Friday, January 24, 2025

Cari complottisti, la verità su JFK sarà molto più noiosa delle vostre fantasie. E voi non crederete nemmeno a quella

Trump toglie il segreto alle carte sugli assassini dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King. I cospirazionisti di tutto il mondo dovrebbero essere soddisfatti, qualunque cosa emerga. Ma non sarà così

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it ,24 gennaio 2025 

Sono insaziabili. Neanche leggere le ultime migliaia di documenti segreti sull'assassinio di John Kennedy li soddisferà. I complottisti continueranno a sospettare che ci sia qualcos'altro dietro. Un fotogramma dimostrerà la presenza di una canna di fucile in lontananza, e chi l'ha detto che Jack Ruby che sparò a Lee Oswald che sparò a Kennedy sia morto veramente di tumore solo tre anni dopo? Dove sono i referti? Ooops, che coincidenza, direbbe Red Ronnie-Crozza.

Donald Trump ha ordinato la desecretazione di ogni file sull'omicidio più famoso del XX secolo, e anche sulle morti nel 1968 di Robert Kennedy e di Martin Luther King. Benissimo. Peccato che sia la seconda volta che lo fa. La prima, durante l'altro suo mandato, ci riuscì solo parzialmente. Cia e Fbi si opposero alla declassificazione totale in nome della sicurezza nazionale. E Trump dovette chinare la testa: "In alcuni casi l'interesse alla riservatezza supera quello alla pubblicità", ammise, in un raro momento di arrendevolezza. 

Ce la farà, questa volta? Lo ha promesso in campagna elettorale a Robert Kennedy junior, per fargli ritirare la candidatura a presidente. Poi lo ha nominato ministro della sanità. Su quella mentale di Rfk il giovane non giureremmo. Lui ovviamente è convinto che ad ammazzare lo zio sia stata la Cia. 

È in buona compagnia. Decine di milioni di statunitensi sono sicuri che la verità sui tre omicidi eccellenti degli anni '60 non sia stata ancora trovata. E fra questi, milioni sono straconvinti che oltre alla colpa (indagini slabbrate, piste non seguite) ci sia stato anche il dolo: una verità così tremenda - Cia e Fbi colpevoli - da dover rimanere nascosta. 

In inglese la parola 'complottismo' si traduce 'cospirazionismo'. La definizione è nata nel 1941, quando non pochi sospettarono che Franklyn Roosevelt sapesse in anticipo dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, utile per sconfiggere pacifisti e isolazionisti e far entrare gli Usa in guerra. 

Ma il trionfo degli scettici è arrivato solo nel 1963, dopo l'uccisione di Jfk. Da allora il concetto di 'deep state' ha fatto fortuna. Più fra i fascistoidi che fra i comunisti: lo 'stato profondo' che con i suoi tentacoli nascosti governa il Paese eliminando i politici  devianti dai loro turpi voleri è infatti una definizione più inquietante di quella marxista. I complottisti di estrema sinistra almeno hanno sempre dato un nome ai poteri forti che dominano gli Usa: Wall Street, corporations, finanza, banche, capitalismo, multinazionali, big pharma, complesso militare-industriale, neoliberismo. 

Nello stralunato mondo dell'estrema destra invece si fluttua fra massoni, pedofili, rettiliani, ebrei, Soros, Bill Gates. La fantasia degli adepti del gruppo trumpiano Qanon è debordante, ottima per la sceneggiatura di film, disperante per chi cercasse un contatto con la realtà. L'unica convergenza fra mattacchioni di estrema destra ed estrema sinistra è il binomio diabolico Cia-Fbi. Come per le teorie sull'11 settembre. 

È ormai passato un terzo di secolo dal film Jfk di Oliver Stone (1991), affascinante sequela di dubbi che trascinano inevitabilmente al "noncelacontanogiusta". Nuove generazioni di imbecilli si sono aggiunte agli analfabeti di ritorno che "ci ragionano sopra", "uniscono i puntini", "a me non la fai". 

Ai nostri autoctoni grillini si sono via via aggiunti novax, putinisti, propal, trumpiani, lepeniani, voxiani, faragiani, neonazi tedeschi di AfD. Un vorticoso carosello di sprovveduti che a volte vincono le elezioni, e quando poi il loro capo mette la testa a posto causa contatto con la realtà si deprimono, si intristiscono ma infine indomiti reagiscono: "Ovvio, i poteri forti sono così forti che lui/lei ha dovuto adeguarsi. Se no l'avrebbero ucciso/a. Proprio com'è capitato a Jfk".

Perché gli assiomi dei complottisti sono a prova di bomba. E anche di documento. Quindi, dopo la definitiva operazione trasparenza ordinata da Trump, se anche dovesse emergere un'inconfutabile estraneità del duo Cia-Fbi nella morte dei due Kennedy e di Mlk, i cospirazionisti rimarranno tali. Come sempre incolperanno "loro". Loro chi? "Ma è ovvio: le élites cosmopolite, la mafia, i mondialisti, i servizi segreti deviati, i media asserviti", ci risponderanno, sorridenti per la nostra dabbenaggine credulona. La nostra.

Thursday, January 23, 2025

Lobby o advocacy? Per fare digerire il Green Deal l'Europa spende un miliardo

Per la consapevolezza ecologica, diranno soddisfatti a sinistra. Per farci inghiottire il rospo, ringhiano furibondi a destra

di Mauro Suttora

www.huffingtonpost.it, 23 gennaio 2025

Il quotidiano olandese De Telegraaf rivela che la Commissione Ue ha dato 700mila euro all'Eeb (European environmental bureau) per fare lobbying verde presso gli eurodeputati. Esisterebbero contratti 'segreti' firmati dall'ex commissario Ue all'ambiente, Frans Timmermans.

In realtà i finanziamenti sono molti di più, ma tutti alla luce del sole. Da una ventina d'anni infatti si sono moltiplicate le spese Ue per l'ambiente. Nessun problema finché si tratta di interventi concreti: costruire depuratori o argini di fiumi, bonificare terreni inquinati, gestire oasi naturalistiche. Un po' più complicato lo status di altri finanziamenti che possono essere definiti 'autolobbying', o più crudamente propaganda.

L'Eeb è un coordinamento di 180 associazioni ambientaliste di 40 Paesi. Otto sono italiane. Le più grandi sono Legambiente e Pro Natura. Gli altri sono piccoli gruppi: Cielo buio (contro l'eccessiva illuminazione notturna), Cittadini per l'aria, Free rivers, Genitori antismog, Società speleologica italiana e, dall'anno scorso, Green impact. Mancano Wwf, Greenpeace, Italia nostra.

Ebbene, il bilancio di questo Ufficio europeo per l'ambiente è di 7,6 milioni annui (dati 2023), dei quali due milioni versati dalla Ue. Si tratta quindi di un ente anfibio, un po' ufficiale (e infatti è inserito nel sito web della Commissione), un po' espressione delle ong. Ha un'ottantina di dipendenti, i cui salari costano cinque milioni annui. Le associazioni versano solo 336mila euro. Il resto del bilancio è coperto  oltre che dalla Ue, da ministeri per l'ambiente di Paesi europei nordici e da fondazioni private. Fra queste, per la gioia dei complottisti, la Open society di George Soros (al quarto posto nella classifica dei donatori) e Bloomberg.

Ma cosa fa esattamente l'Eeb? "Ci battiamo per far avanzare le politiche di protezione dell'ambiente", spiegano loro stessi. Lobby? Certo, infatti la sede è a Bruxelles, vicino all'Europarlamento. Legittima? Come no, anzi benemerita, per chi ha a cuore la miriade delle campagne ecologiste e animaliste. Un po' meno per le destre europee, che infatti hanno amplificato lo scoop del Telegraaf mettendo nel mirino i "finanziamenti pubblici occulti all'ideologia green". 

La parola chiave è 'advocacy'. Se si traduce in italiano con l'inoffensivo 'patrocinio', è comprensibile che la Ue, come tutti gli enti pubblici (stati, regioni, comuni), lo conceda destinando anche qualche soldo a manifestazioni, convegni e studi per le cause più disparate. Ma se significa lotta, promozione o propaganda (in una parola: lobby), è fatale che chi ha idee diverse si irriti per l'uso di danaro pubblico. E ancora peggio se i fondi sono concessi dalla Commissione Ue per influenzare il Parlamento Ue: due bracci della stessa istituzione che cercano di influenzarsi a spese degli ignari cittadini.

Un esempio concreto. Fra i programmi Eeb finanziati dalla Ue c'è il Dear (Development education e awareness raising: aumento di sensibilizzazione ed educazione allo sviluppo). Uno dei suoi trenta progetti, Change of climate, è costato dieci milioni in tre anni e mezzo ed è stato coordinato dall'ente italiano WeWorld e dall'università di Bologna. È servito a "far comprendere a studenti e opinione pubblica il collegamento fra crisi climatica e immigrazione": ovvero, gli abitanti di zone del Terzo mondo colpite da eventi estremi che diventano 'rifugiati ambientali'. 

Tema controverso, soprattutto per gli elettori del centrodestra che gridano all'indottrinamento. Immaginiamo il putiferio se programmi simili fossero organizzati non indirettamente dalla Ue sotto sigle astruse, ma da un qualsiasi ministero o assessorato italiano.

Bene, moltiplicate per cento i progetti simili finanziati parzialmente o totalmente ogni anno dalla Commissione europea con le sue varie sigle Horizon, Life, NextGen, e si raggiunge facilmente la cifra di un miliardo. Per la consapevolezza ecologica, diranno soddisfatti a sinistra. Per farci inghiottire il Green deal, ringhiano furibondi a destra

Monday, January 20, 2025

Presidente Grasso, la P2 è una cartuccia bagnata



















L’ex presidente del Senato critica legittimamente la separazione delle carriere ma, quando lo fa perché la voleva Licio Gelli, usa un argomento liso e deludente

di Mauro Suttora

20 gennaio 2025 

Caro presidente Pietro Grasso, lei ci delude. Oggi sulla prima pagina de La Stampa critica la separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e giudicanti, appena approvata dalla Camera. “Incubo di gelliana memoria”, la definisce già nelle prime righe. Non ci aspettavamo questa insinuazione da parte sua. 

Per il resto, lei ha ottimamente argomentato - come sempre - contro la riforma, spiegando perché a suo avviso è “ipocrita, costosa e inutile”. Ma proprio per questo il fugace accenno a Licio Gelli appare sovrabbondante. Ci possono essere tante ragioni per non separare pm e giudici. L’unica non potabile è quella che rimanda al capo della loggia P2. Perché il suo minuscolo aggettivo "gelliana" apre appunto scenari da incubo.

Non è detto che gli under 40 ricordino bene cosa fu lo scandalo di quel pezzo di massoneria deviata che si era impadronita di gangli vitali del Paese: capi delle forze armate, dei servizi segreti, di politica, informazione, economia. Da Silvio Berlusconi a Maurizio Costanzo, dalla Rizzoli al Sisde, dall’avvelenato Michele Sindona all’impiccato Roberto Calvi. Ringraziamo tuttora i pm Giuliano Turone e Gherardo Colombo che scoprirono il verminaio nel 1981.

Ma, appunto, sono passati 44 anni. E rivangare ancora, dopo quasi mezzo secolo, uno dei tanti punti del programma politico golpista della P2 - la separazione delle carriere - equivale a sparare con cartucce bagnate. Quando proprio non si hanno altri argomenti, allora di solito si tira fuori la P2. 

Caro presidente, la ricordiamo benevolmente divertito dieci anni fa mentre ascoltava paziente e paterno le invettive grilline, in particolare quelle della discola Paola Taverna contro Berlusconi. Ecco, non vorremmo che appena doppiati gli 80 anni (auguri in ritardo) anche a lei capiti di adottare una tantum qualche modalità della propaganda grillina.

Certo, l'archeologia sembra essere il passatempo prediletto di alcuni magistrati (inquirenti), soprattutto dalle parti di Firenze. Cosa c'è di più avvincente di una trattativa stato-mafia, seppure avvenuta 33 anni fa? Soltanto scoprire chi uccise John Kennedy, probabilmente. Non sappiamo se alcuni reati siano imprescrittibili, ma si potrebbe utilmente indagare anche su Salvatore Giuliano, o sul padre di Claretta sospettato di avere addirittura ammazzato un papa.

Insomma, ci perdoni, ma utilizzare ancora i complotti massonici nel dibattito politico ci pare degno più di un cospirazionista da social che di un impeccabile ex presidente del Senato. Anche perché il rapporto causa-effetto risulta improbabile: in fondo Hitler era vegetariano e amava i cani, ma ciò non getta disdoro sugli attuali vegani e cinofili. Il famoso rapporto teleologico, ci insegnarono a giurisprudenza. A meno di non iscrivere d'ufficio a una molto postuma P2 perfino Marco Pannella e Antonio Di Pietro, favorevoli alla separazione delle carriere.

Con immutata stima, presidente. 

Monday, January 13, 2025

Oliviero Toscani (1942-2025). Altro che influencer, un artista con l'orrore della banalità

Le sue campagne pubblicitarie erano arte e impegno politico, il suo connubio con Benetton un successo mondiale. Parlava in dialetto ma poi girava il pianeta a fotografare e raccogliere premi. Da genuino cosmopolita, detestava i sovranisti. Da figlio del popolo, non sopportava i populisti. Ogni tanto scivolava in una dichiarazione non meditata, preso dall'abituale foga

di Mauro Suttora 

Huffingtonpost.it, 13 gennaio 2025

Non si faceva pagare poco. Ma quella volta lo fece quasi gratis. Trent'anni fa, nel febbraio 1995, Oliviero Toscani venne per l'ultima volta nella redazione dell'Europeo, in via Rizzoli a Milano. Il settimanale stava per chiudere dopo mezzo secolo, per scellerata decisione di qualche burocrate editoriale. E lui, che ci amava, fece posare tutti noi giornalisti per una foto di gruppo.

Era all'apice del successo. Cinquantenne, da 15 anni dominus delle campagne pubblicitarie più belle del mondo: quelle Benetton. Erano così creative, sorprendenti, rivoluzionarie, che quasi il marchio spariva e tutti dicevano: "Ecco l'ultimo lavoro di Toscani". Naturalmente non era così, e il furbo patron Luciano lo sapeva. La sua multinazionale dei maglioni colorati risplendeva ancora di più, grazie al genio di Oliviero. Ormai il prodotto si era separato dalla sua immagine, il significato dal significante, come dicono i semiologi. 

La rivista Colors, venduta solo nei negozi Benetton e diretta da Toscani, parlava di tutto tranne che di abbigliamento: razzismo, Aids, violenza, eguaglianza, libertà, giustizia, anoressia. Messaggi universali sui quali il mecenate di Treviso dava carta bianca al suo artista rinascimentale. Ricoprivano i muri del pianeta, e non si sapeva bene se fosse pubblicità, arte, politica, cultura. 

Oliviero era la manna di noi giornalisti. Se entravi nel suo cono di simpatia era sempre disponibile, gli potevi telefonare a qualsiasi ora e chiedergli un parere su qualsiasi argomento. E lui, come Sgarbi o Pannella, Cossiga o Busi, ti regalava al volo una pepita di originalità spiazzante con cui confezionare il titolo dell'articolo.

Dylaniamente forever young, nessuno si era accorto, per lui come per Gianni Morandi, che fosse arrivato agli 80. Era milanesissimo e benevolmente bauscia, una specie di René Vallanzasca perbene, facciotuttoio, energia da dinamo senza bisogno di coca. Parlava in dialetto ma poi girava il pianeta a fotografare e raccogliere premi. Da genuino cosmopolita, detestava i sovranisti. Da figlio del popolo, non sopportava i populisti. 

Andò negli Stati Uniti per ritrarre i condannati a morte in attesa dell'esecuzione. Poi i parenti di alcuni di loro lo denunciarono perché dissero di ignorare che quella fosse una campagna pubblicitaria. In realtà ignoravano che Toscani ignorava il confine fra pubblicità e impegno politico. Ma Benetton dovette chiudere centinaia di negozi per colpa sua, e questo causò la prima rottura nel 2000.

Candidato radicale due volte alle politiche, assessore alla creatività di Sgarbi sindaco in un paese siciliano, ma anche - per tutti gli anni '70, prima della svolta impegnata - fotografo di moda per Elle, Vogue, e rastrellatore di Palme d'oro ai festival della pubblicità di Cannes. 

Ogni tanto scivolava in una dichiarazione non meditata, preso dall'abituale foga. Come nel 2020, quando riuscì a dire "A chi importa che un ponte [Morandi] cada?". Poi si scusò, ma Benetton dovette cacciarlo per la seconda e ultima volta. Tante le cause per diffamazione. Vinta quella contro i veneti, definiti "popolo di ubriaconi atavici", e la Chiesa ("sembra un club sadomaso"). Perse quelle contro Salvini e Gasparri, "insultati gratuitamente". 

Suo padre Fedele, fotografo del Corriere della Sera, è autore di una foto diventata statua: quella di Indro Montanelli seduto mentre scrive a macchina, collocata nei giardini milanesi di piazza Cavour e periodicamente imbrattata con vernice da attivisti per cause varie. Sanno che a Toscani senior si devono anche le immagini più atroci di Mussolini appeso a piazzale Loreto? 

Al Toscani junior il giornalismo è rimasto nelle vene. L'attualità diventa materia prima per i suoi messaggi di advertising, tanto che per lui viene coniata la definizione shockvertising. Va a studiare fotografia e grafica alla scuola delle arti di Zurigo dal 1960 al '65. Tornerà nella città svizzera per ritirare una delle sue lauree honoris causa. Poi eccolo a New York, vincendo un concorso fotografico. Lì comincia a lavorare per Pan Am e Harper's Bazaar. Ma ritrae anche gli afroamericani e l'ambiente scatenato dei club di Manhattan negli anni della liberazione sessuale. Nel 1970 entra nella Factory di Andy Warhol. 

In Italia comincia da cornetti Algida e vestiti confezionati Facis. Poi l'esplosione dei jeans con la scritta "Chi mi ama mi segua". Il bacio di una suora a un prete. E un catalogo infinito di clienti.

Una delle ultime mostre, un anno fa allo scalo Farini Milano, l'ha dedicata alla cacca: "L'unica cosa che l'uomo fa senza copiare gli altri. Non c'è niente di più personale. E ogni volta è un'opera d'arte". Espone foto di escrementi umani e di scimpanzé, mucche, giraffe, iene, maiali, leoni, anatre, pesci rossi, pitoni, bufali, tigri e grilli scattate per la rivista Colors nel 1998 ma rimaste inedite.

Oliviero Toscani aveva orrore della banalità. Forse anche per questo è morto di amiloidosi, malattia rara.