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Sunday, November 15, 2020

Casaleggio jr: chi di segreto ferisce, di segreto perisce

di Mauro Suttora

Huffington Post,15 novembre 2020


Davide Casaleggio attacca i vertici grillini che nascondono i voti ottenuti dai trenta oratori ammessi a parlare nei loro ‘stati generali’.

Si tratta dell’unica occasione da anni in cui i ‘registrati’ al Movimento 5 stelle hanno potuto esprimere una preferenza fra i loro capi, e le diverse tendenze che rappresentano: Di Maio, Di Battista, Taverna, Fico. Importantissima, quindi.

È naturale allora volerne conoscerne i risultati, come peraltro avviene da 2.400 anni in democrazia: dopo le elezioni i voti si contano e il risultato viene annunciato.

Ma i grillini no. Loro sono diversi. Si ritengono più democratici degli altri. Quindi hanno inventato le votazioni con risultato segreto. Unico caso al mondo, conclavi a parte.

I fautori della non trasparenza così si giustificano: questa consultazione è servita solo per decidere a chi concedere il diritto di parola, fra i mille che si sono candidati. Non ha un significato politico, non vuole creare divisioni, non deve influenzare le vere elezioni del direttivo, che si terranno dopo gli stati generali. Un po’ gli stessi motivi per cui i sondaggi vengono vietati negli ultimi 15 giorni prima delle elezioni.

Non si capisce tuttavia in che modo sapere che l’uno ha preso x voti e l’altro y pregiudicherebbe il risultato finale. Si sussurra infatti che Di Battista (il preferito di Casaleggio) abbia ricevuto molti più voti di Di Maio. Ma questo potrebbe spingere gli iscritti sia a salire sul carro del vincitore, sia al contrario a contrastarlo, mobilitando gli avversari. 

I politologi li chiamano effetti ‘bandwagon’ e ‘diga’. I democristiani hanno governato per mezzo secolo l’Italia non tanto grazie a meriti propri, quanto per la paura che incutevano gli avversari comunisti.

Ma non pretendiamo che i grillini apprezzino tali finezze metodologiche. Quel che è sicuro, è che Casaleggio junior è l’ultimo titolato a protestare contro questa censura. Perché l’ha sempre praticata.

Anche nel 2014, infatti, le primarie grilline per le elezioni europee nascosero le preferenze ottenute dai candidati. Furono rivelati solo i nomi dei vincitori, per deciderne il posto in lista. E chi protestò venne espulso.

Chi di segreto ferisce, insomma, di segreto perisce. E la società Casaleggio ha sempre gestito il M5s con metodo proprietario, sospettoso fino alla paranoia. Chi dissente è subito dissidente.

Alle primarie per il sindaco di Milano nel 2016, per esempio, fra le pochissime a essere effettuate con voto fisico e non online, i Casaleggio padre e figlio rifiutarono perfino di consegnare gli elenchi degli iscritti. Cosicché ricordo che per sapere chi aveva diritto a votare, al povero Vito Crimi (allora, diversamente da oggi, fedele ai Casaleggio e anzi loro proconsole in Lombardia) toccò installare vicino all’urna dei computer in cui i votanti dovevano digitare la propria password per dimostrare che potevano accedere al blog di Grillo.

Tuttora, incredibilmente, il principale partito di governo italiano tiene segreti gli elenchi degli aderenti perfino ai suoi eletti più importanti. Neanche a Di Maio o Taverna, quando organizzano un evento a Pomigliano o a Roma, è permesso invitare tramite mail gli iscritti locali. I loro nomi sono custoditi gelosamente da Davide Casaleggio.

Ecco la battaglia che divamperà fra i grillini nelle prossime settimane e mesi: quella per il possesso della mailing list nazionale, con 180mila registrati. Preziosissima, in un movimento organizzato esclusivamente online. Difficilmente la società Casaleggio vi rinuncerà: nel marketing questi indirizzari valgono milioni. 

Il grottesco voto segreto di oggi, quasi nordcoreano, è solo l’antipasto delle contraddizioni che lacereranno i grillini: promettevano di essere i più democratici e trasparenti, ma oggi somigliano a Scientology. 

Friday, October 02, 2020

I grillini non esistono più, al nord hanno preso il 3%

CAOS M5S/ “Grillo resta il leader, il Pd pensa a Fico, il mistero è Di Maio”

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net

2 ottobre 2020 

Movimento 5 Stelle sempre più spaccato dopo la batosta elettorale: è rivolta contro Casaleggio. A contendersi la leadership saranno Di Maio, Di Battista, Fico o Taverna

Mentre il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha incontrato a Roma Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, il Movimento 5 Stelle dopo la batosta elettorale appare sempre più disorientato e spaccato. Ne abbiamo parlato con Mauro Suttora, giornalista e scrittore, attento al fenomeno-M5s fin dalla sua nascita, che ci ha confermato come il M5s di fatto non esista più: “Alle ultime elezioni ha preso il 7% a livello nazionale, il 3% al Nord. Contando gli astenuti, significa che hanno preso l’1,5%, in pratica non esiste più, anche se resta questo cadavere ambulante che è il gruppo parlamentare, che in Parlamento vale comunque sempre il 32%”. E aggiunge: sono quattro i big che possono aspirare a prendere la leadership di quello che resta: Di Maio, Di Battista, Taverna e Fico. 

Facciamo il punto sul M5s. Il Movimento è spaccato; chi ha in mano il pallino in questo momento? Grillo? Casaleggio? Di Maio attraverso Crimi?

Grillo è sempre quello che conta di più.

In che senso?

Nessuno oserà mai mettersi contro di lui, neanche Di Battista.

In realtà Grillo sembra piuttosto fuori dalla scena politica. In che modo è la figura più importante?

Basta pensare che un anno fa ha benedetto l’alleanza con il Pd e che ha detto di andare avanti così anche l’anno prossimo quando si voterà nelle quattro più importanti città italiane, Torino, Milano, Roma e Napoli. Al massimo si possono presentare separati al primo turno e allearsi al secondo.

Casaleggio invece?

Lo vedo male. Ha sbagliato a mandare il messaggio a tutti gli iscritti, si fa per dire, sarebbe meglio dire i registrati a Rousseau. Una mail tremenda in cui accusa decine di parlamentari di non pagare i 300 euro al mese alla Casaleggio e di essere indietro con le restituzioni dello stipendio, che poi su 12mila euro netti ne versano 1.700 al mese. E anche su quello molti sono indietro. In sostanza ha contro tutti i parlamentari.

Di Maio e Crimi?

Non vanno molto d’accordo. Crimi non esiste più, è scaduto il suo tempo.

Però è sempre in tv.

Perché formalmente è ancora il capo, doveva restare fino agli Stati generali, è stato miracolato dal coronavirus.

Quindi tra i due non c’è alcun legame?

No. E poi Crimi è irrilevante. Il problema sono Di Maio, Fico, Taverna e Di Battista, i quattro big.

Che non vanno d’accordo, giusto?

Giusto, però ci sono aspetti trasversali. Di Battista è movimentista, per cui è contro l’alleanza con il Pd; anche la Taverna è movimentista amata dalla base. In teoria sarebbe contraria al Pd, però sta buona perché fedelissima di Grillo. In sostanza è alleata con i governisti di Di Maio.

Ecco, Di Maio: è solo soletto?

No, ha tutti i governisti e i parlamentari, non si sa quanti, non si sa neanche quanta base ha. Non è mai stata fatta una votazione in cui ci fosse il gradimento per Di Maio da quella volta che fu votato capo politico. E poi c’è tutta la classe intermedia che è importante.

Sarebbe?

Tutti i consiglieri e assessori comunali e regionali, che saranno almeno un migliaio. Se i parlamentari si stanno emancipando da Casaleggio, questa fascia intermedia ha protestato perché i parlamentari hanno fatto la riunione congiunta una settimana fa per prendere in mano il Movimento. Giustamente hanno imposto a Crimi di dire ai giornali che faranno una riunione anche loro. Essendo il M5s un movimento che non ha mai avuto un concetto democratico di dialogo e discussione interna, è difficile  riuscire a trovare un accordo; sono abituati da dieci anni a prendere ordini da Casaleggio padre e figlio.

Articolisti e retroscenisti scrivono di una intesa crescente tra Zingaretti e Di Maio. Ti risulta? Con quali prospettive? 

Fico, che comanda l’ala di sinistra, è felicissimo di questa intesa, il Pd lo porta in braccio per candidarlo a sindaco di Napoli.

Di Maio riprenderà il controllo politico di M5s?

Potrebbe anche darsi: in nome delle poltrone e degli stipendi. Se fossi un eletto grillino starei con lui per rimanere appiccicato allo stipendio. Ma la cosa più importante è che dopo le elezioni regionali il bluff si è svelato.

Cioè?

Non esistono più, hanno preso il 7% a livello nazionale, il 3% al Nord, contando gli astenuti hanno preso l’1,5%. In pratica non esistono più, resta questo cadavere ambulante che è il gruppo parlamentare, che vale sempre il 32% dei seggi.

Conte oggi come viene percepito dai grillini?

In privato lo insultano, lo chiamano un democristiano arrivista che non c’entra niente con il Movimento, però sono costretti a difenderlo in pubblico per difendere il governo e quindi per difendere loro stessi.

I 5 Stelle diranno sì al Mes così come hanno aperto a modifiche al reddito di cittadinanza?

Diranno di sì a tutto, già si sapeva, chiedevano solo di aspettare le regionali per non perdere altri voti.

Conte e Di Maio come possono dare rassicurazioni a Pompeo sul 5G e simpatizzare con la Cina? Come stanno le cose?

Intanto Di Maio e Conte devono aspettare chi vince in America alle presidenziali, poi troveranno un modo. Come galleggiano loro non glielo insegna nessuno, sono come la vecchia Democrazia Cristiana. Peccato che il Recovery Fund non arriverà fino a chissà quando e che nel frattempo l’economia vada a rotoli.

Paolo Vites

 

Saturday, September 19, 2020

Il comizio di Dibba in Puglia

 “Non saranno le regionali a far cadere Conte, ma lo spread. Se però cade la Toscana, tutto cambia”

intervista a Mauro Suttora

 Il Sussidiario, 19 settembre 2020

di Federico Ferraù

Di Battista e i dissidenti M5s faranno perdere Emiliano ma non faranno cadere Conte. Se però il Pd perde la Toscana, tutto cambia.

Ora Dibba sostiene Laricchia, la candidata grillina alla presidenza della Puglia che ha detto no a qualsiasi tipo di accordo con Emiliano. Quando Alessandro Di Battista, anima inquieta di un M5s sempre più diviso, ha detto che sarebbe sceso in piazza per la chiusura della campagna elettorale, ci è voluto poco a tirare le somme e a dire che era un’operazione contro il governo. Cioè contro Conte. 

Cosa accadrebbe se il governatore uscente, Michele Emiliano, piddino di tessera ma pentastellato su molti temi di lotta e di governo, fosse sconfitto, regalando la regione del premier Conte a Raffaele Fitto (FdI)? 

In un colpo solo, Di Battista prova così a sfilare al Pd i voti che gli servono per vincere, e a prenotare – se si faranno gli stati generali – la leadership del Movimento agonizzante. Poco importa se i “governisti”, nel frattempo, saranno finiti da un’altra parte, magari nel futuribile partito di Conte. 

Mauro Suttora, giornalista prima all’Europeo poi a Oggi, già corrispondente dall’estero per varie testate, è da sempre attento osservatore dei 5 Stelle. 

“Alessandro Di Battista si dimostra molto furbo, ma non gli basterà” dice al Sussidiario

Quanto all’esito del voto e alle sorti del governo, “è meglio aspettare lunedì. Dopo, chissà. Potremmo scoprire improvvisamente che la realtà abita da un’altra parte”.

Alessandro Di Battista potrebbe davvero mettere a rischio Emiliano e la sopravvivenza del governo?

Di Battista ha scritto su Facebook, presentando il comizio di ieri sera: 'Non chiedetemi di chinare la testa, abbiate il coraggio di tagliarmela'. Ecco, un politico che dice una cosa così, la testa l’ha già persa. Se questo è tutto quello che riescono a dire i movimentisti M5s contro i governisti, siamo a posto.

Ma la Puglia?

Emiliano sulla carta poteva anche vincere, soltanto che con i grillini che fanno una lista per proprio conto (quella di Antonella Laricchia, ndr) e i renziani che fanno lo stesso con Scalfarotto, perderà. Ringrazi entrambi.

Le ripercussioni di una sconfitta in Puglia potrebbero essere così drammatiche per il governo?

Secondo me nel Pd stanno già metabolizzando la perdita della Puglia. Potremmo assistere a un 4-2 per il centrodestra. In questo caso al governo non succederà nulla e Zingaretti potrà sempre dire di avere mantenuto la Toscana e la Campania. Se invece il Pd perdesse in Toscana, il disastro sarebbe totale e tutti gli scenari sarebbero aperti.

I Cinquestelle al governo temono o no un’iniziativa come quella di Di Battista?

Certo che la temono. Siamo al redde rationem. È evidente che nello stesso partito non può esserci un “Che Guevara” come Di Battista e due perfetti democristiani come Di Maio e Conte. Diciamo che Di Battista è stato molto furbo a fare questa uscita prima della botta che prevedibilmente arriverà lunedì.

Perché?

Perché così non può essere accusato di speculare sul disastro. E nemmeno di non aver fatto campagna elettorale. Con una sola uscita, la più importante, avrà dato l’impressione di aver messo in moto un po’ di cose. 

Con quali prospettive?

Che Emiliano vinca o perda, a lui non importa nulla: continuerà con la Lezzi e la Laricchia a fare i duri e puri, quelli che “Emiliano e Fitto sono la stessa cosa”. Però, nel complesso Di Battista e chi la pensa come lui si è molto indebolito.

Grazie a Di Maio? 

Anche. Di Maio ha sfilato loro la Taverna, stella femminile del Movimento barricadiero che poteva contrapporsi a Chiara Appendino. Fino a 5-6 mesi fa, se non fosse arrivato il Covid e se avessero fatto gli stati generali, Di Battista si sarebbe candidato come capo unico e avrebbe stravinto. 

Nonostante Casaleggio muova a suo piacimento i voti di Rousseau?

Casaleggio oggi è molto più debole. Dopo la lettera che ha mandato ai morosi, è quella la vera frattura: tutti i parlamentari, sia movimentisti che governisti, contro l’esoso Casaleggio.

Quale sarà il programma di Di Battista e di chi la pensa come lui?

No euro, no Tav, no Mes, no tutto.

E come tener buona quella base ormai scontenta di chi si è insediato nel palazzo?

Di Maio vanterà lo storico risultato del taglio dei parlamentari: abbiamo vinto il referendum, abbiamo ridotto i costi della politica, avanti, miei prodi… Così finiscono tutti i movimenti, a cominciare da quello di Mussolini, no? Faranno con Di Battista come hanno fatto con Fico e Taverna, imbalsamandoli in cariche istituzionali.

Basterà il Sì al referendum per salvare M5s?

No. Lo spartiacque, lunedì sera, sarà il 10%. Al Nord i 5 Stelle non ci arriveranno. A quel punto bisognerà vedere come vanno in Campania e Puglia, dove vengono dal 40% delle politiche e dal 30% delle europee. Ora sono al 20%. La media potrebbe compensare le perdite al Nord, consentendo loro di restare a due cifre e dire che hanno tenuto, eccetera.

Non potrebbe essere Conte a salvarli? Dopotutto i 5 Stelle sono il suo partito.

Conte si è dimostrato campione mondiale di trasformismo, passando in due giorni da Salvini a Zingaretti. Bisognerà vedere se il M5s gli serve ancora oppure no. In quest'ultimo caso, non sarà mai stato grillino. Anche il Pd vota sì al taglio dei parlamentari…

Le tue previsioni per lunedì sera? 

Non non sono in grado di farne, è il bello della politica. È come andare al casinò. Per il Pd lo spartiacque è il 20%. Però se ottiene il 21% e perde la Toscana, va male lo stesso. La Toscana è decisiva.

Secondo te è realmente contendibile?

Sì, perché la Ceccardi è più sveglia della Borgonzoni e soprattutto il candidato Pd (Giani, ndr) è solo un’ombra di Bonaccini.

Quali sono le sorti del governo Conte 2?

Dipende dal mondo reale, che non è quello di cui abbiamo parlato finora. Basta che lo spread salga di 100 punti e per Conte tutto si complica. A quel punto c’è solo Draghi.

Federico Ferraù 

Thursday, July 02, 2020

Di Maio, il colpo di grazia alla politica estera italiana

Fiumi di propaganda a parte, il simpatico ministro ha un grande argomento dalla sua parte: non si uccide un uomo morto. La nostra politica estera già da tempo non esisteva più

Mauro Suttora

Huffington Post, 2 luglio 2020

articolo su HuffPost 

Vent’anni fa D’Alema ministro degli Esteri e i suoi accoliti furono definiti, per il loro penchant verso il business, “l’unica merchant bank al mondo che non parla inglese”. Ci risiamo. Tempi duri per gli angloglotti alla Farnesina. Dopo l’ineffabile Angelino Alfano, ministro nel governo Gentiloni (2017), ecco Giggino tanta buona volontà.

“Si è eccitato molto la prima volta che è andato a Londra come candidato premier M5S e poi a Harvard, negli Stati Uniti”, sibila un grillino che  conosce bene Luigi Di Maio, “volare in aereo lo rende euforico. Ha capito che la sua dimensione è quella. Altro che Pomigliano”.

Se l’era vista brutta nel maggio 2018, quando alla poltrona degli Esteri mirava Alessandro Di Battista. Ma allora i grillini non si erano ancora montati la testa, e Ale manco osò proporsi durante le trattative per il Governo gialloverde. 
Alla fine Mattarella impose Moavero, addirittura dalla gerla Monti. Uno agli antipodi del sovranismo grilloleghista, e infatti per Moavero fu una bella vacanza di un anno.

Prima missione di Di Maio al Governo: a Fiumicino per lo sputtanamento dell’Air Force Renzi, video in coppia con Toninelli. Due anni dopo l’aereo è sempre in quell’hangar.
Di Maio ricomincia a volare, perché vicepremier significa tutto e niente, ma di Sviluppo economico c’è bisogno ovunque. Al primo viaggio in Cina mostra orgoglioso il “bijetto di classe economica, perché noi non siamo come loro”. 
Poi chiama Xi “mister Ping”. Quello sussulta, perdona lo scugnizzo, e avanti con la via della Seta, Italia avanguardia d’Europa per la gioia degli Usa. 
Con Di Battista va a Parigi a solidarizzare con i gilet gialli, per la gioia di Macron. Poi è l’unico politico in Europa a non riconoscere presidente il capo dissidente venezuelano Guaidò.

Dieci mesi fa arriva il ribaltone, per Di Maio salta la poltrona di vicepremier visto il crollo alle Europee. La consolazione di lusso è la Farnesina. Ci sta pure lo scuorno per Di Battista. Le feluche ingoiano, dopo la Mogherini sono avvezzi a tutto.

Il debutto è all’annuale Assemblea generale Onu a New York. Di Maio ha un ritmo di lavoro teutonico, ogni giorno incontra omologhi e il suo staff, sapientemente guidato all’ambasciatore Sequi, sforna una valanga di comunicati. Quello più frequente, sempre uguale da dieci mesi, è sulla Libia. Dice così: “Il ministro Di Maio esprime la volontà di rafforzare il lavoro per fermare gli scontri e rilanciare il processo politico, allentare le tensioni e raggiungere un cessate il fuoco duraturo, nel pieno rispetto dell’embargo Onu e con l’identificazione di garanzie economiche e di sicurezza idonee a ricostruire la fiducia tra le parti libiche”.

Lo ripete a tutti, da dieci mesi. Nel frattempo c’è stata una guerra, l’Eni ha bloccato pompaggio ed export di petrolio, il generale Haftar è avanzato e si è ritirato che neanche Rommel, mercenari russi combattono militanti Isis, la Turchia si è ripresa la Libia cent’anni dopo averla persa con l’Italia e ci sta cacciando dai pozzi petroliferi del Mediterraneo.

Gli attivisti 5 stelle sono fermi alle invettive contro la Francia, che invece la guerra la sta perdendo assieme alla sua Total, e Di Maio è prigioniero dei loro luoghi comuni.
Secondo fallimento: Giulio Regeni. Salto triplo per il povero Giggino, massacrato sui social grillini per avere pure venduto due fregate all’Egitto che ci prende in giro. “La decisione politica non c’è ancora”, balbetta. Lo sa che l’accordo con Al Sisi prevede anche 24 aerei Eurofighter?

A febbraio è andato a Ciampino ad accogliere gli italiani rimpatriati da Wuhan. “Siamo i migliori al mondo contro il virus”, si è vantato come sempre. Dopo pochi giorni è scoppiata l’epidemia pure in Italia.
Due mesi dopo è tornato a Ciampino per accogliere Silvia Romano, la ragazza liberata dai terroristi islamici. Speravano di convincerla durante il volo a levarsi il chador. La sventurata ha tenuto duro. Risultato: 100mila voti in più per la Lega. Non è che Di Maio è anche un po’ sfortunato?
  
Prima del lockdown è tornato in Cina. Questa volta ha regalato a Xi Jinping una maglietta azzurra della nazionale. Poi i rapporti si sono un po’ guastati perché l’Italia ha chiuso i voli causa virus. Sono tornati buoni quando Di Maio ha fatto la claque alle mascherine inviate dai gerarchi cinesi. E adesso, figurarsi se emetterà uno dei suoi innumerevoli post per criticare la repressione a Hong Kong.

Appena finito il picco della pandemia ha ripreso a volare. Prima ha preteso “rispetto” dagli Stati riluttanti a riaprirci le frontiere. Come comprensibilmente ha fatto la Grecia, 190 morti contro i nostri 34mila, posponendo il via libera al 1 luglio almeno per i lombardi. Di Maio è piombato ad Atene il 9 giugno e ha emesso il solito comunicato di vittoria: “Ho ottenuto l’apertura il 1 luglio”.

Fiumi di propaganda a parte, il simpatico Di Maio ha un grande argomento dalla sua parte: non si uccide un uomo morto. Lui sta solo dando il colpo di grazia a una politica estera italiana che già da tempo non esisteva più.

Quanto all’antropologia, aveva già previsto tutto in un carme del 2013 la poetessa Paola Taverna, oggi vicepresidente del Senato,che ben conosce i suoi polli grillini:

“Che meraviglia sei diventato senatore (ministro)
E mo’ te senti er più gran signore
Lasci interviste e fai er politico sapiente
Pe me e pe’ troppi ancora sei poco più de gnente
Te guardo incredula seduto proprio accanto
E penso che non sai qual gran rimpianto
De quelli che vicino me stavano ai banchetti
E senza dubbio alcuno capivano i concetti
Proponi accordi strani e vedi prospettive
Mentre io guardo ste merde e genero invettive
So io quella sbagliata che ha perso er movimento?
O te come bandiera ora giri insieme al vento
E invece de grida’ ‘Annate tutti a casa’
Te inventi le cazzate, ma questa è n’antra cosa”.
Mauro Suttora

Saturday, February 08, 2020

Grillini appiccicati alle poltrone


Regionali al centrodestra e governo Franceschini

8 febbraio 2020

intervista a Mauro Suttora

Il governo resta dov’è, almeno fino alle regionali. E se nelle urne qualcosa dovesse cambiare, il futuro si chiamerebbe Dario Franceschini, “capo delegazione” Pd al governo, in realtà un perfetto Dc, proprio come Conte, dice al Sussidiario il giornalista Mauro Suttora. 
Per M5s, che resisterà fino a che ci saranno eletti e portaborse, si prefigura un duumvirato Di Maio-Taverna. Solo un 6 a 0 alle regionali potrebbe cambiare davvero la partita; in quel caso, anche Mattarella dovrebbe rassegnarsi a sciogliere le Camere.

Dopo Salvini, è toccato alla Meloni andare negli States in cerca di sostegno politico. Le sorti del centrodestra dipendono da una nuova vittoria di Trump?

No, Trump non c’entra nulla. Dipendono purtroppo da Di Maio e Taverna: se i 5 Stelle si spappolano e il governo cade, potrebbe toccare al centrodestra. Ma poi, chi ha detto che si vota?

A fugare ogni dubbio ci ha pensato Repubblica. “Avviso del Quirinale: non ci sono altre maggioranze nella legislatura”.

Il centrosinistra sa di dover tenere in piedi questa maggioranza a qualsiasi costo. Anche Renzi e i 5 Stelle lo sanno. Certo, se alle regionali di maggio e giugno ci fosse una disfatta totale sia di M5s che del Pd, è evidente che l’attuale assetto non terrebbe più.

E se si ripete su scala maggiore il risultato dell’Emilia-Romagna?

Se il Pd tiene, attestandosi al 20%, e M5s crolla dal 32 al 3%, con il centrodestra che perde di misura, a quel punto Conte cade e nasce il governo Franceschini.

Come si mettono le cose in casa 5 Stelle?

Secondo me M5s continuerà ad avere se va bene il 15% nazionale, una media tra il 5% al Nord e al massimo il 20% al Sud. Ma c’è un fatto nuovo, passato quasi del tutto inosservato.

Non il fantasma di una scissione, non il 6% di cui sarebbe accreditato un partito di Paragone e Di Battista?

No. Domenica scorsa all’Hotel Ramada di Napoli si è avuto un colpo di scena, perché la base vera di M5s è stata interpellata per la prima volta. C’erano 400 attivisti e il 90 per cento di loro hanno detto no a un’alleanza con il Pd alle prossime regionali in Campania. Un’assemblea vera, fisica, per nulla virtuale, fatta di persone che prendono lo stipendio grazie ai posti ottenuti da M5s in Comuni, Regioni, Camera e Senato. Senza Rousseau la differenza c’è e si sente.

Dunque si va verso uno scontro aperto tra base e governativi filo-Pd?

Sì, ma in realtà sono tutti governativi, perché sanno che questo governo è la loro ultima occasione per avere uno stipendio. I duecento deputati e i cento senatori hanno tutti uno o due portaborse, è un grande gruppo di pressione che lotta per la propria sopravvivenza. Se arriva Di Battista a dire “Venite con me all’opposizione”, lo spernacchiano come hanno fatto con Grillo a Napoli la settimana scorsa.

Pronti a mandar giù di tutto?

Sì. Accetteranno qualsiasi cosa pur di continuare la legislatura e rimanere al governo. Anche un governo Franceschini a guida Pd, dopo la prevedibile batosta alle prossime regionali.

E accetterebbero di fare i comprimari?

Ciò che possono fare al massimo è indorare la pillola. Questo non esclude che ci saranno regolamenti di conti interni.

Chi vedremo in lizza per la leadership?

L’alternativa sarà tra Di Maio e Taverna. Tutti e due sono furbi e sanno bene che non possono governare il partito contro l’altra parte. Probabilmente faranno un duumvirato.

Renzi, Bonafede, Zingaretti, Conte: chi vince la partita sulla prescrizione?

Quelli che stanno zitti: i veri democristiani come Franceschini. Renzi fa rumore, ma finché i sondaggi lo inchiodano a percentuali irrisorie non può rischiare di andare alle urne perché verrebbe spazzato via. Lo stesso vale per Di Maio e Conte.

Uno dei maggiori pericoli per ciò che resta di M5s non viene proprio da Conte e dal suo progetto di fare un partito di sinistra-centro?

Conte non prenderebbe un voto né dagli attivisti né dagli elettori grillini. Se si presenta da solo fa la fine di Renzi.

Il governo è paralizzato su tutti i dossier, in più sul 5G ha stretto un patto con la Cina che non piace agli Usa. Come può essere ancora in piedi?

Conte è come Franceschini, è un democristiano di quattro cotte, un affabulatore bravissimo a barcamenarsi. Però sul 5G l’Italia deve assolutamente chinare la testa e lo farà. È anche vero che la Cina è in difficoltà e se non riesce rapidamente a trovare una cura per il coronavirus, si aprono scenari da colpo di Stato. A quel punto Huawei e la Via della Seta diventerebbero l’ultimo dei problemi.

Intanto, ammesso che le regionali possano cambiare il quadro politico, nei palazzi ci si attrezza in vista del 2022.
Come andrà a finire?

Non possiamo saperlo. Vista la rapidità con cui cambia oggi la politica, quei calcoli hanno la stessa affidabilità delle previsioni del tempo. Se Liguria e Veneto restano al centrodestra, tutto si gioca sulle restanti 4 Regioni: Marche, Toscana, Puglia e Campania.

E davanti a un 6-0?

Anche Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere. La soluzione intermedia, più probabile, è quella del cambio di premier: Franceschini al posto di Conte con un governo più spostato sul Pd e sostenuto dalla stessa maggioranza di adesso.

Federico Ferraù

Tuesday, December 25, 2018

Grillini, soavemente totalitari

di Mauro Suttora

25 dicembre 2018

Ha ragione Paolo Mieli: è ridicolo dire che i grillini sono simili ai fascisti (nati per coincidenza cent'anni fa proprio qui a Milano, in piazza San Sepolcro) 
I grillini sono soavemente totalitari. Perché assolutamente convinti, con la buona fede dei tonti, di rappresentare gli interessi di TUTTI i cittadini.
Ovvero del cosiddetto 'popolo'.
Paradossalmente, è la negazione delle classi ("non siamo né di destra né di sinistra") a renderli pericolosi.
I comunisti hanno causato decine di milioni di morti in nome del conflitto di classe.
I grillini causano invece disastri negando lo stesso conflitto.
Loro incarnano la volontà generale (Rousseau). Non c'è posto, non è concepibile un'altra volontà. Un'altra verità.
La sindaca Raggi che sorride blaterando "Noi facciamo gli interessi dei scittadini" è in realtà un'inconsapevole fatina nazicomunista.
Il terrunciello democristiano tecnicamente perfetto che urla megalomane "Abbiamo sconfitto la povertà" non è politico. Aveva ragione Paola Taverna, i grillini non sono politici.
Sono religiosi, ma la loro è la crociata dei bambini che finiscono annegati in mare, in fila dietro lo zufolo del grillo parlante che li guida.
Si battono per il bene del 'popolo'. Un unico popolo, senza interessi, idee, valori diversi fra loro.
Non sospettano che dentro al loro adorato 'popolo' esistano differenze: ricchi/poveri, garantiti/precari, lavoratori dipendenti/autonomi. O nel campo delle idee statalisti/liberisti, ecologisti/sviluppisti, garantisti/forcaioli, tradizionalisti/libertari.
No, per loro c'è una massa indistinta.
Quindi disprezzano la funzione del politico: diventa inutile cercare una mediazione, trovare un compromesso.
A dirimere ogni questione ci pensa la democrazia diretta. Referendum, sì/no. Eliminata la "intermediazione parassitaria" di politici e giornalisti.

I grillini dicono di voler essere "compatti come una testuggine". Il che, da Sparta alle falangi macedoni alle SS, promette disgrazie.
Mai un dibattito, un confronto, un votazione, una maggioranza e una minoranza fra loro. 
Cianciano e promettono democrazia ma non sanno cos'è, non la praticano fra loro.
La compattezza proibisce deviazioni e correnti (Stalin), emargina il diverso, espelle il dissidente, terrorizza l'indisciplinato.
Come nelle sette. La sede dei grillini non dovrebbe essere a Milano quella della società privata Casaleggio dietro via Montenapoleone (20mila € al mq), ma il palazzo Scientology in viale Fulvio Testi.
Totalitari e totalizzanti, i grillini parlano e si frequentano solo fra loro, sono endogamici, online bannano i dubbiosi, la loro vita privata cambia quando entrano nel movimento.
Finalmente trovano amici e amanti, basta solitudine, si sentono importanti, ecco un senso, uno scopo.
Chiunque partecipi a una loro riunione avverte immediatamente quel fetore dolciastro a metà fra alcolisti anonimi e convento, caserma e oratorio, asilo infantile e psichiatrico.
Entusiasti e conformisti, aspettano il Verbo dal Blog, senza frusta si smarriscono, e lo dice la parola stessa: sono un movimento, quindi se non si muovono perennemente cadono su se stessi. Come le bici da ferme.
Mauro Suttora

Tuesday, March 20, 2018

Silenziati i parlamentari grillini

DI MAIO METTE IL VETO SU ROMANI, MA SI RIPRENDE IL SENATORE CHE PAGA 7 EURO D'AFFITTO 

di Mauro Suttora

Libero, 20 marzo 2018

Primo giorno di scuola ieri per i 338 parlamentari grillini a Roma. Le Camere hanno aperto le registrazioni, e loro sono andati a farsi la foto ufficiale e ritirare i tesserini. Disciplinati come scolaretti, ubbidiscono all’ordine della Casaleggio srl: nessuna dichiarazione agli odiati giornalisti. Parlamentari che non parlano. E costretti a ingoiare anche le nomine preconfezionate dei loro dirigenti da parte della ditta milanese.

Sono stati già decisi, infatti, i venti fortunati (fra presidenti, vicepresidenti, segretari e tesorieri) che comporranno i direttivi dei gruppi parlamentari. Prima ruotavano ogni tre mesi, in omaggio alla democrazia diretta. Ora rimarranno imbullonati alle loro poltrone per un anno e mezzo, non più eletti dalla base ma nominati dall’alto dal cerchietto magico di Di Maio. 
Neanche il Pci stalinista era così verticista e antidemocratico, ai gruppi parlamentari lasciava una certa autonomia.
     
L’unico a violare l’obbligo del silenzio (esteso anche ai social) è il senatore Nicola Morra, rimasto capo dei movimentisti dopo la sottomissione a Di Maio di Roberto Fico e Paola Taverna. Con un tweet ha silurato la candidatura del leghista Roberto Calderoli a presidente del Senato: “Anche lui ha problemi con i 52 milioni di Belsito”. Morra dà voce ai tanti grillini, soprattutto meridionali, contrari alla luna di miele con la Lega. E non gli dispiace mettere un bastone fra le ruote dei dimaiani.

Un altro a cui l’onnipotente Rocco Casalino, capo dell’ufficio stampa grillino, concede libertà di esprimersi è Fabio Massimo Castaldo. Ma il vicepresidente grillino dell’Europarlamento, nel tentativo di accreditarsi come forza responsabile ed europeista dopo gli attacchi di Macron e Merkel contro gli “estremisti” italiani, in realtà peggiora la situazione.

Castaldo infatti ribadisce di volere “superare il fiscal compact, archiviando la stagione dell’austerità”. 
Promette di sfasciare i conti: “Serve una spesa pubblica che generi posti di lavoro. Il debito è uno strumento, non il fine. Inutile appellarsi agli zero virgola”. 
Sui migranti, “la riforma del regolamento di Dublino deve includere anche quelli economici”.

E la Russia? 
“Le sanzioni non hanno ottenuto alcun risultato. È una potenza globale da cui dipende la nostra sicurezza energetica”. 
E pazienza se avvelena dissidenti a Londra: “L’unica via è il dialogo con Putin”.

Ma la spallata più grossa al Di Maio in versione democristiana arriva da Beppe Grillo. Il fondatore del movimento lo avverte: “No agli inciuci. Dobbiamo rovesciare gli schemi, cambiare il modo di pensare. Non assisterete a una mutazione genetica del movimento. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa, a patto che si affermino le nostre idee. L’Europa è indifendibile, ormai l’epicentro di tutto sono Russia e Cina. Io non mollo, terrò gli occhi aperti su tutto. Anche su di noi. Governare non è dividere le poltrone”.

Dopo aver letto questa intervista incendiaria a Di Maio ieri mattina si è guastato l’umore. Poi si è ripreso, ed è andato a palazzo Madama per cercare di galvanizzare i suoi neosenatori: “Noi abbiamo il sorriso stampato sulla faccia, e con quello li facciamo impazzire tutti. Sono gli altri che si agitano”.

Dopo la girandola di deludenti telefonate di domenica agli altri leader, cerca di autoconvincersi: “Per il governo, credo che abbiamo ottime possibilità. Sono molto fiducioso, perché una forza politica delle nostre dimensioni è difficile metterla nell’angolo”.

Per ora, dall’angolo è stato lui a tirar fuori Emanuele Dessì, il corpulento senatore laziale cacciato dal M5s dopo aver scoperto che paga 7 euro al mese di affitto e che era amico del clan Spada: riammesso nel movimento. Così come le furbette del bonifico, la romagnola Giulia Sarti e la pugliese Barbara Lezzi. Nessuna pietà invece per Paolo Romani, il forzista candidato presidente del Senato: crocefisso per il telefonino imprestato alla figlia.

Mauro Suttora


Thursday, June 22, 2017

Dibba diventa papà



Il deputato 5 stelle sta per diventare padre: sigarette bandite in casa per la gravidanza della compagna. E quando fanno la spesa lei è attenta a riciclare. Quanto alla politica, lui medita di non ricandidarsi

Oggi, 22 giugno 2017

di Mauro Suttora

Alessandro Di Battista, il deputato grillino più popolare, è così entusiasta di diventare padre che medita di lasciare la politica. Almeno per un po’. La sua compagna Sahra Lahouasnia, di origini franco-algerine, partorirà un maschietto (pare) a metà ottobre, e lui non sta nella pelle.

Dibba (come lo chiamano i suoi sostenitori) accarezza l’idea di dedicarsi a suo figlio a tempo pieno, e quindi di non ricandidarsi alle elezioni politiche che si terranno all’inizio del 2018.

Sicuramente non passerà l’estate in moto, come fece l’anno scorso quando girò l’Italia tenendo comizi in spiaggia. Allora non si era ancora messo con Sahra.
Di Battista è il mattatore del Movimento 5 stelle. Bello, simpatico, estroverso, è neutrale fra i grillini “governativi” di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio e quelli “di lotta” di Paola Taverna.

Tuesday, April 11, 2017

Totogrillini

Chi potrebbero essere i ministri di un governo grillino. Declina Di Maio, in ascesa Davigo. Quanto a Taverna, Di Battista e Lombardi…

di Mauro Suttora

Libero, 9 aprile 2017

In calo le quotazioni di Luigi Di Maio come candidato premier grillino, dopo il convegno di ieri a Ivrea. Per quanto stimato sia da Davide Casaleggio sia da Beppe Grillo, i due capi del Movimento 5 stelle si rendono conto che l'enfant prodige di Pomigliano (Napoli) a 30 anni è ancora troppo giovane e inesperto per sostenere un peso simile.

Inoltre molti nel M5S storcono il naso di fronte alla malcelata ambizione del ragazzo. Non è ben visto l'eccessivo attivismo del suo principale collaboratore: Vincenzo Spadafora, ex mastelliano (portaborse del presidente campano Andrea Losco), poi con Pecoraro Scanio e Rutelli, infine nominato Garante per l'Infanzia dall'allora ministro Mara Carfagna e dai presidenti delle Camere Fini e Schifani.

Di Maio condivide con Spadafora l'origine geografica e la scarsa propensione agli studi: entrambi non laureati, gli otto esami in cinque anni da fuoricorso rappresentano una piccola zavorra per il vicepresidente della Camera.

Per questo Grillo e Casaleggio sperano in Piercamillo Davigo: sarebbe perfetto come candidato premier 5 stelle. Ma il magistrato non vuole bruciarsi prima delle elezioni: chiede che il suo nome venga fatto solo se e quando il presidente Sergio Mattarella affiderà l'incarico dopo un'eventuale vittoria grillina.

Davigo ritroverà Antonio Di Pietro, che molti 5 stelle avrebbero voluto candidare sindaco di Milano l'anno scorso, era a Ivrea, ha mantenuto buoni rapporti con la società Casaleggio che gli curava il sito web, e fu appoggiato da Grillo alle Europee 2009, con indicazione di voto per Luigi De Magistris e Sonia Alfano: Interni o Giustizia per Tonino.

Altri tre magistrati sono papabili: Nicola Gratteri (bocciato da Napolitano per il governo Renzi), Sebastiano Ardita (messinese, coautore con Davigo del libro 'Giustizialisti', ha fatto una buona impressione a Ivrea), e soprattutto il palermitano Nino Di Matteo.

Finora i grillini hanno avuto rapporti disastrosi con gli intellettuali fiancheggiatori: da Becchi a Pallante, da Di Cori Modigliani a Scienza, tutti quelli una volta valorizzati dal blog di Grillo si sono allontanati per il clima da setta che si è instaurato nel movimento.

Gli unici due a resistere sono Massimo Fini (che ha avuto l'onore di chiudere i lavori ieri) e Aldo Giannuli. Avrebbero dovuto scrivere un libro sulla democrazia diretta con Casaleggio senior se le sue condizioni di salute non lo avessero impedito.

Ma Fini è un anarchico, per lui al massimo potrebbe esserci un seggio da senatore se i grillini ripristineranno la tradizione comunista degli "indipendenti di sinistra" da candidare per chiara fama, senza passare dalle forche caudine delle primarie. Giannuli invece può andare a Interni o Difesa. Il sociologo Domenico De Masi è simpatico ma ingovernabile.

I candidati interni sono tutti deboli. Di Battista e Paola Taverna, i più amati dalla base, sono animali da comizio ma inadatti alla vita istituzionale. Il primo vorrebbe gli Esteri o gli Interni, ma al massimo lo soddisferanno con una onorifica vicepresidenza del Consiglio. La Taverna, ex impiegata in un centro diagnostico, può andare alla Sanità.

Gli unici con la gravitas necessaria per un dicastero, anche per ragioni d'età, sono Nicola Morra (Istruzione), Carla Ruocco (Sviluppo economico) e Roberta Lombardi (Interni). Ma, come Roberto Fico, sono della corrente 'talebana', duramente osteggiata da Di Maio. Toninelli ambisce alle Riforme, il putiniano Di Stefano agli Esteri, Vito Crimi e Barbara Lezzi a qualsiasi cosa li riportino in auge. Ma la società Casaleggio li vede come personaggi un po' troppo folcloristici. E Carlo Freccero non è abbastanza affidabile.

Insomma, i grillini rischiano di replicare a livello nazionale il disastro Roma: per mancanza di competenze interne, finire in mano a furbacchioni dell'ultima ora come Raffaele Marra, ex braccio destro della sindaca Raggi, in carcere da quattro mesi.
Mauro Suttora





Saturday, April 08, 2017

Capo San Raffaele: da bersaglio a eroe grillino

di Mauro Suttora

Lettera43, aprile 2017

Nicola Bedin: wonderboy di Pordenone, bocconiano da 110 e lode, studi in Usa, apprendistato a Mediobanca, a soli 28 anni già issato dal compianto Giuseppe Rotelli sulla poltrona di amministratore delegato del suo impero ospedaliero privato San Donato. Da cinque anni guida anche il San Raffaele, rilevato dai Rotelli per 400 milioni dopo le traversie di Don Verzé.

Qui però un inciampo: nel giugno 2015 la procura di Milano chiude le indagini per una presunta maxitruffa da 28 milioni ai danni del servizio sanitario nazionale. Bedin risulta indagato con il direttore sanitario del San Raffaele e sei primari (fra cui Alberto Zangrillo, famoso come medico personale di Silvio Berlusconi), perché sarebbero stati incassati irregolarmente rimborsi su ben 4mila interventi.
Da allora - e sono ormai passati quasi due anni - tutto tace: né incriminazione né proscioglimento per i dirigenti del San Raffaele.

Ma questo non frena i parlamentari del Movimento 5 stelle dal lanciarsi in un attacco frontale contro Bedin: in un'interrogazione Giulia Grillo (ministra della Sanità in pectore di un eventuale governo grillino) e Paola Taverna (candidata sottosegretaria) chiedono addirittura alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin di "sciogliere il consiglio d'amministrazione del San Raffaele e interdire gli indagati".

Chissà cosa pensano oggi la Grillo (nessuna parentela con Beppe), la Taverna nonché Silvana Carcano (che nel 2013, da capogruppo 5 stelle in regione Lombardia, lottò a fianco dei lavoratori del San Raffaele contro la nuova proprietà), scoprendo che il tanto detestato Nicola Bedin è stato invitato come relatore al convegno che Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, organizza sabato 8 aprile in memoria del fondatore del M5S morto un anno fa.

A Ivrea l'ospite d'onore Bedin, "managing director" del San Raffaele, disquisirà di sanità. Dopo che per anni i poveri parlamentari grillini si erano sgolati contro le "speculazioni" degli ospedali privati, e a favore della sanità pubblica. Contrordine compagni. Finché si trattava di scaldare le piazze, andava bene la demagogia dei Di Battista e Di Maio. Ma quando si sente profumo di governo, inversione a U: entrano in campo i cervelloni di Casaleggio junior. E per gli attivisti non c'è più posto ai convegni del suo Think tank, che li ha esautorati.
Mauro Suttora

Wednesday, March 29, 2017

La Raggi in vacanza a sciare

di Mauro Suttora

Oggi, 29 marzo 2017

Nell’hotel Emmy di Fié allo Sciliar (Bolzano), dove hanno trascorso cinque giorni, avevano una suite con due stanze. Quindi niente autorizza a dire che si siano rimessi insieme. Ma queste foto che pubblichiamo in esclusiva dimostrano che fra la sindaca di Roma Virginia Raggi e il suo marito separato Andrea Severini (regista a Radio Dimensione Suono) è tornato il bel tempo.
Sarà per il bene del figlio, sarà perché lui l’ha sempre difesa in questi mesi tribolati, ma la coppia sembra aver ritrovato l’affiatamento.

E di calma la Raggi ha proprio bisogno. Nei giorni drammatici dopo l’arresto del suo braccio destro Raffaele Marra (in carcere da tre mesi e mezzo) e le rivelazioni sulle polizze assicurative da 30mila euro intestatele dal dirigente grillino Salvatore Romeo, Virginia aveva avuto un crollo nervoso ed era finita in ospedale.

Inquisita per tre reati, non si è dimessa

Si mormorava anche di una relazione con l’uno o con l’altro, vista la testardaggine con cui lei li difendeva dalle critiche del suo stesso Movimento 5 stelle.

E invece niente: con Marra la Raggi condivide soltanto due avvisi di garanzia (abuso d’ufficio e falso in atto pubblico) per avere promosso il fratello di Marra alla guida della direzione Turismo.

Con Romeo invece la sindaca è indagata per un terzo reato (abuso d’ufficio), dopo averlo nominato capo della sua segreteria triplicandogli lo stipendio, da 40 a 110mila euro annui.
Ma lei nega di aver saputo che Romeo le avesse intestato le tre polizze. E grazie a un cambio delle regole del suo movimento, non deve più dimettersi.

No alle olimpiadi, sì allo stadio

In questi nove mesi le decisioni più importanti prese dalla Raggi sono state il no alle Olimpiadi 2024 e il sì alla costruzione di un nuovo stadio di calcio per la Roma.

Altre vicende burrascose hanno fatto allontanare dal governo grillino una dozzina fra assessori e dirigenti. Cosicché la Raggi è vista più come un peso che come un aiuto in vista del prossimo voto politico nazionale: «Prima cade, meglio è», disse la senatrice 5 stelle Paola Taverna già nel luglio 2016.

Le ‘Iene’ accusano: “Firme irregolari”

Neanche fra le nevi, tuttavia, la povera sindaca ha trovato pace. È stata inseguita da un inviato del programma tv Le Iene (Italia 1), che le ha chiesto conto di irregolarità scoperte sulle firme raccolte per presentare la sua candidatura l’anno scorso: un modulo postdatato con un migliaio di sottoscrizioni raccolte successivamente, e autenticatori insufficienti.

Le Iene hanno già fatto passare i guai ai grillini palermitani, svelando firme false e facendone inquisire 14 di loro (fra cui tre deputati, sospesi dal M5s).

La Raggi ha scaricato ogni responsabilità sui due avvocati grillini incaricati della raccolta firme.
Ma molti sostenitori del movimento la sostengono, accusando i giornalisti di essere troppo severi con lei.

Mauro Suttora

Tuesday, January 10, 2017

I liberali non vogliono Grillo



MENTRE IL COMICO SVACANZA IN KENYA CON BRIATORE, I SUOI ADEPTI COMBINANO PASTICCI ALL'EUROPARLAMENTO

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 10 gennaio 2017

Come messaggio di Natale aveva propinato ai suoi adepti un Elogio della povertà anticonsumista dello scrittore Goffredo Parise. Salvo poi volare in Kenya, come ogni Capodanno, nel resort di lusso dove passa le vacanze con la moglie Parvin. 

Ma la lontananza dall’Italia non ha impedito a Beppe Grillo di fare notizia ogni giorno. Prima proponendo un’improbabile Corte popolare che dovrebbe processare i giornalisti. Accusati tutti, senza eccezioni, di dire bugie sul suo Movimento 5 Stelle, diventato ormai il secondo partito del Paese. Enrico Mentana, direttore del Tg7, annuncia querela e lui fa marcia indietro.

Subito dopo, dietrofront anche sugli indagati. Finora i grillini si scagliavano contro qualsiasi politico ricevesse un avviso di garanzia: «Dimissioni!». Se capitava a uno di loro, lo usavano per regolare conti interni: salvi i fedelissimi, condannati i dissidenti come il sindaco di Parma Federico Pizzarotti.

Ora che si profila un avviso anche per la tribolata sindaca di Roma Virginia Raggi (è ancora in carcere il suo braccio destro Raffaele Marra), contrordine: «Dimettersi non è più obbligatorio, valuteremo caso per caso». 

I grillini si sono evoluti da forcaioli a garantisti? Macché: «Non cambia nulla!», assicurano loro. Anzi: ora verranno giudicati direttamente da Grillo, che nelle faccende interne è capriccioso come un satrapo mesopotamico. E nulla di buono attende la povera Raggi: «T'appendemo per le orecchie ai fili de li panni», promette la bellicosa sorella della senatrice Paola Taverna.

Ultima giravolta: l’Europa. Di colpo la società Casaleggio organizza un voto on line, senza preavviso, sul passaggio dei 17 eurodeputati grillini dal gruppo più antieuropeista (dell’inglese Farage) a quello più europeista: i liberali. All’insaputa degli stessi eurodeputati. Votano sì appena 31 mila sui 130 mila iscritti. E alla fine la beffa: i liberali non li vogliono.

«Trasformista come Razzi e Scilipoti»

«Un trasformismo così non si vedeva dai tempi di Depretis, o del Mussolini passato dal socialismo al fascismo. O di Razzi e Scilipoti», commentano gli ex grillini epurati.

Ma al simpatico comico poco importa. L’importante è fare notizia. Ci riesce anche stando al caldo di Malindi, nell’appartamento in un resort di lusso acquistato qualche anno fa e intestato, pare, alla cognata. Quest’anno niente foto con Briatore. Ma Beppe ha sofferto lo stesso. Perché lui in realtà detesta l’aereo, in Costa Smeralda ci va sempre in moto con il traghetto. Vola in Kenya solo per amore di Parvin.
Mauro Suttora


Saturday, December 24, 2016

Politici non laureati

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 24 dicembre 2016

Probabilmente Valeria Fedeli sarà una brava ministra dell’Istruzione, perché ha l’esperienza più preziosa per quel posto: è una sindacalista, quindi andrà d’accordo con il turbolento mondo dei professori. Non è laureata, ma è finita nei guai per non averlo detto, più che per non averlo fatto. Aveva spacciato come dottorato un corso triennale di assistenti sociali. In più ora si scopre che non ha neanche la maturità: i suoi tre anni di scuola magistrale non gliel’hanno fatta raggiungere.

Ma la simpatica signora bergamasca si trova in folta e ottima compagnia. La metà dei capi dei quattro principali partiti italiani, infatti, non ha la laurea: Beppe Grillo è ragioniere, Matteo Salvini ha la maturità classica. Così come illustri premier del passato: Bettino Craxi si iscrisse a ben tre università (Milano, Perugia, Urbino) senza cavare un ragno dal buco e facendo arrabbiare suo padre; Massimo D’Alema fu ammesso alla prestigiosa Normale di Pisa ma anche lui abbandonò gli studi per la politica a tempo pieno.

La precoce attività di partito ha amputato anche gli studi di Walter Veltroni (diploma di una scuola professionale per la cinematografia), del presidente del Pd Matteo Orfini (pochi esami di archeologia) e di tre ministri colleghi della Fedeli: alla Sanità Beatrice Lorenzin, 50/60 alla maturità classica, al Lavoro l’agrotecnico Giuliano Poletti, e alla Giustizia Andrea Orlando, liceo classico.

Francesco Rutelli si è da poco reiscritto a 62 anni ad Architettura: gli mancano due esami e la tesi, «mi laureo come voleva mio padre». Anche la senatrice grillina Paola Taverna vuole recuperare: si è iscritta a Scienze politiche. Esigenza non condivisa da Umberto Bossi, che per anni fece finta di andare all’università di Medicina a Milano, mentre in realtà andava ad attaccare manifesti della Lega Nord. 
A Giorgia Meloni basta il diploma di liceo linguistico, a Maurizio Gasparri il liceo classico, e anche Francesco Storace non è laureato. Così come il suo successore alla presidenza della regione Lazio, Nicola Zingaretti (Pd, fratello dell’attore Luca), e l’assessore Lidia Ravera, scrittrice.

Michela Vittoria Brambilla ha portato a casa molti randagi, ma solo qualche esame di filosofia. Sempre nel centrodestra, anche l’ex sottosegretaria Michaela Biancofiore si è accontentata del diploma magistrale. Hanno agguantato una laurea triennale Stefania Prestigiacomo a 40 anni nel 2006 (Scienza dell’amministrazione alla Lumsa, Libera università Maria Santissima Assunta), Gianni Alemanno a 46 (Ingegneria dell’ambiente a Perugia), Alessandra Mussolini a 32 (Medicina).

Ma il record della laurea attempata va agli ex ministri Claudio Scajola, Legge a Genova a 53 anni, e Mario Baccini, 110 e lode in Lettere a 52 anni alla Lumsa con tesi su Amintore Fanfani.

Daniela Santanchè, dottore in Scienze politiche a Torino a 26 anni, è scivolata su un «master» alla Bocconi che esibiva sul sito ufficiale del governo: in realtà era un corso serale di 24 giorni per diplomati con licenza media inferiore. Peggio di lei è capitato al giornalista Oscar Giannino, che si è ritirato dalla politica per aver millantato lauree in Legge ed Economia e Master a Chicago. Anche l’ex Fratello d’Italia Guido Crosetto ha sbandierato una finta laurea in Economia.

Marco Pannella si laureò in legge a 25 anni (come Silvio Berlusconi), ma per farlo nel ’55 dovette emigrare da Roma a Urbino e sfangò un 66 grazie a una tesi sul Concordato scritta da amici. La sua collega radicale Emma Bonino invece è bocconiana come Mario Monti e Corrado Passera. Ma è stata una delle ultime a laurearsi nel corso in Lingue straniere, soppresso nel 1972.

Gianfranco Fini ha una laurea in Pedagogia ottenuta a 23 anni con pieni voti a Roma, ma senza frequentare le lezioni: nel 1975 i neofascisti del Msi venivano picchiati se osavano mostrarsi a Magistero, feudo dell’ultrasinistra. Non sono laureati i grillini Luigi Di Maio (otto esami in cinque anni fra Ingegneria e Legge) e Vito Crimi (fuoricorso in Matematica).
Mauro Suttora

Wednesday, October 05, 2016

Ci mancava il grillino militarista

Massimo Colomban, grillino felice sugli aerei da guerra Usa

Oggi, 5 ottobre 2016

di Mauro Suttora



Chissà cosa penseranno gli attivisti grillini, pacifisti e contrari agli aerei militari F35, di queste foto che ritraggono Massimo Colomban, 67 anni, felice alla guida di un velivolo della base nucleare Usa di Aviano (Pordenone) nel 2014.

Il nuovo assessore 5 stelle a Roma non fa mistero della propria passione militarista, tanto da farsi nominare “Comandante onorario” della base e di andare fino a Ramstein (la base Usa in Germania) per volare con i piloti statunitensi. Hobby legittimo, ma agli antipodi del credo antimilitarista e nonviolento dei 5 stelle. O stellette?



Nessuno avrebbe immaginato quattro mesi più disastrosi per il debutto dei grillini al governo di Roma. Tanto più imbarazzante, la performance di Virginia Raggi, se paragonata a quella di Chiara Appendino, sindaca 5 stelle a Torino. 

Una ventina di dirigenti dimessi o fatti dimettere, fra assessori e capi di gabinetto. Bugie di Raggi e Luigi Di Maio per un mese sull’assessore Paola Muraro indagata. Tutte le parlamentari M5s romane (Lombardi, Taverna, Ruocco) contro la sindaca. Risultato: paralisi e deficit di un miliardo.

Unica decisione presa: no alle Olimpiadi 2024. Che però potrebbero risorgere se la giunta Raggi cadesse entro la fine dell’anno. Ipotesi non più improbabile. Anche i Fratelli musulmani in Egitto nel 2012 furono cacciati a furor di popolo dopo soli sei mesi, per incompetenza.

La bella sindaca è sempre più magra e sull’orlo di una crisi di nervi. Insulta i giornalisti, si fa imporre assessori improbabili dal figlio di Gianroberto Casaleggio, succeduto al padre alla guida della società che da Milano gestisce il M5s. I suoi l’hanno già abbandonata: «Decide lei, le nostre sono ormai strade parallele». 
Più decisa Paola Taverna: «Prima cade meglio è».
Beppe Grillo ha vietato ai suoi parlamentari di commentare il disastro Roma. Ma la censura non diminuisce l’imbarazzo.
Mauro Suttora