Wednesday, November 06, 2002

Bush vince il voto midterm

COSA FARA' ORA BUSH

di Mauro Suttora

Il Foglio, 6 novembre 2002

"La vittoria di George W.Bush ha un precedente: quella di John Kennedy alle elezioni di midterm esattamente quarant'anni fa, nel 1962, quando i democratici guadagnarono quattro senatori": l'ardito accostamento Bush-Kennedy (due mondi agli antipodi) è di Michael Barone, rispettato commentatore di Fox Channel, Wall Street Journal e del settimanale Us News & World Report.

Trent Lott, repubblicano del Mississippi, tornerà a essere il capo della maggoranza al Senato già dalla prossima settimana, con l'ultima sessione del Congresso uscente. Il suo motto: "Let's roll", balliamo, il grido di guerra degli eroici passeggeri del volo sulla Pennsylvania che neutralizzarono i terroristi, e della conseguente canzone patriottica di Neil Young.

Ma non c'è strafottenza, in realtà: i repubblicani hanno imparato la lezione della meteora Newt Gingrich che brillò due soli anni, dopo la vittoria del 1994. In fondo 49 senatori su cento restano sempre democratici, possono ancora fare ostruzionismo, e fra i cittadini gli astenuti sono stati la maggioranza assoluta, con il 60 per cento. Il presidente George W. Bush ha assaporato la vittoria in silenzio, telefonando con grande stile anche ai neoletti democratici per congratularsi.

I due temi predominanti resteranno l'economia e la sicurezza nazionale. Priorità assoluta all'imbrigliamento della spesa pubblica, che permetterà di rendere permanenti e irreversibili i colossali tagli di tasse da 1.350 miliardi di dollari in dieci anni promessi da Bush, e di spingersi perfino oltre (nuove riduzioni sui capital gains e detrazioni più ampie per gli investimenti).

Il piano energetico, attualmente in stallo, verrà ripreso in mano assieme al controverso via libera per le estrazioni di petrolio in Alaska. Ma su questo i democratici minacciano il filibustering. Nessun problema, invece, per gli incentivi alle industrie sugli investimenti anti-inquinamento e in risparmio energetico. Vedrà la luce un nuovo ministero, quello della sicurezza nazionale. Quanto alla Difesa, il bilancio 2003 è stato appena approvato e non sono previste novità.

I democratici non potranno più bloccare la riforma del welfare, con la creazione di un fondo per le medicine da ricetta e l'appalto di numerosi servizi sociali alle chiese. Bush intende smantellare il costoso sistema pubblico Medicare, sostituendolo progressivamente con assicurazioni private anche per l'assistenza agli anziani. Hanno vinto tutti e tre i senatori repubblicani che più si sono battuti per la riforma della sicurezza sociale: Elizabeth Dole (moglie dell'ex vicepresidente), John Sununu e Lindsey Graham. Commenta il Wall Street Journal: "Se certi forsennati attacchi democratici in stile New deal non hanno funzionato nell'anno della Enron, non funzioneranno mai più".

Meno imminente appare un assalto alle leggi sull'aborto, richiesto dalle frange estreme dello schieramento repubblicano. Al senatore Lott stanno a cuore anche le sedici delicate nomine e conferme di giudici federali di orientamento conservatore nelle corti d'Appello finora posposte dall'amministrazione Bush, ma ribadisce che in questo campo continuerà a procedere con i piedi di piombo: "Consulteremo prima tutti nella commissione Giustizia del Senato". Quanto alla Corte Suprema, George Will sulla Washington Post ricorda che non succede dal 1811 che un nuovo giudice non venga nominato per otto anni, e poiché la nomina è a vita auspica le dimissioni del presidente William Rehnquist.

Il primo concreto risultato della vittoria di martedì in politica estera è che all'Onu Francia e Russia hanno smesso di minacciare il veto contro una nuova, dura risoluzione presentata dagli Stati Uniti sulle ispezioni in Irak alla ricerca di armi di distruzione di massa. Ormai, dopo negoziati estenuanti, siamo alla terza bozza. Si potrebbe arrivare al voto già oggi, con queste scadenze precise: entro sette giorni l'Irak deve accettare completamente la risoluzione, entro trenta deve rivelare tutti i programmi, i siti e i materiali che potrebbe utilizzare per la produzione di armamenti, entro 45 giorni gli ispettori internazionali ricominciano i loro controlli, e infine entro 105 giorni presentano il loro rapporto al Consiglio di sicurezza, ma possono denunciare subito eventuali violazioni.

Il capo degli ispettori Hans Blix andrà comunque in Irak entro due settimane, e comincerà subito le ispezioni. Ma si arriverà all'uso automatico della forza in caso di violazioni da parte dell'Irak? Francia e Russia continuano a chiedere una seconda risoluzione.

Thursday, October 31, 2002

winona la ladrona

IL CALVARIO DI WINONA RYDER, A PROCESSO PER FURTO

di Mauro Suttora, da New York

Il Foglio, 31 ottobre 2002

Ha dovuto trascorrere il suo trentunesimo compleanno in tribunale a Los Angeles "Winona la ladrona", come ormai l'hanno soprannominata i famelici giornalisti di gossip americani. Ed è finita per due giorni consecutivi in prima pagina su quotidiani cattivi come il New York Post che la stanno scorticando viva, con un'anticipazione di pena e assaggio di gogna che al confronto Cesare Previti appare fortunato.

Ma Winona Ryder, la dolcissima attrice statunitense da sempre in corsa per diventare "la nuova Audrey Hepburn", dovrebbe chiedere i danni non ai cronisti, bensì al proprio sconsiderato avvocato Mark Geragos che le ha consigliato di non patteggiare, di non abbassarsi al "guilty plea" (l'ammissione di colpa) e di tener duro affrontando un disastroso processo pubblico.

Per fortuna negli Stati Uniti la giustizia e' svelta, non piu' di una settimana di udienze, cosicché il calvario si esaurirà entro il week-end. Perché lo spettacolo che va in onda in questi giorni da Beverly Hills ha un'unica attrice protagonista, ma la sua parte è proibitiva. Il 12 dicembre 2001 la superstar rubò vestiti ai grandi magazzini Saks per un totale di 5.560 dollari e 40 cents. Un video proiettato in aula la mostra nel ruolo umiliante della taccheggiatrice beccata in flagrante dalle guardie all'uscita.

Winona si arrampica deliziosamente sui vetri, è sempre comunque eccitante ascoltare la sua soffice voce, anche quando interpreta Alice nel Paese delle meraviglie: "Il regista del film che stavo per girare miaveva chiesto di esercitarmi nella parte della ladra..." Peccato che nessun regista sia stato citato come testimone a discarico. "E' stata educatissima, appena l'abbiamo scoperta mi ha preso la mano e ha chiesto scusa", racconta il capo dei sorveglianti.

Uno di loro precisa: "Ho trovato quattro etichette col prezzo che la Ryder aveva tagliato dai capi rubati con forbici portate da casa". Per provarlo tira fuori i cartellini magnetici che la minidiva alta uno e 63 aveva neutralizzato per non far squillare i sensori all'uscita, li avvicina alle quattro refurtive (una è un vestito Dolce e Gabbana, e spiace che l'Italia abbia contribuito seppure indirettamente a questo dramma): i bordi combaciano.

E' un momento di suspense, i giurati allungano i colli oltre il loro banco per controllare coi propri occhi. Furto con l'aggravante della premeditazione, quindi. I vignettisti satirici si scatenano: "Ecco come Winona si taglia i prezzi da sola!"

La vice attorney (procuratrice della pubblica accusa) è una donna, ci mette un sovrappiù di meticolosità femminile nelle arringhette per incastrare la bella&famosa: "Praticamente si era portata un kit per furto da casa: forbici, una grossa borsa per nascondere la refurtiva, rotoli di carta in cui avvolgerla. Poi è ricorsa a un vecchio trucco: pagare quattro capi per non creare sospetti, ma assieme a quelli portarsene via altri venti". I titoloni cubitali dei tabloid vanno a nozze: "Paghi uno, prendi cinque!"

Il difensore contrattacca: "La mia cliente è rimasta vittima di guardie troppo zelanti in cerca di facile pubblicità. Una di loro ha cercato di metterle le mani sotto il top di velluto, con la scusa di dare una controllatina, prima che arrivassero i poliziotti. La signorina Ryder si è allora messa a urlare, anche perché quel giorno non indossava reggiseno".

In subordine rispetto alla tesi difensiva della prova di attrice, Winona sostiene anche di avere consegnato la carta di credito a un commesso del piano di sotto - dove aveva comprato due paia di scarpe - chiedendogli di tenere il conto aperto per ulteriori acquisti. "E' usanza comune fra le celebrità di Hollywood portarsi a casa dei vestiti per provarli e decidere con calma quali acquistare e quali far riportare indietro", aggiunge l'avvocato.

La giuria che deciderà la sorte dell'ex fidanzata di Johnny Depp e Matt Damon risulta corretta sia sessualmente (sei donne, sei uomini) sia razzialmente (posto fisso garantito per un nero, un ispanico e un asiatico). Tuttavia uno dei giurati è l'ex presidente della Sony Pictures, che ha prodotto il suo film più famoso. Titolo: "L'età dell'innocenza". Per quella parte la Ryder venne nominata all'Oscar. Però non vinse.

Mauro Suttora

Thursday, October 17, 2002

Party Donna Karan

nel suo negozio di Madison Avenue

giovedi’ 17.10.02
c'erano:
Angie Harmon (ex Law & Order, Vogue Awards, sta con Jason Sehorn dei Giants e non ha voluto farsi fotografare con Elisabeth Rohm, attuale procuratrice di L&O)
Ben Stiller e Christine Taylor (assieme?)
Maggie Gyllenhaal
Natalie Portman
Brooke Shields
Anjelica Huston
Ron Perelman & Ellen Barkin
Graydon Carter (Vanity Fair, sta con la socialite Samantha Boardman, ex di James Truman, Conde Nast, e di Todd Meister)

Wednesday, October 02, 2002

Marion Jones e Tim Montgomery

SIAMO LA COPPIA PIU' VELOCE DEL MONDO

dal corrispondente a New York Mauro Suttora

Oggi, 2 ottobre 2002

Si amano perche' sono i piu' veloci del mondo, o sono i piu' veloci del mondo perche' si amano? Tim Montgomery e Marion Jones, statunitensi, entrambi 27enni, stanno assieme da poco. La loro intimita' e' sbocciata ed e' stata subito notata in pubblico soltanto qualche settimana fa durante un meeting internazionale d'atletica. Ma da allora l'amore ha messo le ali ai piedi di Tim, che il 14 settembre a Parigi ha conquistato il nuovo record mondiale dei cento metri: li ha corsi in appena nove secondi e 78 centesimi, migliorando di un centesimo il precedente primato stabilito dall'americano Maurice Greene tre anni fa. E la prima che si e' precipitata ad abbracciarlo in pista e' stata la sua Marion: la donna piu' veloce del mondo, cinque medaglie alle ultime Olimpiadi.

"Sono contento che lei fosse presente sulla linea del traguardo per vedermi correre", ha confessato Tim, emozionatissimo, "con Marion ho trovato la serenita' e grazie a lei ho capito che potevo raggiungere un grande risultato". Il loro attaccamento e' tale che lui ha voluto disputare la gara nella stessa corsia, la quinta, nella quale lei aveva vinto poco prima la finale dei cento metri femminili. Anzi, ha usato i suoi stessi blocchetti di partenza senza neanche adattarli alle proprie misure. Anche perche' sono alti uguale: uno e 78.

Questa dei blocchi di partenza promiscui e multiuso non e' l'unica stranezza nella storia d'amore fra Tim e Marion, che e' diventata il piatto piu' succulento dei pettegolezzi nel mondo dell'atletica leggera internazionale. Quando l'anno scorso a Oslo Tim stabili' il suo record personale di 9'84", calzava un paio di scarpe di Marion. Un altro gesto tenerissimo e' stato quello di farsi tatuare reciprocamente il nome dell'amato sul proprio braccio.

Comunque, la passione fra loro non e' scoppiata all'improvviso. Tre anni fa, infatti, Tim, stanco di risultati ottimi ma non eccezionali, si era trasferito da Norfolk in Virginia a Raleigh, la capitale del North Carolina. Li' si trova la corte di Trevor Graham, l'allenatore giamaicano gia' campione dei 400 metri che aveva portato al trionfo l'allora giovanissima Marion (22 anni) nel '97 ai mondiali di Atene sui cento metri. Impresa ripetuta due anni dopo ai mondiali di Siviglia.

Ma il capolavoro doveva arrivare l'anno seguente, quando la campionessa di Los Angeles si e' presentata alle Olimpiadi di Sidney con l'obiettivo stratosferico ma esplicito di razziare ben cinque medaglie d'oro. Ci e' andata vicina: e' arrivata prima sui cento, duecento e nella staffetta 4 per 400, mentre nel salto in lungo e nella 4x100 si e' dovuta accontentare nel bronzo. Ma un posto nella leggenda dello sport se l'e' conquistato.

Unico neo per Marion Jones: a tutt'oggi risulta assai lontana dal record mondiale sui cento stabilito da Florence Griffith Joyner (quella famosa anche per le unghie laccate lunghissime e coloratissime) nel lontano 1988: 10 secondi e 49. Il limite personale di Marion e' invece di 10 e 65, secondo tempo mondiale: sedici centesimi di secondo in piu' che per noi gente normale sono impercettibili, ma che nell'atletica moderna rappresentano un'eternita'.

Pero' e' proprio questa eccessiva distanza fra la Griffith e tutte le altre atlete del mondo a gettare, passati ormai quattordici anni, una pesante ombra sulla validita' di quella performance. Ottenuta, guarda caso, nello stesso periodo in cui anche un altro campione apparentemente spopolava: Ben Johnson, il quale proprio nell'88 venne squalificato per doping. La Griffith non e' mai stata trovata positiva, ma se e' ricorsa a qualche "aiutino" chimico lo ha pagato molto caro: e' infatti morta improvvisamente nel '98 a soli 38 anni per cause misteriose (probabilmente un attacco di cuore).

Quanto a Tim Montgomery, il suo carniere olimpico e' assai scarso rispetto a quello della neofidanzata: medaglia d'oro a Sidney nel 2000, ma soltanto per aver gareggiato nelle qualificazioni con la staffetta statunitense 4x100. E ai campionati mondiali di Edmonton in Canada, l'anno scorso, e' stato superato per soli tre centesimi di secondo dal suo acerrimo rivale Greene.

La svolta e' arrivata quest'anno, quando Tim ha vinto per ben sette volte nelle 14 gare disputate sui cento, battendo tre volte Greene. Ma ci sarebbe riuscito senza Marion, diventata ormai il suo inseparabile angelo custode, la donna a cui lui si rivolge per ogni cosa, dai consigli all'equipaggiamento? "Le ho domandato cosa dovessi cambiare in me per poter migliorare e vincere", racconta, "e lei mi ha risposto che dovevo semplicemente concentrarmi su me stesso: 'Lavora su quello che hai, tutti conoscono le tue doti e sanno che sei pronto. Non hai bisogno di dire tu a loro che sei pronto. Smettila di pensare a Greene, non leggere piu' su Internet i commenti sulla vostra rivalita', non dare piu' interviste'"

Puo' sembrare filosofia spicciola per galvanizzarsi, ma con Tim ha funzionato. Lui stesso, onestamente, riconosce che Greene gli e' superiore sotto vari aspetti: "E' molto piu' completo di me". Inoltre, non lo si puo' neppure definire tecnicamente "l'uomo piu' veloce del mondo". Questo titolo infatti appartiene a Michael Johnson, che il primo agosto 1996 stabili' il primato mondiale dei 200 metri correndo a 37,2 chilometri all'ora, contro i 36,8 toccati da Tim. Ma tutti gli altri atleti non hanno una campionessa da abbracciare e da amare dopo aver tagliato la linea del traguardo, e con la quale allenarsi giorno per giorno.

"Simuliamo partenze assieme, facciamo mille esercizi addominali ogni mattina, siamo in pista anche alla domenica. E' come avere la mia ombra accanto a me. Prima di conoscerla mi allenavo soltanto tre giorni alla settimana. Marion invece era gia' ricchissima, ma si allenava con la stessa grinta di una diseredata", racconta Tim.

E cosi', per la prima volta dopo tanti anni la luce della ribalta e' passata da lei a lui. "Marion ha gia' vissuto cio' che sto vivendo io, il successo. Quindi mi insegna molte cose, rendendole piu' facili per me". Sara' piu' facile anche vivere, grazie ai loro guadagni: nella memorabile serata di Parigi, per esempio, Marion ha incassato 150mila dollari eTim 250mila (il record del mondo da solo ne vale centomila).

Entrambi non sono dei novellini, in amore. Lui ha avuto un figlio, Jamieson, da una relazione fugace tre anni fa, e sostiene di non sapere neppure dove sia finita ora la madre. Lei ha dovuto difendere il suo ex marito, il lanciatore del peso C.J.Hunter, dall'accusa di doping (al nandrolone) che lo ha tenuto fuori dalle Olimpiadi di Sidney.

Ora, assieme, sono le due stelle gemelle che brillano sulla piu' prestigiosa corsa dell'atletica: quei cento metri che per gli uomini da quasi 35 anni, cioe' dalle olimpiadi del Messico nel '68, hanno perso il fascino del superamento della soglia proibita. Il limite dei dieci secondi, infatti, venne infranto da Jim Hines, e dopo lui da tanti altri, fra i quali impostori come Ben Johnson e insopportabili isterici come Carl Lewis. Ma per la prima volta nella storia e' la forza dell'amore a far volare un campione.
Mauro Suttora

Monday, September 30, 2002

Trump licenzia la sua miss Universo

MISS UNIVERSO: TRUMP LA LICENZIA PERCHE' È TROPPO PIGRA

da New York Mauro Suttora

Oggi, 30 settembre 2002

I turisti che affollavano come sempre la hall della Trump Tower, sulla Quinta avenue di Manhattan, non credevano ai propri occhi. Era improvvisamente arrivato il miliardario Donald Trump in persona, e circondato da fotografi e telecamere stava incoronando con le sue mani la nuova Miss Universo. 

Ma come? La cerimonia non era già avvenuta quattro mesi fa, in mondovisione da Portorico con 600 milioni di spettatori in 176 Paesi, e non era stata eletta per la prima volta nella storia una reginetta russa, la bellissima Oxana Fedorova, 24enne ex poliziotta dagli occhi verdi e i capelli corvini?

Certo, ma la ragazza è stata licenziata in quattro e quattr'otto, come si usa da queste parti. Altro che articolo 18. Il motivo? Era troppo pigra. "Non faceva fronte ai suoi doveri", ha sentenziato Trump, proprietario del concorso. Il quale, evidentemente, non ha una gran fortuna con le donne dell'Est: prima ha dovuto coprire d'oro l'ex moglie boema Ivana per divorziare, e adesso è incappato nella Miss accidiosa.

Ma quali impegni ha mancato la povera Oxana? "Quasi tutti", accusa invelenita la direttrice della mastodontica organizzazione Miss Universe© (con tanto di marchio del copyright) presieduta da Trump, Paula Shugart: "Dopo l'elezione in maggio ha fatto qualche viaggio, si è palesata nel lussuoso appartamento di New York che viene dato alla Miss in carica, ma poi si e' resa latitante per quasi tutta l'estate".

Quello di Miss Universo è in realtà un lavoro stressante. Tutto il tempo in giro per il mondo come trottole, a presenziare eventi e cerimonie di cui non si sa nulla, anche perche' dopo un po' i continui cambiamenti di fuso orario ottundono le capacita' cognitive. Perfino sorridere, posare per fotografi e leggere venti righe di discorsi preparati, insomma, puo' rivelarsi intollerabilmente faticoso.

"Nessuno mi aveva avvertito che il mio impegno avrebbe dovuto essere totale e continuo”, si lamenta la povera Oxana detronizzata. E fra la folla che assiste alla incoronazione della nuova miss Universo (Justine Pasek, 22 anni, miss Panama) c'è Melania Knauss, l'ultima fiamma di Donald: anche lei dell'Est, slovena.
Mauro Suttora

Thursday, September 26, 2002

Angelina Jolie, nuova beniamina Usa

ANGELINA JOLIE

dal corrispondente a New York Mauro Suttora

Oggi, 26 settembre 2002

La sua vita è un uragano. Ha rotto con il primo marito, il secondo lo ha lasciato dopo poche settimane di matrimonio, il padre lo odia a tal punto che lei è andata in tribunale ottenendo di non portare più il suo cognome. E anche suo figlio la scorsa settimana è finito in ospedale, per ragioni misteriose. 

Angelina Jolie a soli 27 anni sembra già votata a un destino di "bella e maledetta", che ha rovinato la vita a decine di star hollywoodiane prima di lei. È una donna stupenda, dai lineamenti quasi extraterrestri che le donano una bellezza aggressiva ed esotica. I suoi occhi hanno un colore indefinito, fra il verde e il blu. 

L'hanno giudicata più attraente di Sandra Bullock, Liz Hurley, Catherine Zeta-Jones: tutte concorrenti superate ai provini per conquistare la parte di Lara Croft, l'eroina dei videogiochi che nel film Tomb Raider quest'anno ha sbancato i botteghini di tutto il mondo. Ed è soltanto il primo di una serie: il secondo episodio viene girato proprio in queste settimane. Ma non in Cina - dov'è ambientato - perché il governo di Pechino ha rifiutato alla troupe il permesso di entrare.

Angelina è diventata in pochissimi anni una delle attrici più contese degli Stati Uniti. È figlia di Jon Voight, 63 anni, leggenda del cinema americano, l'Uomo da marciapiede che si rivelò al pubblico nel 1969 con Dustin Hoffman, e che dieci anni dopo recitò una delle scene più erotiche di tutti i tempi, impersonando il veterano del Vietnam paraplegico amante di Jane Fonda in Tornando a casa (premio Oscar per entrambi). E poi protagonista, fra gli altri, di Un tranquillo week-end di paura, A 30 secondi dalla fine, Mission: impossible (con Tom Cruise).

Nel '74 Voight s'innamora dell'attrice francese Marcheline Bertrand, e il 4 giugno '75 nasce a Los Angeles Angelina Jolie Voight (il secondo nome, "bella" in francese, ha mantenuto le promesse). Dopo soli due anni i genitori si separano e la mamma la porta con sé a New York. Ma il papà non si scorda di lei e la fa debuttare a soli sette anni con una particina in Cercando di uscire, film scritto, prodotto, recitato da lui e diretto da Hal Ashby, il regista di Tornando a casa

Nell'86 la bambina a soli 11 anni va già a scuola di recitazione nel celebre Actor's Studio di Lee Strasberg, anche se la sua aspirazione è diventare "direttrice di pompe funebri". Ma sboccia in lei la bellezza, e diventa modella. Appare in vari video musicali ("Anybody Seen My Babe" dei Rolling Stones, Lenny Kravitz, Meat Loaf, Lemonheads), e ri-debutta diciottenne in Cyborg 2.

Angelina non vuole passare per raccomandata, così elimina il cognome del padre sostituendolo con il secondo nome di battesimo. Un primo successo arriva con Hackers, nel '95. Sul set conosce John Lee Miller, attore inglese reduce da Transpotting, e lo sposa. Il matrimonio fa scalpore perché lei indossa un abito di pelle nera e una camicia bianca su cui ha scritto col proprio sangue il nome del marito. 
Angelina è infatti un'appassionata di coltelli, colleziona pugnali, e porta sul corpo una serie di cicatrici, frutto dei tagli che si è autoinflitta in gioventù. L'attrice ha anche la passione dei tatuaggi (ne esibisce ben nove), e ama le storie dell'orrore nonché tutto quanto è macabro.

Due film per la Tv le regalano la notorietà negli Stati Uniti: Gia del 1997 e George Wallace l'anno dopo, al fianco di Gary Sinise. In Europa Angelina Jolie viene notata in Gli scherzi del cuore, film del 1998 in cui recita con Sean Connery e Gena Rowlands. Ma l'esplosione arriva nel 1999, quando vince l'Oscar come miglior attrice non protagonista per il ruolo della psicopatica Lisa in Ragazze interrotte, con Winona Ryder, e poi interpreta la  poliziotta accanto a Denzel Washington ne Il collezionista di ossa.

In 60 seconds recita al fianco di Nicolas Cage. Infine, nel 2001, Lara Croft: Tomb Raider, traslazione del famoso videogioco sul grande schermo: fra gli attori c'è anche papà Jon Voight, nei panni di Lord Croft, il padre dell'eroina virtuale.

Fisico stratosferico, labbra pronunciate, gambe perfette, caratterino impossibile: Angelina e Lara sembrano quasi la stessa persona, con la differenza che il personaggio del film è appassionato di archeologia, mentre Angelina sembra meno seria: ama gli eccessi, le dichiarazioni a effetto, i simboli di morte e le scienze occulte. Nel '99 recita in Pushing Tin con John Cusack e Billy Bob Thornton, e quest'ultimo prende il posto del marito nel suo cuore, nonostante (o forse proprio per questo) abbia vent'anni più di lei e ben quattro matrimoni falliti alle spalle.

I due si sposano, comprano una villa da otto miliardi a Beverly Hills, vanno in Cambogia, trovano un orfanello e lo adottano. Thornton ha avuto una parte secondaria in Proposta Indecente (con Demi Moore e Robert Redford, 1993), e quest'anno ha raggiunto il successo pure lui recitando (accanto alla premio Oscar Halle Berry) in The Monster's Ball e poi ne L'uomo che non c'era dei fratelli Coen. 

Ma nel giro di pochi mesi anche con Billy Bob è già tutto finito: Angelina ha trascorso l'estate 2002 lavorando in giro per il mondo col figlio di 13 mesi appresso senza mai tornare a Los Angeles, lui si è trasferito al Sunset Marquis Hotel e si è prontamente consolato prima con l'attrice 23enne Danielle Dotzenrod, poi con la cantante country Deana Carter. Qualche giorno fa Angelina ha mandato una ditta di traslochi a ritirare tutte le sue cose dalla magione.

Ma la mossa che ha impressionato di più l'America, della quale nonostante tutte le sregolatezze rimane una beniamina, è stata la puntata che ha compiuto al tribunale di Santa Monica per liberarsi definitivamente del cognome del padre, dopo due anni di continui litigi: "Non voglio più avere nulla a che fare con lui, non mi fa bene averlo attorno", ha spiegato. Voight si è vendicato andando in televisione a denunciare: "Mia figlia ha seri problemi mentali, ha bisogno d'aiuto".

Insomma, Angelina è  uno di quei personaggi turbolenti coi quali da sempre si scrive la storia di Hollywood. Insofferente nei confronti dell'autorità, è capace di improvvisi slanci generosi: come qua
Mauro Suttora

Sunday, September 08, 2002

Peter Gabriel ad Arzachena

concerto anteprima del nuovo disco "Up"

Peter Gabriel suona in Sardegna alla festa patronale

Il concerto ad Arzachena prima del tour mondiale, tra il pubblico Eric Clapton. La voce si è sparsa rapidamente e nella piazza c' era una grande folla. Il 16 e il 18 sarà a Milano prima del lancio del nuovo album «Up»

Corriere della Sera, 8 settembre 2002

di Mauro Suttora

ARZACHENA (Sassari) - Grazie a Peter Gabriel, Arzachena è diventata per una notte il centro della musica mondiale. Il cinquantaduenne musicista inglese, voce dei Genesis fino al 1975 e poi inventore della musica «world», ha infatti scelto il capoluogo della Costa Smeralda per il debutto del suo nuovo, attesissimo tour planetario.

Una specie di «prova aperta» dopo un mese di segretissime session nella palestra di Abbiadori, a due passi da Porto Cervo. Per ringraziare il sindaco Piero Filigheddu dell' ospitalità, Gabriel prima di lasciare la sua villa sarda ha deciso di beneficiare locali e turisti con un concerto a sorpresa, non pubblicizzato nel timore che nella piazza del paese arrivasse troppa gente.

Arzachena si è riempita ugualmente, anche perché ieri si festeggiavano i tre patroni della cittadina: Santa Maria, Sant' Antonio e Sant' Isidoro. «Doveva venire a suonare Raf, ma all' ultimo momento ha dato forfait. Meglio così, ci abbiamo sicuramente guadagnato», è stato il sarcastico commento di un ragazzo del posto in attesa dell' esibizione dell'ex Genesis.

Comunque la voce si è sparsa ugualmente e in giornata frotte di giornalisti musicali da tutta Europa si sono precipitati in aereo a Olbia per l' evento. E' arrivato perfino Eric Clapton, che ne ha approfittato per prendere un po' di sole nella spiaggia di Cala di Volpe. Il concerto è stato un' anteprima del nuovo disco di Gabriel, «Up», che arriva a ben dieci anni di distanza dal suo ultimo in studio, «Us».

Si è trattato dell' album con la gestazione più lunga nella storia del rock. «Uscirà a settembre, ma non so in quale anno», scherzava Gabriel due anni fa. Ora la data è decisa: 21 settembre. Il pezzo forte è una canzone dal titolo «The Barry Williams Show», il cui video è stato diretto da Sean Penn, e che esce domani nei negozi di tutto il mondo come singolo. Peter Gabriel cura maniacalmente la qualità dei suoi video: non per niente «Sledgehammer» ha vinto la classifica della rivista Rolling Stone come migliore video di tutti i tempi.

Gli altri pezzi più orecchiabili sono stati «Growing Up», «Darkness», «Sky Blue», «No Way Out». La band ha esibito un suono compatto, con la figlia di Peter Gabriel, Melanie, ai cori, Tony Levin al basso, David Rhodes e Richard Evans alle chitarre, Gad Lynch alla batteria e Rachel Z. alle tastiere.

Accontentati i fans che speravano anche in qualche recupero dal passato: Gabriel ha aperto il concerto con «Solsbury Hill», l' hit del suo primo album da solista del ' 77 dopo il sodalizio con i Genesis. L' artista inglese non ha voluto confermare la voce secondo la quale in uno dei due concerti previsti a Milano il 16 e 18 settembre, oppure a Parigi il 21, farebbe una comparsata il suo vecchio collega Phil Collins.
Dopo questo omaggio alla sua Sardegna, Gabriel è partito per Londra assieme alla moglie irlandese Meah Flynn, sposata il 9 giugno scorso, sempre ad Arzachena.

Mauro Suttora

Wednesday, July 24, 2002

Mario Cipollini

L' ultimo ruggito di Re Leone: me ne vado e vi lascio tutti nudi

Il campione minaccia il ritiro per protesta contro il disinteresse verso il mondo delle "2 ruote"

"Perche' neanche una lira dei 300 miliardi di diritti televisivi per Giro, Tour e Vuelta va alle nostre squadre?", chiede polemico il velocista. "Nonostante il disastro dei Mondiali i calciatori guadagnano dieci volte piu' dei ciclisti". Dopo 300 vittorie e una stagione trionfale il campione mirava al titolo iridato, ma ora e' indeciso se continuare

Oggi, 24 luglio 2002

di Mauro Suttora

Qui lo vedete nudo, in una foto che ha accettato di fare per il mensile Fit for fun. Ma cinque anni fa si era vestito con uno smoking bianco per salire sul podio del Giro a Milano, e ogni volta che vince è sempre una sorpresa.

Un po’ come Valentino Rossi nelle moto, non si sa mai cosa inventerà il più creativo fra i campioni del ciclismo italiano: Mario Cipollini, 35 anni, da Lucca, altissimo (uno e novanta), magrissimo (peso forma 76 chili), potentissimo: è il professionista in attività che ha vinto più di tutti, nella sua carriera ha trionfato in 300 volate e per dieci anni su tredici, a fine stagione, è stato l’italiano più vincente.

Insomma, uno così sarebbe un peccato perderlo, anche perché il nostro ciclismo dopo i guai col doping di Marco Pantani non se la passa granché bene. E invece lui minaccia di lasciare, «perché gli sponsor pensano solo al calcio, e anche dopo la brutta figura della nazionale ai Mondiali i giornali continuano a scrivere solo di calcio e i pubblicitari a far fare spot solo ai calciatori».

Ha ragione, Cipollini. Per esempio, che rivoluzione sarebbe scoppiata in Italia se in in un qualsiasi altro sport la Francia avesse impedito al nostro maggiore campione di gareggiare? Invece è proprio quel che è successo all’estroso toscano, al quale è stato vietato di iscriversi al Tour de France.

I francesi lo temono: superMario da loro è famosissimo, ha vinto dodici tappe al Tour e nel ‘99 addirittura quattro consecutive. Quest’anno, poi, Cipollini è in gran forma. Ha vinto ben sei volte al Giro d’Italia (e ormai è a quota 40, solo una tappa in meno del record di Alfredo Binda, ottenuto però in un’altra epoca, in cui uno come Binda riusciva ad aggiudicarsi quasi tutte le tappe di un Giro), ma soprattutto ha compiuto un’impresa che in passato era riuscita soltanto al grande Eddy Merckx: vincere nello stesso anno due classiche come la Milano-Sanremo e la Gand-Wevelgem.

La storica accoppiata di Merckx avvenne quando l’asso belga era agli inizi della carriera: nel 1967, guarda caso lo stesso anno in cui Cipollini nacque.

Ora superMario è a fine carriera, ma certo non in declino: «Se avessi annunciato il mio ritiro da non vincente, sarebbe stata routine», ci spiega lui al telefono mentre torna nella sua casa toscana da Roma, il giorno dopo aver sfilato per lo stilista Cavalli a piazza di Spagna, «ma io voglio protestare per il sistema sbagliato che governa il ciclismo. Non è possibile, infatti, che su 300 miliardi di diritti televisivi ai gruppi sportivi non arrivi neppure una lira. Il problema non riguarda me, io sono soddisfatto dei miei compensi, ma non è giusto che un mio compagno di squadra, che fa la stessa fatica che faccio io, guadagni 50 milioni lordi all’anno. Che professionismo è? In tutti gli sport, dal calcio alla Formula Uno, dal tennis al basket, quest’ingiustizia non accade. Oggi sono solo gli sponsor a pagare per l’attività delle squadre, e in cambio si devono accontentare solo del ritorno d’immagine, come se i diritti tv di Giro, Tour o Vuelta spagnola non esistessero. Per questo c’è crisi, ed è difficile trovare sponsor».

Cipollini in questo momento ha il coltello dalla parte del manico. Sa che tutto il mondo del ciclismo italiano è lì col fiato sospeso ad aspettare la sua decisione: lascia, non lascia?

Il motivo è semplice: il 13 ottobre in Belgio si correrà il campionato del mondo, e il circuito sembra stato scelto apposta per far vincere lui, il nostro Re Leone. Pianeggiante abbastanza per impedire fughe e portarlo fresco alla volata, dove lui piazzerebbe la sua zampata irresistibile.

Lui intanto se la gode, come sempre. È andato in Costa Smeralda dove ha partecipato a tutte le feste, compresa l’inaugurazione del Billionaire del suo amico Flavio Briatore. C’è chi dice ci possa essere lo zampino di Briatore se nelle prossime settimane avverrà il colpo di scena: e cioè che la Renault scenderà in pista come sponsor di peso per aiutare la squadra di Cipollini, l‘Acqua & Sapone e Cantina Tollo di Civitanova Marche.

Probabilmente è proprio la vita dei vip a Porto Cervo ad avere amareggiato superMario, a tu per tu con i campioni del calcio e le divette televisive. Può essere umiliante, infatti, il confronto con ragazzi ventenni che guadagnano dieci volte più del massimo campione del secondo o terzo sport più popolare d’Italia (tale è infatti il ciclismo, superato solo dal calcio e, forse, dalla Formula Uno). E anche durante la sfilata di moda a Roma neanche un accenno, da parte della presentatrice Cristina Parodi, alla sua presenza come modello di lusso.

Nel mondo del ciclismo la protesta di Cipollini non è stata accolta solo da applausi: «Complimenti», ha per esempio commentato velenosamente Il Giorno, «il suo ritiro a scadenza gli sta dando una ribalta che nemmeno il Tour gli avrebbe concesso. Una volta doveva fare la fatica di correre la prima settimana in Francia per poi andare in spiaggia, adesso riesce a far parlare di sè semplicemente stando sotto l’ombrellone».

Ma che ci può fare, il re Leone, se lui è nato velocista e non scalatore? I campioni delle volate danno sempre l’impressione di fare meno fatica dei «grimpeurs» che sudano e scappano sui tornanti, sembra che arrivino al traguardo con la pappa fatta dai gregari, e che il loro scatto finale sia un lusso indecente.

Ma lo sforzo di quegli ultimi chilometri allo spasimo prima dei traguardi, chi li misura? Sarebbe come dire che in atletica un centometrista vale meno di un fondista. E invece esattamente trent’anni fa, nel '72, un altro velocista misconosciuto, Marino Basso, regalò il Mondiale all’Italia infilzando Merckx negli ultimi metri. Proprio come si spera faccia in settembre il Re Leone.

Mauro Suttora

Wednesday, June 26, 2002

La legge Bossi Fini sugli immigrati

NON CI UMILIANO LE IMPRONTE DIGITALI, MA LE CODE DI ORE

di Mauro Suttora

Milano, 26 giugno 2002

Dopo tutte le polemiche suscitate dalla nuova legge sull’immigrazione Bossi-Fini (già approvata dalla Camera, dovrebbe avere il sì del Senato entro la fine del mese) abbiamo chiesto l’opinione ad alcuni immigrati extracomunitari. E abbiamo scoperto con sorpresa che il principale punto di dissenso fra destra e sinistra, cioè le impronte digitali che d’ora in poi dovranno essere prese a tutti gli extracomunitari che vogliono risiedere in Italia (compresi statunitensi o svizzeri), non disturbano in realtà nessuno. Anche perché nei Paesi d’origine è normale che figurino sui documenti d’identità.

È la burocrazia italiana, invece, il principale nemico degli immigrati. Fastidi enormi sorgono anche per problemi minimi: «Io dovevo solo far annotare sul mio permesso di soggiorno il nuovo numero di passaporto, perché il vecchio era scaduto», racconta Fatiha Benkirane, 40 anni, portinaia marocchina a Milano. «Sono andata in questura alle nove di mattina, c’era una coda lunghissima. Mi hanno detto di tornare il giorno dopo. Ma l’indomani alle sette c’era già la fila. Così è dovuto venire mio marito alle tre di notte, e ha dovuto aspettare fino alle dieci». 

«In questura trattano come delinquenti anche noi immigrati regolari», spiega il marito Alì, 40 anni, laureato in legge a Casablanca, che lavora nelle celle frigorifere del mercato del pesce, a meno 15 gradi. «E non importa che io sia in Italia da tredici anni, abbia sempre lavorato, pagato le tasse, il bollo dell’auto e non abbia mai avuto il minimo problema con la giustizia».

«Fa bene la nuova legge a permettere di consegnare i documenti anche in Posta, così si eviteranno gli affollamenti. Io nel ’96 ho dovuto stare in coda tutta la notte», conferma Maria Elena Garaj, 35 anni, laureata e professoressa di scuola media in Perù, in Italia dal ’96, «badante» di una signora di 97 anni e dirigente dell’organizzazione Acli-Colf. La sua amica Maria Samora, salvadoregna: «Non mi sento umiliata dalle impronte digitali, ma dalle attese infinite per prenotare anche una semplice visita medica».

E Daniel Di Virgilio, 38 anni, infermiere all’ospedale San Raffaele di Milano: «Ho aspettato un anno per il riconoscimento dei miei titoli di studio in Argentina. Eppure c’è carenza di infermieri, qui offrono 1300-1500 euro agli appena assunti con alloggio in residence a soli 200 euro mensili. Ma solo stranieri e meridionali accettano, anche perché bisogna lavorare a turno di domenica e di notte». 

«Si parla tanto delle impronte digitali, ma non capisco cosa ci sia di male», dice Sckalcim, albanese di 33 anni che lavora nei campi a Conversano (Bari). «Se uno viene in Italia per lavorare che problema ha a lasciare le impronte? Chi non vuole farlo è perché magari ha la coscienza sporca, o forse pensa di voler andare a rubare».

Tutti gli immigrati sono passati attraverso un periodo più o meno lungo di irregolarità. «Noi siamo stati fortunati», spiegano i coniugi Benkirane, «perché nel ’90, poco dopo il nostro arrivo, c’è stata la sanatoria della legge Martelli».

 La legge Turco-Napolitano è servita invece a sanare la situazione di Maria Elena, che arrivata in Italia con visto turistico di tre mesi ha trovato lavoro dopo due settimane, ma è rimasta senza permesso per un anno: «Non avevo paura di essere espulsa come clandestina, perché se ci si comporta bene non ti fermano solo per un controllo. Però cercavo di essere prudente». Dell’ultima sanatoria, quella del ‘98, ha usufruito Maria Samora. 

Di Virgilio mette in luce una contraddizione della legge: «Non si può assumere chi non ha il permesso di soggiorno, ma per ottenerlo bisogna lavorare: è un circolo vizioso assurdo». Quanto all’albanese Sckalcim, «sono sbarcato in canotto dalle parti di Lecce, poi ho raggiunto la stazione più vicina a piedi e da lì ho preso un treno per la Sicilia, dove sono andato per raccogliere l’uva».

I coniugi Benkirane sono arrivati dal Marocco nell’89 e hanno lavorato a Genova, Piacenza e Milano. Alì ha fatto il custode in un circolo di golf, ma gli davano un milione e 700mila lire al mese, mentre un italiano che faceva il suo stesso lavoro prendeva tre milioni. «Però in Italia non c’è razzismo», dice, «contrariamente a Francia e Spagna. In Francia si sta meglio perché gli immigrati possono avere facilmente case popolari e un sussidio come tutti in caso di disoccupazione, ma ci sono episodi di intolleranza. Noi in Italia invece ci troviamo bene, e non vogliamo tornare in Marocco. Anche perché ormai nostra figlia Rim ha sei anni, le piace molto la scuola materna italiana, e da settembre andrà in prima elementare».

«Mi piacerebbe poter tornare in Perù, ma è impossibile», dice la badante Maria Elena, «perché il mio stipendio da professoressa era di 200 euro al mese. Ho cercato di emigrare negli Stati Uniti prima di venire in Italia, ma non ci sono riuscita perché lì le regole per entrare sono molto più severe». Anche l’infermiere Di Virgilio si è ormai stabilito in Italia: ha sposato un’infermiera colombiana e ha due figli, uno di due anni e l’altro di otto mesi.

La legge Bossi-Fini è più dura con i clandestini. Che ne pensate? 
«Per noi marocchini il problema è entrare in Spagna», spiega Alì. «Da lì, poi, si può circolare abbastanza tranquillamente per tutta Europa. Non è difficile corrompere le guardie di frontiera, pagando una tangente. O nascondersi su camion e corriere. Comunque, se i clandestini commettono reati bisogna prenderli e mandarli via».
Ma spesso gli irregolari nascondono la loro identità e il Paese d’origine. 
«Allora che la polizia italiana mi assuma come consulente», scherza Alì, «bastano tre parole in arabo per capire dall’accento se uno viene dall’Egitto, dal Marocco o dalla Tunisia...» 
«Sono d’accordo con le pene più severe per i clandestini», dice Maria Elena.

È tutto sommato buona questa nuova legge per l’albanese Sckalcim, per i suoi conterranei Cim ma italianizzatosi in Gino, come ormai lo chiamano tutti. Gino porta sul suo volto i segni di un passato difficile, che lui ormai considera alle spalle anche se, attualmente, ogni giorno la sua vita è scandita da ben 13-15 ore di lavoro. 

«Dopo aver finito la scuola, nel 1989 sono andato a fare il servizio militare», racconta Gino. «Poi con la caduta del comunismo non c’era lavoro e in casa eravamo otto fratelli, così bisognava darsi da fare. Allora sono riuscito ad attraversare la frontiera e ad andare a lavorare, come clandestino, nei campi della Grecia. Non si guadagnava molto, ma era l’unica cosa che potevo fare. Dopo cinque anni, mio cognato che stava in Italia mi disse di venire qui, che si sta meglio. A Tirana contattai le persone che mi hanno fatto attraversare l’Adriatico, e sono arrivato. All’inizio ho lavorato per la vendemmia in Sicilia tutto il giorno. Di notte dormivamo in una casetta in campagna».

Finita la raccolta dell’uva Sckalcim doveva trovare un nuovo lavoro. Sempre il cognato gli suggerì di andare nel foggiano per raccogliere pomodori. «Feci tutta la stagione», racconta Sckalcim, «prima piantavamo i pomodori, poi li curavamo e infine li raccoglievamo, sempre nella clandestinità, dormendo nei campi». Quando anche la stagione dei pomodori finì Gino dovette cercarsi altro. Così chiamò un vecchio amico che viveva a Conversano, il quale gli consigliò di raggiungerlo. 

Lì ha trovato la sua piccola America. «È vero. Il posto è davvero accogliente. Il mio amico mi ha fatto conoscere un proprietario terriero che dopo un po’ di lavoro in nero ha deciso di regolarizzarmi, fornendomi un contratto e aiutandomi a preparare i documenti per il permesso di soggiorno. Nel frattempo sono riuscito a trovare anche una stanza in affitto da un italiano che si è fidato, chiedendomi solo di non fare troppo chiasso. Quando ho avuto i documenti in regola sono tornato in Albania e ho sposato la mia fidanzata, siamo stati insieme una settimana e poi sono tornato in Italia dove ho subito iniziato a preparare i documenti per far venire in Italia anche mia moglie. Ci sono riuscito un anno fa. Appena è arrivata qui abbiamo preso in affitto una casa tutta per noi, sono 85 metri quadri e ci troviamo bene. Così abbiamo deciso di fare un figlio e da tre mesi abbiamo una bambina. Viviamo felici, anche se il lavoro è molto duro».

Cosa pensi della nuova legge per l’immigrazione? 
«Da quel che ho sentito mi sembra buona». 
E sul fatto che per avere il permesso di soggiorno serve il contratto di lavoro?
«È giusto. Se non hai il lavoro, cosa vieni a fare? Certo, il fatto che se lo perdi ti cacciano via non è bello, ma se ti danno un po’ di tempo per cercarne un altro allora va bene». 
Toglieranno anche lo sponsor, la persona che garantisce con vitto e alloggio per l’immigrato.
«Penso che anche questo sia giusto, perché un conto è avere il lavoro, un altro è avere tutte queste cose, che sembrano buone ma che in realtà non ti permettono di cambiare datore di lavoro. Così chi te le offre alla fine ti sfrutta ancora di più». 
Insomma, forse ha ragione l’ex ministro Claudio Martelli, autore della prima regolamentazione dell’immigrazione dodici anni fa: «Il problema non sono più le leggi, ma la loro applicazione pratica giorno per giorno».
Mauro Suttora

Thursday, June 20, 2002

A.A.A. Costa Smeralda vendesi

Il paradiso fa gola ai miliardari. Un magnate statunitense, Tom Barrack, è in corsa per aggiudicarsi i gioielli dell'Aga Khan,che aveva già passato la mano a una catena americana.
Ecco come il regno del jet set si prepara a un'altra estate da record: dopo l'11 settembre, infatti, i ricchi e famosi preferiscono nascondersi qui, nei loro rifugi dorati.

di Mauro Suttora

Oggi, 20 giugno 2002

 

















































































Wednesday, June 19, 2002

Manovre sulla Costa Smeralda

dal nostro inviato Mauro Suttora

settimanale Oggi

Porto Cervo (Sassari), 19 giugno 2002

Sarà un’estate da record. Dopo l’11 settembre, i ricchi europei e quelli americani non hanno molta voglia di avventurarsi in Paesi esotici o islamici. Quindi ripiegheranno sulle mete classiche del jet set mediterraneo: Marbella, Costa Azzurra e Costa Smeralda. Così la Sardegna supererà ancora una volta le presenze record raggiunte l’anno scorso, grazie al suo mare impareggiabile. E Porto Cervo e Porto Rotondo ridiventeranno caput mundi: da Naomi Campbell allo yacht di Valentino, da quelli degli sceicchi alla nave rompighiaccio di Carlo De Benedetti e alle ville di Silvio Berlusconi.

Le quotazioni sono già al rialzo: «Ville che nel 2001 abbiamo affittato per 30 milioni di vecchie lire in agosto, quest’anno sono andate via per 50 in luglio», rivela un agente immobiliare di Olbia. E per i ricchi & famosi è pronto anche il nuovo aeroporto Costa Smeralda, ingrandito e impreziosito, che il frenetico andirivieni di velivoli privati trasforma in agosto nel terzo scalo d’Italia. Anche gli alberghi cinque stelle lusso, i mitici Cala di Volpe e Pitrizza, Cervo e Romazzino, saranno affollati, con le camere da mille euro a notte e le suites da 14 mila euro prenotate un anno per l’altro.

La crisi di Manhattan ha però colpito i padroni di questi alberghi: il gruppo statunitense Starwood, che ha chiuso il 2001 con un indebitamento di 5 milioni di dollari (su un patrimonio di 16) e un utile netto in calo del 25 per cento. Dopo la strage delle Torri Gemelle, l’occupazione media delle sue camere era scesa al 19 per cento, e il titolo era precipitato in Borsa da 40 a 18 dollari. Ora le cose vanno meglio, la quotazione è risalita, ma per la Starwood resta la necessità di alleggerirsi di qualcuno dei suoi 750 hotel sparsi nel mondo.

In prima fila, nel pacchetto in vendita, brillano i 25 gioielli ex Ciga (Compagnia italiana grandi alberghi), la catena fondata un secolo fa dal veneziano Giuseppe Volpi, poi nominato da Mussolini governatore della Libia, ministro delle Finanze e conte di Misurata. Dopo essere passata per le ambigue mani dei finanzieri Michele Sindona e Orazio Bagnasco, la Ciga aveva trovato una nuova vita grazie al principe Aga Khan. L’inventore (40 anni fa) di Porto Cervo aveva fatto disegnare i nuovi hotel dai migliori architetti: Luigi Vietti il Cervo e il Pitrizza, Jacques Couelle il Cala di Volpe, Michele Busiri Vici il Romazzino.

Per trent’anni la Costa Smeralda è rimasta il rifugio del jet set più esclusivo del mondo: cantanti come i Beatles, reali come la principessa Margaret d’Inghilterra, attrici come Florinda Bolkan, miliardari come i Guinness della birra, sceicchi come Yamani, banchieri del Nord-Europa, industriali italiani come Merloni (lavatrici Ariston) o Mentasti (acque minerali San Pellegrino).

Poi, negli Anni Novanta, la Costa si è un po’ «imbastardita»: sono arrivati calciatori, soubrettes, pin-up, arricchiti russi, Umberto Smaila, Flavio Briatore. Lo chic si è affievolito, però il glamour è rimasto intatto. Anzi, presso le grandi masse è aumentato. Ma l’Aga Khan, irritato perché la regione Sardegna gli aveva bloccato nuovi piani di costruzione, otto anni fa ha venduto tutti gli alberghi più 2.400 ettari di terreni, la Marina di Porto Cervo e il Golf del Pevero alla multinazionale statunitense Sheraton. Questa ha poi passato la mano alla Star- wood. Al principe ismailita è rimasto soltanto lo Yacht Club di Porto Cervo e l’80 per cento della compagnia aerea Meridiana, che esercita il quasi monopolio sui voli da Olbia.

Così, adesso tutto questo bendidio è di nuovo in vendita. Gli americani conserveranno soltanto la gestione in affitto ultradecennale degli alberghi. Il prezzo dell’intero pacchetto è valutato due miliardi di euro (4 mila miliardi di vecchie lire). Oltre alle proprietà sarde, ci sono dentro i 25 alberghi di lusso della catena ex Ciga, dal St. Regis di Roma ai Danieli e Gritti di Venezia, dai milanesi Principe di Savoia e Diana al fiorentino Grand Hotel. Ma il cuore più appetitoso dell’offerta sono, evidentemente, i cinquanta chilometri della Costa Smeralda.

I pretendenti sono molti. In prima fila due quasi coetanei: il miliardario libanese-americano Thomas Barrack, 53 anni, e il nostro Marco Tronchetti Provera, 54, padrone di Pirelli e Telecom, nonchè marito di Afef. Barrack è un californiano di genitori libanesi e religione cristiano-maronita. Due mesi fa è volato in Sardegna sul suo jet executive Falcon 900 e ha incontrato il presidente della Regione Mauro Pili, di Forza Italia. Finora le autorità regionali hanno proibito di costruire nell’ultima parte intatta della Costa Smeralda, la zona sud, fra Portisco e Cala di Volpe: quel Master Plan che, a seconda dei punti di vista, «valorizzerebbe» o «coprirebbe di cemento» l’area ancora vergine di Razza di Juncu. Il progetto prevede cinque nuovi hotel di lusso, due campi da golf e trenta ville. Barrack vorrebbe aggiungerci addirittura un autodromo e un ippodromo.

I piani degli speculatori si sono finora infranti davanti alla legge regionale che impedisce di costruire a meno di trecento metri dalla spiaggia: solo grazie a questo vincolo le coste della Sardegna si sono parzialmente salvate. Ma è anche vero che fino a oggi la Costa Smeralda, grazie al buongusto dell’Aga Khan, non è stata sfregiata da obbrobri urbanistici come nelle vicine Palau, Cugnana o Poltu Quatu: i miliardari possono anche permettersi di non eccedere in cubature, e di circondare le proprie ville di verde.

Nella speranza di vederlo approvato, la Starwood ha già ridimensionato il Master Plan: i metri cubi sono diminuiti da 2,5 a 1,7 milioni, e gli alberghi ne rappresentano ora il 40 per cento invece dell’originario 20 per cento. Le autorità sarde, infatti, vedono con più favore gli alberghi rispetto alle seconde case e ai residence, perché con i primi si crea più occupazione. Ma finora l’OK non è arrivato, e quindi il valore di quesi 2.400 ettari è assai incerto: quasi zero se l’area rimane inedificabile, platino se arrivano le ruspe.

L’americano Barrack ha un patrimonio personale di otto miliardi di dollari, con catene di alberghi e casinò in Canada, Stati Uniti e Francia. Cinque anni fa aveva comprato per quattro miliardi e mezzo di lire un terreno di 32 ettari a Porto Rotondo, per costruirci due hotel lusso e un golf. Ma il vicino di casa si chiama Silvio Berlusconi, e l’idea di un’invasione di turisti e golfisti lo ha fatto orripilare. Così il premier, qualche mese fa, ha sborsato sei miliardi a Barrack per quel terreno.

Se i buoni rapporti con Berlusconi favoriscono lo statunitense Barrack, gli altri pretendenti alla Costa Smeralda non sono da meno. Tronchetti Provera, infatti, è diventato negli ultimi anni anche un grosso proprietario immobiliare, e proprio in questi giorni sta quotando in Borsa la sua società Pirelli Real Estate, che possiede, fra gli altri, i prestigiosi palazzi del Corriere della Sera in via Solferino e della Rizzoli a Milano (dove c’è la redazione di Oggi). In Sardegna la Pirelli ha già comprato da Paolo Berlusconi la Costa Turchese, progetto di villaggio a sud di Olbia. Tronchetti, però, non vuole lasciare completamente la gestione degli alberghi alla Starwood.

Anche se le trattative sono segrete e gli interessati non fanno trapelare alcunché, pare siano coinvolti anche Diego Della Valle (l’industriale delle scarpe Tod’s), il costruttore-editore sardo Sergio Zuncheddu (proprietario del principale quotidiano dell’isola, L’Unione Sarda), i fratelli Molinas (re dei tappi di sughero e acquirenti di altri due gioielli della Costa, gli alberghi Sporting di Porto Rotondo e Petra Bianca), i Fratini di Firenze (jeans Rifle) e il veneto Leonardo Del Vecchio (occhiali Luxottica e Rayban).

Chi riuscirà, allora, a comprarsi la Costa Smeralda, il più bel gioiello del Mediterraneo? E, soprattutto, riuscirà il compratore a costruire nuovi alberghi e case senza ridurre questo Eden a un’altra Ibiza sudata e affollata?

«In agosto qui è già adesso il caos», avverte Bruno Mentasti, uno dei pionieri della Costa, «ci sono code interminabili di auto sulle strade e di motoscafi in mare». I locali notturni, tutti concentrati nella stessa zona (Sottovento, Sopravento, Billionaire, Pepero, Peyote), bloccano il traffico fra il centro di Porto Cervo e le ville esclusive nelle aree di Romazzino, Pevero e Cala di Volpe. Gli yacht devono ormeggiarsi in terza e quarta fila nelle baie delle isole di Mortorio, Caprera e Maddalena. Quanto alle spiagge, quelle del Principe, di Liscia Ruja, Long beach e Celvia diventano un carnaio fin dalle prime ore del mattino.

Così, il paradiso rischia di trasformarsi in un inferno. Ormai i miliardari più avveduti del Nord-Europa frequentano la Costa Smeralda soltanto in giugno, luglio e settembre: via dalla pazza folla! Italiani e arabi, invece, preferiscono ancora concentrarsi nelle prime tre settimane di agosto. Ma il futuro sta in una parola complicata: «destagionalizzare». Cioè abituare i ricchi & famosi ad andare in Sardegna da aprile a ottobre, allungando la stagione da Pasqua a Ognissanti. È questa la vera scommessa, chiunque vinca la partita in corso sulla Costa Smeralda.

Mauro Suttora

Monday, June 10, 2002

Aldo Grasso commenta l'articolo su Padre Pio

Corriere della Sera, lunedì 10 giugno 2002, pag. 29

Sezione: SPETTACOLI

Padre Pio sul video sempre vincente tra sacro e profano

di Aldo Grasso

Sarà interessante un giorno capire quanto la tv abbia spinto e accelerato il processo di santificazione del popolarissimo Padre Pio e, viceversa, quanto Padre Pio abbia contribuito alla canonizzazione della tv popolare (le conclusioni non sono in alternativa).

E' un desiderio sorto da una doppia lettura, originata dalle due corpose pagine che Il Foglio di sabato 8 giugno ha dedicato al frate di Pietralcina e dallo speciale «Porta a porta», sempre dedicato al neo santo (Raiuno, sabato, ore 20.50). E' stato uno scontro mediatico. Solo sulla carta stampata è possibile porsi certe domande (come quelle suggerite da [b]Mauro Suttora[/b]) mentre, in video, funziona unicamente il principio d' autorità decretato dallo star system?
Sembrerebbe di sì, visti gli ospiti di Bruno Vespa: Albano, Valeria Marini, Alessandro Greco, Pippo Baudo, Katia Ricciarelli, Enrico Montesano, Giulio Andreotti. Ospiti che sono già un format vivente: è la loro stessa presenza a decretare l' andamento del programma e l' esito della discussione.

Un piccolo esempio per capire: d' un tratto, Andreotti scaglia una delle sue malignità su Padre Gemelli (il frate-psicologo che ha accusato Padre Pio di essere un isterico); collegato da Milano c' è Francesco Alberoni che di Padre Gemelli è stato uno degli allievi prediletti. Vogliamo fargliela una domandina? No, niente.

Certo l' abilità di Vespa sta proprio nel mescolare sapientemente il sacro e il profano: a Pietralcina manda la pia Lorena Bianchetti, in abito da discoteca, e a San Giovanni Rotondo l' inquieta Elisabetta Gardini, con aria da suorina. E' l' abilità di chi sa che la risorsa Padre Pio fa audience e che non è il caso di porsi troppi perché. A meno che, mistero, la tv generalista non sia una forma moderna di stimmate, una prova di umiliazione e di sofferenza cui siamo chiamati.