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Saturday, January 21, 2023

David Crosby e la scia lunga e luminosissima del primo supergruppo della storia del rock



Chi ha meno di 60 anni non può rendersi conto di quanto sia stato importante l'acronimo CSN&Y nella musica contemporanea

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 20 gennaio 2023 

Chi è stato il più bravo fra Crosby, Stills, Nash e Young? Mi mette in difficoltà la domanda di mia moglie, dopo la morte di David Crosby. È impossibile stabilire una classifica, perché loro nel 1969 furono il primo supergruppo nella storia del rock. "Supergroup" significava una band formata dai migliori provenienti dalle migliori band: Crosby dai Byrds di Mr. Tambourine Man, Steve Stills e Neil Young dai Buffalo Springfield di For What It's Worth (successo poi campionato da tutti i dj negli anni 90), l'inglese Graham Nash dagli Hollies.

Qualcuno sostiene che i Cream siano stati il primo supergruppo, già nel 1966. Ma in realtà solo Eric Clapton era una star, gli altri due - Ginger Baker e Jack Bruce - li conoscevano in pochi.

Chi ha meno di 60 anni non può rendersi conto di quanto sia stato importante l'acronimo CSN&Y nella musica contemporanea. Provate voi a essere scelti come sigla d'apertura per il film simbolo degli anni 60, quello sul festival di Woodstock: Long Time Gone era un brano di Crosby. E nel 1970 il quartetto era così popolare che fu il primo al mondo a esibirsi soltanto negli stadi, nel loro lungo tour Usa: teatri e palasport risultavano troppo piccoli per contenere il loro immenso pubblico. Sì, c'era stato il concerto dei Beatles allo Shea stadium di New York cinque anni prima. Ma fu un evento isolato, e anche i Rolling Stones arrivarono solo nel 1972 alle tournée industriali con aereo privato, logo e merchandising. 

Soprattutto, CSN&Y sono stati un'incredibile meteora. Durati solo due anni, lo spazio di due dischi in studio (all'inizio senza Young, poi Déja Vu) e un doppio live (Four Way Street). Ma come tutte le comete, le quattro star hanno lasciato una scia lunga e luminosissima. Sopraffatti dal successo e dalle droghe, Crosby e amici hanno litigato e si sono continuamente ritrovati per mezzo secolo. La prima reunion nel '74, poi il memorabile disco del '77. Fino a quelli degli ultimi anni, ormai ottuagenari. 

Sempre a geometria variabile: un disco Stills con Young, un altro Crosby con Nash, oppure in tre, in quattro. Come i musicisti jazz, mai imprigionabili nella gabbia di un solo complesso. Nei loro album da soli invitavano a cantare e suonare tutti gli altri. 

Il lavoro solitario insuperabile di Crosby è If I Could Only Remember My Name del 1971. 'Se potessi solo ricordare il mio nome', il titolo dice tutto sul grado di allucinazione dell'epoca. C'è dentro l'intera musica californiana della controcultura e della contestazione, dai Jefferson Airplane ai Grateful Dead. Vendite non milionarie, ma atmosfera "seminal", come dicono in inglese: avanguardia, pietra miliare, punto di arrivo e di partenza per centinaia di musicisti degli anni 60 e 70, dal pop all'acido, dal folk-rock allo psichedelico.

La sua canzone più bella è probabilmente Cowboy Movie, chitarra solista di Jerry Garcia, sogno-incubo dolce e paranoico con un riferimento alla pistola, contraddittorio aggeggio che Crosby portava sempre con sè nonostante lui e i suoi baffoni fossero l'epitome dell'hippy peace&love. Dopo i delitti John Kennedy, Martin Luther King e Robert Kennedy il pacifista Crosby viveva nella paura costante di fare la stessa fine. Quindi girava armato, e l'assassinio di John Lennon gli diede ragione. Ma finì anche in prigione per porto d'armi abusivo e droga. Oltre che in ospedale per trapianto di fegato nel 1994. 

"Pensavo di aver incontrato un uomo che diceva di conoscere un uomo che sapeva quel che stava succedendo. Mi sbagliavo, era solo un altro sconosciuto", canta Crosby in Laughing, e mai lo smarrimento esistenziale della generazione Vietnam suonò più poetico.  

Poi ci sono i manifesti politici: "Come si chiamano? In quale via abitano gli uomini che governano veramente il nostro Paese? Vorrei andare da loro questo pomeriggio per parlare di pace. Pace non mi sembra una cosa così grande da chiedere", è il testo dell'inno antimilitarista What are their Names. 

Il libertario Crosby non crede più nelle elezioni, deluso dal voto del 1968 che nonostante tanti cortei studenteschi portò la destra di Nixon alla Casa Bianca: "Non cercare di farti eleggere. Se ci provi, dovrai tagliarti i capelli", ovvero rinunciare ai tuoi ideali (Long Time Gone). Mentre lui ha preferito fino all'ultimo tenerli lunghi: "Lascio sventolare la mia bandiera freak" (Almost Cut my Hair). Lo abbiamo visto indomito in concerto l'ultima volta nel settembre 2018 al teatro Dal Verme di Milano. Ormai era un nonno dei fiori sorridente e saggio.

Friday, September 17, 2004

parla Martin Scorsese

intervista al regista nella sede dell'Actors' Guild

di Mauro Suttora

New York, 17 settembre 2004

“Devo tutto al cinema italiano, da De Sica a Rossellini a Fellini, da Bertolucci al Pasolini di Accattone. I miei nonni arrivarono negli Usa nel 1910, ma a casa mia tutti continuavano a vedere i film italiani negli anni Quaranta e Cinquanta [i film negli Usa non sono doppiati, hanno i sottotitoli, ndr], e il vostro cinema ha continuato a essere fortissimo fino agli anni Settanta, anche Ottanta. Gli italiani, assieme ai francesi, hanno reinventato il cinema in quel periodo”.

Le organizzazioni degli italiani d’America protestano spesso contro la nom ea di mafiosi che continua a rimanere appiccicata loro addosso, dai Soprano a De Niro a Steven Spielberg, produttore del nuovo cartone animato Shark Tale in cui tutti i pesci cattivi parlano con l’accento italiano. Che ne pensa?

“Ai miei familiari italiani piaceva la satira anche contro se stessi, che è sempre stata una caratteristica dei film italiani. La capivano e la apprezzavano. I film di Pietro Germi e certi personaggi interpretati da Marcello Mastroianni erano veramente tremendi nei confronti dell’Italia contemporanea. 
Quanto a me, a volte è la realtà a imitare la fantasia: sono rimasto stupefatto quando ho saputo che Brusca, il mafioso pentito che fece arrestare l’allora capo dei capi, Totò Riina, dichiarò che il loro mondo, il loro tremendo livello di violenza era proprio come nei Goodfellas, il mio film del 1990”.

Cosa manca al cinema italiano di oggi per ripetere i fasti di quello del passato?

“I film non nascono dal nulla: sono il prodotto della situazione sociale, politica ed economica di una nazione. Ogni società crea il proprio cinema. Il neorealismo nacque dalla devastazione provocata dalla Seconda guerra mondiale. L’Italia si era unita da meno di cent’anni, l’industrializzazione è avvenuta soltanto negli anni Cinquanta... 
Da allora molte microculture sono sparite: ho visto un bellissimo documentario di Vittorio De Seta, Banditi ad Orgosolo, ho seguito le polemiche di Pasolini contro il consumismo, conosco abbastanza bene l’Italia. In una scena della versione originale di Mean Streets, quella lunga due ore e mezzo inserita nei nuovi dvd, Robert De Niro improvvisa una scena con Harvey Keitel e sembra proprio di essere a Elizabeth Street, nel cuore di Little Italy a New York. 
Ma oggi non vivo in Italia, quindi non so rispondere a questa domanda. Bertolucci una volta mi ha detto che i giovani registi hanno sempre paura di misurarsi con la grandezza dei vecchi. 
Ma io e i miei amici, John Cassavetes, Brian De Palma, bruciavamo dalla voglia di raccontare le storie che avevamo in mente quando eravamo giovani, negli anni Sessanta. 
Certo è che non auguro all’Italia un’altra catastrofe come la Seconda guerra mondiale affinchè ne possa scaturire di nuovo del grande cinema.
Un altro mini-documentario di De Seta descrive la Pasqua dei contadini di Lipari, le loro tradizioni. Se tutto ciò sparisce, perdiamo qualcosa di noi, della nostra cultura”.

Come sarà The Aviator, il suo prossimo film che uscirà a Natale, due anni dopo The Gangs of New York?

The Aviator è un film su Hollywood: Leonardo DiCaprio recita la parte di Howard Hughes, il leggendario miliardario eccentrico appassionato di aerei. A me non piace volare, quindi è proprio per questo che gli aerei mi affascinano. In quell’epoca gli aerei su cui volava Hughes erano impressionantemente fragili, come una sedia con due ali. Hughes era il fuorilegge di Hollywood. Nel film ci sono anche Kate Blanchett nel ruolo di Katharine Hepburn e Jude Law”.

Sta preparando anche un documentario su Bob Dylan?

“Sì, lo sto scrivendo, lo finiremo verso la metà del 2005. Descrive la carriera di Dylan, ma soltanto fino al 1966. Sarà un film sul cambiamento: la musica di Dylan si evolveva a una velocità tale che quando un suo disco veniva pubblicato lui era già da un’altra parte. Sarà un’opera molto interessante, spero, anche perchè abbiamo avuto accesso agli archivi personali di Dylan”.

Lei ha un rapporto molto stretto con la musica: nel 1969 è stato aiuto regista in Woodstock, nel 1978 ha filmato L’Ultimo Valzer sull’addio ai concerti della Band, il gruppo che accompagnava Dylan, e recentemente è stato coinvolto in una serie di documentari sulla storia del blues. Cosa pensa delle colonne sonore?

“Ovviamente la musica in un film è importantissima. Ma troppo spesso negli ultimi tempi noto che Hollywood usa le colonne sonore per spiegare, letteralmente, agli spettatori quali sentimenti devono provare mentre guardano una scena: ora è il momento di piangere, ora di commuoversi, ora di ridere... Un tempo la musica si limitava a suggerire”.
Mauro Suttora