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Monday, December 15, 2008

Strage di Mumbai

"Per 40 ore sdraiato in bagno"

parla Arnaldo Sbarretti, direttore di hotel, 50 anni

di Mauro Suttora

1 dicembre 2008

«Non dimenticherò più quel numero, 3228. Era la mia stanza al 32° piano, il penultimo dell' hotel Oberoi Trident a Mumbai. Avevamo finito alle sei di sera il nostro workshop dell' Enit. L' Ente del turismo italiano ci aveva portato in India per presentare agli operatori turistici locali i nostri alberghi. Io avevo chiuso la mia camera, ed ero sceso nella hall.

Dopo pochi secondi si è scatenato l' inferno: esposioni, bombe, raffiche di mitra, fumo, una confusione totale. Un agente della sicurezza mi ha scaraventato nell' ascensore, urlando: "Ci sono i terroristi, via di qui, tornate alle vostre stanze !". Ho avuto solo il tempo di vedere un uomo stramazzare per terra, colpito proprio accanto a me. Ora più ci penso, più mi vengono i brividi.

Tornato al mio piano, corro verso la camera. Sento una voce dall' altoparlante interno: "Avviso a tutti gli ospiti: è in corso un attacco terroristico. Rimanete chiusi nelle vostre camere". Mi sento in trappola. Decido di fare l' esatto contrario di quanto consigliato, e mi precipito giù per le scale di servizio assieme a degli uomini kuwaitiani. Al 20° piano sentiamo spari e urla che si avvicinano: sono i terroristi che cercano i turisti per ammazzarli. Tutti, senza preferenze per americani e inglesi, come qualcuno invece ha detto. Terrorizzati, risaliamo le scale e ci barrichiamo nelle nostre stanze.

Ho chiamato mia moglie a Milano per avvertire che ero vivo, e lei mi ha dato il numero del consolato italiano a Mumbai. Dal consolato mi hanno detto di chiudere la luce e abbassare la suoneria del cellulare, di nascondermi e non fare rumore. Ho obbedito. Mi sono sdraiato per terra in bagno, fra water e vasca. In quella posizione rimango 40 ore, senza mangiare e dormire continuando a sentire urla, spari, scoppi. Ero convinto di morire. Invece, la porta della stanza si spalanca all' improvviso. Penso siano i terroristi. Invece sono i poliziotti che mi liberano.

Il vero dramma è che tutto quello che è successo poteva essere evitato. Il governo indiano sapeva dei rischi, erano arrivati avvertimenti su un possibile attacco, ma nessuno ci ha avvisato. Nella hall dell' albergo c' erano i metal detector, ma la security ci diceva sempre di passarci accanto, non controllava nessuno. Così alcuni terroristi avevano potuto stabilirsi da giorni al Taj Mahal, senza destare sospetti. Alla fine, secondo me, sono state le teste di cuoio inglesi e americane a liberarci.

Io negli alberghi ci lavoro da vent' anni, e sarò stato in un migliaio di hotel in tutto il mondo. Questa strage ha cambiato la mia vita, ma cambierà anche la vita di tutti noi. Finora abbiamo sottovalutato la ferocia dei terroristi islamici. Io ero contro Bush, gli Stati Uniti non mi sono mai stati molto simpatici. Però ora vedo le cose in maniera diversa. Devo ammettere che gli americani hanno imparato la lezione dell' 11 settembre 2001. Ma noi europei dormiamo. Ci vogliono servizi segreti che funzionino, e anche la capacità di reagire con grande forza contro questi assassini».

Mauro Suttora

Tuesday, June 03, 2008

Mangiano pure sulla fame

PAPPONI MONDIALI

Si apre a Roma il vertice mondiale sulla povertà. Un ente internazionale che brucia quattrini senza fare nulla. Presenti anche capi di Stato che affamano i popoli. Come Mugabe e Ahmadinejad

Libero, 3 giugno 2008

di Mauro Suttora

Il quinto dittatore più longevo del mondo è atterrato a Fiumicino tranquillo e felice domenica notte con la moglie Grace. Ha conquistato il potere nel 1980 e non lo ha più mollato. Soltanto Gheddafi e altri tre despoti (il sultano del Brunei, Omar Bongo in Gabon e Dos Santos in Angola) tiranneggiano i loro popoli da più tempo.

Robert Mugabe ha 84 anni ed è ospitato a Roma nell’ambasciata del suo Zimbabwe, quartiere Prati. Mentre era in volo i suoi poliziotti in Africa hanno arrestato l’oppositore più prestigioso, il giovane scienziato Arthur Mutambara, assieme a decine di altri avversari politici.

Lo Zimbabwe è l’ex Rhodesia del Sud. Era un Paese florido, uno dei granai d’Africa. Gli inglesi se ne sono andati 28 anni fa, e da allora le cose sono costantemente peggiorate. Oggi i tredici milioni di sudditi di Mugabe sono fra i più poveri del mondo, ridotti alla fame. L’inflazione è del 156.000 per cento. Non è un refuso: significa che ogni giorno i prezzi quadruplicano. Fino a una dozzina di anni fa almeno c’era la libertà. Ora neanche più quella. Da liberatore, Mugabe si è trasformato in tiranno.

Nel 2002 ha truccato le elezioni per farsi rieleggere. L’Unione europea ha reagito proibendogli di venire nel nostro continente. Ma lui si fa gioco di questo divieto. Con la scusa che a Roma c’è la Fao (Food and agriculture organization), la quale come tutte le agenzie dell’Onu gode di extraterritorialità, fa una capatina in Italia ogni volta che può. L’ultima volta, a un vertice Fao del 2005, paragonò Bush e Blair a Mussolini e Hitler. Chissà cosa dirà questa volta.

Con la sua presenza a Roma, Mugabe sta facendo ombra perfino a un altro gentiluomo come l’iraniano Ahmadinejjad. Il ministro degli Esteri australiano Smith ha definito «oscena» la sua presenza al vertice contro la fame nel mondo: «Mugabe è responsabile della fame di cui soffre il suo popolo, e ha usato gli aiuti alimentari a fini politici». Due mesi fa ha perso di nuovo le elezioni, ma grazie ai soliti brogli ha ottenuto un ballottaggio per il 27 giugno. E ora è venuto a farsi un po’ di propaganda in Italia.

Il pretesto glielo offre uno dei tanti inutili vertici contro la fame di una delle tante inutili agenzie dell’Onu. La Fao, appunto. Il palazzo bianco della Fao sta vicino alle terme di Caracalla, un precursore di Mugabe. Fino al 2002 nel piazzale davanti alla Fao c’era l’obelisco di Axum. Poi l’Etiopia ha chiesto di riaverlo. L’Italia, chissà perché, ha acconsentito. Così l’obelisco è stato tolto e rispedito in Etiopia a nostre spese. Da allora giace abbandonato sotto una tettoia. Questo è il risultato dei complessi di colpa degli ex colonialisti.

Un altro risultato è che continuiamo a finanziare baracconi come la Fao. Ha quattromila funzionari. Duemila stanno «sul campo», nei posti dove si soffre la fame, e probabilmente qualcosa combinano. Gli altri duemila stanno a Roma, e si godono i loro stipendi da ottomila euro al mese esentasse. La Fao costa quasi 400 milioni di dollari l’anno. Poco, tutto sommato, se paragonati ai 300 milioni di euro che abbiamo appena deciso di buttare via per dare qualche altro mese di vita all’Alitalia. Ma tanto, se si scopre che gran parte del bilancio serve per pagare i dipendenti.

Come per l’Onu e l’Unesco, i tre quarti dei soldi vengono versati da undici Paesi (fra i quali non compaiono Cina e Russia, nonostante abbiano diritto di veto). Gli Usa pagano da soli il 25% delle spese, il Giappone il 20. Ma quando si decide come spendere, vale la regola della maggioranza. I membri della Fao sono 191. E il voto di San Marino vale quanto quello degli Usa.

L’inefficienza della Fao è leggendaria. Già nel 1960, visti gli scarsi risultati, fu creato il Pam (Programma alimentare mondiale), agenzia operativa per le emergenze sempre con sede a Roma. Esiste tuttora e funziona abbastanza bene. Negli anni ’70 si continua con la moltiplicazione degli enti: nascono il Wfc (World food council) e l’Ifad (International fund for agricultural development).

Vent’anni fa la Heritage Foundation, think tank Usa di destra, dimostra dati alla mano che l’inefficienza continua. E nel ’91 ai critici della Fao si aggiunge la rivista The Ecologist, bibbia degli ambientalisti, che decreta addirittura: “La Fao promuove la fame nel mondo, invece di combatterla”.

Niente da fare. La burobaracca sopravvive organizzando vertici su vertici. Quello del 2002 viene considerato uno «spreco di tempo» perfino da molti dei partecipanti ufficiali. Nel maggio 2006 si dimette Louise Fresco, assistente direttore generale della Fao, che ammette: “La nostra organizzazione è incapace di adattarsi alla nuova era,i suoi capi non propongono soluzioni per superare la crisi”.

Dopo il vertice del 2006 Oxfam, la più grande Ong (Organizzazione non governativa) privata contro la fame nel mondo, chiese di finirla con le «feste di parole». Un mese fa il presidente del Senegal ha ribadito: “Meglio chiudere la Fao”. Invece ora ci risiamo. Per tre giorni i potenti della Terra, dittatori e affamatori compresi, banchettano a Roma alla faccia degli affamati. Quelli che fanno qualcosa di concreto (i missionari, i volontari delle Ong) sono rimasti in Africa, in Asia, in America Latina.

Mauro Suttora