

Gesualdo Bufalino, 64 anni, è il cittadino più illustre di Comiso. Professore, scrittore di successo ('Diceria dell'untore', 'Argo il cieco'), conosce ogni piega della vita cittadina.
"Comiso si trasformerà in miniera e bersaglio di terrore", scrisse allarmato nel 1981, quando il governo italiano annunciò di aver scelto Comiso per installare i 112 missili assegnatici dalla Nato.

In questi anni Bufalino ha descritto i pellegrinaggi dei pacifisti, l'arrivo dei soldati americani, le reazioni dei suoi 26mila concittadini. Ma adesso che i missili ci sono, lui paradossalmente mette in dubbio la realtà: "Per chi arriva a Comiso di sera, da Ragusa, la base si presenta come un grosso tumore arancione, tutto illuminato e isolato dal resto del territorio. Gli americani vogliono evitare qualsiasi frizione o incidente con la gente del luogo, e noi ricambiamo il loro disinteresse".

Ma lei è favorevole o contrario ai missili?
"Sono ferocemente nemico di qualsiasi tipo d'arma, dal coltello alla bomba atomica. Ma almeno il pericolo di una guerra nucleare ha garantito all'Europa un periodo di pace ininterrotta superato soltanto da quello goduto durante la Belle époque".

Tutto bene, allora?
"No, provo come tutti un estremo imbarazzo ideologico. Ho pensato anche al suggerimento di Carlo Cassola di fare un gesto di disarmo unilaterale per sbloccare l'impasse, poiché non credo che l'obiettivo dei russi sia di arrivare al Tago. Ma qui si sfuma nelle nuvole dell'utopia".

Come mai i comisani non hanno protestato concretamente? I pacifisti venivano soprattutto da fuori.
"Abbiamo una dose di scetticismo storico e di impermeabile saggezza: digeriamo qualsiasi novità. I pacifisti ci hanno offerto spettacoli pittoreschi e leggiadri, ma i comisani si sono limitati ad apprezzare la bellezza delle ragazze che arrivavanoda tutta Europa per protestare".

Intravvede una soluzione?
"Bisognerebbe nominare due poeti a capo delle due superpotenze".

Saturday, March 02, 1985

Se sei verde ti tirano la Petra

Germania Ovest/La leader degli ecologisti contesta il suo movimento

Opportunisti. Bugiardi. Noiosi. Petra Kelly descrive in questa intervista esclusiva i difetti dei verdi tedeschi. E rivela sorprendenti progetti

dal nostro inviato a Bonn (Germania Ovest) Mauro Suttora

Europeo, 2 marzo 1985


“Cincinnato? No, veramente non ricordo chi sia…” Petra Kelly sorride, minuta e pallida, nel suo ufficio al settimo piano nel palazzo del parlamento a Bonn. È l’unica, fra i 27 deputati verdi eletti due anni fa, che in marzo non si dimetterà a metà mandato per far posto ai primi dei non eletti, in omaggio al principio di rotazione delle cariche in uso fra gli ecologisti tedeschi.

Tale privilegio, secondo i maligni, le è stato concesso anche perché se abbandonasse i Grünen, come ha minacciato, imitando il generale antiatomico Gert Bastian che lo già fatto un anno fa, essi non raggiungerebbero più il numero minimo necessario per formare un gruppo parlamentare, con relativa perdita di finanziamenti e guarentigie varie.


Signora Kelly, Cincinnato è quell’antico capo romano che lasciò il potere per il suo podere in campagna senza pretendere ricompense: il simbolo del disinteresse. Non dite anche voi verdi di essere il partito dei cittadini normali, contro i politici di professione?


“Ma io sono favorevole alla rotazione. Però ogni quattro anni, a fine legislatura. Dopo soli due anni è un disastro: c’è troppo poco tempo per imparare le cose”.


Funzionaria Cee a Bruxelles, 37 anni, studi nelle migliori università statunitensi, collaboratrice di Martin Luther King e Bob Kennedy, Kelly è da sempre (cioè dal 1979, anno della loro fondazione) la leader carismatica dei verdi tedeschi. Assieme all’avvocato Otto Schily, il Saint-Just che ha provato la corruzione dell’ex presidente della Repubblica democristiano Rainer Barzel, e allo ‘spontaneista’ Joschka Fischer, autore secondo il Nobel Heinrich Böll dei migliori discorsi pronunciati ultimamente al Bundestag (nonché espulso dallo stesso per aver gridato “buco di culo” al presidente), è lei la testa pensante del partito ecopacifista che sta mettendo a soqquadro la politica tedesca.

Le prossime elezioni a Berlino Ovest e nella Saar nel marzo 1985 vedranno con tutta probabilità un altro loro successo. Per quelle di maggio in Renania-Vestfalia i verdi non avranno neanche bisogno di fare campagna elettorale: quale miglior propaganda per loro del recente allarme smog che ha sconvolto tutta la Ruhr?

A Tubinga i Grünen hanno già il 21%, a Heidelberg il 18%, in alcune città hanno scalzato i socialdemocratici come secondo partito, in altre hanno il vicesindaco. A Wuppertal, 350mila abitanti, il sindaco.

Migliaia di studenti, pensionati, casalinghe e altri dilettanti della politica sono entrati nei consigli comunali, condizionando l’azione del governo in ogni campo: dall’inquinamento (il dc di destra Friedrich Zimmermann, ministro dell’Interno nel governo Kohl, è costretto a litigare con i partner europei per imporre la benzina senza piombo) al censimento (per bloccare il quale, e siamo in Germania perbacco, ai verdi è bastata una semplice minaccia di boicottaggio condotta con le loro tipiche armi ‘straccione’: spille, adesivi, volantini), fino alla politica estera. Secondo il settimanale Usa Newsweek la sofferta installazione de missili atomici Pershing in Germania Ovest è stata per la Nato una ‘vittoria di Pirro’, visto che molti tedeschi scivolano sempre più verso il neutralismo.

Niente di più facile quindi che alle prossime elezioni politiche del 1987, scomparsi i liberali, i Grünen diventino l’ago della bilancia fra Spd (socialdemocratici) e Cdu (democristiani). Ma già adesso il loro 6% ha un peso specifico sproporzionatamente maggiore.

Eccola qua Petra Kelly, in una delle rare interviste che concede. Non perché faccia le bizze, ma perché nel firmamento dei verdi alle stelle è vietato brillare: gli ecologisti vedono con diffidenza i mass media, e accusano di esibizionismo chiunque di loro diventi troppo famoso. “Nell’ultimo anno non sono mai apparsa in tv, eppure molti continuano a criticarmi perché mi metterei in mostra. E questo capita anche a Schily. È una sindrome verde, una malattia infantile: punire le persone che sono state elette come rappresentanti”.


Non rimarrà nessuno con lei, degli attuali deputati?


“Sì, a Schily è stata concessa una proroga, ma solo fino alla fine dei lavori della commissione d’inchiesta sulle tangenti Flick. E Milan Horacek, esule cecoslovacco, resterà a Bonn fino a settembre perché ha sostituito Hecker

[Klaus Hecker è il deputato verde che palpava le segretarie. Allontanato, è stato ridotto a neologismo: le ragazze ‘alternative’ indossano magliette con la scritta ‘Don’t hecker me’ sul seno, ndr]. Questa della rotazione in realtà è una questione importante. Però noi la vendiamo al mondo come una nuova cultura politica, mentre la realtà che vedo al nostro interno è un po’ diversa, piena di bugie e ipocrisie”.


Perché è così dura con i suoi compagni di partito?


“Alcuni di loro vorrebbero letteralmente rispedirmi subito al mio lavoro alla Cee di Bruxelles. Ma pretendono che continui, contemporaneamente, a occuparmi di politica. Il che è semplicemente ridicolo: l’ho fatto per cinque anni, è impossibile. Me ne andrò fra due anni, al termine del mio mandato. Mentre tanti altri si dimettono adesso, ma solo per farsi rieleggere nell’87: sono degli opportunisti, mi disgustano. Io voglio finire il mio lavoro qui al Parlamento di Bonn, in particolare nel campo dei tumori infantili [la sorella di Kelly morì di cancro da piccola, ndr], del disarmo e dei diritti umani”.


Dopo cosa farà?


“Mi piacerebbe trasferirmi e andare a vivere per un po’ a Mosca o in Germania Est. Voglio lavorare con gruppi femministi e di difesa nonviolenta. Ma prima devo terminare il mio impegno con la Cee: ancora un anno e mezzo a Bruxelles”.


Lei appartiene alla corrente ‘fondamentalista’ dei verdi. Cosa significa?


“Significa che vogliamo operare una rivoluzione nonviolenta. Ma per far questo, e spesso i verdi lo dimenticano, ci vuole forza spirituale, e non lotta per il potere. La nostra regola principale dev’essere: non obbligare mai qualcuno a fare qualcosa che non vuole, di cui non è convinto. Sono delusa, perché invece i verdi ex marxisti hanno un atteggiamento ancora molto cinico nei confronti del potere, della manipolazione, e ridono quando si parla di spiritualità”.


Ma uno dei vostri filosofi, Rudolf Bahro, sembra addirittura pervaso da un furore religioso: grida al tracollo della civiltà industriale, con i verdi nuovi monaci che salvano il salvabile.


“Ho parlato di spiritualità, non di religione. Dico che bisogna essere onesti, non predicare una cosa e farne un’altra, come capita anche ad alcuni ‘fondamentalisti’ di Francoforte che si dicono per la rotazione a tutti i costi, ma poi si scopre che loro siedono in consiglio comunale da cinque anni filati. ‘Fondamentalismo’ significa fedeltà ai nostri principi fondamentali, senza pensare ad andare al potere o ad allearci con la Spd. Un ministro verde sarebbe la nostra morte”.


Il suo non è l’odio degli ex?


“Sono stata socialista negli anni ’70, come molti altri verdi. Ma vedo con dispiacere, giorno dopo giorno, nelle decisioni concrete prese in Parlamento, che la Spd è ancora molto indietro. Loro sono a favore della Nato, vogliono un’Europa terza superpotenza… Faccio un esempio: l’altro ieri in commissione rimanevano alcuni fondi per il Costa Rica. Benissimo, dico io, finanziamo gli ospedali. E invece no, i socialisti li hanno dati alla polizia del Costa Rica, capisce, alla polizia!”


Tutti i movimenti nonviolenti della storia hanno avuto un grande leader: Gandhi, Luther King, Walesa in Polonia…


“Sempre uomini, naturalmente”.


… i verdi tedeschi invece hanno quasi la mania di eliminare chiunque assomigli a un capo.


“È vero, in Germania c’è paura dei leader, paura dei führer. Per questo cerchiamo sempre di avere coordinatori, di non dare mai troppo potere a una sola persona per troppo tempo. Nonviolenza vuol dire prendere su di sé la sofferenza di un’eventuale punizione. Per esempio, anche in un gruppo di poche persone ci sarà sempre qualcuno che dovrà assumersi la responsabilità di coordinare, ma senza dominare. Quando protestammo in piazza Rossa a Mosca l’anno scorso, all’ultimo momento qualcuno aveva un po’ paura: c’era la polizia, la delegazione sovietica diventava nervosa. Ho dovuto prendere in mano tutto io, altrimenti non si faceva niente”.


Una leader donna.


“Le donne subiscono violenza per tutta la loro vita, pensiamo che sia quasi naturale per loro essere nonviolente, passive. Mentre se un uomo soffre, allora diventa un eroe. Molte donne, come Barbara Demming negli Stati Uniti, o Dorothy Day, avevano grandi qualità, ma non sono diventate famose. Gandhi scrisse cose molto belle sull’emancipazione femminile, ma la sua posizione personale verso le donne giovani era maschilista. Questo però è vietato dirlo, fra i nonviolenti”.


Avete tre donne alla presidenza del gruppo parlamentare.


“Ma anche noi abbiamo ancora molti problemi. Per esempio, alle nostre assemblee spesso non c’è un servizio di baby-sitting per i bambini. Dobbiamo fare una fatica tremenda per trovare donne che parlino in pubblico. Non posso parlare sempre io!”


Vi accusano di essere più rossi che verdi. Un’organizzazione comunista tedesca, la Kb, si è sciolta per confluire tra voi.


“Sì, c’è ancora qualcuno che sogna il gruppuscolo sessantottino. Mi preoccupano alcune tendenze collettiviste che deresponsabilizzano l’individuo. Per esempio, noi deputati dobbiamo versare gran parte del nostro stipendio - troppo, secondo me, io ho problemi ad arrivare a fine mese - in un fondo comune. Invece sarebbe meglio che ciascuno desse i propri soldi per un progetto che lo interessa personalmente, in modo da sentirsi motivato. C’è troppa centralizzazione. Un’altra cosa che mi preoccupa è che in alcune nostre riunioni locali poche persone abili manipolano la gente non politicizzata, che dopo un po’ si stufa e se ne va a casa. Così alla fine decide solo chi resta. Devo dire che tutte le riunioni dei verdi sono lunghe e noiose. Dopo sei anni, sono stufa marcia”.


Come mai in Germania, anche fra i giovani, c’è un grande complesso di colpa nei confronti dell’Urss? Dopotutto, fino a cinque minuti prima di essere attaccato, Stalin era alleato di Hitler.


“È vero. Ogni volta che incontriamo una delegazione sovietica, questi cominciano subito: ‘Voi avete ucciso venti milioni di russi…’ È imbarazzante. Io sono nata nel 1947, non mi sento personalmente colpevole”.


Anche in Italia si stanno formando i verdi. Come li giudica?


“Quand’ero a Bruxelles, degli ecologisti italiani ho conosciuto personalmente solo Marco Pannella ed Emma Bonino. Ma Pannella vuole sempre fare il capo assoluto e questo, specie alle donne, non piace”.


Qual è il suo obiettivo principale in questo momento?


“Fare in modo che lo stato tedesco usi il 20 per cento del suo bilancio militare per preparare una difesa non armata, nonviolenta”.



DOVE VOLA LA PASIONARIA

Tutte le provocazioni dei verdi nel mondo


La cosa che gli ambasciatori della Germania Ovest in giro per il mondo temono di più, è che un giorno arrivi Petra Kelly nella loro città in visita ufficiale. Com’è successo a Belgrado, dove la deputata ha rischiato l’espulsione pochi mesi fa assieme all’ex generale verde Gert Bastian per essersi intromessa negli affari interni jugoslavi criticando il processo agli intellettuali dissidenti da parte del regime comunista.

Come in Australia, dove nel maggio 1984 la pasionaria è volata a dar man forte agli oppositori dell’estrazione di uranio i quali, galvanizzati, hanno formato a loro volta un partito antinucleare che ha preso l’8% alle elezioni in dicembre.

E come a Berlino Est, Mosca e Praga, dove i verdi hanno inscenato incredibili manifestazioni con fiori e cartelli nei luoghi più sacri alle dittature orientali.

Quando non è impegnata al Parlamento, Kelly è sempre in viaggio. I pacifisti statunitensi la invitano regolarmente alle loro riunioni, e così le femministe irlandesi o ‘Los Verdes’ di recente formazione a Madrid, dove l’indomabile Petra è andata a presentare il suo libro tradotto in spagnolo. In Belgio, Olanda e Austria invece non c’è bisogno dell’aiuto dei Grünen tedeschi: gli ecologisti locali sono autosufficienti e in crescita.

La Francia è l’unico Paese impermeabile al fascino di Kelly: in un dibattito con lei il filosofo André Glucksmann l’ha accusata nientemeno che di pensare troppo a Hiroshima e poco ad Auschwitz.




 

Saturday, February 23, 1985

Indovina chi serve a cena















BON TON/ LA TROVATA DI UNA SIGNORA MILANESE

Indovina chi serve a cena

di Mauro Suttora

Europeo, 23 febbraio 1985

Nome: Lalla Jucker. Classe: buona borghesia lombarda. Hobby: cucinare per conto terzi. È già una cosa strana. Ma la vera sorpresa è sotto lo smoking impeccabile dei suoi giovani camerieri




Thursday, January 24, 1985

Il ritorno del flipper

 Passatempi: guarda un po' chi si rivede al bar

L'ULTIMO WARGAME LO VINCE IL FLIPPER

di Mauro Suttora (pseudonimo Leo Merumeci)
Europeo, 24 gennaio 1985


Saturday, December 15, 1984

Energia solare? No, grazie

Riscaldamento: gli italiani non vogliono risparmiare

di Mauro Suttora

C'erano 54 miliardi a disposizione di chi voleva installare pannelli solari per avere acqua calda gratuita. Ecco come burocrazia, impreparazione e dilettantismo hanno fatto fallire il piano

Europeo, 15 dicembre 1984



 

Saturday, September 08, 1984

Uganda: era meglio Amin Dada?

Stragi con 330mila morti, dice l'opposizione. Quindicimila, ammette il governo. Un fatto è certo: dopo quattro anni di apparente democrazia, regna sempre il terrore

di Mauro Suttora

Europeo, 8 settembre 1984


 

Saturday, August 18, 1984

Sovrappopolazione mondiale: esplodono le megalopoli

 LA TERRA È PICCOLA PER NOI

Nascono due bambini ogni secondo. Nel Duemila saremo sei miliardi. Città del Messico sfiorerà i trenta milioni di abitanti. Il nostro sarà ancora un pianeta vivibile? E, soprattutto, come sarà la qualità della vita nel Terzo mondo?

di Mauro Suttora

Europeo, 18 agosto 1984





























































Per la seconda Conferenza mondiale sulla popolazione, organizzata a dieci anni esatti di distanza dalla prima a Bucarest, l'Onu non poteva scegliere un posto migliore: Città del Messico, 15 milioni di abitanti, il simbolo del disastro demografico mondiale. Nel 1990 supererà Tokyo come prima megalopoli della Terra, e nel 2000 la sua zona metropolitana avrà 28 milioni di abitanti.

A pochi metri di distanza dal palazzo dove la conferenza si è aperta il 6 agosto ci sono i milioni di contadini spinti in città dalla fame, che nella città trovano soltanto altra miseria, malattie e un giaciglio maleodorante sotto una tettoia di plastica. Il Cairo, Lagos, Calcutta: tutte le capitali dei Paesi poveri stanno esplodendo. A Rio de Janeiro, la favolosa Rio di Copacabana e del Pan di Zucchero, può capitare che ti piantino un coltello nella schiena se rifiuti di consegnare il portafogli a una delle centinaia di bande di diseredati che scorrazzano per la città. Così i 'poveri' si materializzano per i turisti occidentali: non sono più gli improbabili fantasmi che languono in un lontano deserto del Sahel.

I delegati dei governi discuteranno fino al 15 agosto, ma alla fine l'oggetto dei loro discorsi sarà già cambiato: in questi dieci giorni saranno nati nel mondo due milioni di bambini. L'equivalente di una città come Milano, al ritmo di più di due culle al secondo. I fortunati che vedranno la luce nei Paesi ricchi o in Cina diventeranno grandi e vivranno in media 70 anni. Gli altri saranno falciati da fame, sete e malattie. Speranza di vita: 32 anni in Ciad e Alto Volta.

Dieci anni fa la situazione era migliore. Eravamo 800 milioni in meno, quindi morivano di fame meno persone. "Nel 1983 c'è stata la crescita demografica più forte della storia", avverte Leon Tabash, segretario della conferenza. "Sono nati 90 milioni di persone, quasi tutti nel Terzo mondo". Sullo schermo luminoso dell'orologio della popolazione, al museo della scienza di Chicago, fra alcuni giorni apparirà la cifra 4.800.000.000; ma la mattina dopo il numero degli abitanti del pianeta sarà già 4.800.105.379. In una sola notte, una Udine di neonati in più.

Alcuni Paesi come l'Etiopia non fanno censimenti. Altri, come la Nigeria, dichiarano il falso. Il governo di Lagos ci tiene ad apparire come il Paese più popoloso dell'Africa, ma non dovrebbe avere più di 60 milioni di cittadini, in luogo degli 80 ufficiali: trucchi per ricevere più aiuti dalle organizzazioni internazionali.

In ogni caso, siamo molti. Troppi? "no", risposero decisi i Paesi del Terzo mondo e quelli comunisti alla conferenza Onu dieci anni fa. "La povertà non è frutto della sovrappopolazione, ma dell'aggressione imperialista e dello sfruttamento delle superpotenze", dichiarò il capo della delegazione cinese. Gli fecero eco, curiosamente, i regimi militari del Sudamerica: "Parlare di spazio vitale e di limiti delle risorse per giungere alla riduzione demografica è parziale", tuonò il generale peruviano Enrique Falconi.

Anche il Vaticano appoggiò il blocco comunista-terzomondista nel rifiutare il piano proposto dall'Onu per il controllo delle nascite. Già nel 1968 PaoloVI aveva condannato ogni anticoncezionale nell'enciclica Humanae Vitae. Un certo padre Bordignon, membro della delegazione italiana a Bucarest (composta per metà da preti, chissà perché) arrivò a parlare di "genocidio" e avanzò il sospetto che il piano Onu fosse ispirato da "agenti di grosse ditte farmaceutiche statunitensi". Alla fine l'Italia si astenne: né con gli Usa, né con Papa e Breznev.

"La Chiesa estende il diritto alla vita anche agli ovuli e a tutto l'universo latente dei nascituri", commentò Guido Ceronetti. "La posizione vaticana è scabrosa: lo stesso schieramento di 'natalizi' avrebbe potuto avere alla sua testa la Germania nazista. A Bucarest ha vinto la demenza". E il teologo Ambrogio Valsecchi: "L'ideologia della Chiesa proviene da una mai superata disistima verso la sessualità. Non vogliono che il gesto sessuale venga privato con troppa facilità dell'impegno procreativo". 

Ma rimasero due voci isolate. Ancor oggi l'Italia figura agli ultimi posti per il consumo della pillola anticoncezionale, superata perfino dai cattolicissimi Spagna e Portogallo: solo il 5% delle donne la usa, contro il 37% dell'Olanda, dove i preservativi vengono distribuiti gratis a scuola alle sedicenni.

"Il miglior contraccettivo è lo sviluppo economico", sosteneva nel 1974 il comunista Eugenio Sonnino, docente di demografia all'università di Roma. "Quelle di Usa e Onu sono posizioni velleitarie di terrorismo demografico; c'è anche un tentativo d'ingerenza nell'autonomia degli Stati". "Il controllo delle nascite è stato inventato dai nemici dell'Islam", tagliavano corto gli arabi sauditi.

Il tempo ha fatto giustizia di questi pregiudizi ideologici. Caduti i miti terzomondisti, dal Vietnam all'Angola all'Iran, lo sviluppo non è arrivato, la fame è aumentata, alcuni cominciano addirittura a rimpiangere il tempo delle colonie. E in questo decennio tutti i Paesi del Terzo mondo hanno fatto esattamente ciò che criticavano a Bucarest.

La Cina è quella che ha preso il problema più sul serio, forse anche troppo. Con metodi draconiani ha fatto cadere della metà il tasso di natalità. Soprattutto, in Cina la vita media è uguale a quella dei Paesi occidentali, pur con un reddito pro capite infinitamente minore: indice di giustizia sociale. 

Tuttavia il problema è lungi dall'essere risolto. La stessa Cina l'anno scorso ha messo al mondo più di 23 milioni di creature. Fra tre anni l'umanità girerà la boa dei cinque miliardi. Nel Duemila saremo sei miliardi. Continuando così, raggiungeremo l'equilibrio fra nascite e morti soltanto nel 2095, quando saremo dieci miliardi.

Per afferrare meglio la vastità della questione, ricordiamoci che arrivammo al miliardo solo nel 1850 e a due ottant'anni dopo, nel 1930. Ma per raddoppiare, arrivando a quattro nel 1975, sono bastati 45 anni. È ciò che si chiama crescita geometrica (1,2,4,8,16,32...), differente da quella aritmetica (1,2,3,4,5,6...)

L'astronomo Heinrich Siedentopf ha immaginato di condensare i cinque miliardi di anni del nostro pianeta in un solo anno fittizio. Il risultato è questo: a gennaio una nuvola di gas si divide in miliardi di parti, di cui una è il Sole; a febbraio si formano la Terra e i pianeti; in aprile acqua e terra si separano; siamo già a novembre quando arriva la vegetazione; i dinosauri scompaiono a Natale; solo dieci minuti prima di mezzanotte appare l'uomo di Neanderthal. Quella che noi chiamiamo Storia occupa soltanto l'ultimo mezzo miliardo di quest'anno immaginario.

Durante l'ultimo secondo il numero degli umani si moltiplica per tre, e siamo a oggi. Nei primi dieci secondi dell''anno' seguente (15 dei nostri secoli) se il tasso di crescita resta costante il peso degli uomini viventi sarà uguale a quello del globo terrestre.

Certo, è un paradosso, messo in luce già nel 1972 dal primo rapporto del Club di Roma, 'I limiti dello sviluppo'. Esso fu criticato perché sosteneva che non può esserci sviluppo infinito in un mondo finito. Si disse che erano idee di tecnocrati illuministi, si arrivò ad accusare il Club di Roma di volere sciogliere antifecondativi nell'acqua potabile.

In realtà, il problema dello sviluppo economico e della diminuzione delle nascite è come quello dell'uovo e della gallina: non sappiamo quale sia la causa e quale l'effetto. Ecco l'opinione di Maurice Guernier, membro del Club: "Il Terzo mondo è situato nelle zone tropicali, calde e umide, dove la virulenza dei microbi è al massimo. È il luogo delle malattie più gravi, ragion per cui lì la popolazione deve - da millenni - procreare al massimo per resistere: fare molti figli affinché ne sopravviva qualcuno. Ne risulta che oggi, per la legge della selezione naturale, tutti gli abitanti del Terzo mondo sono prematuri sessuali, con matrimoni frequenti a partire dai 12-14 anni, e superattivi: praticano l'atto sessuale molto frequentemente, senza preoccuparsi del risultato. Ecco perché l'argomento 'Aiutiamoli a svilupparsi economicamente, poi avranno meno figli' non è in tutta onestà sostenibile. Anzi, è un controsenso".

Tuttavia, è vero anche che ogni occidentale consuma 40 volte più di un abitante del Terzo mondo, e che quindi non si possono incolpare i Paesi sottosviluppati per l'impoverimento delle risorse. Insomma, aveva ragione Gandhi: "In questo mondo c'è abbastanza per soddisfare i bisogni degli uomini, ma non la loro ingordigia".

Mauro Suttora


Tuesday, January 31, 1984

Lega per il disarmo a congresso

PACE/FIRENZE: UNILATERALISTI E POLEMICI

di Mauro Suttora

Il Manifesto, 31 gennaio 1984

Firenze. Vilipendio alle forze armate, istigazione a delinquere, diserzione, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, blocco stradale.
Quasi tutti i cento partecipanti al congresso nazionale della Lega per il disarmo unilaterale (Ldu), conclusosi a Firenze domenica, si sono 'macchiati' di qualcuno di questi reati negli anni scorsi, durante la loro attività antimilitarista.

"Siamo antimilitaristi, non semplici pacifisti", tengono a precisare, "perché ci opponiamo non solo alle armi atomiche, ma anche a ogni tipo di armamento convenzionale. E vogliamo l'abolizione di tutti gli eserciti, a cominciare dal nostro".

Lo scrittore Carlo Cassola cominciò a scrivere questa cose nel 1975 nei suoi elzeviri sul Corriere della Sera, e nel '77 fondò con pochi amici la Lega per il disarmo dell'Italia. Due anni dopo questa si fuse con un gruppo guidato allora dal giovane radicale Francesco Rutelli. Da allora la Ldu, sempre presieduta da Cassola, è divenuta l'alfiere dell'antimilitarismo più rigoroso, piena com'è di anarchici, radicali, nonviolenti, pronti a farsi arrestare alla prima occasione.

Nonostante i sondaggi rivelino che il 35% degli italiani è favorevole al disarmo unilaterale, gli iscritti alla Lega non superano mai le poche centinaia. Come mai?
"Colpa nostra, che non facciamo abbastanza propaganda. Ma ormai solo due giovani su cento sono iscritti a un partito politico, c'è in giro molta noia per i discorsi in 'politichese', anche per quelli dei pacifisti. Per questo noi siamo per l'azione diretta, nonviolenta naturalmente", dice il segretario uscente Bruno Petriccione.

C'è grossa polemica nei confronti del coordinamento nazionale dei comitati per la pace. "Sono controllati dai funzionari di partito, soprattutto del Pci. I pochi comitati spontanei locali sono emarginati, non c'è democrazia nel movimento. Per questo abbiamo perso contro i missili Cruise".
Padre Ernesto Balducci, da anni iscritto alla Ldu, non è d'accordo: "Il Poi non ha il pacifismo nella sua tradizione, e dobbiamo riconoscere che in questi ultimi anni ha fatto molti passi in avanti".

Anche Umberto Mazza, portando i saluti di Democrazia proletaria (l'unico partito, assieme ai radicali, favorevole a passi di disarmo unilaterale), ammonisce i disarmisti a non rinchiudersi in uno sterile settarismo: "Abbiamo tutti un grosso debito nei vostri confronti, perché per primi avete detto cose che adesso condividiamo in molti. Abbiamo bisogno delle vostre idee".

I programmi della Ldu per il 1984 prevedono un grosso impegno sulla 'obiezione fiscale' alle spese militari e su Comiso. Uno dei tre nuovi segretari, Alfonso Navarra, ventenne palermitano, ha ricevuto il foglio di via dalla provincia di Ragusa dopo avere trascorso un mese in carcere lo scorso agosto per la sua attività antimilitarista.
"Ritornerò pubblicamente a Comiso in marzo", dice, "perché voglio disobbedire alle leggi ingiuste".

Fra molte dichiarazioni roboanti ("Bisogna passare dalla protesta alla disobbedienza civile generalizzata contro questo stato militarista che negli ultimi cinque anni ha triplicato le spese militari") il discorso di Adele Faccio, ex deputata radicale, suona perfino mite: "Dobbiamo portare il messaggio nonviolento in tutti i luoghi, anche all'est".
Mauro Suttora