Tuesday, November 17, 2009

commento di Giordano Bruno Guerri

Errori, vanterie, esagerazioni: sono carte da valutare con attenzione

Il Giornale, martedì 17 novembre 2009

di Giordano Bruno Guerri

Ecco dunque i diari di Claretta Petacci, che tanti aspettavano come possibile fonte di chi sa quali rivelazioni, di chi sa quale Mussolini diverso da quello che già conosciamo. C’è chi giura sulla loro autenticità, ma è pur vero che sono arrivati all’Archivio centrale dello Stato dopo un lungo e tortuoso percorso. Come tutti i diari, d’altra parte, potrebbero essere autentici ma manipolati dalla stessa autrice, contemporaneamente o successivamente ai fatti. Certo, potrebbero essere anche genuini, ma questo non garantisce affatto la loro validità e importanza storiografica.

Per esempio, già alla seconda annotazione pubblicata in questa pagina, quella del 2 settembre 1938, si dà una notizia clamorosamente, indubitabilmente falsa. «Ben» avrebbe detto a Claretta: «Ti dà l’idea del mio razzismo il fatto che nel 1929, all’inaugurazione dell’Accademia, dichiarai che mai e poi mai si sarebbe fatto un accademico ebreo». È vero che il duce non nominò mai accademici di razza ebraica, ma il discorso inaugurale dell’Accademia d'Italia - tenuto il 28 ottobre del 1929 - venne pubblicato già il giorno dopo e non fa il minimo accenno alle razze né, tanto meno, agli ebrei. Al contrario, contiene un passaggio di apertura a tutte le energie intellettuali: «L’importanza di un’Accademia nella vita di un popolo può essere immensa, specialmente se essa convogli tutte le energie, le scopra, le disciplini, le elevi a dignità».

Anche se è indubbio che le leggi e le persecuzioni razziali ci siano state, per esplicita volontà di Mussolini, in nessun’altra testimonianza si trovano, da parte del duce, parole tanto cariche di odio verso gli ebrei: in toni e quantità talmente eccessivi da far sospettare che Claretta volesse accreditarsi come protettrice illuminata dei perseguitati. Infatti leggiamo, il 4 agosto 1938, una frase che le avrebbe detto Mussolini: «Tu non sei mai stata antisemita. Anzi, abbiamo avuto delle discussioni perché li hai difesi dicendo: “Poveretti, lasciali vivere, che colpa ne hanno di essere ebrei”». Strano davvero. Mussolini era del parere che le donne non dovessero occuparsi di politica: mentre in questo diario i discorsi politici, virgolettati quasi più da stenografa che da amante, sono lunghi, spesso troppo lunghi.

In attesa delle verifiche, delle collazioni e dei controlli accuratissimi che si devono svolgere su questo tipo di opere, le prime due domande cui si può rispondere sono: il diario, contiene novità storiografiche importanti? No, non le contiene.

La risposta alla seconda domanda - il Mussolini che ne esce, è diverso da quello noto? - deve essere più sfumata. Nella sostanza, tutto corrisponde. I giudizi livorosi verso inglesi e francesi (per non dire quelli sugli italiani); il rispetto verso i tedeschi, accresciuto (almeno fino al 1939) dall’ammirazione che gli manifestavano; la scarsissima considerazione verso altri capi politici, Franco, Schuschnigg, Eden, Blum; la disistima per i gerarchi fascisti; la convinzione della necessità delle guerre; la passione per i filmetti comici; l’odio purissimo verso la borghesia e l’uggia che gli procura la famiglia, in particolare la moglie Rachele.

Tutto vero, tutto giusto, ma espresso in un modo così enfatico, eccessivo, esagerato, da suscitare un sospetto, anche escludendo il falso puro e semplice: che l’autore del falso sia stato lo stesso Mussolini, enfatizzando e esagerando le proprie posizioni, decisioni, idee.

Benito non aveva alcun bisogno di sedurre Claretta, innamorata persa di lui fin da quando era ragazzina. Però sembra voler alimentare quell’adorazione - più per compiacere lei che se stesso - portando tutto oltre misura: per esempio, quando racconta dell’ambasciatore cinese che gli chiede disperatamente aiuto contro i giapponesi, come se davvero Mussolini potesse qualcosa in quella guerra. Per non dire delle vanterie amorose: «C'è stato un periodo che avevo quattordici donne, e ne prendevo tre-quattro per sera, una dopo l’altra». Niente di strano per un uomo - sia pure duce - di 56 anni con un’amante di 25.

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