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Wednesday, June 04, 2008

Il ballo delle vergini

Stravaganze d'America: il voto di purezza

«No sex in the city»: i padri s’impegnano a difendere la castità delle figlie fino alle nozze. È un’idea delle nuove chiese evangeliche, che fa discutere. Ma tra i suoi fan c’è anche il presidente degli Stati Uniti Bush

New York (Stati Uniti), 4 giugno 2008

Ci mancavano i «balli della purezza». Dagli Stati Uniti, fonte inesauribile di stravaganze, arriva la notizia che si stanno moltiplicando i cosiddetti purity ball: cerimonie annuali simili a serate di gala in cui gli adepti delle nuove chiese cristiane evangeliche si impegnano pubblicamente e solennemente a proteggere e preservare la verginità delle proprie figlie teen-ager. Compito arduo, in un Paese dove tutte le statistiche indicano che l’età del primo rapporto sessuale è attorno ai 14-15 anni. E dove i giovani che eventualmente si ritrovassero vergini a 18 anni finiscono in quei college descritti nell’ultimo libro di Tom Wolfe, Io sono Charlotte Simmons: «Sesso, sesso! Si respirava ovunque, insieme all’azoto e all’ossigeno! Tutto il campus era sempre pronto, inumidito e lubrificato. Si ingozzava di sesso, in un arrapamento continuo!».

Per reagire a questi eccessi, nel profondo Sud religioso dell’America sono nati nel 1998 i «Balli della purezza». «Io, padre di Elizabeth, scelgo di fronte a Dio di proteggere mia figlia con autorità nel campo della purezza. Sarò puro nella mia vita come uomo, marito e padre. Sarò una persona integra e onesta nel guidare mia figlia e pregare per lei, come il sacerdote della mia casa. E questa promessa verrà usata nel nome di Dio per influenzare le prossime generazioni». Queste sono, letteralmente, le parole che i padri pronunciano in giuramento con tanto di spadoni in difesa dell’illibatezza della figlia teen-ager. I loro eventuali fidanzatini sono avvertiti: niente rapporti sessuali prima del matrimonio.

Già negli Anni 80 erano nati alcuni gruppi di giovani religiosi che sventolavano con orgoglio la propria castità. Ma solo con la presidenza di George Bush alcuni Stati della «cintura della Bibbia» sono arrivati a finanziare con soldi pubblici corsi di educazione sessuale in cui l’astinenza viene propagandata come il miglior anticoncezionale, la migliore protezione contro le malattie veneree e il baluardo più efficace contro il fenomeno dilagante delle ragazze madri di 16-18 anni, diffuso soprattutto nei ghetti neri.

Ma questi «Balli della purezza», con l’entrata in campo diretta dei padri, segnano un ulteriore passo per le chiese del Texas, del Dakota o del Missouri.
Così li critica la femminista Eve Ensler: «Alle ragazze che affidano la propria verginità al padre viene di fatto tolto il diritto alla sessualità. Fino a quando non firmano un contratto con un altro uomo: il marito. Diventano invisibili. Non esistono più».

Che per evitare gli eccessi della promiscuità sessuale non si debba cadere in eccessi opposti lo sostengono anche molti cristiani evangelici, come Betsy Hart: «Sono cristiana e credo fermamente che il sesso sia riservato al matrimonio. Ma non farei mai una cosa simile per i miei figli, maschi o femmine. Questa fissazione per la verginità finisce con l’essere controproducente. Cristo, condannando l’ipocrisia dei farisei esibizionisti, ci ha insegnato che il peccato non è ciò che entra in una persona, ma ciò che esce dal suo cuore».

In effetti, le statistiche dimostrano che chi si impegna alla castità conserva la propria verginità «tecnica» solo 18 mesi più a lungo delle altre ragazze, ma ha una probabilità sei volte maggiore di praticare il sesso orale. Che, come arrivò a (sper)giurare l’ex presidente Bill Clinton, secondo alcuni non sarebbe sesso completo.
Non si capisce poi perché i ragazzi maschi non debbano essere oggetto di un’attenzione altrettanto rigorosa di quella riservata alle loro sorelle.

In ogni caso, anche se circoscritto a poche decine di migliaia di persone in un Paese con 300 milioni di abitanti, il ritorno alla verginità sembra un fenomeno in crescita. Forse per reazione ai matrimoni gay, appena legalizzati anche in California dopo il Massachusetts, o all’eutanasia permessa in Oregon.

Insomma, esiste un’America rurale ed economicamente arretrata dove questi messaggi rassicuranti fanno presa. E un tribunale ha appena condannato l’«intro-missione» della polizia che ha liberato le donne di un gruppo religioso che praticava la poligamia in Texas. Massima libertà per tutti, negli Stati Uniti. Anche troppa.

Sbaglia quindi chi immagina che l’America sia tutta libertina come nel film appena uscito 'Sex and the City'. Quella è solo New York: basta attraversare il fiume Hudson per scoprire che le donne disinibite e gli omosessuali di Manhattan non hanno vita facile altrove.

Il 22 luglio, per esempio, si riunirà ad Orlando (Florida) il congresso nazionale del Centro per l’astinenza, fondato nel 1993 da Leslee Unruh, energica biondona del Sud Dakota. In questo quindicennio la sua propaganda per un «nuova verginità» ha fatto proseliti anche nelle università più di sinistra, come Harvard a Boston o Columbia a New York. Si sono formati piccoli gruppi non più tanto catacombali di ragazzi che, spesso delusi dal sesso promiscuo praticato in passato anche da loro stessi, aspettano il matrimonio, o almeno il grande amore, per «donarsi completamente». Proprio come il giocatore del Milan Kakà.

E poiché gli americani sono pragmatici, aumentano gli interventi chirurgici per richiudere l’imene. Ovvero per riguadagnare una verginità perduta. Non siamo nella Sicilia di un secolo fa. Siamo nel Paese guida dell’Occidente, dove c’è ancora l’illusione che, con po’ di fortuna, ottimismo e buona volontà, tutto è possibile. Rivergination compresa.
In fondo, fanno parte del Grande sogno americano anche i simpatici signori di queste foto, convinti di proteggere l’innocenza delle proprie figliole.

● E in Italia, la verginità è ancora un valore? «Il 45 per cento dei giovani tra i 18 e i 25 anni ritiene la verginità un valore importante», dice la psicosessuologa Marinella Cozzolino.
● Meno legati al valore della verginità gli universitari di Teramo, che hanno risposto alla domanda: «Andiamo a letto con tutti/e o aspettiamo l’amore?». Per l’80 per cento la verginità non è un valore.

Mauro Suttora

Tuesday, February 26, 2008

Josette Sheeran, un'americana a Roma

JOSETTE SHEERAN, UN’AMERICANA A ROMA PER CONTO DI BUSH

Chi è il nuovo direttore del Pam (Programma alimentare mondiale)

Il Foglio, sabato 23 febbraio 2008

di Mauro Suttora

Una delle eredità positive che George Bush lascerà a fine mandato fra un anno si chiama Josette Sheeran. È una bella signora bionda di 53 anni che da nove mesi si è trasferita a Roma per dirigere il Pam (Programma alimentare mondiale, Wfp nell’acronimo inglese), una delle agenzie più efficienti dell’Onu: vanta appena il sette per cento in costi di struttura.

Una decina digiorni fa la Sheeran ha effettuato la sua prima uscita pubblica in Italia. A Milano, dove, assieme al sindaco Letizia Moratti, al giocatore del Milan Ricardo Kakà e al presidente del Ghana, ha lanciato la campagna “Fill the cup” (riempi la tazza), con cui il Pam incita a donare ogni giorno venti centesimi per sconfiggere la piaga della fame nel mondo. “Venti centesimi garantiscono un pasto caldo a ognuno dei venti milioni di bambini che assistiamo, facendoli anche andare a scuola», ha detto Josette Sheeran.

Quest’anno il Pam fornisce aiuto alimentare a oltre 70 milioni di persone in circa 80 paesi. È il più grande organismo umanitario mondiale. Dalla sede di Roma (vicino a Fiumicino) e dalla base operativa di Brindisi (dove stanno i magazzini con le scorte alimentari, e da dove sono pronti a decollare gli aerei per le emergenze) partono gli aiuti che fanno sopravvivere popolazioni intere. Tutto il Darfur, per esempio, da anni ormai purtroppo dipende totalmente dal Pam.

La Sheeran è la più giovane fra le tre donne attualmente alla guida di un’agenzia Onu. Le altre sono le sessantenni Louise Arbour (la canadese ex pm del tribunale internazionale dell’Aia che quattro anni fa soffiò ad Emma Bonino il posto di Alta commissaria per i diritti umani) e Margaret Chang, una cinese alla testa dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità).

Il suo curriculum è interessante. Tutta la sua vita pubblica, infatti, si svolge a destra. Nel 1975 fece notizia, appena ventunenne. Un anno prima di laurearsi all’università del Colorado finì sul settimanale Time perché suo padre denunciò la setta del reverendo coreano Moon (quella della moglie del vescovo Milingo) per avergli plagiato le tre figlie, fra cui Josette. La quale nella setta Moon c’è rimasta ventidue anni, facendo una gran carriera come giornalista. Approdata al quotidiano moonista conservatore Washington Times nell’82, ne è uscita solo nel ’97 con il grado di managing editor (vicedirettrice). Ha ricevuto una nomination per il premio Pulitzer, del quale è stata poi giurata.

Dieci anni fa la rottura con Moon: Sheeran passa alla chiesa episcopale, e contemporaneamente William Bennett, già ministro reaganiano dell’Istruzione, le offre la presidenza del suo think tank di destra Empower America, che oggi si chiama Freedom Works. Slogan: “Meno stato, meno tasse, più libertà”. Nel ’99, un tuffo a Wall Street: la poliedrica Josette diventa managing director di Tis Worldwide, multinazionale informatica con 1.200 dipendenti.

Un’esperienza manageriale che le torna preziosa quando l’amministrazione Bush la richiama a Washington nel 2001, collocandola in posizione di rilievo al Commercio estero. Lì Sheeran fa la sherpa ai vertici G8, familiarizza con la finanza internazionale e diventa numero due. Nel 2005, infine, l’approdo al Dipartimento di stato: sottosegretaria di Condi Rice per gli Affari economici ed agricoli.

Alla fine del 2006 comincia la corsa per l’ambita poltrona di direttore del Pam, che gestisce un bilancio ragguardevole (due miliardi di dollari annui) con ben undicimila dipendenti sparsi nel mondo. Un potente braccio operativo di cui l’allora ambasciatore Usa all’Onu, il falco neocon John Bolton, reclama la guida per gli Stati Uniti. Siamo alla fine del mandato di Kofi Annan. Per sancire il ritorno alla collaborazione Usa-Onu dopo la guerra d’Iraq, cosa di meglio che nominare una statunitense bushiana nell’agenzia meno burocratica delle Nazioni Unite?

Il disgelo passa quindi per Roma, dove Josette Sheeran approda lo scorso maggio e resterà per altri quattro anni. Ironia della sorte: anche il suo nuovo principale si chiama Moon, ed è coreano: Ban ki Moon, nuovo segretario generale dell’Onu. Lei affronta il nuovo incarico con il consueto entusiasmo americano, adora Roma e ormai in città si sente a casa: in un ristorante di via Margutta ha incontrato per caso David Letterman, che cenava in un tavolo vicino.