Wednesday, April 10, 1985

Gesualdo Bufalino: "Per noi comisani la base non esiste"




"PER NOI COMISANI LA BASE NON ESISTE"

intervista allo scrittore Gesualdo Bufalino

di Mauro Suttora

Il Messaggero, 10 aprile 1985

"Per noi comisani la base non esiste. Anzi, può darsi che non esista davvero: nessuno, tranne gli americani, è mai entrato nel suo cuore intimo, dove sono custoditi i missili atomici. Gli operai e i militari italiani sono addetti a servizi secondari, non sanno niente. Quanto agli americani, chi li vede mai qui in paese? Vanno in giro a gruppi di tre o quattro, ogni tanto, tutti assieme..."

Gesualdo Bufalino, 64 anni, è il cittadino più illustre di Comiso. Professore, scrittore di successo ('Diceria dell'untore', 'Argo il cieco'), conosce ogni piega della vita cittadina.
"Comiso si trasformerà in miniera e bersaglio di terrore", scrisse allarmato nel 1981, quando il governo italiano annunciò di aver scelto Comiso per installare i 112 missili assegnatici dalla Nato.

In questi anni Bufalino ha descritto i pellegrinaggi dei pacifisti, l'arrivo dei soldati americani, le reazioni dei suoi 26mila concittadini. Ma adesso che i missili ci sono, lui paradossalmente mette in dubbio la realtà: "Per chi arriva a Comiso di sera, da Ragusa, la base si presenta come un grosso tumore arancione, tutto illuminato e isolato dal resto del territorio. Gli americani vogliono evitare qualsiasi frizione o incidente con la gente del luogo, e noi ricambiamo il loro disinteresse".

Ma lei è favorevole o contrario ai missili?
"Sono ferocemente nemico di qualsiasi tipo d'arma, dal coltello alla bomba atomica. Ma almeno il pericolo di una guerra nucleare ha garantito all'Europa un periodo di pace ininterrotta superato soltanto da quello goduto durante la Belle époque".

Tutto bene, allora?
"No, provo come tutti un estremo imbarazzo ideologico. Ho pensato anche al suggerimento di Carlo Cassola di fare un gesto di disarmo unilaterale per sbloccare l'impasse, poiché non credo che l'obiettivo dei russi sia di arrivare al Tago. Ma qui si sfuma nelle nuvole dell'utopia".

Come mai i comisani non hanno protestato concretamente? I pacifisti venivano soprattutto da fuori.
"Abbiamo una dose di scetticismo storico e di impermeabile saggezza: digeriamo qualsiasi novità. I pacifisti ci hanno offerto spettacoli pittoreschi e leggiadri, ma i comisani si sono limitati ad apprezzare la bellezza delle ragazze che arrivavanoda tutta Europa per protestare".

Intravvede una soluzione?
"Bisognerebbe nominare due poeti a capo delle due superpotenze".

Saturday, March 02, 1985

Se sei verde ti tirano la Petra

Germania Ovest/La leader degli ecologisti contesta il suo movimento

Opportunisti. Bugiardi. Noiosi. Petra Kelly descrive in questa intervista esclusiva i difetti dei verdi tedeschi. E rivela sorprendenti progetti

dal nostro inviato a Bonn (Germania Ovest) Mauro Suttora

Europeo, 2 marzo 1985


“Cincinnato? No, veramente non ricordo chi sia…” Petra Kelly sorride, minuta e pallida, nel suo ufficio al settimo piano nel palazzo del parlamento a Bonn. È l’unica, fra i 27 deputati verdi eletti due anni fa, che in marzo non si dimetterà a metà mandato per far posto ai primi dei non eletti, in omaggio al principio di rotazione delle cariche in uso fra gli ecologisti tedeschi.

Tale privilegio, secondo i maligni, le è stato concesso anche perché se abbandonasse i Grünen, come ha minacciato, imitando il generale antiatomico Gert Bastian che lo già fatto un anno fa, essi non raggiungerebbero più il numero minimo necessario per formare un gruppo parlamentare, con relativa perdita di finanziamenti e guarentigie varie.


Signora Kelly, Cincinnato è quell’antico capo romano che lasciò il potere per il suo podere in campagna senza pretendere ricompense: il simbolo del disinteresse. Non dite anche voi verdi di essere il partito dei cittadini normali, contro i politici di professione?


“Ma io sono favorevole alla rotazione. Però ogni quattro anni, a fine legislatura. Dopo soli due anni è un disastro: c’è troppo poco tempo per imparare le cose”.


Funzionaria Cee a Bruxelles, 37 anni, studi nelle migliori università statunitensi, collaboratrice di Martin Luther King e Bob Kennedy, Kelly è da sempre (cioè dal 1979, anno della loro fondazione) la leader carismatica dei verdi tedeschi. Assieme all’avvocato Otto Schily, il Saint-Just che ha provato la corruzione dell’ex presidente della Repubblica democristiano Rainer Barzel, e allo ‘spontaneista’ Joschka Fischer, autore secondo il Nobel Heinrich Böll dei migliori discorsi pronunciati ultimamente al Bundestag (nonché espulso dallo stesso per aver gridato “buco di culo” al presidente), è lei la testa pensante del partito ecopacifista che sta mettendo a soqquadro la politica tedesca.

Le prossime elezioni a Berlino Ovest e nella Saar nel marzo 1985 vedranno con tutta probabilità un altro loro successo. Per quelle di maggio in Renania-Vestfalia i verdi non avranno neanche bisogno di fare campagna elettorale: quale miglior propaganda per loro del recente allarme smog che ha sconvolto tutta la Ruhr?

A Tubinga i Grünen hanno già il 21%, a Heidelberg il 18%, in alcune città hanno scalzato i socialdemocratici come secondo partito, in altre hanno il vicesindaco. A Wuppertal, 350mila abitanti, il sindaco.

Migliaia di studenti, pensionati, casalinghe e altri dilettanti della politica sono entrati nei consigli comunali, condizionando l’azione del governo in ogni campo: dall’inquinamento (il dc di destra Friedrich Zimmermann, ministro dell’Interno nel governo Kohl, è costretto a litigare con i partner europei per imporre la benzina senza piombo) al censimento (per bloccare il quale, e siamo in Germania perbacco, ai verdi è bastata una semplice minaccia di boicottaggio condotta con le loro tipiche armi ‘straccione’: spille, adesivi, volantini), fino alla politica estera. Secondo il settimanale Usa Newsweek la sofferta installazione de missili atomici Pershing in Germania Ovest è stata per la Nato una ‘vittoria di Pirro’, visto che molti tedeschi scivolano sempre più verso il neutralismo.

Niente di più facile quindi che alle prossime elezioni politiche del 1987, scomparsi i liberali, i Grünen diventino l’ago della bilancia fra Spd (socialdemocratici) e Cdu (democristiani). Ma già adesso il loro 6% ha un peso specifico sproporzionatamente maggiore.

Eccola qua Petra Kelly, in una delle rare interviste che concede. Non perché faccia le bizze, ma perché nel firmamento dei verdi alle stelle è vietato brillare: gli ecologisti vedono con diffidenza i mass media, e accusano di esibizionismo chiunque di loro diventi troppo famoso. “Nell’ultimo anno non sono mai apparsa in tv, eppure molti continuano a criticarmi perché mi metterei in mostra. E questo capita anche a Schily. È una sindrome verde, una malattia infantile: punire le persone che sono state elette come rappresentanti”.


Non rimarrà nessuno con lei, degli attuali deputati?


“Sì, a Schily è stata concessa una proroga, ma solo fino alla fine dei lavori della commissione d’inchiesta sulle tangenti Flick. E Milan Horacek, esule cecoslovacco, resterà a Bonn fino a settembre perché ha sostituito Hecker

[Klaus Hecker è il deputato verde che palpava le segretarie. Allontanato, è stato ridotto a neologismo: le ragazze ‘alternative’ indossano magliette con la scritta ‘Don’t hecker me’ sul seno, ndr]. Questa della rotazione in realtà è una questione importante. Però noi la vendiamo al mondo come una nuova cultura politica, mentre la realtà che vedo al nostro interno è un po’ diversa, piena di bugie e ipocrisie”.


Perché è così dura con i suoi compagni di partito?


“Alcuni di loro vorrebbero letteralmente rispedirmi subito al mio lavoro alla Cee di Bruxelles. Ma pretendono che continui, contemporaneamente, a occuparmi di politica. Il che è semplicemente ridicolo: l’ho fatto per cinque anni, è impossibile. Me ne andrò fra due anni, al termine del mio mandato. Mentre tanti altri si dimettono adesso, ma solo per farsi rieleggere nell’87: sono degli opportunisti, mi disgustano. Io voglio finire il mio lavoro qui al Parlamento di Bonn, in particolare nel campo dei tumori infantili [la sorella di Kelly morì di cancro da piccola, ndr], del disarmo e dei diritti umani”.


Dopo cosa farà?


“Mi piacerebbe trasferirmi e andare a vivere per un po’ a Mosca o in Germania Est. Voglio lavorare con gruppi femministi e di difesa nonviolenta. Ma prima devo terminare il mio impegno con la Cee: ancora un anno e mezzo a Bruxelles”.


Lei appartiene alla corrente ‘fondamentalista’ dei verdi. Cosa significa?


“Significa che vogliamo operare una rivoluzione nonviolenta. Ma per far questo, e spesso i verdi lo dimenticano, ci vuole forza spirituale, e non lotta per il potere. La nostra regola principale dev’essere: non obbligare mai qualcuno a fare qualcosa che non vuole, di cui non è convinto. Sono delusa, perché invece i verdi ex marxisti hanno un atteggiamento ancora molto cinico nei confronti del potere, della manipolazione, e ridono quando si parla di spiritualità”.


Ma uno dei vostri filosofi, Rudolf Bahro, sembra addirittura pervaso da un furore religioso: grida al tracollo della civiltà industriale, con i verdi nuovi monaci che salvano il salvabile.


“Ho parlato di spiritualità, non di religione. Dico che bisogna essere onesti, non predicare una cosa e farne un’altra, come capita anche ad alcuni ‘fondamentalisti’ di Francoforte che si dicono per la rotazione a tutti i costi, ma poi si scopre che loro siedono in consiglio comunale da cinque anni filati. ‘Fondamentalismo’ significa fedeltà ai nostri principi fondamentali, senza pensare ad andare al potere o ad allearci con la Spd. Un ministro verde sarebbe la nostra morte”.


Il suo non è l’odio degli ex?


“Sono stata socialista negli anni ’70, come molti altri verdi. Ma vedo con dispiacere, giorno dopo giorno, nelle decisioni concrete prese in Parlamento, che la Spd è ancora molto indietro. Loro sono a favore della Nato, vogliono un’Europa terza superpotenza… Faccio un esempio: l’altro ieri in commissione rimanevano alcuni fondi per il Costa Rica. Benissimo, dico io, finanziamo gli ospedali. E invece no, i socialisti li hanno dati alla polizia del Costa Rica, capisce, alla polizia!”


Tutti i movimenti nonviolenti della storia hanno avuto un grande leader: Gandhi, Luther King, Walesa in Polonia…


“Sempre uomini, naturalmente”.


… i verdi tedeschi invece hanno quasi la mania di eliminare chiunque assomigli a un capo.


“È vero, in Germania c’è paura dei leader, paura dei führer. Per questo cerchiamo sempre di avere coordinatori, di non dare mai troppo potere a una sola persona per troppo tempo. Nonviolenza vuol dire prendere su di sé la sofferenza di un’eventuale punizione. Per esempio, anche in un gruppo di poche persone ci sarà sempre qualcuno che dovrà assumersi la responsabilità di coordinare, ma senza dominare. Quando protestammo in piazza Rossa a Mosca l’anno scorso, all’ultimo momento qualcuno aveva un po’ paura: c’era la polizia, la delegazione sovietica diventava nervosa. Ho dovuto prendere in mano tutto io, altrimenti non si faceva niente”.


Una leader donna.


“Le donne subiscono violenza per tutta la loro vita, pensiamo che sia quasi naturale per loro essere nonviolente, passive. Mentre se un uomo soffre, allora diventa un eroe. Molte donne, come Barbara Demming negli Stati Uniti, o Dorothy Day, avevano grandi qualità, ma non sono diventate famose. Gandhi scrisse cose molto belle sull’emancipazione femminile, ma la sua posizione personale verso le donne giovani era maschilista. Questo però è vietato dirlo, fra i nonviolenti”.


Avete tre donne alla presidenza del gruppo parlamentare.


“Ma anche noi abbiamo ancora molti problemi. Per esempio, alle nostre assemblee spesso non c’è un servizio di baby-sitting per i bambini. Dobbiamo fare una fatica tremenda per trovare donne che parlino in pubblico. Non posso parlare sempre io!”


Vi accusano di essere più rossi che verdi. Un’organizzazione comunista tedesca, la Kb, si è sciolta per confluire tra voi.


“Sì, c’è ancora qualcuno che sogna il gruppuscolo sessantottino. Mi preoccupano alcune tendenze collettiviste che deresponsabilizzano l’individuo. Per esempio, noi deputati dobbiamo versare gran parte del nostro stipendio - troppo, secondo me, io ho problemi ad arrivare a fine mese - in un fondo comune. Invece sarebbe meglio che ciascuno desse i propri soldi per un progetto che lo interessa personalmente, in modo da sentirsi motivato. C’è troppa centralizzazione. Un’altra cosa che mi preoccupa è che in alcune nostre riunioni locali poche persone abili manipolano la gente non politicizzata, che dopo un po’ si stufa e se ne va a casa. Così alla fine decide solo chi resta. Devo dire che tutte le riunioni dei verdi sono lunghe e noiose. Dopo sei anni, sono stufa marcia”.


Come mai in Germania, anche fra i giovani, c’è un grande complesso di colpa nei confronti dell’Urss? Dopotutto, fino a cinque minuti prima di essere attaccato, Stalin era alleato di Hitler.


“È vero. Ogni volta che incontriamo una delegazione sovietica, questi cominciano subito: ‘Voi avete ucciso venti milioni di russi…’ È imbarazzante. Io sono nata nel 1947, non mi sento personalmente colpevole”.


Anche in Italia si stanno formando i verdi. Come li giudica?


“Quand’ero a Bruxelles, degli ecologisti italiani ho conosciuto personalmente solo Marco Pannella ed Emma Bonino. Ma Pannella vuole sempre fare il capo assoluto e questo, specie alle donne, non piace”.


Qual è il suo obiettivo principale in questo momento?


“Fare in modo che lo stato tedesco usi il 20 per cento del suo bilancio militare per preparare una difesa non armata, nonviolenta”.



DOVE VOLA LA PASIONARIA

Tutte le provocazioni dei verdi nel mondo


La cosa che gli ambasciatori della Germania Ovest in giro per il mondo temono di più, è che un giorno arrivi Petra Kelly nella loro città in visita ufficiale. Com’è successo a Belgrado, dove la deputata ha rischiato l’espulsione pochi mesi fa assieme all’ex generale verde Gert Bastian per essersi intromessa negli affari interni jugoslavi criticando il processo agli intellettuali dissidenti da parte del regime comunista.

Come in Australia, dove nel maggio 1984 la pasionaria è volata a dar man forte agli oppositori dell’estrazione di uranio i quali, galvanizzati, hanno formato a loro volta un partito antinucleare che ha preso l’8% alle elezioni in dicembre.

E come a Berlino Est, Mosca e Praga, dove i verdi hanno inscenato incredibili manifestazioni con fiori e cartelli nei luoghi più sacri alle dittature orientali.

Quando non è impegnata al Parlamento, Kelly è sempre in viaggio. I pacifisti statunitensi la invitano regolarmente alle loro riunioni, e così le femministe irlandesi o ‘Los Verdes’ di recente formazione a Madrid, dove l’indomabile Petra è andata a presentare il suo libro tradotto in spagnolo. In Belgio, Olanda e Austria invece non c’è bisogno dell’aiuto dei Grünen tedeschi: gli ecologisti locali sono autosufficienti e in crescita.

La Francia è l’unico Paese impermeabile al fascino di Kelly: in un dibattito con lei il filosofo André Glucksmann l’ha accusata nientemeno che di pensare troppo a Hiroshima e poco ad Auschwitz.




 

Saturday, February 23, 1985

Indovina chi serve a cena















BON TON/ LA TROVATA DI UNA SIGNORA MILANESE

Indovina chi serve a cena

di Mauro Suttora

Europeo, 23 febbraio 1985

Nome: Lalla Jucker. Classe: buona borghesia lombarda. Hobby: cucinare per conto terzi. È già una cosa strana. Ma la vera sorpresa è sotto lo smoking impeccabile dei suoi giovani camerieri




Saturday, December 15, 1984

Energia solare? No, grazie

Riscaldamento: gli italiani non vogliono risparmiare

di Mauro Suttora

C'erano 54 miliardi a disposizione di chi voleva installare pannelli solari per avere acqua calda gratuita. Ecco come burocrazia, impreparazione e dilettantismo hanno fatto fallire il piano

Europeo, 15 dicembre 1984



 

Saturday, September 08, 1984

Uganda: era meglio Amin Dada?

Stragi con 330mila morti, dice l'opposizione. Quindicimila, ammette il governo. Un fatto è certo: dopo quattro anni di apparente democrazia, regna sempre il terrore

di Mauro Suttora

Europeo, 8 settembre 1984


 

Saturday, August 18, 1984

Sovrappopolazione mondiale: esplodono le megalopoli

 LA TERRA È PICCOLA PER NOI

Nascono due bambini ogni secondo. Nel Duemila saremo sei miliardi. Città del Messico sfiorerà i trenta milioni di abitanti. Il nostro sarà ancora un pianeta vivibile? E, soprattutto, come sarà la qualità della vita nel Terzo mondo?

di Mauro Suttora

Europeo, 18 agosto 1984





























































Per la seconda Conferenza mondiale sulla popolazione, organizzata a dieci anni esatti di distanza dalla prima a Bucarest, l'Onu non poteva scegliere un posto migliore: Città del Messico, 15 milioni di abitanti, il simbolo del disastro demografico mondiale. Nel 1990 supererà Tokyo come prima megalopoli della Terra, e nel 2000 la sua zona metropolitana avrà 28 milioni di abitanti.

A pochi metri di distanza dal palazzo dove la conferenza si è aperta il 6 agosto ci sono i milioni di contadini spinti in città dalla fame, che nella città trovano soltanto altra miseria, malattie e un giaciglio maleodorante sotto una tettoia di plastica. Il Cairo, Lagos, Calcutta: tutte le capitali dei Paesi poveri stanno esplodendo. A Rio de Janeiro, la favolosa Rio di Copacabana e del Pan di Zucchero, può capitare che ti piantino un coltello nella schiena se rifiuti di consegnare il portafogli a una delle centinaia di bande di diseredati che scorrazzano per la città. Così i 'poveri' si materializzano per i turisti occidentali: non sono più gli improbabili fantasmi che languono in un lontano deserto del Sahel.

I delegati dei governi discuteranno fino al 15 agosto, ma alla fine l'oggetto dei loro discorsi sarà già cambiato: in questi dieci giorni saranno nati nel mondo due milioni di bambini. L'equivalente di una città come Milano, al ritmo di più di due culle al secondo. I fortunati che vedranno la luce nei Paesi ricchi o in Cina diventeranno grandi e vivranno in media 70 anni. Gli altri saranno falciati da fame, sete e malattie. Speranza di vita: 32 anni in Ciad e Alto Volta.

Dieci anni fa la situazione era migliore. Eravamo 800 milioni in meno, quindi morivano di fame meno persone. "Nel 1983 c'è stata la crescita demografica più forte della storia", avverte Leon Tabash, segretario della conferenza. "Sono nati 90 milioni di persone, quasi tutti nel Terzo mondo". Sullo schermo luminoso dell'orologio della popolazione, al museo della scienza di Chicago, fra alcuni giorni apparirà la cifra 4.800.000.000; ma la mattina dopo il numero degli abitanti del pianeta sarà già 4.800.105.379. In una sola notte, una Udine di neonati in più.

Alcuni Paesi come l'Etiopia non fanno censimenti. Altri, come la Nigeria, dichiarano il falso. Il governo di Lagos ci tiene ad apparire come il Paese più popoloso dell'Africa, ma non dovrebbe avere più di 60 milioni di cittadini, in luogo degli 80 ufficiali: trucchi per ricevere più aiuti dalle organizzazioni internazionali.

In ogni caso, siamo molti. Troppi? "no", risposero decisi i Paesi del Terzo mondo e quelli comunisti alla conferenza Onu dieci anni fa. "La povertà non è frutto della sovrappopolazione, ma dell'aggressione imperialista e dello sfruttamento delle superpotenze", dichiarò il capo della delegazione cinese. Gli fecero eco, curiosamente, i regimi militari del Sudamerica: "Parlare di spazio vitale e di limiti delle risorse per giungere alla riduzione demografica è parziale", tuonò il generale peruviano Enrique Falconi.

Anche il Vaticano appoggiò il blocco comunista-terzomondista nel rifiutare il piano proposto dall'Onu per il controllo delle nascite. Già nel 1968 PaoloVI aveva condannato ogni anticoncezionale nell'enciclica Humanae Vitae. Un certo padre Bordignon, membro della delegazione italiana a Bucarest (composta per metà da preti, chissà perché) arrivò a parlare di "genocidio" e avanzò il sospetto che il piano Onu fosse ispirato da "agenti di grosse ditte farmaceutiche statunitensi". Alla fine l'Italia si astenne: né con gli Usa, né con Papa e Breznev.

"La Chiesa estende il diritto alla vita anche agli ovuli e a tutto l'universo latente dei nascituri", commentò Guido Ceronetti. "La posizione vaticana è scabrosa: lo stesso schieramento di 'natalizi' avrebbe potuto avere alla sua testa la Germania nazista. A Bucarest ha vinto la demenza". E il teologo Ambrogio Valsecchi: "L'ideologia della Chiesa proviene da una mai superata disistima verso la sessualità. Non vogliono che il gesto sessuale venga privato con troppa facilità dell'impegno procreativo". 

Ma rimasero due voci isolate. Ancor oggi l'Italia figura agli ultimi posti per il consumo della pillola anticoncezionale, superata perfino dai cattolicissimi Spagna e Portogallo: solo il 5% delle donne la usa, contro il 37% dell'Olanda, dove i preservativi vengono distribuiti gratis a scuola alle sedicenni.

"Il miglior contraccettivo è lo sviluppo economico", sosteneva nel 1974 il comunista Eugenio Sonnino, docente di demografia all'università di Roma. "Quelle di Usa e Onu sono posizioni velleitarie di terrorismo demografico; c'è anche un tentativo d'ingerenza nell'autonomia degli Stati". "Il controllo delle nascite è stato inventato dai nemici dell'Islam", tagliavano corto gli arabi sauditi.

Il tempo ha fatto giustizia di questi pregiudizi ideologici. Caduti i miti terzomondisti, dal Vietnam all'Angola all'Iran, lo sviluppo non è arrivato, la fame è aumentata, alcuni cominciano addirittura a rimpiangere il tempo delle colonie. E in questo decennio tutti i Paesi del Terzo mondo hanno fatto esattamente ciò che criticavano a Bucarest.

La Cina è quella che ha preso il problema più sul serio, forse anche troppo. Con metodi draconiani ha fatto cadere della metà il tasso di natalità. Soprattutto, in Cina la vita media è uguale a quella dei Paesi occidentali, pur con un reddito pro capite infinitamente minore: indice di giustizia sociale. 

Tuttavia il problema è lungi dall'essere risolto. La stessa Cina l'anno scorso ha messo al mondo più di 23 milioni di creature. Fra tre anni l'umanità girerà la boa dei cinque miliardi. Nel Duemila saremo sei miliardi. Continuando così, raggiungeremo l'equilibrio fra nascite e morti soltanto nel 2095, quando saremo dieci miliardi.

Per afferrare meglio la vastità della questione, ricordiamoci che arrivammo al miliardo solo nel 1850 e a due ottant'anni dopo, nel 1930. Ma per raddoppiare, arrivando a quattro nel 1975, sono bastati 45 anni. È ciò che si chiama crescita geometrica (1,2,4,8,16,32...), differente da quella aritmetica (1,2,3,4,5,6...)

L'astronomo Heinrich Siedentopf ha immaginato di condensare i cinque miliardi di anni del nostro pianeta in un solo anno fittizio. Il risultato è questo: a gennaio una nuvola di gas si divide in miliardi di parti, di cui una è il Sole; a febbraio si formano la Terra e i pianeti; in aprile acqua e terra si separano; siamo già a novembre quando arriva la vegetazione; i dinosauri scompaiono a Natale; solo dieci minuti prima di mezzanotte appare l'uomo di Neanderthal. Quella che noi chiamiamo Storia occupa soltanto l'ultimo mezzo miliardo di quest'anno immaginario.

Durante l'ultimo secondo il numero degli umani si moltiplica per tre, e siamo a oggi. Nei primi dieci secondi dell''anno' seguente (15 dei nostri secoli) se il tasso di crescita resta costante il peso degli uomini viventi sarà uguale a quello del globo terrestre.

Certo, è un paradosso, messo in luce già nel 1972 dal primo rapporto del Club di Roma, 'I limiti dello sviluppo'. Esso fu criticato perché sosteneva che non può esserci sviluppo infinito in un mondo finito. Si disse che erano idee di tecnocrati illuministi, si arrivò ad accusare il Club di Roma di volere sciogliere antifecondativi nell'acqua potabile.

In realtà, il problema dello sviluppo economico e della diminuzione delle nascite è come quello dell'uovo e della gallina: non sappiamo quale sia la causa e quale l'effetto. Ecco l'opinione di Maurice Guernier, membro del Club: "Il Terzo mondo è situato nelle zone tropicali, calde e umide, dove la virulenza dei microbi è al massimo. È il luogo delle malattie più gravi, ragion per cui lì la popolazione deve - da millenni - procreare al massimo per resistere: fare molti figli affinché ne sopravviva qualcuno. Ne risulta che oggi, per la legge della selezione naturale, tutti gli abitanti del Terzo mondo sono prematuri sessuali, con matrimoni frequenti a partire dai 12-14 anni, e superattivi: praticano l'atto sessuale molto frequentemente, senza preoccuparsi del risultato. Ecco perché l'argomento 'Aiutiamoli a svilupparsi economicamente, poi avranno meno figli' non è in tutta onestà sostenibile. Anzi, è un controsenso".

Tuttavia, è vero anche che ogni occidentale consuma 40 volte più di un abitante del Terzo mondo, e che quindi non si possono incolpare i Paesi sottosviluppati per l'impoverimento delle risorse. Insomma, aveva ragione Gandhi: "In questo mondo c'è abbastanza per soddisfare i bisogni degli uomini, ma non la loro ingordigia".

Mauro Suttora


Tuesday, January 31, 1984

Lega per il disarmo a congresso

PACE/FIRENZE: UNILATERALISTI E POLEMICI

di Mauro Suttora

Il Manifesto, 31 gennaio 1984

Firenze. Vilipendio alle forze armate, istigazione a delinquere, diserzione, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, blocco stradale.
Quasi tutti i cento partecipanti al congresso nazionale della Lega per il disarmo unilaterale (Ldu), conclusosi a Firenze domenica, si sono 'macchiati' di qualcuno di questi reati negli anni scorsi, durante la loro attività antimilitarista.

"Siamo antimilitaristi, non semplici pacifisti", tengono a precisare, "perché ci opponiamo non solo alle armi atomiche, ma anche a ogni tipo di armamento convenzionale. E vogliamo l'abolizione di tutti gli eserciti, a cominciare dal nostro".

Lo scrittore Carlo Cassola cominciò a scrivere questa cose nel 1975 nei suoi elzeviri sul Corriere della Sera, e nel '77 fondò con pochi amici la Lega per il disarmo dell'Italia. Due anni dopo questa si fuse con un gruppo guidato allora dal giovane radicale Francesco Rutelli. Da allora la Ldu, sempre presieduta da Cassola, è divenuta l'alfiere dell'antimilitarismo più rigoroso, piena com'è di anarchici, radicali, nonviolenti, pronti a farsi arrestare alla prima occasione.

Nonostante i sondaggi rivelino che il 35% degli italiani è favorevole al disarmo unilaterale, gli iscritti alla Lega non superano mai le poche centinaia. Come mai?
"Colpa nostra, che non facciamo abbastanza propaganda. Ma ormai solo due giovani su cento sono iscritti a un partito politico, c'è in giro molta noia per i discorsi in 'politichese', anche per quelli dei pacifisti. Per questo noi siamo per l'azione diretta, nonviolenta naturalmente", dice il segretario uscente Bruno Petriccione.

C'è grossa polemica nei confronti del coordinamento nazionale dei comitati per la pace. "Sono controllati dai funzionari di partito, soprattutto del Pci. I pochi comitati spontanei locali sono emarginati, non c'è democrazia nel movimento. Per questo abbiamo perso contro i missili Cruise".
Padre Ernesto Balducci, da anni iscritto alla Ldu, non è d'accordo: "Il Poi non ha il pacifismo nella sua tradizione, e dobbiamo riconoscere che in questi ultimi anni ha fatto molti passi in avanti".

Anche Umberto Mazza, portando i saluti di Democrazia proletaria (l'unico partito, assieme ai radicali, favorevole a passi di disarmo unilaterale), ammonisce i disarmisti a non rinchiudersi in uno sterile settarismo: "Abbiamo tutti un grosso debito nei vostri confronti, perché per primi avete detto cose che adesso condividiamo in molti. Abbiamo bisogno delle vostre idee".

I programmi della Ldu per il 1984 prevedono un grosso impegno sulla 'obiezione fiscale' alle spese militari e su Comiso. Uno dei tre nuovi segretari, Alfonso Navarra, ventenne palermitano, ha ricevuto il foglio di via dalla provincia di Ragusa dopo avere trascorso un mese in carcere lo scorso agosto per la sua attività antimilitarista.
"Ritornerò pubblicamente a Comiso in marzo", dice, "perché voglio disobbedire alle leggi ingiuste".

Fra molte dichiarazioni roboanti ("Bisogna passare dalla protesta alla disobbedienza civile generalizzata contro questo stato militarista che negli ultimi cinque anni ha triplicato le spese militari") il discorso di Adele Faccio, ex deputata radicale, suona perfino mite: "Dobbiamo portare il messaggio nonviolento in tutti i luoghi, anche all'est".
Mauro Suttora








Saturday, October 22, 1983

Sarajevo prepara le Olimpiadi invernali 1984

JUGOSLAVIA
Ci vuole lo stadio? Facciamo una colletta

Un referendum. Migliaia di volontari. Un'autotassazione collettiva. Che s'ha da fare per ospitare le gare mondiali di sci in una città comunista...

di Mauro Suttora e Art Zamur

Europeo, 22 ottobre 1983








 

Saturday, October 08, 1983

Gli ecologisti tedeschi



IL MIO VERDE È PIU’ VERDE DEL TUO

Germania/Il movimento ecologista si spacca

Fondamentalisti, realpolitici, nonviolenti, filoamericani, gandhiani... Che cosa nasconde il fiorire di tante correnti all’interno del partito che sorprese tutti alle elezioni di sei mesi fa?

Europeo, 8 ottobre 1983

di Mauro Suttora

«Non vogliamo cadere nelle mani dei comunisti e del loro modo vecchio, burocratico e perdente di fare politica. Basta con il minoritarismo di sinistra», afferma deciso Ernst Hoplitschek, leader degli ecologisti berlinesi. E così da quest’estate i grünen, iverdi di Berlino Ovest, si sono messi in proprio, iniziando una campagna autonoma di iscrizioni e separandosi dalla Lista alternativa, con la quale avevano ottenuto il sette per cento e nove consiglieri due anni fa.

Berlino è da sempre il laboratorio politico della Germania. Tutto ciò che accade nella ex capitale prima o poi si ripercuote a livello nazionale. Così è stato, ad esempio, per il ritorno della Cdu al potere, avvenuto a Berlino già nel settembre 1981. E’ probabile, quindi, che le frizioni all’interno del partito verde e fra questo e gli altri settori della sinistra extraparlamentare che finora lo hanno appoggiato si moltiplichino nei prossimi mesi.

Già ci sono alcuni segni. A Brema, dove nel 1979 per la prima volta i verdi superarono alle elezioni la soglia-ghigliottina del cinque per cento, le votazioni appena avvenute hanno visto la concorrenza reciproca di ben tre formazioni ecologiste: quella dei verdi federali, la «Bremer grune liste» più conservatrice e localista, e la Lista alternativa del lavoro, piena di comunisti. Ma anche nel resto della Germania la presenza fra i verdi di molti marxisti sta cominciando a creare molti problemi agli ecologi meno politicizzati, e si vanno già formando due tendenze contrapposte all’interno del piccolo partito approdato in Parlamento da soli sei mesi: «fondamentalisti» e «realpolitici».

Forti soprattutto in Assia e ad Amburgo, i fondamentalisti criticano «dalle fondamenta» la società dei consumi, seguendo le teorie apocalittiche di Rudolph Bahro, 48 anni, intellettuale incarcerato e poi espulso (1978) dalla Germania Est, dov’era stato un importante tecnocrate in campo economico. Adesso, pur non essendo deputato, è l’ideologo e l’eminenza grigia dei verdi. Predica la «Ausstieg aus der Industriegesellschaft», l’uscita dalla società industriale che produce sempre più armi e fame.
Ma l’aspetto più controverso delle proposte di Bahro riguarda la strategia elettorale: egli afferma che sarebbe miope per i verdi limitarsi a fare la pulce a sinistra dell’Spd, e che essi devono rivolgersi invece a un elettorato molto più ampio, anche di destra, con un programma di «conservazione dei valori».

E quali sarebbero questi «valori» capaci di attrarre gli elettori democristiani di Helmut Kohl e Franz Strauss? La vita, minacciata dalle bombe atomiche; la comunità e la privacy, minacciate dall’invadenza dello stato assistenziale e poliziesco (vinta quest’anno la battaglia contro il censimento, i verdi si stanno ora battendo contro l’introduzione della carta d’identità magnetica, prevista per il 1984, considerata uno strumento di maggiore controllo sociale); le foreste, amate visceralmente da ogni tedesco e rovinate dalle piogge acide; l’unità della Germania, spezzata dalla divisione in blocchi nemici.

Ai fondamentalisti si contrappongono i realpolitici di Brema, Baviera e Baden-Wurttemberg, nonché i rossoverdi che mirano ancora al coinvolgimento degli operai (in settembre a Bonn il deputato Eckhart Stratmann ha organizzato un «foro dell’acciaio» assieme a delegati di fabbrica). I realpolitici vengono bollati in tal modo a cuasa della loro disponibilità ad allearsi con i socialisti, mentre per Bahro fra Spd e Cdu non c’è molta differenza.
«E gli emarginati, gli omosessuali, i carcerati, gli stranieri? Ci dimenticheremo di loro per correre dietro ai piccolo-borghesi?», domanda Thomas Ebermann, capogruppo dei verdi alla Dieta di Amburgo, preoccupato di perdere i contatti con i gruppi spontanei di protesta che fioriscono al di fuori della vita istituzionale. E anche i giovani estremisti «alternativi» delle grandi città non ne vogliono sapere di cercare i modi e le parole per attrarre «i fascisti della Cdu».

Ma non sono soltanto le grandi questioni ideologiche o le strategie elettorali a dividere i verdi. Si discute anche, e con ripercussioni che vanno al di là dell’area alternativa, di violenza e nonviolenza. Dove comincia l’una e finisce l’altra? Un sit-in davanti a una base Nato è già una forma di violenza?
Lukas Beckmann, 30 anni, deputato e tesoriere del partito, è stato appena condannato a pagare una multa di 500 marchi, a scelta all’erario o ad Amnesty International, per avere bruciato un missile di cartone davanti alla sede dell’Spd di Bonn. «Volevo far cambiare loro idea sugli euromissili», si è difeso. E per la verità, viste le ultime posizioni del partito di Willy Brandt su Cruise e Pershing 2, sembra esserci riuscito.

Lo stesso Beckmann due settimane fa, a una riunione del comitato che coordina le mainifestazioni pacifiste d’autunno, ha dichiarato: «Nonviolenza non vuol dire rispetto della legalità: non ci limiteremo a bloccare gli accessi alle basi americane in Germania, ci entreremo dentro». Quanti sono d’accordo?

All’inizio di agosto un deputato regionale verde dell’Assia, Frank Schwalba-Hoth (non si è ripresentato alle elezioni domenica scorsa, preferendo tornare alla propria professione di insegnante), ha spruzzato del sangue addosso a un generale americano durante un ricevimento ufficiale. «Ha offeso la dignità di un uomo», è stato il duro commento di Petra Kelly, ex collaboratrice di Martin Luther King e quindi nonviolenta integrale. «Orrendo», ha rincarato il suo compagno, l’ex generale ora pacifista Gert Bastian, che conserva ancora un certo rispetto per le divise nonostante sui giornali appaia sempre più frequentemente in foto mentre viene trascinato via di peso dai sit-in antimilitaristi. L’«azione del sangue» è stata però approvata da parecchi altri, comprsi gli stessi verdi dell’Assia.

Iniziatori del movimento per la pace, i verdi sin dalla loro nascita quattro anni fa vengono accusati di essere antiamericani. Una delle loro principali preoccupazioni è dimostrare il contrario: «Non ce l’abbiamo con gli americani, ma con tutti gli eserciti d’occupazione». Gandhiani convinti, hanno sostituito il vecchio «Yankee go home» con il gentilissimo «Soldato, lascia l’esercito e vieni con noi».

«Nessuna accondiscendenza verso slogan del tipo “Violenza contro i piedipiatti” in voga fra gli autonomi», assicura Hoplitschek, il capo dei verdi berlinesi. Ci tengono a ricordare che nel novembre ’81, quando l’allora leader sovietico Leonid Breznev andò a Bonn, gli organizzarono contro un corteo di ventimila persone. Per protestare contro il golpe del generale Wojciech Jaruzelski in Polonia si rifiutarono di partecipare a qualsiasi iniziativa assieme al Dkp, il partito comunista della Germania Ovest finanziato da Mosca. E anche dopo l’incidente del jumbo coreano (abbattuto dai sovietici il primo settembre, provocando la morte di 269 persone) non sono mancate le condanne.

«Non siamo fedeli all’Est o all’Ovest, ma al genere umano», sta scritto nel loro programma. Eppure, dice il deputato Joschka Fischer, «per me ogni negozio di McDonald’s rappresenta una garanzia che la vecchia Germania non rinascerà più. Ogni hamburger, anche se io li detesto e li trovo immangiabili, è un pezzo di libertà. Siamo tutti americani, e la nostra cultura democratica la dobbiamo agli Stati Uniti. Ma non all’America ufficiale: a quella degli anni Sessanta, dei diritti civili e della musica pop».

In giugno Petra Kelly (sempre più pallida e nervosa, ma affascinante quando investe le platee con la sua eloquenza ispirata e torrenziale) ha compiuto un lungo tour negli Stati Uniti invitata dal Freeze movement, l’organizzazione che propone di congelare gli arsenali atomici ai livelli attuali.

E a sottolineare la distanza dall’Unione Sovietica c’è l’atteggiamento che i verdi tengono nei confronti del dissenso tedesco orientale. Roland Jahn, espulso dal governo di Berlino Est per la colpa di avere organizzato un movimento pacifista indipendente, è stato «adottato» dai verdi. Da anni il cantautore Wolf Biermann, anch’egli dissidente esiliato dal rtegime di Erich Honecker, si esibisce durante le loro manifestazioni.

Divisi sul piano ideologico, impegnati a differenziarsi da un movimento pacifista ambiguo (anche il premio Nobel della letteratura Heinrich Böll ha controbattuto le accuse di filosovietismo e di pacifismo a senso unico: «Non mettiamo in pericolo la democrazia, la usiamo») e decisi a rompere uno dei tradizionali tabù della sinistra, l’antiamericanismo, i verdi hanno dovuto fare i conti anche con alcuni curiosi e imbarazzanti incidenti di percorso.

All’indomani delle elezioni del 6 marzo si viene a sapere che l’ultrasettantenne Werner Vogel, eletto nelle liste col simbolo del girasole, il quale si accingeva a presiedere la seduta inaugurale del Bundestag risultandone il decano, aveva trascorsi nazisti. Niente di gravissimo, in un paese dove perfino il passato del presidente della Repubblica Karl Carstens non è immacolato. Ma subito il vecchietto amante della natura è stato costretto a dimettersi.

In agosto poi c’è stato l’«affare del sesso». «Il verde che palpa le tette alle segretarie», ha titolato a tutta pagina con la sua solita eleganza la Bild Zeitung. E così finisce la carriera di deputato di Klaus Hecker, 53 anni, sposato con tre figli: «Sì, ho fatto qualche avance alle ragazze dello staff: mi sentivo tanto solo a Bonn d’estate...»
Il gruppo parlamentare lo invita a dimettersi. Un certo puritanesimo femminista imperante tra i verdi fa addirittura dichiarare a una deputatessa: «La lotta contro i missili e contro il potere maschilista è una cosa sola». In questo clima antifallico, Hecker viene paragonato a un Pershing e non gli rimane che fare le valigie.

Mauro Suttora

I verdi in Germania

"Né a sinistra né a destra: siamo avanti"
Come lavorano i verdi nel Parlamento tedesco

di Mauro Suttora
Europeo, 8 ottobre 1983




Willy Brandt, l'anziano presidente dei socialdemocratici tedeschi, ha pronosticato una durata di soli altri quattro anni per i verdi. L'impatto con il Parlamento in effetti è stato molto duro per un partito in cui mai nessuno ha fatto politica di professione: dilettantismo vuol dire freschezza e onestà, ma anche ingenuità e passi falsi. 
Per esempio, durante la campagna elettorale per le regionali del 25 settembre in Assia e a Brema, per ben due volte i verdi sono rimasti fuori dai dibattiti televisivi perché si ostinavano a mandare negli studi tv degli emeriti sconosciuti invece dei parlamentari uscenti, in omaggio ai propri principi di "democrazia di base" e di uguaglianza. 

Fautori della democrazia diretta, i verdi eletti nelle istituzioni sono sottoposti a vincolo di mandato e tengono periodicamente delle assemblee di consultazione con i propri elettori. Questo spesso tarpa le ali a iniziative personali delle personalità più brillanti: Petra Kelly e gli altri deputati che in maggio erano andati a protestare contro gli armamenti a Berlino Est, venendo arrestati ed espulsi, sono stati criticati non per l'azione in sé, ma perché non ne avevano parlato prima con la "base". Per i verdi infatti è importantissimo rispettare la volontà degli attivisti. 

Ormai sono in 120 a Bonn a lavorare a tempo pieno per i verdi: una cifra considerevole per un partito "alternativo" (i cugini radicali italiani non danno lavoro a più di 60 persone fra Roma e Bruxelles). Oltre ai deputati e allo staff di segreteria ci sono i 28 vicedeputati, pronti a subentrare nella carica fra un anno e mezzo, a metà legislatura, ma già adesso impegnati a tempo pieno. 

"Non siamo né a sinistra né a destra: siamo davanti", proclamavano i grünen prima delle elezioni del marzo scorso. Così nell'aula del Bundestag li hanno messi in centro, in fila per due. A parte l'elegante avvocato Otto Schily e l'ex generale Gert Bastian, sempre impeccabile, i deputati maschi hanno i capelli lunghi in media trenta centimetri. Abbigliati in salopette e sandali di sughero, sono l'immagine fedele del 5,6 per cento di tedeschi che li ha votati.
Mauro Suttora