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Saturday, December 12, 1987

parla il generale Jean

Guerre del futuro/i dilemmi di uno stratega: parla il generale Carlo Jean

I CANNONI DELLA PACE

Gorbaciov ha accettato di smantellare gli euromissili perche' ha un esercito piu' potente dei paesi Nato. Adesso aumentano i rischi di un conflitto europeo. Per il disarmo: aumentare gli armamenti

di Mauro Suttora

Europeo, 12 dicembre 1987
 
“No, il trattato che Reagan e Gorbaciov firmeranno a Washington non e' un salto nel vuoto, non nasce improvvisamente, non e' un trauma per noi militari. Ma le sue conseguenze devono essere chiare per tutti: d'ora in poi gli europei dovranno pagare molto di piu' per la propria difesa. Mamma America se ne va". 

È uno dei cervelli piu' brillanti delle nostre forze armate a parlare : il generale Carlo Jean, 51 anni, ex comandante degli alpini e attualmente responsabile degli studi strategici del Casd (Centro alti studi difesa) a Roma, dove studiano gli ufficiali destinati agli altissimi gradi. E getta subito acqua sul fuoco degli entusiasmi di chi esulta per la " svolta epocale", la "doppia opzione zero" con la quale per la prima volta nella storia due potenze militari contrapposte accettano di autodistruggere fisicamente un' intera famiglia di armi : i missili a corto e medio raggio in Europa . 

Si' , quelle 3800 testate nucleari (tremila sovietiche , 800 statunitensi) che spariranno nel giro di tre anni , alleggeriranno il nostro continente dalla minaccia atomica . Dopo tante dimostrazioni pacifiste addio euromissili , addio 112 Cruise installati a Comiso , addio SS 20 , al macero tutti i missili nucleari con portata dai 500 ai 5 mila chilometri.

Ma qui, negli uffici del Casd sul lungotevere della Lungara, nella caserma dove alloggia Giovanni Spadolini, fra gli specialisti e i massimi esperti di cose militari, tutto appare piu' problematico. Il generale Jean ci riceve alle sette e mezzo del mattino, e da buon piemontese apre subito le finestre del suo studio "per aerare un po', se non le spiace". 

Si figuri, generale. E per cominciare, ci dica subito cosa pensa della frase con cui Eduard Shevardnadze, ministro degli Esteri sovietico, ha gioiosamente commentato l'avvenuto accordo: "Adesso i militari se ne staranno buoni per tredici anni, impegnati come saranno a verificare il rispetto del trattato". 

Ma come ? È noto a tutti che i generali russi farebbero volentieri a pezzetti Michail Gorbaciov con tutte le sue perestroike e aperture agli occidentali, e quello sciagurato di ministro li provoca cosi' pesantemente? 

"I rapporti fra politici e militari in Unione Sovietica sono sempre molto sfumati. Il caso Eltsin dimostra che il potere reale e' ancora tutto in gioco. Resta tuttora un mistero, per esempio: dov'e' finito Gorbaciov per 52 giorni la scorsa estate, prima di riapparire circondato da marescialloni e ammiraglioni nella base militare di Arcangelo, sul mar Bianco?".

Pare che scrivesse il suo libro . 
" Mah . . . Quel che e' certo e ' che , nei negoziati sugli armamenti , l' influsso dei militari sovietici e' assai maggiore di quello che hanno i militari occidentali . E ai russi questo permette di avere una visione strategica della linea da seguire . Invece i nostri politici , che devono tenere d' occhio le opinioni pubbliche interne , hanno spesso considerato il negoziato come uno scopo a se' stante , e non come un mezzo per raggiungere maggiore sicurezza . Perche' , per esempio , dopo aver respinto con sdegno per anni l' opzione zero proposta dalla Nato i sovietici alla fine l' hanno accettata ? La risposta e ' semplice : fin dal 1984 all'accademia Frunze, che sforna gli alti dirigenti politico militari di Mosca , e' emersa una nuova tendenza strategica : quella della convenzionalizzazione". 

Che vuol dire fare a meno delle armi nucleari.

"Si' , e questo per loro e' accettabile perche' in Europa detengono la superiorita' nelle forze convenzionali . Gorbaciov puo' imporre la distruzione dei missili SS 20 perche' ormai la nuova dottrina militare sovietica prevede le armi atomiche solo per un eventuale secondo colpo, per la dissuasione. Una guerra in Europa loro la ipotizzano combattuta solo con le armi convenzionali".

E la Nato lamenta una superiorita' di tre a uno del Patto di Varsavia nelle armi non nucleari. Ma alcuni, come per esempio i socialdemocratici tedeschi occidentali e il loro responsabile Esteri, Karstens Voigt, sostengono invece che c' e' parita', vista la superiorita' tecnologica dell' Ovest . Chi ha ragione ? 

"Il problema non e' uno sbilanciamento numerico a livello generale. Per esempio nel 1940, quando i tedeschi attaccarono la Francia, avevano meno carri armati dei francesi e degli inglesi. Ci sono oggi delle asimmetrie geografiche che giocano in favore dell'Est: loro possono spostare e concentrare le forze ovunque, mentre noi fra l'Italia e la Germania abbiamo il cuneo della Svizzera e dell'Austria neutrali, e fra l'Italia  la Grecia e la Turchia c'e' il mare. Inoltre, gli Stati Uniti non hanno un sistema di controllo sui propri alleati europei cosi' ferreo come quello dell'Unione Sovietica sui suoi satelliti. Una delle conseguenze della doppia opzione zero e' che, venendo a mancare tutta una classe di armi atomiche, si perde anche il collante che teneva assieme le varie aree della Nato. Adesso il fronte Sud, di cui l' Italia fa parte, e' separato completamente dal centro Europa. Paradossalmente, senza i Cruise di Comiso che potevano colpire Minsk e Kiev, i rischi di un conflitto limitato nel Mediterraneo aumentano..."

Mi scusi, generale, ma mi sembra che lei rimpianga gli euromissili la cui eliminazione viene invece accolta con sollievo da tutti.

"Purtroppo nel campo del controllo degli armamenti non si puo' correre dietro alle fantasie e ai buoni sentimenti . Un dirigente di uno Stato , responsabile della sicurezza dei suoi concittadini , non fa mai regali : giunge a determinate decisioni dopo aver valutato a fondo gli interessi della propria parte ".

E questo a Est come a Ovest.

" Si' . I sovietici non avevano installato gli SS 20 come strumenti militari , ma per esercitare un' intimidazione politica sull' Ovest . E quindi il loro significato e' scomparso quando noi abbiamo schierato gli euromissili : gli SS 20 sono diventati del tutto inutili , se non controproducenti . E questo che ha permesso ai sovietici di accettarne lo smantellamento".

E adesso , generale ? Tutti sperano che il disarmo continui. 

" Nel caso degli euromissili e' stato tutto relativamente facile , perche' noi avevamo da offrire in cambio Pershing e Cruise e anche perche' era una partita a due . Ma in campo convenzionale , se disarmo ci sara' , dovra' essere necessariamente diseguale . Dovra' insomma disarmare piu' l' Unione Sovietica che non gli occidentali , per ridurre lo squilibrio esistente . Noi abbiamo poco da offrire , perche' siamo gia' inferiori : l' anno scorso l' Urss ha prodotto 3 mila carri armati , noi 1200 ".

E allora , per ridurre questo squilibrio , l' Europa occidentale dovrebbe armarsi di piu'? 

"Si', e' un altro paradosso ma e' cosi': per disarmare bisogna prima armarsi. E questa per noi europei e' ormai una scelta obbligata , perche' non si puo' pensare che gli Stati Uniti mantengano in eterno 300 mila loro soldati a presidiare l' Europa . I cittadini americani non accettano piu' di pagare tasse anche per la nostra sicurezza " .

Le armi atomiche sono tremende ma hanno un pregio : costano relativamente poco . Le armi convenzionali , invece , sono costosissime . Per il riarmo europeo , che e' in cantiere , circolano cifre da far tremare i polsi . L' Italia , per esempio , ha attualmente una spesa militare di circa 20 mila miliardi all' anno . Come pensate di far accettare all' opinione pubblica aumenti dell' 8 per cento annuo ? 

"Purtroppo l' inflazione militare e' molto piu' alta di quella civile , perche' le armi sono un prodotto ad altissima tecnologia. Ogni generazione di armi costa dalle due alle cinque volte in piu' di quella precedente. Ma un modo per spendere di meno c'e': la standardizzazione, la cooperazione fra le industrie europee. La fregata Nato degli anni Novanta , per esempio, sara' costruita in 27-28 esemplari. Con gli stessi soldi , se si fosse proceduto separatamente , non saremmo arrivati a piu' di 19 20 navi".

L' esercito italiano , pero' , sembra vergognarsi di se stesso . La sua attuale campagna pubblicitaria mostra i soldati che fanno di tutto (spengono incendi , sfamano terremotati , spalano la neve) tranne quello per cui esiste un esercito : prepararsi a fare la guerra . 

" E vero : esiste una certa contraddizione fra il livello dichiaratorio verso il grande pubblico e le reali necessita' di una politica di sicurezza e di difesa . Ma questo , probabilmente , e' il difetto di ogni campagna pubblicitaria : per vendere , si accredita l'immagine piu' accettabile".

A gennaio il ministro della Difesa Valerio Zanone presentera' in Parlamento la nuova legge promozionale per il riammodernamento delle nostre forze armate. I programmi sono molti e costosissimi : si va dai missili antiaerei Patriot made in Usa (3 mila miliardi) al primo tank interamente made in Italy, l'Ariete della Fiat Oto Melara , che verra' prodotto in 500 esemplari. Pero' oltre all'Efa (European Fighter Aircraft) non sono molte le coproduzioni europee. Perche'?

"Se nella divisione delle commesse in Europa alle nostre industrie viene riservata la carpenteria metallica , e' evidente che non possiamo starci . Comunque , nel caso dell' Ariete alla fine ciascun esemplare ci costera' piu' o meno come un Leopard . Voglio pero' precisare che i nostri programmi di ammodernamento non sono una conseguenza dell' opzione doppio zero : se ne discuteva gia' quattro anni fa".

Il fallimento del vertice italo-francese a Napoli il 26 novembre dimostra che ciascun paese europeo anche nel campo della difesa se ne sta per conto suo, iperprotettivo verso le proprie industrie nazionali. 

"Guardi che negli Stati Uniti , dove per le commesse militari c' e' concorrenza , quando la Lockheed si vede bocciare un prototipo licenzia 30 mila dipendenti in un colpo solo . Lei pensa che il nostro mercato del lavoro lo permetterebbe?" 

Un'ultima domanda, generale : perche' la Nato non studia forme di resistenza civile ed economica da affiancare alla difesa armata, come fa la Svizzera? 

"Purtroppo il nostro paese non ha la stessa coesione sociale della Svizzera. Quanti sarebbero da noi i collaborazionisti in caso di invasione? Ciascun ufficiale svizzero ha il potere di punire il civile che collabora con il nemico. E la parola "punire", in casi come questi, e' un eufemismo".
Mauro Suttora

Saturday, October 17, 1987

L'esercito svizzero

Vecchia Europa 1: come gli svizzeri difendono la loro immensa ricchezza

L'ARMA DEL MANAGER

Gli elvetici vanno a votare il 18 ottobre. Verdi a parte, non cambierà nulla. Così come non cambierà il loro esercito senza generali. Ma con i dirigenti delle banche e dell'industria che fanno gli ufficiali per 25 giorni l'anno. Patriottismo? Certo. Ma anche un ottimo investimento

di Mauro Suttora 
fotografie di Gianfranco Moroldo



Europeo, 17 ottobre 1987 

L'ingegner Peter Amacher, 38 anni, dirigente della societa' di elettronica Gretag di Zurigo, ha sotto di se' 350 tecnici e operai. Ma in questi giorni il maggiore Peter Amacher, comandante di battaglione dell'esercito svizzero, da' ordini a 800 soldati che si addestrano nei dintorni dell'abbazia benedettina di Einsiedeln, nel cantone Schwyz. Il servizio militare di Amacher, infatti, e' ricominciato il 24 settembre, e durera' fino alla meta' di ottobre. 

Come ogni ufficiale, ogni anno l' ingegnere deve dedicare tre settimane e mezzo al "corso di ripetizione": una specie di naia a puntate, obbligatoria per tutti gli svizzeri maschi dai 20 ai 32 anni, e che per chi sceglie di diventare colonnello si allunga fino ai 55 anni , per un totale di 1513 giorni (piu' di quattro anni). 

Strana Svizzera, cosi' vicina all'Italia ma cosi' sconosciuta : per la maggior parte di noi e' sempre quella di Pane e cioccolata, il film di Nino Manfredi, o di Pablo, l'emigrante cantato da Francesco De Gregori. 
Strana Svizzera, neutrale da secoli, che ospita l'Onu a Ginevra, ma che l'anno scorso ha deciso, in uno dei suoi numerosissimi referendum, di rimanere fuori dall' Onu. 
Ricchissima Svizzera , soprattutto : inflazione e disoccupazione sono irrilevanti , ferme all' uno per cento. Mentre nel 1971 bastavano 150 lire per comprare un franco, adesso ce ne vogliono 900. 

Il 18 ottobre i sei milioni di abitanti di questa eccentrica macchia nel centro Europa andranno a votare per il rinnovo del Parlamento federale . Da quasi trent' anni al governo di Berna c' e' un' " ammucchiata " di partiti " borghesi " (liberalradicali , democristiani , agrari) e socialisti , che assieme controllano 180 deputati su duecento . Il resto sono xenofobi di destra , comunisti , localisti e verdi . Saranno gli ecologisti l' unica sorpresa dell'inamidato panorama politico svizzero ? I sondaggi li danno al 15 per cento : sarebbe un terremoto. 

Ma il vero mastice della Svizzera, paese con due religioni e quattro lingue, e' un altro: gli affari. Ben 150 deputati (su 200) appartengono ad almeno tre consigli di amministrazione. Detto questo, detto tutto: "Il socialismo si addice alla Svizzera come la sella alla mucca", aveva concluso Lenin gia' ottant'anni fa. 

L' altra grande colonna dell' orgoglio elvetico e' la neutralita' . Armata , pero' . E quindi , ecco l' esercito . Di popolo , pero' . E sul serio : su 600 mila uomini mobilitabili nel giro di poche ore , i militari di carriera sono solo un migliaio . Soprattutto istruttori , il minimo necessario per tenere in piedi la baracca . Niente generali , in Svizzera : i comandanti di corpo assumono questo grado solo in caso di mobilitazione preguerra, come nel 1940. 

I pacifici elvetici non hanno la bomba atomica, non stanno ne' con la Nato ne' con il Patto di Varsavia, non hanno piu' attaccato nessuno dopo la batosta subita dai loro antenati a Marignano nel 1515 contro i francesi, e nessuno ha piu' attaccato loro. Hanno un esercito difensivo, pronto a combattere solo in caso di invasione del proprio territorio e le cui uniche vittorie sono quindi le guerre evitate. Cosi', le citta' svizzere sono piene di monumenti a generali considerati eroi proprio perche' non hanno mai combattuto. L'ultimo, Henri Guisan, nel 1940 mobilito' le truppe con tale efficacia che perfino i nazifascisti lasciarono perdere: il costo di un' invasione sarebbe stato davvero troppo alto anche per loro. 

Ma c'e' un argomento che batte tutti gli altri , e che spiega l'entusiasmo degli elvetici per le proprie forze armate: il loro costo . Molto basso: appena 4 mila miliardi di lire all'anno, l'1,9 del prodotto nazionale lordo contro , per esempio, il 2,8 dell'Italia . E se a questo si aggiunge che il reddito medio di ciascuno svizzero e' il quarto al mondo (dopo Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi) , doppio di quello britannico , superiore di due volte e mezzo a quello di ogni italiano, si conclude che per la Svizzera comprare (pochi) cannoni non significa sacrificare sul burro. 

Ma come si svolge, in concreto , la vita di questo " esercito di cittadini " ? Per scoprirlo , abbiamo seguito per due giorni uno dei numerosi dirigenti svizzeri che regalano alla patria tre settimane e mezzo all' anno del proprio tempo . E impariamo subito che il regalo non lo fanno i cittadini , ma le imprese che continuano a pagarli con lo stesso stipendio anche durante il servizio militare : " Per l' industria privata e' un investimento", spiega l' ingegner Amacher, "perche' l' esperienza nell' esercito e' paragonabile a quella di una scuola per manager : si imparano la presa di decisioni rapide , la valutazione delle situazioni , l' organizzazione e la valorizzazione dell' elemento umano . . . " .

L' indennita' per perdita di guadagno pagata dall' esercito va da un minimo di 15 a un massimo di 126 mila lire al giorno , a seconda dello stipendio del " precettato " e della sua situazione familiare (celibe , sposato , con figli , ecc . ) . Per i lavoratori autonomi c' e' un assegno supplementare di 35 mila lire al giorno . E in alcuni cantoni agricoli si raggiunge quasi la perfezione : dei contadini " statali " sostituiscono gli agricoltori chiamati in servizio durante il periodo dei raccolti . 

L' esercito e' territoriale . Il maggiore Amacher , che e' nato a Berna , comanda il 36 battaglione di fanti di montagna (paragonabili ai nostri alpini) , tutti bernesi . Siamo nel suo ufficio di Zurigo, alla Gretag, una societa' del gruppo Ciba Geigy che fattura circa 180 miliardi di lire all' anno . Produzioni : apparecchiature fotografiche , fotofinish , laser , eidophor , densitometri . Ma anche criptologia , un settore delicato , dove la produzione elettronica per scopi bellici e' molto richiesta . E qui si intuisce la convenienza , per l' industria , di avere dirigenti che conoscono bene le esigenze dei militari , essendo militari essi stessi . 

Amacher sottolinea che la sua vita non e' divisa in due : " Sono un cittadino che fa il soldato con lo stesso impegno con cui dirigo l' azienda " . Per la verita' , visto il suo entusiamo per la vita militare , piu' che un manager prestato all' esercito potrebbe essere definito come un militare che per 49 settimane all' anno e' un civile . Seguiamo l' ingegnere elettrotecnico a casa, nella villa sul lago di Hallwil , in Argovia . Sua moglie , insegnante di ginnastica , non sembra particolarmente entusiasta della carriera militare del marito: " Ritorna sempre cosi' stanco dal servizio". 

Il mattino dopo, caricata sulla macchina la cassa con l' equipaggiamento militare che ciascuno svizzero conserva in casa assieme all' immancabile fucile, Amacher parte per Einsiedeln , dove sono previste le esercitazioni di quest'anno . Li' incontra il suo superiore , colonnello Robert Messerli , che da civile e' direttore dell' Ubs (la maggiore banca elvetica) a Interlaken . E, a pranzo con gli ufficiali, si intuisce un' altra grande forza dell' esercito svizzero, oltre a quella del connubio con l'industria: la possibilita', per le migliaia di svizzeri che scelgono la carriera di ufficiale (che "costa" tre anni in piu' di servizio), di entrare in contatto con una quantita' di altri manager e dirigenti la cui conoscenza e' preziosa nella vita normale. 

L' esercito, insomma, e' anche un club di ad alto livello. Colonnello Messerli, e' piu' stretto il segreto militare o quello bancario, in Svizzera ? Il colonnello dell'Ubs d'estate va in vacanza a Punta Ala, il suo italiano e' ottimo . Ma questa domanda molto gentilmente fa finta di non averla capita . E allora contraccambiando la discrezione evitiamo di fargli l'altra domanda, d' obbligo in questi giorni : colonnello , cosa pensa di quel rapporto dell'Fbi che accusa l' Ubs di aver fatto fuggire Licio Gelli dal carcere di Ginevra nel 1983?
Mauro Suttora

Saturday, September 26, 1987

Profughi istriani e dalmati


Ferite socchiuse: 40 anni dopo, gli esuli italiani si interrogano sul proprio passato

PALESTINESI DI CASA NOSTRA

Dalmati e istriani si incontrano a Trieste per commemorare gli avvenimenti del 1947. Gli jugoslavi li chiamano fuggiaschi, il Msi li corteggia. Ma loro cosa rivendicano? Le terre perdute? No, dicono, soltanto il diritto alla nostalgia

Europeo, 26 settembre 1987

di Mauro Suttora

In via Montenapoleone a Milano, fra i re della moda mondiale, la Dalmazia è regina. Sono dalmati, infatti, i due stilisti che si fronteggiano all'inizio della via, con le loro ricche vetrine nelle postazioni più prestigiose, quelle vicine a piazza San Babila: Ottavio Missoni e Mila Schoen. Dalmati , e quindi profughi. Così come gli altri 350 mila istriani, fiumani e lussignani che nel 1947, quarant'anni fa, dovettero abbandonare le proprie terre ai partigiani jugoslavi.

Fu un esodo drammatico. Per molti comincio' gia' nel 1943: gli abitanti di Zara scapparono in 14 mila per non morire sotto i bombardamenti a tappeto degli aerei inglesi. " Io ero prigioniero in Africa", ricorda Missoni, oggi sindaco onorario del 'Libero comune di Zara in esilio', "ma la mia famiglia fuggi' a Trieste con il 90 per cento della popolazione, che era tutta italiana. Quando tornai in Italia trovai mio padre che a 65 anni, per mantenerci, si era dovuto rimettere a navigare. Erano tutti scappati senza una lira".

Per altri la fuga fu meno precipitosa: gli italiani della "zona B" del mai nato Territorio libero di Trieste se ne andarono nel 1954-55, quando la zona passo' sotto amministrazione jugoslava in cambio del ritorno di Trieste all'Italia. Ma il grosso dei profughi "esodò" nel 1947, quando il trattato di pace impose all'Italia sconfitta di cedere quasi tutta la Venezia Giulia alla Jugoslavia.

Fu la ratifica di una realta': gia' da due anni nei paesi italiani della costa istriana si erano installate vincitrici le truppe comuniste del maresciallo Josip Broz detto Tito. Che avevano prevalso, con l' aiuto russo-inglese, non solo su tedeschi e italiani, ma anche, dopo una feroce guerra civile interslava, sui fascisti croati (gli "ustascia") e sui partigiani monarchici "cetnici" (paragonabili ai nostri badogliani).

Il 19 e 20 settembre a Trieste si riuniscono gli esuli istriani e dalmati per commemorare gli avvenimenti di quel 1947. Arriveranno 5 mila persone dall'Italia e dall'estero (soprattutto Canada  Australia e Usa, dove si sono rifugiati circa 50 mila profughi). E poi ci saranno i 50 mila triestini di origine istriana e dalmata.

Ma non sara' un anniversario facile. Il quotidiano semiufficiale Delo (Lavoro) di Lubiana ha gia' dedicato al raduno un articolo in cui si esprime "sorpresa e meraviglia per l'appoggio delle autorita' italiane a questi 350 mila fuggiaschi" (agli esuli, nonostante l'insulto del termine "fuggiasco", l'articolo non e' interamente dispiaciuto: per la prima volta infatti gli jugoslavi riconoscono il numero di 350mila profughi. Nel tentativo di minimizzare l'esodo, in passato Belgrado non era mai andata oltre la cifra di 200-250 mila).

L'ambasciata jugoslava a Roma ha protestato con il nostro governo, che dovrebbe essere rappresentato al raduno dal ministro della Funzione pubblica Giorgio Santuz (Dc), unico titolare di dicastero seppure senza portafoglio proveniente dal Friuli Venezia Giulia.

Perche' queste proteste? "Non lo so, noi non avanziamo alcuna rivendicazione nei confronti della Jugoslavia", assicura Silvio Cattalini, organizzatore del raduno ed esule da Zara. "Certo, nei decenni scorsi c'e' chi ci ha fatto passare tutti per nazionalisti o fascisti. Ma noi vogliamo fare solo un discorso culturale : mantenere viva la memoria sulla nostra tragedia , farla studiare sui libri di scuola. Fra qualche anno, dei protagonisti diretti di quella vicenda non rimarra' piu' nessuno. Ecco, noi vogliamo che la nostra sofferenza non sia cancellata".

A complicare le cose, pero', e' arrivato il Movimento sociale italiano. Il quale ha organizzato per sabato 19, alle sette di sera, un comizio di Giorgio Almirante in piazza Unita'. Gli esuli hanno un concerto nel vicino teatro Verdi alle 18  e usciranno negli stessi momenti in cui il segretario del Msi iniziera' il suo discorso.

"Almirante e' fiero di aver potuto parlare in pubblico per la prima volta proprio a Trieste, nel 1949", spiegano al Msi, "e vuole concludere la sua carriera da segretario con un comizio nella stessa città". Apriti cielo : il consigliere comunale della minoranza slovena a Trieste Alessio Lokar ha protestato per l'adesione del Comune, con il sindaco Giulio Staffieri in testa, al raduno "sciovinista e revanscista" dei profughi.

Il messaggio di Staffieri agli esuli, in effetti, si differenzia da quelli piu' anodini fatti pervenire dal presidente della Regione e da quello della Provincia. Mentre per esempio quest'ultimo definisce l'esodo come "una scelta imposta dalla storia" (frase che fa imbestialire i profughi, ma che si giustifica per la presenza in provincia di Trieste di molti sloveni ai quali dispiacerebbero indicazioni piu' precise), il sindaco si lancia in affermazioni drastiche: "All'emigrazione degli esuli va coraggiosamente dato il nome di esilio, ma noi siamo rimasti qui a mantenere le posizioni di una civilta' che non e' destinata a morire". E poi: "Accanto al rilancio dell'economia , a quello emporiale e scientifico, e' da coltivare o addirittura da anteporre il rilancio dei grandi valori ideali, di cui uno dei piu' alti e sacri e' l'amor di patria".

Patria: una parola che fa venire ancora i brividi di commozione ai profughi (anche perche' la patria e' piu' bella se perduta), ma che suscita sentimenti opposti fra i 30 mila sloveni di Trieste, che non si considerano certo un "avamposto della civiltà" (italiana, latina, occidentale, cristiana) in territorio nemico.

Cosi', a quarant' anni dalla fine della guerra, molti sono ancora gli argomenti che scottano. E anche i gesti: "Finalmente", annuncia per esempio Silvio Del Bello, 53 anni, di Umago, presidente dell'Unione degli istriani, "domenica, per la prima volta , un ministro del governo italiano rendera' omaggio alle vittime delle foibe di Basovizza e Monrupino".

Le foibe sono grotte carsiche, cavita' profonde dentro le quali i partigiani di Tito gettarono circa seimila italiani, spesso ancora vivi: tutti accusati di essere fascisti o collaborazionisti, mentre in realta' in non pochi casi si tratto' di vendette personali. Nella foiba di Basovizza, per esempio, che e' la piu' grande fossa comune d' Italia, sono finiti anche comunisti e soldati neozelandesi.

Pochi i corpi riconoscibili : quando gli alleati scoprirono la foiba, i cadaveri legati l'uno all'altro da fil di ferro erano gia' decomposti. Si conosce solo lo spazio che occupano: 300 metri cubi di ossa.

Ma si sa, fra i crimini di guerra quelli dei vincitori sono sempre i meno gravi. E quindi le vittime delle foibe non hanno ricevuto gli stessi onori degli altri caduti. Anzi, illustri professori di storia, come Giovanni Miccoli ancora nel 1976, si sono esercitati nel bollare come "aberrante" l'accostamento fra due pagine egualmente nere della guerra a Trieste, seppure di segno opposto: le foibe slavo-comuniste e il campo di sterminio nazista della risiera di San Sabba (dove, per ironia della sorte, nel dopoguerra vennero parcheggiati molti profughi istriani in attesa di sistemazione).

Ma chi sono veramente i profughi istriani e dalmati? Cos'hanno fatto in quarant'anni questi nostri 350 mila "palestinesi"?
"A differenza dei palestinesi noi siamo esuli in patria", risponde Del Bello, "e pensiamo di esserci comportati bene: ci siamo sparsi un po' in tutta Italia, abbiamo lavorato duro, ci siamo rifatti una casa".

Alcuni hanno fatto fortuna, come l'industriale farmaceutico Fulvio Bracco, quello del Cebion. Altri sono arrivati al successo: l'attrice Laura Antonelli, nata a Pola nel 1941, il cantante Sergio Endrigo, anche lui polesano, la presentatrice tv Paola Perissi (Processo del lunedi).

Uno che non ha dimenticato e' il celebre violinista Uto Ughi, 43 anni, che sta eguagliando le gesta del suo compaesano piranese Giuseppe Tartini: fa parte del consiglio nazionale dell'Unione degli istriani. Dall' ex zona B vengono lo scrittore Fulvio Tomizza e il pugile Nino Benvenuti, da Lussinpiccolo il comandante Tino Straulino, olimpionico di vela.

Mila Schoen (vero nome Maria Nutrizio, sorella del celebre giornalista Nino, ex direttore della Notte) e' fuggita dalla sua Trau', in Dalmazia, addirittura nel 1923, quando aveva un anno e mezzo. Il padre, farmacista, passo' il confine di notte, perdendo tutto. "Mio padre era un patriota", ricorda lei adesso, "e quando la Dalmazia fini' alla Jugoslavia fu considerato un traditore dagli slavi".

Non pochi sono i dalmati profughi due volte: nel primo dopoguerra quando si rifugiarono a Fiume, Zara o Pola, e poi nel 1947, quando dovettero andarsene di nuovo. Mila Schoen e' sfuggita a questo amaro destino: lei nel 1940 era gia' a Milano. "Sono ritornata per la prima volta a Trau ' sei anni fa, mi ci hanno portata in barca degli amici brasiliani. Sono posti bellissimi, straordinari. Quando sono sbarcata, ho domandato in piazza al primo passante se si ricordava dov'era la farmacia del dottor Nutrizio. 'La farmacia del buon Gigi ? Era quella la'!', mi ha subito risposto".

L' Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ha sede a Roma: ha assistito 172 mila profughi e pubblica un quindicinale, Difesa Adriatica. Presidente e' Paolo Barbi, europarlamentare democristiano fino al 1984; segretario un prete, padre Flaminio Rocchi. Per le ultime elezioni Difesa Adriatica ha indicato alcuni candidati da votare, tutti Dc (l'olimpionico Abdon Pamich, Uto Ughi e lo zaratino Lucio Toth, eletto senatore) e del Msi. Perche'? "Abbiamo segnalato tutti quelli che ce lo hanno chiesto", risponde padre Rocchi. "L'unico requisito e' essere nati nelle nostre terre. Abbiamo pero' una preclusione verso il Pci, che nel 1947 voleva dare Trieste e Gorizia alla Jugoslavia".

Annunci piu' inquietanti sono pubblicati sul mensile Voce di Fiume: raduni di reduci della Decima Mas repubblichina  incontri al Vittoriale. "I nostalgici ci sono dappertutto", commenta Silvio Cattalini, "ma sono solo una piccola minoranza".

E Missoni, che ne pensa? "Fiol, cos te vol che te diga, mi de politica no me interesso. Io vado in Jugoslavia da 25 anni ogni estate con la mia barca  perche' il vino, il mare, i canti e i tramonti sono sempre quelli. Ma nessuno ha mai pensato di tornare. Io non ho mai avuto odio, ne' allora ne' oggi, verso gli slavi. In fondo, noi dalmati siamo sempre stati sotto qualcuno".

Padrone per padrone, l'unica nostalgia che riesce ad accomunare tutti gli esuli istriani e dalmati e' forse quella per l'impero austriaco di Francesco Giuseppe, che riusci' a far convivere pacificamente marinai e pescatori italiani della costa con i contadini slavi dell'interno. Poi sono arrivati i fascisti. Poi i comunisti. E gli ammiratori degli Asburgo sono aumentati: "Quando governavano loro, profughi non ce n'erano".

Mauro Suttora

Saturday, June 06, 1987

Etica dei professionisti


Medici, avvocati, ingegneri: quali sono i loro dilemmi etici?

di Mauro Suttora

Europeo, 6 giugno 1987

Medici

Luigi Rainero Fassati, professore al Policlinico di Milano, mette al primo posto dell'etica medica la preparazione professionale: "È la base di tutto: un buon medico dev'essere soprattutto un medico bravo. In questo senso, i piani di studio riformati che entreranno in vigore fra un paio d' anni nelle università faciliteranno la qualificazione, con più pratica e meno teoria. Poi c'è il rapporto medico paziente.  È ora di finirla con gli atteggiamenti di superiorità: il medico è un professionista come un altro, e deve restare su un piano di parità con il suo paziente. Deve dirgli la verità sulla sua malattia, naturalmente con tatto, ma senza ammantarsi di mistero. Altrimenti i malati continueranno a essere ingannati, e non per questo staranno meglio". 

E la genetica ? La fecondazione artificiale ?
"Sono grandissimi problemi che fanno sconfinare la medicina in altri campi, che non sono più suoi".

Parliamo di soldi.
"Gli stipendi della struttura sanitaria pubblica (servizio che deve continuare assolutamente a essere garantito a tutti i cittadini) devono naturalmente permettere una vita decorosa ai medici. Ma io sono per la meritocrazia: guadagni di piu' il medico più bravo, senza posti di primario, di aiuto o di assistente garantiti a vita". 

Avvocati

Alberto Dall'Ora, illustre penalista milanese, ex difensore (con successo) di Enzo Tortora e attualmente parte civile contro la modella Terry Broome, riprende le fila del secolare dibattito sull'etica dell'avvocato: "Purtroppo in Italia c'è ancora la tendenza a guardare con sospetto chi difende imputati di delitti gravi, come quelli mafiosi o di violenza carnale. Li si considera complici, avvocati della mafia, 'avvocati del delitto'. E invece sono solo i necessari difensori di persone che, fino alla condanna, non si possono considerare colpevoli o innocenti. Io comprendo l'esigenza di lottare contro il crimine, ma ad esempio le condizioni di lavoro per i difensori nei maxiprocessi sono proibitive". 

Sì, però è dimostrato che mafia e camorra si avvalgono dei servizi "giuridici" di parecchi avvocati. 
"Il fenomeno del 'consiliori' è un altro discorso: c'è sempre stato, ed è giustamente punito come concorso in reato". 

Ma c' e' un confine, per gli avvocati? 
"Siamo in mezzo all' eterno conflitto : da una parte l'interesse del cliente , dall'altra quello della giustizia. E, spesso, per noi è crisi di coscienza". 

Jacques Verges, il difensore del nazista Barbie, non sembra averle. 
"Non conosco il suo caso. Ma ogni avvocato è punibile se scade nell'apologia dei reati dell'imputato". 

Ingegneri

Silvio Terracciano è il presidente del consiglio nazionale dell' Ordine degli ingegneri (86 mila iscritti): "Il primo problema etico, per noi, è quello di non fare illecita concorrenza ai colleghi : non possiamo accettare incarichi che vengano retribuiti al di sotto delle tariffe professionali. Inoltre, quando un ingegnere si sostituisce a un altro nel corso di un'opera, deve informare il collega a cui subentra, per evitare di usufruire di un lavoro intellettuale già svolto. E poi, non è lecito approfittare di una particolare situazione per ottenere un incarico. Per esempio, un ingegnere che lavora a un piano regolatore non può contemporaneamente avere rapporti con un privato".

E la sovracementificazione? In giro si vedono tanti di quei bunker che sorge un sospetto : ingegneri e cementieri sono buoni amici? 
"Per quanto riguarda la sicurezza, i controlli dei collaudatori statici escludono ogni rischio. Per il resto, è una questione di gusti".

E i partiti politici ? 
"La lottizzazione è insopportabile. La spartizione nelle commissioni di collaudo è tale che, per esempio, in Campania recentemente ne è stata nominata una con 14 membri : tre avvocati, quattro ragionieri, altri signori, e un solo ingegnere". 

Mauro Suttora 

Saturday, February 28, 1987

Vita da malato di Aids

Malati e società: che cosa succede a chi dichiara di essere contagiato dal virus più temuto del secolo, l'Aids

VITA DA UNTORE

Un giornalista dell'Europeo, Mauro Suttora, ha viaggiato una settimana per l'Italia fingendo di essere affetto dalla malattia. Cacciato dai ristoranti, dai bar e dagli alberghi, rifiutato dai dentisti, evitato dai taxisti, accolto quasi ovunque con diffidenza, ma a volte con insospettata solidarietà.
Ecco le reazioni della gente di fronte allo spettro dell'Aids

di Mauro Suttora
foto di Piero Raffaelli

Europeo, 28 febbraio 1987




"Portatore sano? No, no, allora niente. La camera non gliela posso dare".
 Lo sguardo del portiere si irrigidisce nello spazio di un secondo, appena udita quella parola.
 "Guardi che ho detto portatore sano, non malato di Aids . In ogni caso, non è contagioso..."
"Ci sono gli ospedali per queste persone".
"Ma l'ho solamente voluta avvertire per correttezza , perche' possiate adottare alcune minime precauzioni di pulizia".
"Io un portatore sano non lo prendo".
 Dall'altra parte del bancone, nella morbida e lussuosa sala della reception foderata di legno, c'è una persona che in un baleno è riuscita a prendere una decisione gravissima e irreversibile. Neanche l' ombra di un dubbio, di un' incertezza.
"Allora mi faccia parlare con il direttore".
"Il direttore adesso non c'è".

Lo guardo negli occhi: ecco, si è volontariamente arruolato in un suo immaginario esercito, costituito lì per lì, sul momento: quello dei difensori delle persone sane contro gli appestati dell'Aids .
"Niente camera, allora?"
"No. Se volete una camera, portatemi un certificato di buona salute".
Non teme che dalla sua bocca possano uscire sciocchezze come questa, vuole soltanto che io e il mio amico untore ce ne andiamo il più presto possibile.
"Ma avete ricevuto delle istruzioni?".
"Mi dispiace".
Non parla più. Forse si è accorto dell'arbitrarietà della scelta presa, ma questo non fa che incaponirlo ulteriormente. Nessuna marcia indietro gli è più possibile. Buonasera.

Non siamo in un alberghetto di provincia. Siamo al Ciga Diana Majestic, nel centro di Milano, la città più europea d'Italia e quindi anche la più colpita dall'Aids. Hotel di lusso, a Porta Venezia: qui dormono ogni sera, a 141mila lire per notte, star del cinema e della musica internazionale, industriali, professionisti, businessmen americani e tedeschi, giapponesi e brasiliani. E quello che abbiamo riportato è il testo letterale del dialogo con il receptionist che era di turno lunedì 9 febbraio alle quattro del pomeriggio.

Eravamo entrati in due, io sorreggevo un amico e l'ho fatto accomodare su un divano della hall. Poi sono andato al banco e ho chiesto se erano disponibili due camere singole per una notte.
"Certo, signore".
"Le avete sullo stesso piano, vicine?".
"Vediamo... sì, sono una accanto all'altra".
"Molto bene. Volevo pero' avvertirla che c' e' un piccolo problema: il mio amico e' portatore sano di Aids".
E a questo punto e' scattato il rifiuto totale, immotivato.

All'hotel Diana Majestic di Milano, che ci ha rifiutati
Ho girato per una settimana nelle tre principali citta' d'Italia, Milano, Roma e Napoli, simulando da solo o con altri la condizione di malato di Aids o di sieropositivo. Ho avuto l'assistenza di Luca Lindner dell'agenzia Tbwa (la stessa che in Gran Bretagna conduce per conto del governo la campagna di informazione sull' Aids) che ha progettato e contribuito a realizzare il servizio, con l'aiuto di alcuni attori (i quali pero' non hanno influenzato le reazioni dei nostri ignari interlocutori). Il fotografo dell'Europeo Piero Raffaelli ci ha seguiti e ha documentato le situazioni da "candid camera" che abbiamo creato.

Non avevamo nessuna tesi da dimostrare, né alcun criterio statistico da rispettare. Abbiamo semplicemente voluto fare un viaggio per scoprire a quali problemi pratici può andare incontro oggi, in Italia, un malato di Aids o anche semplicemente un sieropositivo dichiarato, che voglia condurre una vita normale. Abbiamo raccolto i commenti e le reazioni spontanee della gente.

Diciamo subito che non abbiamo mai incontrato cattiveria ma soltanto, a volte, ignoranza, diffidenza o indifferenza. Nessuno ha gridato "All' untore!". Anzi , spesso abbiamo trovato solidarieta'.
Sara' bene, pero', che anche le associazioni degli albergatori e dei ristoratori, cosi' come hanno gia' provveduto a fare quelle dei dentisti o dei barbieri, diano indicazioni precise per l' accoglienza ai colpiti dall'Aids. I quali , se lo vogliono , avranno pure il diritto di viaggiare e di trovare un posto per dormire e mangiare.

Certo, forse finora il problema concreto non si è mai posto. Ma l'Aids colpira' 1200 cittadini italiani entro la fine di quest' anno, e diecimila da qui al 1990. E poi ci sono i portatori sani , che in quanto a contagiosita' sono equivalenti ai malati , e che gia' adesso sono 150 mila in Italia. Apartheid anche per loro? Solo qualche precauzione?
Quello che bisogna evitare, in ogni caso, è il loro silenzio rispetto alla propria condizione di potenziali diffusori della malattia . E invece abbiamo constatato che spesso a questi sfortunati conviene tenere la bocca chiusa.



Milano, lunedì 9 e martedì 10 febbraio

Tenere la bocca chiusa: me l'ha consigliato anche quel tassista che mi aveva imbarcato assai malvolentieri sulla sua auto gialla in piazzale Loreto a Milano la sera di lunedì. Vari tentativi prima erano andati a vuoto. Io e un amico ci avvicinavamo a un parcheggio di taxi, lui chiedeva di farmi salire da solo e di pagarmi la corsa . Prima che aprissi la porta per sedermi, pero', aggiungeva la fatidica frase: "Per onestà la devo avvertire che è malato di Aids. Comunque non c'e' pericolo di contagio".
Per tre volte abbiamo ricevuto un rifiuto. E questo significa anche perdere la possibilita' di salire su un qualsiasi altro taxi che aspetta in fila dietro al primo. Infatti il sospetto vola in un attimo, e non c'è affatto bisogno che sia Aids: da molti anni ormai sono gli eroinomani le bestie nere dei tassisti di ogni città.

Allora abbiamo cambiato tattica, attuando un approccio più deciso: il mio amico ha fornito l'avvertimento Aids soltanto dopo che mi ero già sistemato nel sedile posteriore. A quel punto , anche per il tassista meno desideroso di trasformarsi in ambulanza era quasi impossibile dire di no , riaprire la porta e farmi scendere . Cosi' , borbottata qualche protesta ("Non è per me, è per quelli che si siederanno lì dopo"), il tassista di piazzale Loreto è partito.

Piove , scivoliamo fra le luci dei negozi che stanno chiudendo . Ai semafori il silenzio carico di sospetto che ci separa si fa ancora piu' pesante. Dopo cinque minuti gli parlo: "Senta, stia tranquillo, non c'è nessun pericolo..."
"Io non so niente, non voglio sapere niente".
Passa un altro minuto, lunghissimo, di silenzio. Poi e' lui a rivolgermi la parola : "È malato da molto?".
"L'ho saputo qualche settimana fa. Adesso, per me e' solo questione di mesi. Ho smesso di studiare , ma cerco di vivere normalmente".
"L'ha preso da una donna di strada?"
"No".
"Stia tranquillo. Vedrà che fra poco troveranno un vaccino, e lei sicuramente si salverà. Pero', per adesso, le posso dare un consiglio? Non dica niente a nessuno. Prenda tutte le precauzioni necessarie per se' e per gli altri , ma non dica che ha l'Aids . Cosi', almeno , avra' la vita tranquilla . Io , per esempio , all' inizio mi ero spaventato. Non volevo caricarla, sa ? Insomma , se io fossi in lei me ne starei zitto".

Forse ha ragione. Un esempio? Le camere d'albergo: a Milano non è cosi' semplice trovarle disponibili per un malato di Aids. Curiosamente, abbiamo scoperto che la situazione in questo campo varia molto da zona a zona . In via Napo Torriani , per esempio , la strada vicino alla stazione Centrale zeppa di hotel di buon livello, non ci sono molti problemi.
Su sei tentativi , soltanto il direttore dell'Augustus ci ha risposto di no. Il portiere del San Carlo, albergo a tre stelle , si e' salvato in corner rimettendo la decisione al direttore , che pero' in quel momento era assente. Nell'hotel Bernina un si' condito da un certo fastidio : "Queste cose non le deve dire a me".

La mattina di martedì entriamo in un altro hotel di prima categoria vicino alla stazione Centrale: lo Splendido di viale Andrea Doria. All'avvertimento sull'Aids il portiere abbassa gli occhi e scompare: va ad avvisare il direttore in una stanza dietro. Il conciliabolo è lunghissimo. Dopo cinque minuti buoni il sospirato verdetto: "Sì, per una notte abbiamo posto. Con molti sforzi".
All' hotel Virgilio in via Giovanni da Palestrina, una nota ironica che frusta l'amico del malato : " Non abbiamo singole, pero' posso offrirvi una doppia. Per noi non c'e' alcun problema , semmai per lei", e sorrisetto ammiccante.

Niente da fare, invece, a Porta Venezia . Anche l' hotel accanto al Diana , il Promessi Sposi , ci dice di no . Con molta gentilezza , pero' , e spingendo sul tasto del " non ci metta in difficolta " . " Sa , siamo un albergo piccolo , solo 28 camere , e non abbiamo molte cameriere . . . Comunque la ringrazio per la sua correttezza " Se avessimo insistito , povera cameriera : quante volte le avrebbero fatto disinfestare letto , camera e bagno ?

Un'altra zona nera per i malati di Aids a Milano e' quella di via Broletto: sia l'hotel Centro ( " non e' per lei , ma per gli altri clienti"), sia lo Star in via dei Bossi ("mi mette in imbarazzo") ci mandano via: non li impietosisce neanche il nostro " ma e' il quarto albergo che non ci accetta".

Curiosa situazione, invece, in via San Raffaele, una piccola traversa di piazza Duomo: il Casa Svizzera pretende un improbabile permesso che dovrebbe rilasciare l'ufficio di igiene ; dieci metri piu' in la' , invece, al Grand Hotel Duomo (4 stelle) non ci sono problemi.

Passiamo da piazza Repubblica per controllare meglio la situazione nei Ciga hotels dopo l'inopinato rifiuto del Diana. Al Palace il receptionist va a consultarsi con il direttore. Mentre aspettiamo nella hall entra, bellissima nel suo montgomery rosso. Romina Power reduce da Sanremo . Il direttore le fa i complimenti per il risultato del festival. "Speravamo di piu", sorride lei . Dopodiché, il portiere ci annuncia via libera : al Palace l' Aids non e' tabu' . Nell' altro Ciga di fronte , il Principe , il si' da parte del portiere e' immediato . E ci mancherebbe altro , per 250 mila lire a notte. Che questi Ciga ci abbiano trattato meglio del Diana anche perché oggi siamo vestiti meglio, con loden e cravatta?

E ora di pranzo: trasferiamoci in zona Magenta. Qui , nessun problema per mangiare da Strippoli , cucina pugliese in via Boccaccio , dai Tre Fratelli in via Terraggio e da Enzo in via Nirone . Una cameriera invece ci caccia subito dal ristorante Metro Due in via Terraggio , mentre nella stessa via il proprietario dell' osteria Carbonella ci propone un compromesso per evitare l' uso delle posate : " Che ne dite di un bel panino?"

Ma le scene più singolari a Milano accadono nei bar. È una vera e propria strage di bicchieri. In un bar di piazza San Babila il cameriere, all' avvertimento della "spalla" sulla mia situazione, dopo che sono uscito prende con un fazzoletto di carta il bicchiere di vetro dove avevo bevuto un po' d' acqua, e lo getta nella pattumiera. Ma, di fronte ad alcuni clienti che domandano cosa sia successo, silenzio assoluto.

Nel bar della stazione del metro' di Palestro ci sediamo su un tavolino . L' unica cliente al banco , una signora di mezza eta' , fa una smorfia quando sente l' avvertimento di lavare bene il bicchiere perche' ho l'Aids. "Sono stato troppo buono: gli ho dato un bicchiere d' acqua, e lui adesso si e' anche seduto", mormora il giovane cassiere . Quando ce ne andiamo , inizia la commedia : nel bidone della spazzatura , oltre al bicchiere, finiscono anche il portacenere che era sul tavolino e la tovaglia che lo ricopriva : " Prendila dai bordi sotto", ordina allarmatissima la padrona al cameriere . Al bar della stazione Pagano , invece , un cameriere meridionale si rifiuta di credere all' Aids: "Ma no, avra' solo dei disturbi: e' tutta una 'pissicosi'".



Scendiamo nelle carrozze del metrò , e simuliamo malori da Aids. Non è facile: le facce livide e inespressive dei passeggeri si confondono con la mia . Insomma, ci vogliono proprio dei crolli plateali per attirare un po' d'attenzione. E anche allora, la maggioranza della gente pensa che io sia un eroinomane. Quando invece il mio amico diffonde, con discrezione, la notizia che ho l'Aids, non si verifica alcun fuggi fuggi. Anzi, sono numerose le persone (soprattutto donne giovani) che si informano, mi domandano se sto meglio, mi tastano il polso, mi aiutano a scendere.

Alla stazione Loreto un medico mi fa distendere sulla panchina, mi slaccia la cintura dei pantaloni , mi visita sommariamente . Un ragazzo, prima di uscire alla stazione Udine, mi sorride, mi tocca con la mano e mi dice: "Coraggio". Sono piccole cose, ma assai confortanti. E poi, ci sono i curiosi che ne vorrebbero sapere di più, ma che se ne stanno zitti perché temono di essere indiscreti. Sull'affollatissimo tram 1, invece, da piazza della Scala alla stazione Centrale , non abbiamo raccolto alcuna reazione se non l'indifferenza più totale.



Martedì mattina andiamo anche ai grandi magazzini Coin in piazza Loreto. Entro in un camerino a provare una giacca, poi sto per svenire e il mio amico chiede e ottiene subito una sedia e un po' d'acqua. Che arriva in un bicchiere di carta, ancora prima che lui possa pronunciare la parola Aids. Una giovane cassiera si dimostra assai preoccupata ; un commesso va a ritirare nel camerino due ometti di plastica che avevo usato; alla fine , rifiutata un'ambulanza, ci avviamo all'uscita circondati da sei-sette commesse premurosissime.

Costernazione anche al Nuova Idea di Milano, la "discoteca gay più grande d'Europa", dove accuso un malore la sera di sabato 14 febbraio. È San Valentino: una marea di coppie di omosessuali maturi volteggia nella sala del liscio, mentre nella discoteca rock è Tecla, una bellissima ed enorme transessuale bionda fasciata in un vestito di velluto rosso, a dare spettacolo.
Non c'è traffico nei gabinetti : sono molto piu' tranquilli di quelli di altre discoteche milanesi. "Ma non portarlo qui, che si prende l'Aids due volte", è il filosofico consiglio rivolto al mio accompagnatore mentre usciamo dal locale.

E mangiare al Savini, il ristorante più famoso di Milano? "Ci crea un bel pasticcio", risponde il direttore , anche perche' sono le tredici e lui e' tutto indaffarato ad accogliere le schiere di assessori comunali habitues ai tavoli delle sale interne.

Dopo questo mezzo no proviamo al Biffi, sempre in galleria . Una gentile cameriera di mezza eta' , dopo un consulto di ben sette minuti con il direttore dietro a una tenda , esce fuori allargando le braccia e ci dice : " Va bene , prenderemo le dovute precauzioni : un pasto non si puo' rifiutare a nessuno . Se ci avvertivate in anticipo . . . " . Piu' sbrigativo il responsabile della pizzeria Calafuria dietro al Duomo : " Il suo amico ha l' Aids ? Non ce ne frega proprio niente . Per me , qui puo' mangiare benissimo " .


Roma, mercoledì 11 febbraio 2006

Chiamiamo il padrone del ristorante di Trastevere e gli diciamo sottovoce: "Guardi che uno di quei due ragazzi che sono entrati adesso ha l'Aids. Lo conosciamo bene". Lui si volta a guardarli , poi si rivolta e ci domanda: "E allora?". "Secondo noi non dovrebbero mangiare in un locale pubblico. Per lo meno, a noi dà molto fastidio. Anzi, ci meravigliamo che lui non vi abbia già avvertito della sua situazione".

Detto fatto: il padrone chiama sua moglie, la quale si avvicina subito al tavolo da noi incriminato (dove si erano seduti due nostri attori), e annuncia: "Mi dispiace, ma era già prenotato".
Loro si guardano attorno : non restano altri tavoli liberi. Protestano: "Ma come , un minuto fa ci avete fatto accomodare , e adesso improvvisamente ci mandate via?".
"Mi dispiace , ma era già prenotato", ripete inflessibile la signora. I due se ne vanno minacciando ad alta voce di chiamare la polizia e di tornare dopo un' ora, per vedere se è libero qualche altro tavolo. Il padrone si allarma, e finché non arrivano altri clienti piazza sull'unico tavolo rimasto libero un suo amico.

Intanto, nella piccola sala del ristorante tutti commentano l'accaduto . " La signora ha fatto bene , ognuno e' padrone a casa sua".
"Ma scherzi ?", gli risponde un amico, "questo è un locale pubblico, non si può discriminare nessuno". La padrona si avvicina preoccupata al nostro tavolo: "Ma voi lo conoscevate veramente qual ragazzo? Ho fatto bene a mandarlo via?".
"Signora, la ringraziamo: secondo noi era pericoloso per tutti".
Siamo in tre, e vestiti bene: probabilmente il nostro aspetto ha fatto premio sui diritti dei due "untori" e sull' obiettiva assurdità della nostra richiesta di apartheid. Verso la fine della cena un distinto signore seduto in numerosa compagnia a un altro tavolo si avvicina e mi domanda : "Scusi , e' stato lei a far cacciare quei due ragazzi?".
"Sì" .
"Ma cos'avevano?".
"L'Aids".
"E allora? Lei cos'e'? Un giudice? Un medico? In base a che cosa li ritiene pericolosi?".
"Secondo me c'è pericolo di contagio".
"Sa cosa le dico ? Lei è un razzista , un nazista: dovrebbe andare a vivere in Sud Africa".



A Trastevere, oltre a questo ristorante, ce ne sono altri che hanno preferito declinare preventivamente , di fronte a una nostra esplicita richiesta, l'ospitalità ad ammalati di Aids o a portatori sani: l' Hostaria La Canonica, per esempio, e il ristorante Da Gino.
Disponibili, invece, la Tana de noantri, l'osteria der Belli e la Cencia. Ma, in generale, in tutta Roma abbiamo notato piu' indifferenza e ignoranza rispetto all' Aids che a Milano . Certo , anche qui la reazione, nei bar, nei ristoranti, negli alberghi e sui mezzi pubblici, e' quella di incredulita' di fronte all'improvviso concretizzarsi di un pericolo evocato insistentemente da giornali e tv, ma mai toccato con mano.

C'è però anche molto scetticismo: "Ma che fai ? Ma va' a mori' ammazzato", è stato il commento di un cliente quando il cameriere del bar Bibo in via di Ripetta ha buttato via con la punta delle dita il bicchiere di vetro nel quale avevo bevuto, prendendolo delicatamente con un fazzoletto. "A me sta venendo paura", gli ha risposto il cameriere.

In un bar di via della Scrofa, dopo che sono uscito , il cameriere commenta : "Mah, è tempo di Carnevale... E poi , se avesse avuto veramente l'Aids mi avrebbe chiesto subito un bicchiere di carta". "Ma che , con l'Aids gli viene sete ?", scherza un cliente. In un bar di via Tomacelli il cameriere non butta il bicchiere: "Tanto l'Aids cosi' non s'attacca. Comunque ha fatto bene a dirmelo. Poi disinfetto tutto, poveraccio".

Fingo di sentirmi male all'Alemagna di via del Corso, di fronte a palazzo Chigi, verso mezzogiorno di mercoledì. Sono di fronte al bancone, un cameriere mi porta una sedia, poi litiga con un collega che mi vuole mettere in un angolo: "E fallo respirare, no? Se lo nascondi li' dietro, non c'è aria". All'annuncio dell' Aids si crea un piccolo panico fra i camerieri , che avevano gia' messo assieme agli altri il bicchiere dove avevo bevuto.
Alcune ragazze che hanno sentito la parola Aids diventano molto inquiete: "Cia' l'Aids? Madonna, poverino. Ma chi l'ha detto?". "No, no, s'e' sentito male de stomaco", le tranquillizza un cameriere. Una giovane signora mi tasta a lungo il polso, propone di portarmi all' ospedale San Giacomo, poi vede che mi riprendo e mi domanda dove abito.

Non ci sono grossi problemi , nel centro di Roma , per trovare una stanza di albergo . L' hotel Internazionale in via Sistina , il Pincio in via Capo delle Case , il Torre Argentina in corso Vittorio e l'hotel Siena dicono di si' . Molta esitazione all' hotel Accademia vicino alla Fontana di Trevi : " Non so cosa dirvi , non mi e' mai capitato " . Assai preoccupato e scrupoloso il gestore del Concordia , fra via del Tritone e piazza di Spagna : " Non so , lasciatemi telefonare all' associazione . Cosa faccio poi con le lenzuola , devo buttarle ? Non so proprio , e' la prima volta che mi succede . Si' , certo , lo so che non si contagia cosi' . . . " . All' hotel Fontana , in piazza di Trevi , tentano di propormi un " affare " . " Ha questo problema ? Allora vada nell' altro nostro albergo , qui dietro , il Trevi . Cosi' risparmia pure : qui una stanza costa 86 mila lire , li' solo 38 mila , perche' stanno facendo dei lavori . . . " . Gia' , ma chi l ' ha mai detto che i malati di Aids vogliono spendere poco ?

Scendo nella metropolitana , direzione Cinecitta' . Due o tre persone mi si fanno intorno quando " mi sento male " . Un ragazzo commenta con il mio amico : " Vi aiuterei , ma scendo prima . Certo che la campagna del ministero della Sanita' piu' che informazione fa terrorismo " . Piano piano scendono tutti . Al capolinea di Anagnina nel vagone sono rimasto solo.

Ristorante a Roma
Grande tempestività e abilità al ristorante Delfino, in largo di Torre Argentina. Quando , finito il pranzo, mi accascio al suolo, accorre subito il responsabile del locale e diversi camerieri mi aiutano. La coppia che era seduta vicino a me si defila rapidamente. Il direttore dice subito ai suoi: "Niente paura , il contagio avviene soltanto attraverso sangue e sperma. Ci siamo già informati all' ufficio di igiene". Un cameriere al cuoco: "Hai visto che fanno bene a fargli i controlli?". Arriva uno straccio d'aceto sotto il naso, poi un cognacchino con zucchero in un bicchiere di carta. Mi rimetto in piedi , ringraziamo e andiamo via.

Prendiamo l'autobus 64, quello che collega San Pietro alla stazione Termini. È affollatissimo, ma il nostro test raccoglie l'indifferenza piu' totale.


Napoli, giovedì 12 febbraio 2006

"Sieropositivo? E che è?". La padrona della pensione Vittorio Veneto, vicino alla stazione Centrale, domanda lumi alla giovane e bellissima figlia che le sta accanto dietro al bancone. Lei ci sorride, e le dice che non c'è problema: "È l' Aids , mamma". La madre taglia corto: "Va bene, la camera ve la do. Tanto qui si dorme da soli".

A Napoli e in un grande magazzino


All'hotel D'Anna, invece, il portiere abbassa gli occhi e non ci guarda piu' in faccia: "Aids? No , no, non sono d' accordo. Trovate una sistemazione migliore".
"In un albergo... meglio evitare", è la risposta all' hotel Ideal , due stelle . Porte chiuse anche al Coral , all' Odeon , all' Holiday e al Nuovo Rebecchino . All'Eden mi supplicano: "Non ci mettete nei guai , gia' siamo senza lavoro. Andate in un albergo grande, che gli orchi non li tocca nessuno... Invece noi abbiamo un sacco di controlli , siamo un cagnolino piccolo", dicono, rafforzando il concetto con un gesto scurrile.

Seguiamo il consiglio e ci presentiamo all'hotel Terminus, prima categoria. Faccio accomodare il mio amico finto malato sul divano della hall , vado dal portiere e gli espongo il problema . La prima spontanea reazione e' burocratica : " Ma avete un certificato ? " . Poi lui va su dal direttore al primo piano . Dopo qualche minuto scende : " Il direttore vi vuole parlare". Gentilissimo , il direttore mi riceve nel suo ufficio e mi dice : " Conosciamo perfettamente il problema , sappiamo che il contagio avviene solo attraverso contatti di sangue e sperma . L' unica cosa di cui vi prego e' di non parlarne con il personale dell' albergo . Insomma , non lo dite in giro . . . ".

Anche in un altro grande albergo, il Palace, ci accolgono e, anzi , il portiere si impietosisce per la nostra perplessità di fronte al prezzo troppo alto (e' la scusa che usiamo per andarcene quando ci dicono di si) , e sta quasi per proporci uno sconto. Disponibilita' anche al Vesuvio (di fronte al Castel Dell' Ovo) e al Cristal. Al Cristal il commento e': "Aids ? Uh , terribile . . . Ma per noi , basta che pagate " .
In giro , pero' , c' e' molta ignoranza: " Malato di Aids ? No , mi dispiace , non vi posso prendere " .
" Ma non e' contagioso".
"Si' , ma se e' malato magari e' pure portatore sano . . . " .

Ignoranza comprensibile, d' altronde : se Roma finora ha la meta' dei malati di Milano , Napoli ne ha la meta' della meta' : una trentina in tutto . Alla Rinascente di via Toledo accuso un malore , la mia " spalla " diffonde in giro l' avvertimento che ho l' Aids . Incredulita' fra gli astanti , una signora mi porta un bicchiere di plastica con dell' acqua .

Andiamo a mangiare al ristorante Bergantino, vicino a piazza Bovio. Anche qui , come a Roma , quando entrano due ragazzi (i nostri amici attori) facciamo una scenata e diciamo al cameriere che uno di loro e' malato di Aids . Soltanto che qui la reazione, molto professionale, e' opposta a quella di Trastevere.



Il cameriere si mostra preparatissimo, ci rassicura, esclude che ci possa essere un qualsiasi pericolo di contagio, ci spiega che le posate vengono in ogni caso sterilizzate perché lavate con l'acqua bollente: "Direttive dell'ufficio di igiene non ce ne sono, comunque siamo assolutamente sicuri della nostra pulizia". Intanto il responsabile del locale , di fronte alle nostre minacce di abbandonare il ristorante ("o noi o loro") va a confortare il malato: "Se se ne vogliono andare, se ne vadano loro". E alla fine del pranzo invitano i due ragazzi a non andarsene via cosi' presto, a restare ancora un po', che per loro non c'è alcun problema.

Torniamo a Milano di notte, in cuccetta di seconda classe. Il treno è pienissimo, tutti uomini. La mia cuccetta, numero 83, è la mediana. L'amico avverte l inserviente, che non fa una piega: "Nessun problema, le lenzuola sono di carta, poi le buttiamo".
Silenzio assoluto per l'intero viaggio da parte degli altri quattro compagni di scompartimento, che pure avevano sentito il dialogo con l'inserviente. Solo uno di loro ha domandato al controllore se c'era una cuccetta libera da qualche altra parte. Risposta negativa: e allora anche lui, come tutti gli altri, ha mantenuto un aplomb e un'indifferenza quasi svizzeri.

Mauro Suttora

questa inchiesta ha vinto il premio Motta di giornalismo, 1988

Cuccetta Napoli-Milano

Saturday, February 21, 1987

Talamone e le armi per l'Iran


Guerra del golfo: chi rifornisce gli arsenali di Iran e Irak

C'ERA UNA VOLTA UN PERFIDO NAVIGLIO

L'incredibile storia della Sarah Jane. Il prezioso carico dell'Angelica. L'indirizzo dell'ufficio acquisti iraniano che tutti fingono di non conoscere. E undici Tir scoperti per caso a scaricare ordigni bellici nel porto di Talamone

di Mauro Suttora

Europeo, 21 febbraio 1987

Povero capitano Thomas Screech. Sulla sua nave, la Sarah Jane, aveva caricato nel 1982 a Setubal, in Portogallo, duemila detonatori per bombe. Provenienza della cassa, stampigliata con il marchio della dogana statunitense: Long Island, New York. Destinazione: Iran. Arrivato nel porto iraniano di Bandar Abbas , fa salire a bordo dei soldati per scaricare la merce. Ma loro, appena vedono sulla cassa l' odiato simbolo degli Stati Uniti , cominciano a prenderla a calci e a sputarci sopra. " Guardate che le vostre bombe non possono esplodere senza questi detonatori" , li avverte il capitano Screech . Niente da fare : un colonnello dell' esercito iraniano gli dice che i soldati si rifiutano di scaricare , e alla fine gli ordina di lasciare il porto con il carico .

Nella tappa successiva , a Dubai , i doganieri trovano i detonatori nella stiva e arrestano il capitano per importazione illegale di armi . Un telex inviato a New York produce la seguente risposta : " La societa' speditrice declina ogni responsabilita' sul carico " . Dopo cinque mesi di prigione a Dubai , il capitano Screech e' costretto a svendere la sua nave per pagare una multa di 80 milioni di lire .

Ma il caso di questo sfortunato capitano inglese e' un' eccezione . In realta' le importazioni d' armi dell'Iran, nonostante tutti i blocchi e gli embarghi solennemente decretati dai paesi della Nato e da altri paesi occidentali, rappresentano da anni un grosso affare per molte persone. E non c'e' voluto certo l' Irangate perche' i khomeinisti riuscissero a mettere le mani sulle sofisticate armi americane e sui pezzi di ricambio di cui hanno bisogno : fin dalla caduta dello scia', nel 1979, l' Iran non ha mai smesso di approvvigionarsi sul mercato bellico occidentale , con mezzi piu' o meno legali e piu' o meno clandestini .

A Londra , al numero 4 di Victoria street, c'e' addirittura un ufficio apposito, con una cinquantina di addetti iraniani, che non tanto segretamente conduce trattative con mercanti e industrie d' armi di tutto il mondo. E anche con i governi di nazioni che mai , ufficialmente , confesserebbero di vendere armi all' Iran. Sulla targa del portone c' e' scritto National Iranian Oil Co., ma la vera funzione dell'ufficio e' quella di centro logistico di supporto per le forze armate iraniane . Secondo lo spionaggio americano , qui verrebbero acquistate ogni anno dai tre ai quattro miliardi di dollari di armi , ovunque sia possibile : lo scorso luglio , per esempio , il Vietnam ha venduto all' Iran , per 400 milioni di dollari , 80 carri armati M 48 e duecento autoblindo M 113 che gli Stati Uniti abbandonarono quando fuggirono dal Vietnam nel 1975 .

Esempio tipico il Portogallo. Fino a quando Lisbona non e' stata citata dal bollettino ufficioso dei traffici, nessuno sospettava che il porto lusitano fosse cosi' attivo nelle spedizioni di merci "proibite". Una delle ultime , per esempio , risale al dicembre 1986 e questa volta " incriminato " e' il porto di Setubal: Angelica , un cargo panamense , ha preso il largo per il porto iraniano di Bandar Abbas con 1500 tonnellate di armi a bordo per un valore di oltre 13 milioni di dollari.

Queste spedizioni , che non appaiono del tutto illegali , hanno cambiato di 180 gradi la politica che nel 1980 il socialdemocratico Sa' Carneiro aveva fatto approvare : blocco assoluto di spedizioni di armi per l' Iran . E fino al 1983 l' Irak e' stato il cliente privilegiato del Portogallo . Bagdad riceveva tra il 50 e il 75 per cento di tutte le spedizioni di armi lusitane , per un valore intorno ai 40 milioni di dollari . Da allora pero' Mario Soares , attuale presidente della Repubblica , ha cambiato bruscamente politica .

Difficolta' economiche irakene , pressioni iraniane . Da allora Teheran diventa il primo cliente per le armi portoghesi : 67 milioni di dollari nel 1985 , poco meno l' anno successivo . L' attivita' di quella che probabilmente e' la piu' grossa rete di commercianti d' armi privati nella storia presenta pero' aspetti inquietanti . Che dire , per esempio , dei motori dei carri armati Chieftain che il ministero della Difesa inglese ha spedito due anni fa a Khomeini in casse con su scritto " parti di veicolo " ? " L' embargo non e' stato violato perche' i motori non fanno parte dei sistemi letali dei veicoli , e perche' erano stati ordinati nel 1979 , prima che Khomeini prendesse il potere " , e' stata l' imbarazzata e tartufesca risposta del governo britannico alle documentate accuse degli antikhomeinisti .

Un altro "articolo" che appare ogni mese nella "lista della spesa" dell' ufficio dell'Iran a Londra e' un proiettile d' artiglieria da 155 millimetri , quello che poi i pasdaran lanciano sull' Irak e sulla citta' di Bassora : ne comprano 150 mila per volta , al prezzo di 40 milioni di dollari. "E materiale che proviene necessariamente da un paese della Nato", rivela un commerciante d'armi. "È impossibile che simili quantita' di materiale vengano spedite senza il coinvolgimento dei governi, o per lo meno senza la loro acquiescenza".

Naturalmente le armi non passano fisicamente da Londra : gli ordini partono per telex a intermediari stranieri , i quali si incaricano di contattare broker marittimi , e questi ultimi a volte caricano sulla stessa nave armi sia per l' Irak che per l' Iran . Quasi sempre le armi vengono spedite a punti d' imbarco intermedi con falsi " certificati di destinazione finale " per dimostrare che l' acquirente e' uno Stato non belligerante , al di sopra di ogni sospetto. Come il Portogallo, per esempio .

I porti d'imbarco piu' utilizzati in Europa sono Santander in Spagna, Cherbourg in Francia, Zeebrugge in Belgio e Talamone in Italia. Solo tre settimane fa , il 22 gennaio 1987 , undici Tir zeppi di cariche di lancio fabbricate dall' azienda " La Precisa " di Teano (Caserta) e regolarmente scortati da polizia e carabinieri hanno rifornito la nave portoghese Mare I diretta a Lisbona . La cosa si e' risaputa solo perche' , in prossimita' del porto toscano , un Tir ha frenato di colpo a un passaggio a livello , uccidendo i due passeggeri di una Mercedes che sopraggiungeva e che e' finita sotto il rimorchio .

Gran parte dei traffici d' armi verso l' Iran sono in mano agli armatori danesi , che hanno una lunga esperienza in questo campo : sono almeno 40 i cargo della Danimarca che continuano a rifornire , anche dopo l' Irangate , sia l' Irak che l' Iran . Anche l' Irak , infatti , si avvale di una rete di trafficanti d' armi privati . Ma e' l' Iran ad aver compiuto la sforzo piu' grosso in Europa occidentale e negli Stati Uniti , perche' gran parte del suo arsenale consiste di aerei , elicotteri , missili , carri e radar comprati in Occidente dallo scia' negli anni Settanta .

All'inizio i tentativi degli emissari di Khomeini di mantenere il flusso dei rifornimenti di armi furono disastrosi. A volte per ottenere un pezzo di ricambio dovevano pagare un prezzo 500 volte piu' alto. Behnam Nodjoumi, per esempio, un espatriato iraniano, firmo' un contratto per la vendita di 8 mila missili anticarro Tow made in Usa (che aveva gia' decretato l'embargo dopo il sequestro degli ostaggi di Teheran nel 1980). Allora l'Iran pagava il 10 per cento del prezzo solo dopo un'ispezione della merce da parte dei propri ufficiali. Tre colonnelli iraniani mandati in Belgio per il controllo furono rapiti , assieme a due diplomatici iraniani e a un banchiere a Londra.

Fortunatamente per l' Iran, Scotland Yard scopri' la colossale truffa poche ore prima del pagamento su un conto svizzero. Nodjoumi e' finito in prigione, condannato a dieci anni . Un altro espatriato iraniano e' riuscito a far rubare da impiegati civili della marina Usa alcuni pezzi di ricambio dell' aereo F 14 Tomcat , per un valore totale di mezzo milione di dollari.

Negli ultimi tre anni, comunque, gli affari per l' Iran sono filati piu' lisci . Ormai il centro di Londra, quando deve ordinare ricambi americani, utilizza addirittura gli stessi numeri di codice computerizzati dell' aeronautica statunitense. Molti dei mediatori privati, poi, sono in realta' agenti dei governi occidentali, o dei loro servizi segreti . L'israeliano Yaacov Nimrodi, per esempio, uno dei tre faccendieri internazionali (gli altri due sono Adnan Kashoggi e Manucher Gorbanifar) implicati nell' Irangate : il suo appartamento di Londra e' vicinissimo all' ambasciata dell' Iran , e secondo gli antikhomeinisti ha fornito armi a Teheran, con il pieno appoggio del governo di Israele, fin dal 1980.
Mauro Suttora

Saturday, December 27, 1986

Arci Singles

Solitudini organizzate: un club davvero singolare

È una Lega con regole severissime. Per farne parte bisogna sapersi stirare le camicie e riciclare gli avanzi di pollo. I primi iscritti sono 40. Ma potrebbero diventare 6 milioni

di Mauro Suttora

Europeo, 27 dicembre 1986

L'articolo piu' oscuro dello statuto e' il numero nove: "Il vero singolo e' nato da un riccio". Ma soccorre subito un commento preparato dagli stessi singles, i non sposati e non conviventi che hanno fondato ad Asti la loro Lega: "Ci ricolleghiamo in parte alla tradizione gnostica e alchemica dell'Occidente, in parte ai fumetti underground americani: abbiamo scelto come simbolo il riccio perche' e' un animale solitario, spinoso, difficile da avvicinare e misterioso".

Dopo Arci gay, Arci caccia, Arci kids e Arci gola, ecco l'ultima trovata buontempona di alcuni iscritti all'organizzazione ricreativa della sinistra: l'Arci singles.

"Ma non siamo ne' un club per cuori solitari", mette le mani avanti il segretario Gabriele Biglino, falegname astigiano di 38 anni, "e nemmeno ci ispiriamo ai vari manuali per single boys e single girls: non siamo gente ricca o famosa, vogliamo risolvere i nostri piccoli problemi pratici di ogni giorno".

Problemi piccoli ma noiosi: stirare, per esempio. Poiche' agli iscritti della Lega (40 finora, con 24 donne) e' proibito farsi lavare gli abiti sporchi dalla mamma, per identificare un single bastera' alzargli il golf: se la camicia non e' stirata , vuol dire che il consiglio dei soci piu' esperti (stirare solo il colletto, almeno d'inverno) e' stato seguito a dovere. "

E poi c'e' il riciclaggio dei cibi avanzati", incalza Biglino, seduto a un tavolo di Spaghetti Jazz, il locale preferito dei singles di Asti. "Purtroppo la nostra non e' una societa' a misura di single, quindi mancano le confezioni monodose: tutto e' previsto per le famiglie. Cosi' il single produce molti avanzi, e deve saperli riutilizzare. Il pollo, per esempio: lo si fa arrosto, ma poi lo si puo' trasformare in insalata, sugo, polpette".

Per i single piu' pigri la Lega chiede mense a buon mercato. A quelli piu' intraprendenti propone lavatrici con lavaggi da due chili invece che cinque. "Oppure le mani e i mastelli", consiglia Biglino. "Su questo punto siamo molto severi: i nostri iscritti devono essere veramente autosufficienti. Una volta siamo piombati a casa di una ragazza che aveva fatto domanda di iscrizione, ma che si ostinava a ricorrere alla mamma per il bucato. Abbiamo misurato il bagno, e stabilito che li' una lavatrice c'entrava benissimo: la sua domanda e' stata respinta".

Per ora non ci sono progetti di trasformare l'Arci singles in una organizzazione nazionale: chi vuole aderire deve fare una capatina ad Asti e subire un piccolo esame da parte di Biglino, unico depositario del timbro col riccio da applicare alla tessera.

"Ma se nessun partito ci prendera' sul serio", dichiara bonariamente bellicoso Michele Nieddu, 50 anni, sarto e presidente della Lega, "formeremo un partito e ci presenteremo alle elezioni: siamo 5-6 milioni in tutta Italia, prima o poi arriveremo al potere..."

Come mai la Lega dei singles ha una maggioranza di donne? Risponde Annelise Ubertone, 31 anni, consigliere provinciale Pci: "Per noi e' piu' facile stare da sole, dopo il femminismo degli anni Settanta. Questo non vuol dire che non si abbiano rapporti fissi con una persona. Ma ognuno vive per conto suo". E ad Asti le single girls non vengono scambiate per zitellone ? "Assolutamente no, questo termine e' completamente superato".

"Sotto l'aspetto dei sentimenti il singolo e' un romantico", ha assicurato Biglino nella sua relazione al congresso di fondazione, davanti a una tavola generosamente imbandita: "Romantico per noi significa, ad esempio, camminare sotto la pioggia, tra le foglie portate dal vento, lasciare impronte fresche sulla neve, distendersi tra le zolle concimate...".

Non manca l'impegno politico: l'articolo sei dello statuto proclama che "i singoli operano individualmente per il superamento del capitalismo in curva e senza mettere la freccia".

Quanto alla carta dei diritti , inviata al presidente della Repubblica e a quelli di Camera e Senato, i singles chiedono, fra le altre cose, "divorzio senza avvocati e tasse, alloggi a misura di singles con finestre sul mondo e uscite di sicurezza per mogli e mariti di amici e amiche, un equo canone single (coefficiente 1,50), baby sitteraggio di quartiere e caseggiato per ragazze madri e ragazzi padri, basta con i formati famiglia nei supermercati, servizi collettivi (ma non troppo) a domanda individuale".

Dulcis in fundo, l'Arci singles chiede detrazioni sul modello 740. Come, proprio ora che i cattolici propongono invece incentivi per chi ha piu' figli? "Macche', Roberto Formigoni ha fatto voto di castità", risponde Biglino, "quindi c'e' poco da discutere: e' un single anche lui".
Mauro Suttora