Washington, 7 novembre 2006
Donne alla riscossa: l’America si tinge di rosa. Un’italiana è diventata la terza persona più importante degli Stati Uniti. Nancy Pelosi, 66 anni, deputata della California, ha ora sopra di sè soltanto il presidente George Bush e il vice Dick Cheney. I democratici hanno infatti conquistato la maggioranza del Congresso e lei siede sulla poltrona di presidente della Camera dei rappresentanti. Hillary Clinton, 59 anni, ha trionfato nello stato di New York: 70 elettori su cento l’hanno confermata senatrice (in aumento dal 55 per cento di sei anni fa) , e ora l’ex first lady di Bill mira alla Casa Bianca.
E la «valanga rosa» che ha investito l’America nel voto del 7 novembre non finisce qui. Altre donne sono emerse: Claire McCaskill, madre di otto figli, è stata eletta senatrice democratica nel Missouri con l’appoggio dell’attore Michael J. Fox, malato di Parkinson e promotore della ricerca sulle staminali. In Arizona ha conquistato un seggio alla Camera la democratica Gabrielle Giffords, 36 anni, che si oppone al muro contro gli immigrati al confine col Messico. E l’assistente sociale Carol Shea-Porter è diventata deputata del New Hampshire per far finire la guerra in Iraq.
Il grande sconfitto del voto americano è il presidente Bush, che dovrà terminare gli ultimi due anni del suo mandato avendo il Parlamento contro: i democratici infatti conquistano la maggioranza assoluta sia alla Camera (230 seggi su 435) sia al Senato, seppure per un solo seggio: 51 a 49. Gli toccherà quindi la stessa sorte di Bill Clinton, il quale dovette governare da «anatra zoppa» dopo che i repubblicani vinsero il voto del ’94. Un cambiamento c’è già stato: si è dimesso il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, artefice della disastrosa occupazione dell’Iraq.
Ma chi sono le donne che porteranno aria nuova a Washington? Nancy Pelosi non è una novellina. Come Condoleezza Rice, è anche lei vittima dell’errore di un ufficiale dell’anagrafe che registrò suo nonno, immigrato dalla Liguria, col cognome «D’Alesandro», con una esse sola. Suo padre è stato sindaco di Baltimora per tutti gli anni Cinquanta, e poi anche suo fratello. Lei è quindi cresciuta a pane e politica, aiutando il babbo nelle campagne elettorali, finché si è trasferita a San Francisco per sposare il ricco marito Paul Pelosi: italoamericano anche lui, con patrimonio immobiliare da 25 milioni di dollari. Ha rischiato di metterla nei guai nel 2002, quando è saltato fuori che usava lavoratori non sindacalizzati nella sua tenuta vinicola della Napa Valley: eppure lei è così amica dei sindacati, si è battuta per alzare il salario minimo da cinque a sette dollari l’ora.. Risultato: la vigna è stata venduta per evitare altre contestazioni.
Brava moglie, madre di cinque figli (quattro femmine), quando questi lasciano la casa per l’università lei si rituffa in politica e a 47 anni viene eletta deputata nel collegio di San Francisco. Si tratta di una delle zone più a sinistra degli Stati Uniti, e infatti lei pur essendo cattolica è per la libertà di aborto. Quattro anni fa è diventata capogruppo dei democratici alla Camera (prima donna nella storia d’America), e dopo la vittoria della settimana scorsa (con l’80 per cento) si è trasformata automaticamente in presidente dell’assemblea. Efficientissima, elegante nei suoi abiti firmati, riesce a raccogliere un sacco di finanziamenti per il partito.
All’inizio Nancy Pelosi era considerata troppo di sinistra per poter guidare i democratici al Congresso. Poi però il suo sorriso ha conquistato l’America, e d’altra parte il fallimento dell’avventura in Iraq ha finito per dare ragione a lei e ai pacifisti che si erano opposti fin dal 2003: «Ci siamo impantanati in un nuovo Vietnam, dobbiamo trovare una strategia d’uscita», è il suo ritornello da allora.
In realtà la Pelosi è una dei non tanti democratici ad avere le carte in regola per criticare Bush sulla guerra. Solo un centinaio di deputati, infatti, ebbe il coraggio di votare contro l’attacco all’Iraq quattro anni fa. Tutti gli altri, Hillary Clinton compresa, bevvero la fandonia delle armi di distruzione di massa che sarebbero state in possesso di Saddam, e autorizzò la guerra. Hillary da allora fa di tutto per apparire patriottica, e anche oggi si guarda bene dal chiedere un ritiro immediato dei 140 mila soldati americani, o una diminuzione dell’incredibile cifra che gli Stati Uniti spendono per le forze armate (oltre 500 miliardi di dollari all’anno).
La differenza fra le due donne è tutta qui: a Nancy non importa essere considerata un’estremista di sinistra. Non ha ambizioni presidenziali, a lei basta galvanizzare gli elettori democratici per spremer loro il maggior numero di dollari in contributi. Hillary, al contrario, ha capito che per diventare presidente deve fare la moderata, conquistando voti al centro. Da anni, quindi, ogni sua parola è attentamente calibrata per non offendere gli elettori che l’ultima volta hanno preferito Bush, ma la prossima possono cambiare idea. Anche sull’aborto, che negli Stati Uniti continua ad essere una questione calda, ha dichiarato: «Sono d’accordo con gli antiabortisti: nostro comune obiettivo, mantenendo la libertà di scelta della donna, dev’essere ridurre il numero degli aborti».
Insomma, sono lontani i tempi (dieci anni fa) in cui Hillary faceva la pasionaria di sinistra e si intestardiva a introdurre i contributi sanitari obblligatori. Nonostante questo suo restyling di destra, però, i sondaggi continuano a darla perdente nel 2008 se i candidati presidenti repubblicani saranno il senatore dell’Arizona John McCain o l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, due moderati lontani dai fanatici evangelici e militaristi neocon che piacciono a Bush. Quindi i democratici stanno cercando un candidato ancora più rassicurante, e sembrano averlo individuato in Barack Obama, senatore di colore dal linguaggio soave.
In ogni caso, Hillary dopo questo trionfo è sempre più un peso massimo della politica americana. Giornali e tv esaminano al microscopio ogni sua mossa, e anche quelle di suo marito. Si amano ancora, o stanno assieme solo per convenienza? Si rassegnerebbe l’ancor giovane Bill (60 anni) a tornare alla Casa Bianca come primo First man della storia, o la considererebbe un’umiliazione? Ma soprattutto: gli americani vogliono presidenti o dinastie? Perché se Hillary dovesse governare fino al 2016, si arriverebbe a ben 36 anni consecutivi di Bush e Clinton al potere: Bush padre infatti entrò alla Casa Bianca già nel 1980 come vice di Ronald Reagan.
Mauro Suttora
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