per gentile concessione dell’autore, ecco un capitolo del libro No Sex in the City di Mauro Suttora (Cairo editore, 2006)
16/ CATALOGO DEI CULI DI MANHATTAN
Il filosofo italiano Massimo Fini, nel suo impareggiabile ‘Di(zion)ario Erotico’ (edizioni Marsilio, 2000), ha compilato l’elenco di una quindicina di tipi differenti di sedere. Secondo lui, possiamo capire la personalità di una persona semplicemente osservando il suo gluteo. Questo libro prezioso è stato pubblicato due anni prima del manifesto dell’era Bush (‘Paradiso e Potere’), la bibbia neocon in cui Robert Kagan afferma che gli europei proverrebbero da Venere, pianeta dell’amore, mentre gli americani da Marte, sfortunato pianeta freddo e da sempre simbolo del militarismo.
Fini nota un’altra differenza fra i due continenti: “Gli uomini, com’è noto, si dividono in due categorie: quelli che preferiscono il seno (bosomen) e quelli che preferiscono il culo (bottomen). I primi appartengono, in genere, a culture rozze, poco smaliziate, infantilmente pragmatiste, primitive, matriarcali, fortemente legate all’immagine della donna-madre e comunque troppo giovani per avere avuto il tempo di sviluppare adeguate attitudini speculative. Bosomen sono, per esempio, gli americani. L’Europa, culla della civiltà, è invece bottomen. Venere Callipigia (da kalos, bello + pyge, sedere) nacque in Grecia, nella prima metà del V secolo avanti Cristo, insieme alla grande filosofìa e alle matematiche. E ‘pour cause’. Perché il culo è innanzitutto una categoria metafisica”.
Con l’aiuto del libro di Fini, ho cercato di tracciare una mappa dei vari tipi di posteriore, prevalenti in ciascun quartiere di Manhattan. Abbiamo innanzitutto il sedere dell’Upper East Side, che conosco benissimo perchè è quello di Marsha: diffidente e avaro, con chiappe strette come hanno, in genere, i toscani. Quello dell’East Village (artisti poveri), al contrario, è fiducioso e pieno di speranza: tondo, grasso e a natiche leggermente dischiuse.
Il culo di Midtown, zona di business, è aggressivo: sodo e massiccio come una catena montuosa. Attorno all’Onu, fra Beekman Place e Tudor City, si rinviene un culo volitivo (piccolo e muscoloso): appartiene ai funzionari delle Nazioni Unite, ma anche ai diplomatici accreditati e alle loro spose.
Quello della Upper West Side, fra Central Park e il fiume Hudson, è un fondoschiena intellettuale, quindi colloquiale: elastico e malleabile. Dall’altra parte del parco, quello di Carnegie Hill (dov’è la residenza del sindaco Michael Bloomberg) è invece nobile: alto, lungo e appena rilevato.
I culi popolari, bassi e larghi, sono purtroppo rari a Manhattan (affollano invece Brooklyn e Bronx), ma se ne rinvengono ancora nella Lower East Side.
Attorno al municipio (City Hall) predomina inevitabilmente il gluteo burocratico, grasso e informe, mentre quello proletario, largo ma alto, è tipico di Washington Heights. Il culo di tipo militare, stretto e muscoloso, si può trovare attorno a Park Avenue, dove sopravvivono sia una caserma di artiglieria che qualche raro esemplare di bushiano pro-guerra.
Wall Street offre sederi meschini e timorosi (magri ma non ossuti), mentre nella zona senza identità di Hell’s Kitchen e Columbus Circle dominano quelli indifferenti, piccoli e raccolti. Le chiappe del Greenwich Village sono ridanciane (larghe e piatte), però andando verso il West Village diventano più impertinenti: tonde, a scalino e sussultorie.
Infine, c’è quello che Massimo Fini descrive come “culo remissivo”, al quale non ho trovato una particolare associazione geografica: è sparso un po’ dovunque. “Ha due tenere pieghe fra la natica e l’attaccatura della gamba, ed è tondo senza essere eccessivo”, spiega Fini. “Questo è il vero culo. Il culo dei culi. Perché possiede, al massimo grado, le due caratteristiche che, pur variamente mascherate, sono proprie di ogni culo: l’essere indifeso e ridicolo («L’ilare impotenza del deretano» la chiama Sartre che se ne intende). Il culo infatti è impotente. Perché, come Polifemo, è cieco nonostante possegga un occhio. E in condizione di palese inferiorità: non può guardare ma solo essere guardato.”
New York è la capitale mondiale di molte cose, e anche dell’S&M. All’inizio non capivo, pensavo egocentrico che si trattasse solo delle mie iniziali invertite. Poi ho scoperto che questa città pullula di sado&maso, con tanto di fruste e “dominatrix” (le signore che eccitano i maschi sculacciandoli e camminando sopra di loro con tacchi a punta).
Massimo Fini ci rivela perchè è proprio il sedere la parte del corpo che attira la maggiore attenzione da parte dei sadici: “È la perfezione ad accendere il desiderio della profanazione. Solo ciò che è perfetto merita di essere sconciato, sciupato, oltraggiato, vilipeso e quindi, alla fine, reso imperfetto. (…) Il seno si accarezza, si vezzeggia, si mordicchia affettuosamente. Per consolarlo della sua pochezza, di essere solo un seno. Nella perfezione del culo c’è invece un orgoglio luciferino che va abbattuto e degradato”.
E’ lo stesso motivo, a pensarci bene, per cui gli Stati Uniti stanno attirando su di sè tanta antipatia nel mondo. Troppo ricchi, con l’economia che continua a crescere del quattro per cento, sempre attraenti per milioni di immigrati speranzosi da tutto il pianeta, mentre la vecchia Europa è in affanno.
Troppo orgogliosi, con tutte le loro bandiere a stelle e a strisce che sventolano dappertutto. Troppo perfetti, e posseduti per di più dalla nuova mania neocon, letteralmente “evangelica”, di esportare la “buona novella” della democrazia nel resto del pianeta. Questo parallelo fra culo e neocon sembra ardito e balzano? La psicologia popolare ha le sue verità…
In ogni caso, la parola ‘culo’ sta diventando sempre più importante negli Stati Uniti. E non solo perchè l’insulto classico è e rimane ‘Asshole’ (buco di culo). Ormai il deretano viene ampiamente usato come sinonimo onnicomprensivo di “piacere”: può significare in senso lato sesso, avventure, eccitazione, ragazze, ragazzi, sveltine, flirt.
“Let’s grab some ass tonight!”, “Prendiamoci un po’ di culo stasera!” è la singola frase più utilizzata attualmente nelle università statunitensi. Lo conferma il libro Sono Charlotte Simpson di Tom Wolfe, affresco della vita nei college undergraduate Usa (primi quattro anni): dove oggi si fa di tutto – sport, drogarsi, ubriacarsi, scopare – tranne che studiare.
Mauro Suttora
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