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Sunday, October 24, 2021

L'internazionale anti Soros da Erdogan a Meloni

Il caso Kavala riporta in auge il bersaglio preferito della destra planetaria. Complottisti, fascisti, no-euro e novax, tutti contro il finanziere di 91 anni

di Mauro Suttora

HuffPost, 24 ottobre 2021

Essere ancora così odiati a 91 anni è un record mondiale cui George Soros rinuncerebbe volentieri. Perfino Berlusconi a 85 anni comincia a far tenerezza. Invece il finanziere ungherese-americano rimane il punchball preferito della destra planetaria: dai complottisti ai fascisti, dai noeuro ai novax, non c’è personaggio più bersagliato nella subcultura social. Basta la parola: Soros, possibilmente scritto con le due esse in grafia SS.

“Feccia di Soros”: così ora il presidente turco Erdogan definisce il suo oppositore Osman Kavala, in carcere da quattro anni senza processo. Stesso epiteto per gli ambasciatori dei dieci Paesi (i più civili del mondo, tutti gli scandinavi) che hanno osato chiederne la liberazione, ottenendo così la propria espulsione da Istanbul. 

Quanta ingratitudine. Perché “feccia di Soros” Erdogan potrebbe chiamare anche sua figlia, che in un’associazione di Soros fu accolta per uno stage, e perfino se stesso. Nel 2003 infatti lo incontrò cordialmente a Davos, chiedendogli di aiutarlo a entrare nell’Unione europea. E due anni dopo lo ospitò con ogni onore in Turchia.

Il miliardario dal cognome palindromo contraccambiò. Arruolò vari pesi massimi della politica europea per perorare la causa di Istanbul a Bruxelles, fra i quali l’ex premier francese Rocard e la nostra Emma Bonino. Missione fallita, e forse anche per questo il ducetto del Bosforo gli si è rivoltato contro. Ora lo definisce sprezzante “ebreo ungherese”.

Ed è proprio qui il problema. Gigantesco. Perché fino a una dozzina di anni fa soltanto i neonazi osavano brandire la parola ‘ebreo’ come insulto. Poi a re-hitlerizzare il dibattito politico è arrivato un altro beneficiato da Soros: il premier ungherese Viktor Orban, mandato nel 1989 a studiare liberalismo a Oxford a spese dal magnate compaesano. Il quale poi, fiducioso e generoso, una volta caduto il comunismo finanziò il partito allora liberale Fidesz fondato da Orban, e addirittura impiantò proprio a Budapest la più grande università della sua Open Society. Cacciata dall’irriconoscente Orban, che imputò a Soros l’ondata migratoria dei profughi siriani nel 2015.

Open Society, società aperta. È questo il concetto che fa impazzire tutti i fasciocomunisti, da Trump a Putin, da Milosevic (fatto cadere da Soros) a Xi Jinping, da Salvini alla Meloni. Il giovane George lo apprese a Londra dal filosofo Karl Popper, quando approdò alla London School of Economics dopo essere sfuggito a nazisti e comunisti (i ‘liberatori’ che violentarono sua madre). La ‘società aperta’ di Popper rappresenta l’abc del liberalismo, ma anche di mondialismo, cosmopolitismo, umanitarismo: tutte bestie nere delle destre (e di qualche autoritario a sinistra).

Soros è uno speculatore? Certo, come tutti i finanzieri. Ma anche come ciascuno di noi, quando investiamo i nostri risparmi cercando il massimo rendimento. Soros ha affossato la lira nel 1992? Probabilmente. Ma solo uno venuto giù con la piena o un Di Battista possono accusarlo di averlo fatto da solo, e non assieme alle decine di fondi plurimiliardari da New York a Tokyo, da Londra a Shanghai. Perché nessun singolo finanziere possiede la massa critica per attaccare una valuta sovrana: al massimo quelli più bravi e perspicaci iniziano la valanga scommettendo a loro rischio.

Soros ha rischiato, ha vinto (tanto), e poi ha deciso di fare il filantropo. Così, essendo appassionato di politica, ha investito un decimo della propria fortuna finanziando prima i dissidenti antisovietici, poi gli antiproibizionisti sulla droga (ricordo nel 1988 un convegno a Bruxelles della Lia, la Lega italiana antiproibizionista del radicale Marco Taradash), poi i gruppi di base per la democrazia che liberarono Serbia, Georgia e Ucraina dai loro dittatori (le famose rivoluzioni pacifiche arancioni).

Tutte cause meritorie e alla luce del sole, nei bilanci rendicontati della Open Society Foundation, compreso il contributo a +Europa della Bonino. Differentemente dalle tentate tangenti sul petrolio di Putin di qualche faccendiere leghista, o come i finanziamenti di un magnate russo a Ecr, il partito europeo di estrema destra presieduto da Giorgia Meloni.

Chiunque può controllare online sul sito di Soros le sue elargizioni. Le più contestate sono quelle per l’integrazione dei migranti. Attenzione: non per il recupero dei clandestini, le ong specializzate nei salvataggi ricevono già abbondanti microdonazioni da un vasto pubblico. 

Ma una volta arrivati nei nostri Paesi, ogni euro di assistenza fornito da Soros per i richiedenti asilo è un euro risparmiato dall’erario. Quindi dovrebbe essere ben visto a destra.

Niente da fare: i sovranisti imputano a lui e a Kalergi una oscura manovra per ‘sostituire’ la popolazione bianca (ariana?) con genti di altri colori. Da qualche anno è Soros stesso a essere sostituito nelle paranoie cospirazioniste sul web da un altro personaggio, ricco quanto lui, ma appassionato più di vaccini che di democrazia: Bill Gates. Peccato che non sia ebreo.

Mauro Suttora 

Wednesday, January 04, 2012

Elsa Fornero, superministra

CHI E' LA DONNA CHE FA ARRABBIARE SINDACATI E SINISTRA SULL'ARTICOLO 18

Oggi, 28 dicembre 2011

di Mauro Suttora

«Sono cieca, sorda e stupida». L’ha detto lei, per sfuggire alla selva di telecamere e fotografi che la assedia ogni volta che esce dal ministero. Citazione colta: sono le parole che usò ironicamente il filosofo Karl Popper per sottrarsi ai giornalisti.

Da un mese la professoressa Elsa Fornero è nel mirino. Di quotidiani e tv che vogliono intervistarla, ma anche dei milioni di italiani direttamente colpiti dalle sue stangate per ridurre il debito.

Le è bastata una settimana

Era da quarant’anni che i governi cercavano di abolire le pensioni d’anzianità (o meglio: di «giovinezza»), inopinato regalo tutto italico che permetteva a cinquantenni e anche pimpanti quarantenni di smettere di lavorare con sostanziosi vitalizi.

Poi è arrivata lei, la nuova superministra di Lavoro e Welfare (usiamo l’italiano: assistenza), e nel giro di una settimana ha decretato che non ci si pensiona più senza aver lavorato almeno 42 anni.

Natale rovinato per chi si apprestava a mettersi in quiescenza nel giro di pochi mesi. Ma, intimiditi da nuove parole come «spread» e agenzie di «rating», abbiamo ingoiato tutto. Anche la diminuzione del 6% per le pensioni superiori a 1.400 al mese, non più protette dall’inflazione per due anni.

Lacrime in mondovisione

Ci era diventata simpatica, però, quando l’abbiamo vista per la prima volta in tv. Perché ha singhiozzato e pianto quando ha dovuto pronunciare la parola «sacrifici».

«Quella sua foto in lacrime è finita in prima pagina su tutti i giornali americani», ci dice Annamaria Lusardi, docente alla George Washington University (Stati Uniti) e membro del comitato scientifico del Cerp (Centro ricerche pensioni), il think tank messo in piedi dalla Fornero all’università di Torino. «Rappresenta il travaglio di una persona che ha dovuto tradurre in pratica nel giro di soli sette giorni il lavoro di tutta una vita: quarant’anni di studi che l’hanno fatta diventare una dei massimi esperti di sistemi pensionistici a livello mondiale. Non so se gli italiani se ne rendono conto».

Poi però la Fornero ha affrontato un altro problema scottante del dibattito politico italiano: l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Quello che in pratica rende non licenziabili i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti. «Non è un totem», si era limitata a rispondere a una domanda del Corriere della Sera che la intervistava. Ma è bastato questo accenno a scatenarle contro i sindacati e i partiti di sinistra: «Respingiamo quest’attacco ai diritti dei lavoratori», le hanno subito risposto in coro. «Frignero», l’ha ribattezzata il sito Dagospia. «Non controlla i nervi, è un po’ oligofrenica», l’hanno insultata. «È anche paranoica», dopo che lei ha detto di essere rimasta vittima «di una trappola» del giornalista che la intervistava sull’articolo 18.

Insomma, la luna di miele si è prematuramente spezzata. Quella che sembrava l’Angela Merkel italiana, una zia severa che ci fa deglutire lo sciroppo amaro per il nostro bene, si è improvvisamente trasformata in una crudele Margaret Thatcher. E lei non ha migliorato la situazione andando a un convegno dei giornalisti solo per dir loro in faccia che sono privilegiati perché «vicini al potere» («Ruffiani», ha tradotto il manifesto).

A sinistra in politica

Ma chi è veramente Elsa Fornero? Molti dimenticano che l’unica esperienza politica della sua vita l’ha fatta a sinistra: consigliere comunale a Torino negli anni Novanta con il sindaco Valentino Castellani. «E, andando nel merito delle pensioni, ha riformato un sistema che privilegiava i ricchi, offrendo trattamenti d’oro ingiustificati», dice la professoressa Lusardi.

Da professoressa, la Fornero è convinta che basti «spiegare» le cose per farle capire e accettare. «Sono ingenua», ha ammesso. Ma la politica è diversa dall’accademia: tutto diventa opinabile, e non è detto che logica, onestà o buona fede alla fine prevalgano. «La Fornero difende gli interessi delle nuove generazioni rispetto ai privilegi delle vecchie», dice la professoressa Lusardi.

Soffre per le incomprensioni

Però i giovani, proprio in quanto giovani, poco s’interessano alle pensioni. E se vedono tagliare quella del nonno protestano comunque. Quanto all’articolo 18, difficile convincere che licenziamenti facili producano più assunti.

Lei, la determinata ma sensibile Elsa, soffre per queste incomprensioni. La attaccano perché la figlia 37enne Silvia Deaglio è docente alla facoltà di Medicina dell’università di Torino: la stessa della madre e del padre, l’insigne economista Mario Deaglio (fratello di Enrico, fondatore di Lotta Continua) già direttore del Sole 24 Ore e oggi editorialista de La Stampa. La criticano perché le ricerche di genetica della figlia sono finanziate dalla Compagnia di San Paolo di cui lei era vicepresidente, e che l’ha designata vicepresidente di Banca Intesa (guidata dall’attuale ministro Corrado Passera).

Ma dimenticano che Elsa è figlia di un operaio del deposito militare e di una casalinga, che si alzava all’alba per andare dal suo paese San Carlo Canavese a studiare ragioneria e poi economia in città grazie a borse di studio. All’istituto commerciale Einaudi era compagna di banco di Cesare Damiano, poi Pci-Ds-Pd, suo predecessore al ministero del Lavoro (2006-8) ma oggi suo avversario sulle riforme di pensioni e welfare, anche se deve votare sì per disciplina di partito.

Fosse per Elsa, tutto si risolverebbe davanti ai fornelli di casa sua, dove volentieri invita a cena i colleghi che diventano automaticamente amici. Da Mario Monti (che insegnò a Torino dal 1971 all’85) alla Lusardi, tante lodi ai suoi risotti. E lei parla di economia anche a tavola, e spiega, spiega, spiega...
Mauro Suttora