Thursday, December 28, 2006

recensione dell'Avanti

“NO SEX IN THE CITY”, IL DIARIO “DALL’ESILIO” NEWYORKESE DEL GIORNALISTA MAURO SUTTORA
 
Alla ricerca di una donna normale

di Sergio Sammartino

Avanti!, 20/12/2006

E’ uscito, per i tipi della Cairo Editore, “No sex in the city” (222 pp., 14,00 euro) di Mauro Suttora, giornalista poco più che quarantenne, da poco rientrato in Italia dopo un soggiorno di quattro anni in America come corrispondente di “Oggi”. Il titolo, ovviamente, fa la parafrasi - ed anzi l’antifrasi - alla famosa commedia “Sex in the city”, di cui proprio in questi giorni circola un sequel nei nostri teatri. 
 Il libro sorprende per una curiosa originalità sia nel contenuto che nello stile. In apparenza è un diario “dall’esilio”, come ve ne sono già, ma a sorprendere non è solo il tono ironico e autoironico, quanto il fatto che a scandire le vicende di questo italiano a New York sia essenzialmente il sesso, la ricerca continua e scontata di sesso - sia da parte sua che da parte delle sue numerose interlocutrici - con l’aggiunta poco prevedibile che, quasi sempre, si finisce in bianco (da cui il titolo). 

 Ovviamente il sesso è la cifra con cui si interpreta tutto un mondo che sembra non avere più altri orizzonti, la lente attraverso cui si decifra tutta un’umanità vista essenzialmente dal suo lato femminile, posta sulla cima del mondo moderno - nei migliori quartieri della capitale della Terra - eppure così incerta, così fragile, così piena di miti fasulli e di autentica incapacità a vivere accettando gli impegni, le responsabilità e le rinunce che la vita comporta. 

 Così vediamo il Nostro abbandonato da una bella di turno con motivazioni vaghe e inutilmente complicate, tipo: “Ti sei accorto che ormai non vivo che con te? Voglio i miei spazi!”; lo vediamo alle prese con la moglie d’un ambasciatore che gli si spoglia dinanzi a lui ma pretende di non essere penetrata perché “sono molto cattolica”, salvo a volere una doccia con lo champagne. Insomma, accompagniamo il protagonista nella inutile ricerca di un donna normale, che non abbia fisime (tipo fare sesso, ma senza baci, perché “mi fanno senso”).

In un mondo così contorto e corrotto, alla fine, è diventata incredibilmente difficile persino una sana notte di sesso puro, quasi che la sessualità si sia talmente liberata... da finire a volersi liberare di se stessa. Non a caso, nel leggere ci tornava in mente un bell’articolo di Marcello Veneziani uscito sul “Domenicale” di qualche settimana fa, in cui il pensatore analizzava la deriva dell’erotismo occidentale, denaturato e spinto al punto da diventare la macchietta meccanica dell’eros vero. 

 Ma non si creda che Suttora si atteggi a moralista: egli si trova perfettamente a suo agio - salvo qualche breve timidezza - in questo mondo di feste e di club in cui ci si invita al letto come una volta ci si invitava ad un aperitivo; nell’amoralità disarmante di questo stile di vita volutamente superficiale, egli si identifica perfettamente (per questo Beppe Severgnini, nel presentare il libro lo ha definito “invadente, immodesto e impudico”). 
 E siccome siamo in un epoca in cui i moralisti risultano irrimediabilmente antipatici, ecco che lui, Suttora, guadagna subito la simpatia del lettore, tanto più che “la morale” - almeno quella della favola - alla fine risulta lo stesso. 

Alla maniera di Machiavelli - di cui si disse che, evitando attentamente di giudicare il mondo politico, lo mostrava nefando con ulteriore lucidità -, così l’impersonalità non giudicante di questo autore finisce per darci un allarme ancor più forte sul vuoto ideale delle attuali classi dirigenti e sulla confusione mentale in cui vivono. Proprio l’assenza di scandalo ci dà una visione più nera della normalità. Lo stile merita una lode a parte: è pieno di creazioni lessicali, di sorprese linguistiche che scatenano la risata alla maniera di Wodehouse. Alla fine, conoscendo l’America più da vicino, ci divertiamo pure parecchio. 

E poi - senza poterlo ammettere chiaramente (egli scrive anche su riviste americane, e certo il libro sarà tradotto negli Usa) - Mauro Suttora non riesce a nascondere fino in fondo la consapevolezza della propria superiorità culturale di europeo e di italiano, rispetto ad una società la cui classe dirigente non studia Filosofia e studia ben poco la Storia, e vive quindi il presente con scarsa o nulla coscienza della grande vicenda umana. 
 Anche quando sta per sposare un’americana, quand’egli dice al futuro suocero che “adora l’America” non riusciamo a credergli davvero. In realtà questo libro ci ricorda anche di tenerci cara la nostra identità e di demistificare il mito degli Usa, fin troppo presente nel nostro linguaggio e nel nostro pensiero. 
Sergio Sammartino

Wednesday, December 27, 2006

intervista immaginaria di Alessandra Zenarola

Intervista a Mauro Suttora

Alessandra Zenarola:
Bene, la vedo sciolto, è pronto per l’intervista?
Mauro Suttora:
Prontissimo. A parte un leggero cerchio alla testa, sa, io la sera vado a letto tardi, ma sono okay. Avanti, mi chieda tutto quello che vuole…
AZ Wow, partiamo subito con qualcosa di intrigante. Allora Suttora, si fa più sesso a New York o a Roma?
MS Cominciamo bene, originali. De-fla-gran-ti! Allora guardi, dipende. Se uno è sfigato non fa sesso da nessuna parte, né a Macerata né a Manhattan, né a Brisbane né a Brindisi, né a Zanzibar né a Zagarolo, né a…
AZ Vada piano, si calmi. Che palleee. Troppe allitterazioni, e poi non era questo il senso della domanda. I suoi lettori da lei si aspettano altre risposte…
MS Quali?
AZ …
MS…
AZ Non importa, andiamo oltre. Champagne o champignon?
MS Ma cosa dice?
AZ Non ha colto?
MS No.
AZ Beh, non le viene in mente nulla? Visualizzi: colli lunghi, bollicine, cappelle del fungo…simboli.
MS Sta scherzando vero?
AZ Non scherzo. Spinaci o spinelli?
MS Sia gli uni che gli altri.
AZ Arachidi o aragosta?
MS Non mi parli di cibo, a quest’ora mi fa schifo tutto.
AZ Non è colpa mia se lei è così snob.
MS Vuole che la inviti a pranzo?
AZ Niente affatto! Insomma, sono allegorie sessuali, no? La tenaglia, lo sgranocchiamento, bucce che vengono via, chele che si allungano…
MS Vada avanti.
AZ Bene. Andiamo più sui sentimenti. Marsha, vi sentite ancora al telefono? Le manca? La amava?
MS Scusi, ma Marsha NON esiste, lei è l’unica frescona che non l’ha ancora capito?
AZ Sta dicendo che Marsha, oddio quel bel figurino abbronzato e nevrotico e impaurito e invischiante…è un personaggio onirico?
MS A prescindere che se fosse esistita sarebbe una gran stronza, e comunque no. Marsha non esiste.
AZ Accidenti. Io però questo non lo posso scrivere. I suoi lettori, anzi le sue lettrici rimarrebbero basite.
MS Me ne dolgo ma pazienza. Vedrò di soddisfarle in altro modo, le mie lettrici.
AZ Una vaga punta di narcisismo, ci sta?
MS Gli scrittori sono tutti narcisi.
AZ Infantili anche, la loro parte. Io lei comunque la facevo meno giovane. Voglio dire, nei suoi scritti trasuda un cinismo da Moravia all’ultimo stadio e invece a vederla di persona è poco più di un ragazzo. Non che sembri appena uscito dalla vagina….intendevo in senso materno, appena partorito, non in quanto reduce da un accoppiamento…Ah ah, ha capito?
MS Diobono ma che ammasso di banalità, che cadute di tono!
AZ Ah, ha visto che ha fatto la rima? Bono-tono.
MS Sì. Agghiacciante.
AZ Parecchio.
MS Posso offrirle un frizzantino?
AZ Mi dispiace, ma no. Bevo solo Cedrata e Cabernet Sauvignon.
MS Lo sapevo. Lei è femminile come una colica renale.
AZ Sarà, ma questa sua metafora è piuttosto deboluccia.
MS E lei ha studiato alle Dimesse. Sappia che “piuttosto” è un rafforzativo e “deboluccia” è un diminutivo, e che insieme fanno a pugni. Ma dai, la smetta con quella matita, non scriva tutto ciò che le dico in questa sua intervista del cazzo! Mi scredita…
AZ Si è messo lei nei guai, è lei che si è esposto con il suo libro erotico.
MS Lei è folle e dice un mucchio di facezie.
AZ Anche lei.
MS Mi faccia l’ultima domanda. Seria, la prego.
AZ Va bene. Ha nostalgia di New York?
MS Oh. Ho più nostalgia della fellatio che mi hanno fatto ieri notte.
AZ …Via, Suttora, non si vergogna?
MS No.
AZ Credo che dovremo salutarci. Anzi, dovremmo salutarci, con due emme.
MS Sottigliezze. M, mm. Chi se ne frega? Lei?
AZ Io no.
MS Per quale giornale lavora? Mi sono dimenticato di chiederglielo…
AZ La rivista “Porfiria”. La conosce?
MS No. Mi sta salendo la nausea. La prego, venga a pranzo con me.
AZ Solo se mi dice che sono carina.
MS Ma sì che lo sei!


recensione di 'No Sex in the City'

Libro magnetico, divertente e dispersivo, un po' crudele e un po' crumiro.
Parte freddino, entomologico, e invece si impenna e decolla e non si riescie più a staccarsi, alla fine diventa pure agrodolce. Le ultime trenta pagine sono le migliori.
Bellissimi il capitolo dell'addio Mauro-Marsha, le pennellate di folk americano e alcuni vocaboli neo: ginecofili, lesbicate, irromantichita.
Bello anche il nostalgico, i Moody Blues (e chi se li ricordava?).
Fra tutto, ci è piaciuta la tenera Marsha. Crediamo che non esista, che sia un puzzle di donne, una crasi, il sogno irrisolto, un archetipo. Figuretta deliziosa, ci ha ricordato la Chloè di "Esercizi d'amore" di Alain de Botton.

Alessandra Zenarola

Wednesday, December 13, 2006

Pena di morte

No alla condanna a morte, la pena più giusta è il perdono

Incontriamo i sopravvissuti al patibolo e i familiari delle vittime.
Shuja Graham è stato scagionato dopo quattro processi. Mario Flores ha studiato Legge in carcere per dimostrare la sua innocenza. Renny Cushing, figlio di un assassinato, ha gridato: "Niente vendette". Anche perché dove è in azione il boia i delitti non calano. Le storie di chi ha rifiutato la legge "occhio per occhio, dente per dente"

di Mauro Suttora

13 dicembre 2006

La buona notizia è che sempre meno Stati applicano la pena di morte: erano 60 due anni fa, oggi sono 54. La brutta notizia è che non si sa quanti siano i giustiziati: in Cina, dove si effettua il 90 per cento delle esecuzioni nel mondo, le stime variano da cinque a ottomila. Seguono Iran (113), Arabia Saudita (90), Corea del Nord (75) e Stati Uniti (60). In Europa solo la Bielorussia ha eseguito due condanne a morte nel 2005. Il 30 novembre si è celebrata la Giornata internazionale contro la pena di morte.

A Roma lo scrittore Sandro Veronesi ha presentato il suo libro Occhio per occhio (Bompiani) presso l' associazione Nessuno tocchi Caino. E la Comunità di Sant' Egidio ha organizzato un convegno con testimoni giunti dall' unico Paese occidentale che ancora applica la pena di morte: gli Stati Uniti. Ecco le loro storie.

Shuja Graham: "Sono stato liberato dal braccio della morte di San Quentin in California nel 1981, diventando così il ventesimo condannato a morte riconosciuto innocente". La sua era un' umile famiglia afroamericana di contadini che lavorava duramente tra sfruttamento e discriminazioni nelle grandi piantagioni del Sud. Il teatro della adolescenza furono le strade dei sobborghi poveri di Los Angeles. Le porte degli istituti giovanili di rieducazione si aprirono spesso per lui. A 18 anni l' ingresso nel carcere di Soledad. Divenne il leader del movimento "Black Prison", in collegamento con il gruppo delle "Pantere Nere". Imparò a leggere e a scrivere, cominciò a studiare, divenne un uomo istruito.

"Nel 1973 fui coinvolto nell' assassinio di una guardia carceraria a Stockton. La comunità afroamericana di tutta la California si mobilitò per la mia difesa. Entrai nel braccio della morte di San Quentin nel 1976, dopo essere stato condannato da una giuria di soli bianchi. Nel ' 79 la Corte Suprema della California commutò la sentenza capitale. Ma io volevo dimostrare che ero innocente. Mi ci sono voluti quattro processi prima di provare la mia estraneità ai fatti".
Dopo il rilascio Graham ha continuato a impegnarsi per il sostegno ai detenuti di colore delle carceri californiane e contro i metodi brutali della polizia carceraria. Si è trasferito nel Maryland, si è sposato e ha avuto tre bambini.

Mario Flores, 41 anni, deve ringraziare il governatore dell' Illinois George Ryan, che lo ha graziato assieme a tutti i condannati a morte del suo Stato nel 2003, dopo 19 anni passati nel braccio della morte: "Sono nato a Città del Messico, e a sette anni la mia famiglia emigrò a Chicago. A tredici anni, per evitare che frequentassi le gang giovanili nel quartiere, i miei mi mandarono in una scuola privata. Diventai un bravo tuffatore dal trampolino, speravo di partecipare alle Olimpiadi. Nell' 84 iniziò una guerra sanguinosa nelle strade di Chicago tra le diverse gang, che provocò vari morti: sia membri delle bande, sia passanti uccisi nelle sparatorie. La polizia mi accusò di essere il capo di una banda, e venni arrestato con l' accusa di aver ucciso il leader di una banda rivale, Gilbert Perez. I poliziotti convinsero due altri capi ad accusarmi. Nell' 85 fui condannato a morte, ma sapendo di essere innocente, iniziai a studiare diritto, e anche la Bibbia". Gli avvocati di Mario cominciarono in tutte le maniere a ritardare la data dell' esecuzione, lui prese una laurea in Legge e iniziò a dipingere quadri a olio. Divenne uno dei migliori avvocati nel braccio della morte dell' Illinois, e nel 2000 i suoi quadri ebbero successo in mostre a Chicago, Città del Messico e Malaga (Spagna). Nel ' 99 lo stato dell' Illinois accettò l' uso della prova del Dna, e il test cominciò a dimostrare che diversi condannati a morte erano innocenti. Il governatore Ryan decretò allora una moratoria di tutte le esecuzioni, finché si raggiungesse la certezza che nel braccio della morte non ci fossero innocenti. E quattro anni dopo annunciò che la pena capitale non poteva funzionare: nel braccio della morte c' erano ancora degli innocenti, che avrebbero dovuto essere liberati. Uno dei quattro fortunati era Flores. Mario è riuscito a reintegrarsi con successo nella società, grazie al sostegno della famiglia e dei tanti amici che si è conquistato nel mondo. Oggi lavora come consulente legale per uno Stato del Messico e continua la sua attività di pittore, oltre a viaggiare per il mondo per chiedere l' abolizione della pena capitale.

Bill Pelke. È il nipote dell' anziana signora uccisa con 33 coltellate dalla quindicenne di colore Paula Cooper nel 1986, per impossessarsi di dieci dollari da spendere in una sala giochi dell' Indiana. Il caso della Cooper divenne famoso, finché la sua pena non fu commutata nell' 89 in 60 anni di carcere. "Mia nonna Ruth non avrebbe voluto la morte di quella ragazzina, ne sono sicuro", dice Pelke, "e sono tornato per ringraziare i due milioni di italiani che firmarono l' appello per la commutazione della sua pena. Ho imparato la lezione più grande della mia vita: guarisce il perdono, non la vendetta". Dopo aver lavorato in acciaieria per trent' anni il pensionato Pelke è diventato presidente della "Coalizione per l' abolizione della pena di morte negli Stati Uniti".

Renny Cushing: "Dopo l' assassinio di mio padre un amico mi disse: "Spero proprio che il killer venga fritto sulla sedia elettrica, affinché la tua famiglia possa trovare un po' di pace". Sapevo che quell' uomo voleva soltanto darmi conforto. Invece mi stava dicendo una cosa orribile". Robert Cushing, padre di Renny, venne ucciso nel 1988 con due colpi di fucile sparati da uno sconosciuto attraverso la porta di casa, nel New Hampshire (Stati Uniti).
La morte del padre incise in maniera decisiva sulla attività e sul futuro di Renny, che sentì in sé una forte vocazione a dedicare la propria vita nel tentativo di far incontrare due mondi distanti: quello delle vittime e quello dei condannati, senza dimenticare le pene sofferte dalle famiglie, da una parte e dall' altra.
È diventato deputato, portando avanti iniziative di legge per abolire la pena capitale e creare un fondo a favore delle vittime, e per anni è stato giudice di pace. Ha fondato l' associazione Murder Victims' Families for Human Rights (l' Associazione dei familiari delle vittime per i diritti civili), e viaggia spesso per testimoniare lo spirito di riconciliazione a nome delle vittime che si oppongono alla pena capitale, cercando la loro riconciliazione con chi è accusato dell' omicidio. È stato consigliere di diversi familiari di vittime e li ha sostenuti durante i processi e le esecuzioni. Aiuta spesso anche le famiglie dei condannati a morte a superare i propri traumi.

Mauro Suttora

Thursday, December 07, 2006

Corriere della Sera: Severgnini su No Sex in the City



GRANDE MELA
La Manhattan degli «affari galanti» raccontata da Mauro Suttora

Non troppo sesso, per favore. Siamo a New York

7 dicembre 2006

di Beppe Severgnini

recensione sul Corsera

Mauro Suttora voleva scrivere un saggio, e per fortuna non c'è riuscito. Ha prodotto invece un romanzo breve e un lungo affresco: e questi gli sono venuti piuttosto bene (No sex in the city - Amori e avventure di un italiano a New York, Cairo Editore, pp. 206, 14 euro).

No sex in the city - dove di sesso ce n' è abbastanza - è uno dei rari ritratti efficaci della città più complicata e nevrotica d' America: New York. Molti italiani hanno provato a dipingerlo, con risultati che vanno dall' infantile al disastroso. Perché quasi tutti, della Grande Mela, hanno una fifa blu (interamente giustificata). Quando la superano - di solito, dopo pochi giorni - cadono in una specie di euforia, che gli impedisce di andar oltre, e capire dove sono finiti.

Le avventure galanti sono, in realtà, una scusa per mettere il naso nelle faccende sociali, mondane e professionali di Manhattan. Talvolta si ha l' impressione che Suttora salisse in casa delle ragazze per studiare l'arredamento, e riferircelo.

Alcuni rapporti sono esilaranti: la ragazza che non vuole baciare, quella che si scatena solo in taxi, quella che lo pianta per email. C'è anche un focoso incontro notturno sul tappeto del Rizzoli Bookstore nella 57esima strada, un luogo dove alcuni di noi si sono limitati a presentare, ogni tanto, un libro.

Ripeto: il sesso, negato nel titolo, esiste. Ma è una scusa, e per l' autore non è una priorità. Più che dalle gambe e dai seni, Mr Suttora è ipnotizzato dalla pancia di Manhattan - in senso metaforico, naturalmente. Corrispondente per il settimanale «Oggi» - i newyorkesi capiscono sempre «orgy», orgia, e restano perplessi - l'autore ha scritto anche per «Newsweek» e «New York Observer», dov'è nata la rubrica che ha dato il titolo al libro.

Per uscire dalla cuccia calda della corrispondenza ci vuole coraggio, Suttora l' ha avuto, ed è stato premiato. Nei media di New York sanno chi è, e non sarei stupito se un editore americano mettesse gli occhi sul volume. Alcune intuizioni sono folgoranti. Il quarantenne Mauro - che è più abbagliato dalla mondanità di quanto voglia farci credere - riesce tuttavia a restare un italiano con gli occhi aperti.
Racconta che troppe donne newyorkesi «parlano con la voce di Topolino» (un fenomeno che la scienza non ha ancora spiegato); che i ristoranti francesi sono in crisi, e quelli italiani no; che la tariffa fissa telefonica (flat rate) è una jattura, perché i taxisti di Manhattan sono sempre al cellulare, e confabulano come zombie in lingue misteriose, disinteressandosi di chi hanno a bordo.

I personaggi del libro vengono attivati a turno con pochi tocchi, e un dialogo che fa invidia a tanti affermati narratori nostrani. Tra le ragazze americane (Marsha, Liza, Maria, Danielle, Paula, Susan, Adrienne, Nicole: dimentico qualcuna?) compare anche qualche collega italiano (Giuliano Ferrara, Guia Soncini, Christian Rocca, Simona Vigna, lo ieratico Cianfanelli).

No sex, per loro: ma contribuiscono a movimentare il racconto, che procede con leggerezza per duecento pagine fino a un finale sorprendente. «Adoro i flip-flop, le ciabatte infradito: sono sexyssime», scrive l'autore appena sopra la parola «fine». Questa, Suttora, devi proprio spiegarmela.

Beppe Severgnini