Wednesday, November 11, 2015

La buffa battaglia dei gender


PRIMA C'ERANO MASCHI, FEMMINE E OMOSEX. POI SONO ARRIVATI BISEX E TRANSEX. ORA I GENERI (ANZI, GENDER) SONO AUMENTATI FINO A 23. CRONACHE DI UNA COMMEDIA

Oggi, 4 novembre 2015

Prima era semplice: c’erano maschi, femmine e omosessuali. Poi sono arrivati gli Lgbt: lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Ora, invece, i generi di sesso si sono moltiplicati e si è arrivati a 23 (l’elenco completo nella pagina seguente). Un’esplosione di definizioni stravaganti e minuziose che, per essere alla moda, bisogna pronunciare in inglese: «gender».

Così abbiamo la coppia di trans-sposini al Grande Fratello (uno ex donna, l’altro ex uomo), il matrimonio triplo fra maschi in Thailandia, quello triplo misto in Brasile, il padre adottivo della modella statunitense Kim Kardashian (quella con un sedere enorme) che prima era un atleta maschio e ora è diventato donna, il "crossdresser" (volgarmente: travestito) milanese, il professore di matematica "intersessuale" a Cervignano del Friuli (Udine).

E così via. Ogni giorno uno «strano ma vero» sempre più originale, per la gioia di giornali e tv. Non è che stiamo esagerando? È soltanto un’invasione mediatica, un’invenzione di stilisti e addetti stampa, esibizionismo, oppure la nostra società sta cambiando a una velocità impensabile?

Fenomeni da baraccone creati apposta?

«Sono fenomeni da baraccone pompati apposta per creare sconcerto e spavento», dice a Oggi Angelo Pezzana, primo gay in Italia a fondare un movimento nel 1971: il Fuori (Fronte unito omosessuale rivoluzionario italiano). «Proprio ora che, ultimi in Europa, stiamo per approvare una legge che riconosce le coppie omosessuali, qualcuno ricorre al solito sesso pruriginoso che attrae, ma allo stesso tempo impaurisce».

Infuria la battaglia politica. A parole tutti dicono di voler legalizzare le coppie gay, ma le resistenze sono molte. A volte cruente, dall’una e dall’altra parte. Per esempio, il cattolico tradizionalista Andrea Aquilino viene espulso dal Movimento 5 stelle dopo che i grillini abbracciano le posizioni più estremiste (adozione libera per i gay).

Oppure i genitori cristiani che in tutta Italia ritirano i figli da scuole pubbliche per evitar loro corsi ambigui che «spingono i ragazzi a ripensare stereotipi e pregiudizi, riscoprendo l’origine androgina dei due sessi».

Si raggiungono vette comiche, come il programma (finanziato con 78mila euro dalla regione Toscana) “Liber* tutt*” di Massa Carrara: con l’asterisco per non discriminare fra maschi e femmine.

«Le nozze gay sono piccolo borghesi»
 
Alcuni conservatori e innovatori rifiutano i luoghi comuni: «Da omosessuale non desidero una famiglia con un altro uomo: è un bisogno piccolo borghese di legittimazione sociale», dice il famoso critico musicale Paolo Isotta.

E la 75enne Germaine Greer, femminista storica: «I trans non sono donne, non basta un’operazione per diventarlo. Il premio “donna dell’anno” a Caitlyn Jenner [il padre della Kardashian, ndr]  è misoginia pura. I trans non sembrano, parlano, né si comportano come donne. Si sentono maltrattati perché dico questo? Anche noi vecchi siamo trattati male. Ma non per questo rinuncio alle mie opinioni». Risultato: censurata e cacciata dall’università inglese di Cardiff.

«Dovremmo riportare tutto alla normalità, senza esagerare», auspica Pezzana. Ma cos’è la normalità? «Guardi, i matrimoni a tre in Brasile o Thailandia giustamente scandalizzano. Ma domando: non è mai esistita la poligamia? Anche da noi, quante persone serie e insospettabili hanno avuto relazioni fisse magari di decenni con una terza persona, amata quanto il proprio coniuge? Se c’è l’amore, c’è tutto».

L’amore vince tutto? Facile dirlo

Omnia vincit amor? Da noi, forse. Ma in molti Paesi islamici, altro che gender: gay impiccati, adultere lapidate. Certe nostre battaglie culturali appaiono grottesche rispetto al resto del mondo. Esempio: ci sentiamo moderni perché siamo politicamente corretti e diciamo «sessista». Nuova parola per il solito, vecchio maschilismo.


Ora i generi sono diventati 23

L’anno scorso Facebook aveva introdotto molte opzioni per definire il genere sessuale nelle pagine personali del suo miliardo di utenti in tutto il mondo. Quest’anno ha tolto le scelte predefinite: ognuno può scrivere quel che vuole.

Si è così scatenata la creatività. Oltre ai maschi e alle femmine, ora ci sono omosessuali, bisessuali, transgender, trans, transessuali, intersex, androgini, agender, crossdresser, drag king, drag queen, genderfluid, genderqueer, intergender, neutrois, pansessuali, pangender, third gender, third sex, sistergirl, brotherboy.

Vi risparmiamo le spiegazioni. I “neutrois”, per esempio, sono androgini che non si sentono né maschi né femmine, ma neanche omo o bisex. E contrariamente agli agender, che sono felici di considerarsi senza sesso e vogliono rimanere tali, hanno intrapreso un percorso verso una meta diversa. Quale? Mistero. Le sfumature psicologiche sono più numerose di quelle fisiche.
Mauro Suttora  


Milano è un miracolo

ELOGIO DELLA CAPITALE MORALE D'ITALIA

di Mauro Suttora

Oggi, 4 novembre 2015

Il grattacielo più alto d’Italia? Dipende. L’Allianz appena inaugurato sull’ex Fiera arriva a 207 metri, ma la spira dell’Unicredit (2012) sale fino a 231. Duelli milanesi. Sfide al cielo che non finiscono con l’Expo. Altre due fantasmagoriche torri, infatti, sono in costruzione e svetteranno nel 2017: la Storta di Zara Hadid e la Curva di Libeskind.

Un’orgia verso il paradiso suggella il Nuovo Rinascimento di Milano. La rinata Capitale morale d’Italia (copyright supergiudice Cantone) si lancia verso l’alto, come New York e Londra. Ma per qualità di vita assomiglia all’elegante, ricca e sicura Zurigo, assicura la Bibbia della raffinatezza mondiale: «Misuriamo tutto, dalla vita notturna al trasporto pubblico, dai ristoranti all’inquinamento», spiega la rivista mensile Monocle, «e Milano si è installata nella Top Ten planetaria».

Non solo moda, primato detenuto da trent’anni con Parigi. Ora, durante dieci giorni ogni aprile, Milano è “the place to be”, il posto dove è obbligatorio stare per tutti i creativi della Terra. Senza clamore, senza soldi pubblici, quello che una volta era il Salone del Mobile delle fabbrichette brianzole si è trasformato in un glamour creativo che fa invadere quartieri una volta squallidi come Lambrate e Tortona da designer giapponesi e brasiliani, fra genio e soldi.

Attenzione: l’ultima volta che la città si autocelebrò, negli anni 80, la “Milano da bere” finì in Tangentopoli. E anche oggi, quando c’è di mezzo la politica, mazzette e carceri aspettano dietro l’angolo. È appena successo, di nuovo, con il vicepresidente della Regione. Che ha anch’essa uno stupendo grattacielo, peraltro: Palazzo Lombardia, svettante nel nuovo skyline. Il vecchio Pirellone non le bastava.

Ma le maggiori storie di successo nascono fuori dai finanziamenti statali. L’aeroporto di Orio, per esempio, in provincia di Bergamo ma a pochi minuti da Milano, che nessun burocrate aveva previsto, è cresciuto spontaneamente e ora è uno dei maggiori d’Italia. Il secondo di Milano, alla faccia di Malpensa abbandonata da Alitalia per favorire Fiumicino. Fa volare studenti di Erasmus in Europa e badanti in Moldavia. Al terzo posto resiste Linate, che qualche sconsiderato assessore voleva chiudere, e che finalmente verrà raggiunto dal metro.

Il metro. Le cinque linee (quattro più il Passante) che hanno meravigliato gli italiani arrivati per l’Expo. La nuova linea Lilla costruita in quattro anni (capito Roma?), treni senza conducente, l’ultima stazione inaugurata in questi giorni proprio sotto le Tre Torri (Dritta, Storta, Curva). E un’altra linea già comincia a essere scavata, la sesta in 50 anni.

I turisti romani a Milano ammirano le pensiline con i minuti esatti d’attesa per tram sempre puntuali e puliti, i 200 parcheggi di bici gialle pubbliche (solo 36 euro l’abbonamento annuale, due milioni e mezzo di viaggi nel 2015, +25% sull’anno scorso), il boom del car sharing che ha tolto dalle strade centomila auto private.

E le periferie milanesi, seppur cariche di problemi, non scoppiano come quelle di altre metropoli europee. Anzi, si abbelliscono grazie agli alberi piantati da tutte le amministrazioni: perfino a sinistra concedono che l’ex vicesindaco di destra Riccardo De Corato abbia fatto un buon lavoro col verde pubblico. E si arricchiscono con nuovi musei: solo quest’anno hanno aperto il Mudec (Museo delle culture) quasi al Giambellino, Prada in zona corso Lodi, Armani dietro Porta Genova.

Gli immigrati pian piano sostituiscono i meridionali che approdarono mezzo secolo fa nell’hinterland. Le bande col machete fanno notizia proprio perché ce n’è solo una ogni mille. In compenso, dieci linee di Passante permettono a decine di migliaia di “nuovi milanesi” di risparmiare sugli affitti andando ad abitare a Pioltello o Bollate, ma raggiungendo il centro in quindici minuti.

Insomma, un paradiso? Macché. L’ottimo sindaco Pisapia sarebbe rieletto immediatamente, e ha trionfato il Primo maggio con la manifestazione spontanea dei cittadini contro i vandali no Expo, notevole esibizione di spirito civico meneghino. Ma ha raddoppiato le tasse comunali, e questo fa rischiare la sinistra al voto comunale di primavera. Anche a Milano il traffico blocca la città in certe zone e in certe ore. I filobus della circonvallazione esterna a volte sono infrequentabili, come capita ai mezzi pubblici in tutte le grandi città.

Come in tutte le metropoli del mondo, finanzieri e speculatori guadagnano sempre di più, producono sempre di meno, si rinchiudono nei loro quartieri di lusso (Fiera, San Siro, Milano Due, Porta Nuova) e la distanza con i neopoveri da mille euro al mese aumenta. Ma questo non è colpa di Milano. Dove, come dice un immigrato cinese, «chi ha voglia di lavorare, un lavoro lo trova». Non siamo al miracolo economico, ma rispetto ad altre città italiane Milano è un miracolo.
Mauro Suttora

Wednesday, October 28, 2015

Elogio del riassunto

CONTRO LA PIAGA DEI LOGORROICI, RISCOPRIAMO LA VIRTU' DELLA SINTESI

Oggi, 21 ottobre 2015

di Mauro Suttora



Veni, vidi, vici. Il riassunto di Giulio Cesare su una battaglia vinta rimane insuperato, duemila anni dopo. E purtroppo non ci sono più politici come Giovanni Giolitti, che così spiegò cent’anni fa la propria laconicità: «Quando ho finito di dire quel che devo dire, ho finito anche di parlare».

Il problema è che proprio nell’era di Twitter e sms, i quali con il loro limite dei 140 caratteri ci dovrebbero costringere alla sintesi, scopriamo di non essere affatto capaci di riassumere. «Che non vuol dire solo essere brevi, ma anche saper cogliere il succo del discorso», avverte Ugo Cardinale, già docente di linguistica all’università di Trieste, autore del libro L’arte di riassumere (ed. Il Mulino).

I dati Ocse su lettura e comprensione sono tragici. Appena tre italiani su cento raggiungono i livelli più alti di competenza linguistica (rapporto fra lettura e comprensione), contro il 12% nella media dei 25 Paesi partecipanti.

«La prova che un testo è stato compreso sta nel saperlo riassumere», spiega a Oggi il professor Cardinale, «perché per riepilogare occorre non solo memoria, ma anche capacità di individuare le informazioni più importanti. Dobbiamo ricostruire mentalmente quel che abbiamo letto o ascoltato».

Ricordate i riassunti che si facevano a scuola? Negli ultimi decenni questa pratica è andata un po’ in disuso. Si privilegiano i dettati, sia alle elementari che alle medie. Per non parlare degli sciagurati test a scelta multipla, in cui basta piazzare una x sulla risposta giusta.
Così, quando arrivano alle scuole superiori, molti studenti si perdono di fronte a libri lunghi e complessi. «Non riescono a “scoprire il superfluo”», dice il professor Cardinale: applicare il setaccio della sintesi mentale per salvare i concetti-chiave.

L’incredibile caso di Pocahontas

Il resto dei danni lo fa la politica. Un esempio? «Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il capitano John Smith».
È la trama, in due parole, del cartone animato Disney Pocahontas. Ma Netflix, la piattaforma di film in streaming che il 22 ottobre sbarca in Italia, l’ha cambiata così: «Una giovane ragazza indiana d’America prova a seguire il suo cuore e a proteggere la sua tribù, quando i coloni arrivano e minacciano la terra che ama».

Entrambi i riassunti sono giusti. Ma sembrano due film diversi. Le femministe e i paladini degli indiani hanno tacciato la prima versione di sessismo e razzismo. Così è piombata la mannaia del “politicamente corretto”.

«Proprio per questo sostengo che il riassunto è una questione non solo cognitiva, ma anche etica», dice Cardinale, «perché dobbiamo avere un grande rispetto dell’autore. Non si può riassumere seguendo i propri schemi mentali, occorre immedesimarsi nel pensiero dell’altro».

«Per riassumere leggo tre volte il testo, trovo le cose fondamentali e le appunto», dice Filippo Bonomonte, 14 anni, primo anno al liceo milanese Virgilio. «È l’unico modo di imparare, non solo in italiano ma anche in storia e geografia. Il problema semmai è qualche prof, che ripete dieci volte la stessa cosa».

Nel 1982 Umberto Eco chiese a dodici scrittori di condensare in poche righe il loro romanzo preferito. Alberto Moravia si cimentò con Delitto e castigo, Piero Chiara con I promessi sposi. Ma anche questo esperimento provocò controversie. Italo Calvino bocciò Alberto Arbasino, accusandolo di avere infarcito il suo riassunto di Madame Bovary con commenti personali.
   
Insomma, le pillole di wikipedia ci sembrano facili. «Invece sono difficilissime da concepire», conclude il professor Cardinale, «e infatti Pascal così si scusò con un amico: “Ti mando una lettera lunga, perché non ho avuto il tempo di scriverne una breve”».

Soluzione: limare, ridurre all’osso. E, per i discorsi, sottoporre gli oratori al supplizio che il ministro Quintino Sella infliggeva ai suoi collaboratori, fra cui il giovane Giolitti: «Teneva le riunioni alle sette del mattino, tutti noi in piedi, col freddo che entrava dalle finestre spalancate. Così ci sbrigavamo».

Mauro Suttora  

Wednesday, October 21, 2015

Putin: nuovo Stalin o statista?

IL NUOVO ZAR

Sbarca in Siria, bombarda gli islamisti, annette la Crimea. Ecco i segreti del presidente russo 

Mosca, 14 ottobre 2015

di Mauro Suttora

Per alcuni è un nuovo Stalin. Per altri, un grande statista. Lo accusano di aver fatto ammazzare la giornalista Anna Politkovskaia e l’ex vicepremier Boris Nemtsov, di avere avvelenato col polonio radioattivo a Londra nel 2006 l’ex collega del Kgb Alexander Litvinenko. Gli addossano misfatti tremendi: l’aereo malese precipitato in Ucraina l’anno scorso (300 morti), le 550 vittime delle stragi del teatro di Mosca e della scuola di Beslan nel 2002-4.

Le accuse tremende? «Inventate dalla Cia»
«Tutte invenzioni della Cia», ribatte la maggioranza dei russi. Che, fieri del rinato prestigio, gli regalano una fiducia immensa: 63% alle presidenziali del 2012, addirittura l’85% negli ultimi sondaggi.

L’apoteosi, per il presidente russo Vladimir Putin, è arrivata il 7 ottobre. Ha festeggiato i 63 anni lanciando 26 missili dalle navi del mar Caspio contro l’Isis. I cruise hanno sorvolato per 1600 chilometri gli alleati Iran e Iraq prima di colpire lo stato islamico.

Un’impressionante dimostrazione di potenza, preceduta dallo sbarco in Siria per difendere l’amico dittatore Bashar Assad. Clamorosa e improvvisa, la missione si contrappone alle titubanze del presidente americano Obama, che da quattro anni assiste impotente alla guerra civile siriana e all’avanzata degli islamisti.

Ma chi è veramente Putin? Mistero. Va col millennio: è al potere dal 31 dicembre 1999, quando improvvisamente l’etilico Boris Eltsin si dimise. Come negli Usa, anche in Russia il presidente poteva governare al massimo per otto anni. E allora nel 2008 Vladimir si è fatto sostituire per un mandato dal fido premier Boris Medvedev. Col quale va d’accordo anche perché è alto 1,63: sette centimetri meno di lui. Poi è tornato al Cremlino, e Medvedev è stato retrocesso a premier: “tandemocrazia”.

Non ce l’ha fatta, invece, a continuare con la moglie Liudmila, ex hostess Aeroflot. Divorzio l’anno scorso dopo 31 anni di matrimonio e due figlie trentenni. Una vive in Olanda con un olandese, l’altra si è sposata nel 2012 a Marrakesh (Marocco), nell’hotel Mamounia.

Venti residenze ufficiali non bastano
Putin ora vive nelle sue venti residenze ufficiali (fra palazzi e dacie) con l’amante, la ginnasta Alina Kabayeva, alta 1,66. Un altro edificio in stile italiano è in costruzione sul mar Nero.

Le plastiche facciali gli hanno donato il viso di un bambino. Il suo stipendio da presidente ammonta a 120mila euro annui, ma si favoleggia che abbia una ricchezza personale di 70 miliardi, frutto di partecipazioni occulte nelle società petrolifere.

Ecco, il petrolio. Il dramma di Vladimir. Il crollo delle quotazioni dell’oro nero e del gas sta facendo inabissare anche il pil russo: meno 4% quest’anno. L’inflazione è al 13%. Il rublo è svalutato: ce ne volevano 35 per un euro, ora il cambio è a 70.

Insomma, l’economia è a pezzi. La guerra in Ucraina, dove i russi sostengono i secessionisti dell’Est, e l’annessione della Crimea hanno provocato le sanzioni occidentali.

Per questo, dicono, Putin fa il gradasso in politica estera. Nel 2008 violò la tregua olimpica (sacra dai tempi degli antichi greci) attaccando la Georgia durante i Giochi di Pechino. Ora semina il panico fra le ex repubbliche sovietiche (soprattutto le piccole baltiche) facendo sconfinare aerei da guerra.

Con il patriottismo la gente dimentica la crisi economica. E le altre angherie. In una scala da 1 a 7, la classifica mondiale della libertà di Freedom House assegna un umiliante 6 alla Russia: come l’Iran, e un po’ meglio del 6,50 cinese.

Nessuno osa chiamarlo “dittatore”
Inutile girarci attorno. Nessuno osa chiamarlo dittatore, ma a Mosca non c’è democrazia. Amnesty denuncia torture e processi irregolari, e «una notevole diminuzione negli ultimi anni del pluralismo dei media e dello spazio per il dissenso».

Ciononostante i 146 milioni di russi lo adorano, perché nei quindici anni della sua era la loro ricchezza (pil) è raddoppiata. Anche Berlusconi, Salvini e Grillo stravedono per lui. E pure a Renzi sta simpatico. Le esportazioni italiane sono troppo importanti, in questo periodo di crisi, per attardarsi in questioni come i diritti umani.

Se riuscirà a domare il califfo Al Baghdadi, capo dell’Isis, Putin diventerà simpatico al mondo intero. Per secoli altri cristiani ortodossi, i serbi, hanno protetto l’Occidente dall’impero turco. Se in Siria Putin farà il lavoro sporco per conto di Europa e Stati Uniti, riluttanti a mandare soldati, meglio per tutti.

Chissà che questa volta ai russi non vada meglio che in Afghanistan, dove l’impero sovietico fu sconfitto dagli islamici nella guerra 1979-87. 
A Vladimir il crollo dell’Urss brucia ancora. Lui negli anni 80 era agente segreto in Germania Est, e con la Stasi reclutava spie all’università di Dresda.

Duro e ambizioso, aveva imparato bene il tedesco e anche il francese. Si era specializzato negli studenti (e studentesse) stranieri. Cercava di adescarli e trasformarli in informatori al loro ritorno nei Paesi d’origine. Soprattutto gli statunitensi.

La giovane moglie Liudmila allora si lamentava: «Mi picchia e mi tradisce». Nel 1989, lo choc: il comunismo crolla. Il colonnello del Kgb Putin si trova proprio a Berlino, e brucia un sacco di documenti segreti. «Mandavo fax a Mosca, nessuno mi rispondeva».

Poi viene rispedito in patria, a San Pietroburgo. Lì continua a fare la spia, poi si dà alla politica mettendosi nella scia del potente sindaco della città. Nel 1999 Eltsin lo nota e lo nomina premier.
   
Insomma, Putin ha passato metà della sua vita sotto falsa identità. Impossibile quindi capire chi è il nuovo zar Putin. Stalin? Statista? Per ora, continua a stupirci.
Mauro Suttora

Wednesday, October 07, 2015

Ciclone Francesco

IL VIAGGIO DEL PONTEFICE NEGLI STATI UNITI 

Ecco perché le parole del Papa hanno emozionato tutti gli americani       

Pena di morte, vendita delle armi, inquinamento, immigrati: mai nella storia un capo della cristianità aveva colpito così duro. «Ma ho ricordato solo quel che dice il vangelo»

di Mauro Suttora 

Washington, 30 settembre 2015

Un trionfo. A mezzo secolo esatto dalla prima visita di un Papa all’Onu e in America (Paolo VI, 4 ottobre 1965), Papa Francesco ha ottenuto applausi ovunque. Nei nove giorni del suo viaggio a Cuba e negli Stati Uniti ha mosso folle, scosso la coscienza di milioni di fedeli, pronunciato frasi storiche.

«Non si servono le ideologie, ma le persone», ha detto a Cuba, che ha avviato la normalizzazione con gli Stati Uniti dopo 55 anni di tensione, ma resta un Paese comunista. Accusato di essere stato troppo tenero con i fratelli Fidel e Raul Castro, tuttora padroni di Cuba, Bergoglio ha detto: «Io predico il Vangelo. Se i comunisti dicono le stesse cose, sono loro che adottano il Vangelo».

«Armi vendute per soldi pieni di sangue»
Paolo VI implorò genericamente le Nazioni Unite: «Mai più la guerra!». Francesco invece ha accusato la prima superpotenza mondiale direttamente nel Congresso di Washington, dove nessun Papa era mai stato invitato, davanti a tutti i senatori e deputati degli Stati Uniti in seduta congiunta: «Perché vengono vendute armi letali a coloro che provocano sofferenze incredibili? Semplicemente per soldi, soldi che sono inzuppati nel sangue, spesso sangue innocente. Il silenzio è vergognoso e colpevole, abbiamo il dovere di fermare il commercio di armi».
Bergoglio condanna non solo i traffici internazionali, ma anche la vendita individuale di fucili e pistole, che in America è libera. E infatti il giorno dopo John Boehner, presidente repubblicano cattolico della Camera, artefice della storica visita del pontefice, si è dimesso in polemica con la destra del proprio partito.

«Difendiamo la vita umana a ogni stadio del suo sviluppo», ha poi esortato il Papa. E gli antiabortisti hanno applaudito. Ma subito dopo Bergoglio ha chiesto l’abolizione della pena di morte, proprio «perché la vita è sacra». Argomento controverso, in un Paese che in maggioranza è favorevole alla pena capitale.

Poi sono arrivate le mazzate sull’inquinamento: «È il momento di azioni coraggiose per contrastare i gravi effetti del degrado ambientale causati dall’attività umana». 

Parole che suonano banali per noi europei, ma che negli Stati Uniti suscitano divisione. Infatti la destra repubblicana (che ha la maggioranza in Congresso, contro il presidente Barack Obama) fa fatica perfino a riconoscere che le emissioni di anidride carbonica provocano riscaldamento globale e cambio climatico.

Ecco infine un tema bruciante anche nel nostro continente, gli immigrati: «Non devono spaventarci i loro numeri, dobbiamo guardarli come persone, osservare i loro volti, ascoltare le loro storie».

«Sono anch’io figlio di immigrati (italiani)»
E qui il Papa parla anche delle proprie origini italiane: «Ve lo dico da figlio di immigrati, sapendo che molti di voi discendono da immigrati. Migliaia di persone continuano a viaggiare verso nord in cerca di una vita migliore. Non è quello che vogliamo noi stessi?»

Per capire quanto sia stato rivoluzionario papa Francesco nella sua visita americana bisogna tener presente che la Chiesa cattolica degli Stati Uniti è potentissima e ricchissima. Soltanto il 20 per cento degli statunitensi la segue, ma nel Vaticano continua a essere la prima contribuente come finanziamenti. Non è un caso che il cardinale Marcinkus, capo della banca Ior, fosse americano.

Qui i cattolici sono sempre stati divisi: da una parte i conservatori, figli dei primi immigrati italiani e irlandesi, dall’altra i progressisti ispanici. Il papa ha dato una potente sterzata in favore di questi ultimi, meno vicini al potere e più attenti ai problemi sociali.

Mauro Suttora 

Wednesday, September 09, 2015

NoTav, noTap, noTriv, noTtip, noToem

I CITTADINI CHE LOTTANO PER LA SALUTE E CONTRO GLI SPRECHI

Treni, gasdotti, petrolio, trattati, radar: in tutta Italia nascono comitati spontanei contro qualsiasi cosa. Spesso con buone ragioni, ma anche con qualche isteria

Oggi, 2 settembre 2015

di Mauro Suttora

Battono perfino Matteo Renzi: il 25 agosto all’Aquila il premier ha dovuto fare marcia indietro per evitare 300 noTriv che manifestavano contro le trivelle per la ricerca di gas e petrolio nell’Adriatico. In sua assenza, scontri con la polizia: tre feriti.

Estate relativamente tranquilla invece per i noTav in val Susa: dopo le epiche battaglie nei boschi degli anni scorsi, gli autonomi hanno rinunciato ad attaccare i cantieri del Treno alta velocità Torino-Lione (solo una schermaglia il 5 settembre con 8 arresti).

Anche i noTap hanno avuto meno fortuna del 2014: questa volta all’annuale Notte della taranta di Melpignano (Lecce) nessun artista ha sventolato dal palco la bandiera contro il Trans Adriatic Pipeline, che dovrebbe trasportare gas dal mar Caspio all’Europa via Puglia.

Quanto ai noMuos, aspettano entro settembre la sentenza del tribunale amministrativo d’appello di Palermo, che deciderà la sorte del Mobile user objective system, grande radar statunitense a Niscemi (Caltanissetta).



NoTav, noTap, no Triv, noMuos. E poi  noTtip (Transatlantic trade and investment partnership), noToem (Tangenziale ovest esterna Milano), no alle centrali eoliche e geotermiche, ai canali Expo, alle navi che a Venezia passano  davanti a piazza San Marco, alla base militare Usa Dal Molin di Vicenza, agli aerei F35, al nuovo traforo del Brennero, alle ferrovie veloci.

Tutta Italia è invasa da contestatori di nuove opere pubbliche giudicate dannose per la salute o troppo costose. Ma è sempre così? Vediamo.

TAV. Da vent’anni gli autonomi si battono contro la ferrovia Torino-Lione. Ora però sono nati comitati anche contro le linee Milano-Genova e Milano-Venezia. E contro la nuova galleria del Brennero, che nel 2026 sarà la più lunga del mondo: 63 km.

Il successo dell’Alta velocità Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli-Salerno, però, dimostra la bontà del trasporto ferroviario, meno inquinante di auto e aerei. Certo, sono opere costose. E gli appalti statali in Italia sono sempre funestati da tangenti. Ma non si può rinunciare al progresso per colpa dei ladri.

Obiettano gli oppositori della Milano-Venezia: «L’Alta velocità farebbe risparmiar tempo solo se unisse direttamente le due città, senza fermate intermedie a Brescia, Verona, Vicenza e Padova. Così come il Milano-Bologna non si ferma a Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. Ma i passeggeri in Veneto vanno soprattutto in città vicine, troppo vicine per dare ai treni il tempo di raggiungere l’alta velocità fra l’una e l’altra».



TAP. Il Trans adriatic pipeline porterà il gas dal mar Caspio all’Europa via Turchia-Grecia-Albania-Puglia. Senza passare dalla Russia, quindi evitando i ricatti di Putin. Il tubo sottomarino approderà a San Foca (Lecce), e i contrari temono l’impatto ambientale. Visivo, perché non c’è mai stata una fuga letale da un gasdotto di quel tipo.

«Al massimo l’acqua diventa gasata», scherza qualcuno. Gli abitanti locali temono per il turismo, ma la società del Tap mostra una spiaggia a Ibiza dove nessuno si accorge di un impianto simile.

TRIV. Pare che nell’Adriatico ci siano giacimenti non indifferenti di gas e petrolio. Da mezzo secolo sono attive piattaforme al largo di Romagna e Molise, nessuno si è mai lamentato.

Ora la Croazia si è lanciata nell’esplorazione, e poiché i giacimenti non rispettano i confini marittimi, c’è il rischio che vengano sfruttati solo da loro.

Il decreto Sblocca Italia ha assegnato alcune licenze di trivellaggio (anche per il metano in terraferma, come a Zibido a sud di Milano), e ora la fantasia popolare immagina fiotti di petrolio che inquineranno l’Adriatico.
Tutti pensano al disastro nel Golfo del Messico cinque anni fa.

Il gioco vale la candela? Le statistiche dicono che le perdite dalle piattaforme sono rarissime: in Europa solo una in Norvegia, con 4mila tonnellate di greggio versato in mare. Quantità infinitesimale a rispetto alle centinaia di migliaia di tonnellate dei disastri di ogni petroliera: Haven (Genova 1991), Exxon Valdez, Amoco Cadiz.

MUOS. Il Mobile user objective system  è un enorme padellone delle campagne vicino a Niscemi (Caltanissetta). Gli abitanti temono radiazioni nocive. In realtà è un radar che fa volare gli aerei militari Usa sul Mediterraneo.
Gli americani, stufi per le proteste («Volete chiudere i radar di tutti gli aeroporti?»), minacciano di trasferirsi in Tunisia. Sembra una replica della fobia per i ripetitori dei telefonini quindici anni fa.

TTIP. Fa venire il mal di testa solo dirlo: Transatlantic trade and investment partnership. È un trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti. Cadranno le tariffe doganali, sarà più facile importare ed esportare.

Gli ecologisti temono i cibi americani con gli Ogm (Organismi geneticamente modificati), dei quali però nessun scienziato ha dimostrato la pericolosità.
I produttori di alimenti italiani, invece, sono felici di esportare negli Usa senza le barriere che ora li ostacolano.

TOEM. La Tangenziale ovest esterna Milano rovinerà ettari di verde nel Parco Sud. Rischia di fare la fine delle nuove autostrade BreBeMi (Brescia-Bergamo-Milano) e Tem (Tangenziale Est Milano): semivuote. I pendolari preferiscono migliorare i treni. O mettere una quarta corsia sull’attuale Tangenziale Ovest.

EOLICO. Su tutto il crinale appenninico, da Alessandria alla Sicilia, negli ultimi 25 anni si sono moltiplicati altissimi mulini a vento. I parchi eolici hanno un forte impatto visivo e le loro pale uccidono gli uccelli. Ma stanno in zone poco abitate, quindi le proteste non sono forti.

GEOTERMIA. Sul Monte Amiata (Siena), nei Campi Flegrei (Napoli) e a Castel Giorgio (Terni) vengono contestati anche gli impianti che sfruttano quest’energia, nonostante sia rinnovabile e non inquinante come il vento.

F35. I costosissimi aerei da guerra made in Usa subiscono le proteste degli ex oppositori pacifisti alle due guerre del Golfo e della lotta (persa) contro l’ampliamento della base Usa Dal Molin a Vicenza. Si saldano così (anche contro il Muos) gli antiamericanismi di comunisti, autonomi e cattolici di sinistra.
Mauro Suttora