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Friday, April 10, 2020

Il gagà del Gargano

BUND & MES

10 aprile 2020

Il gagà del Gargano che dovrebbe governarci ha aspettato le 19.30, ora di punta, per tediarci col suo ennesimo, vacuo fervorino.
Come al solito, per la 14esima volta in meno di 2 mesi, appare in tv per farsi propaganda personale, visto che questi due anni di potere gli hanno dato alla testa. Ora mira a candidarsi con una sua lista, mollando i grillini, per poi sostituire Mattarella fra un anno e mezzo.

Crede di essere Churchill, ma questo suo esibizionismo risulta fastidioso, perché parla troppo per dire nulla.
Abbiamo il record mondiale dei morti, 19mila, ma continua ad autolodarsi: "Siamo un esempio per tutti".
Aveva detto "No Mes, sì Eurobond"
Risultato: Sì Mes, no Eurobond.
Intanto il prezzo minimo di una mascherina, nella mia farmacia di Milano, è 2,50 euro (costo di produzione 10 cent, prezzo prima del virus 40 cent). Ma il governo non è capace neppure di controllare le speculazioni.

I politici più sono seri, meno parlano in tv. Infatti Merkel è apparsa in ora di punta solo 2 volte, l'11 e 16 marzo.
L'unico cialtrone che non rinuncia alla sua conferenza stampa quotidiana è Trump.
Non a caso gli Usa hanno quasi i nostri morti (ma molti meno in proporzione agli abitanti).
Insomma, i politici più disastri fanno, più parlano.

Confesso che il flautato Napoleone del Tavoliere è un fenomeno che mi affascina. Ora i grillini gli stanno facendo il c. per la sua ennesima giravolta, sul Mes. E lui usa la tv (4 canali in diretta) per un comizio personale contro i suoi avversari politici.
I quali ora potranno legittimamente pretendere par condicio, con 20 minuti in prime time per rispondere alle accuse ("falsità, menzogne") che il cicisbeo della Daunia ha loro rivolto.

C'è il virus più tremendo della storia, ma noi siamo ridotti a doverci sorbire una grottesca campagna elettorale fra Conte, Salvini e Meloni.
Giganti della storia

Tuesday, November 26, 2019

Prodi al Colle grazie a Grillo, Pd e Cina?

Dietro i vaffa di Grillo c’è una strategia: rinsaldare l’alleanza col Pd per mandare Prodi al Colle. E nel frattempo regalare l’Italia alla Cina con la regia del “Professore”

intervista al Sussidiario

Mauro Suttora

26 novembre 2019

Dietro i vaffa di Grillo c’è una strategia? Sembrerebbe di sì. L’Elevato vuole rinsaldare l’alleanza col Pd, renderla organica, perfino con un nuovo contratto di governo. Un accordo che andrebbe ben oltre le regionali in Emilia e Calabria di gennaio per avere come orizzonte l’elezione del successore di Mattarella.

Non solo. "Guardano al “Quirinale 2022” anche le ormai numerose scelte filo-cinesi dei 5 Stelle. Quasi ogni mossa dei pentastellati “sembra tutelare gli interessi della Cina in Italia”, dice al Sussidiario il giornalista Mauro Suttora, già collaboratore di Newsweek e New York Observer, oggi di Libero. Ma “se il Pd perde in Emilia-Romagna, il governo cade”, dunque niente è già scritto.

Grillo ora vuole un 'contratto' col Pd per non sparire, o perché crede realmente in un progetto comune?
Ha capito che tenere in piedi questo governo e rimandare le elezioni è l’unico modo per non ridurre i 5 Stelle ai minimi termini.

Eppure ha rilanciato l’alleanza con il Pd.
Sono i giochetti della politica. I grillini devono far vedere che sono sempre in tensione permanente con il Pd, perché se appaiono remissivi perdono ancora più voti.

L’accordo M5s-Pd su Emilia-Romagna e Calabria è cosa fattibile?
Sì, perché in Calabria il Pd non ha niente da perdere nel sostenere M5s.

Il voto su Rousseau che ha sconfessato Di Maio è stato un incidente?
A mio modo di vedere, sì. Hanno indetto il voto pensando di legittimare una decisione già presa, quella di non presentarsi alle regionali, come chiedeva Di Maio. Gli attivisti hanno decretato l’opposto.

Qual è stato l’errore di Casaleggio e Di Maio?
Hanno sottovalutato il fatto che in M5s sono rimasti solo quelli che non vedono l’ora di agguantare uno stipendio. E così tra gli attivisti prevale la volontà di presentarsi, anche sapendo di arrivare molto lontani dalle percentuali di un anno fa.

Rousseau non è trasparente, è la piattaforma di una società privata.
Il sospetto c’è, ma questa volta credo che il voto sia stato onesto. Tuttavia questo non basta a fare di M5s un partito normale, perché non si è mai visto che un capo politico rimanga al suo posto dopo aver perduto la metà dei voti. Di Maio se ne sarebbe già dovuto andare dopo le europee.

E invece è rimasto, con la benedizione di Grillo e di Casaleggio.
La cosa più grave è la cena di Grillo con l’ambasciatore cinese e la sua successiva permanenza in ambasciata per due ore e mezza senza che se ne sappia nulla. Pensiamo a cosa sarebbe successo se Salvini si fosse intrattenuto a cena con l’ambasciatore russo a Roma.

Mettiamo insieme il ruolo di M5s nella firma del memorandum con la Cina, la presenza di Di Maio a Shangai per il Ciie e la sua assenza al G20 dei ministri degli Esteri in Giappone, il silenzio su Hong Kong: i 5 Stelle sono stupidi o furbi?
Anche Macron fa gli affari con la Cina, ma da posizioni di forza e tutelando i suoi interessi. I Cinquestelle in effetti sembrano fare l’opposto: tutelano gli interessi strategici della Cina in Italia.

Qualcuno vede in tutto questo un disegno prodiano.
Prodi è da tempo in rapporti con la Cina e potrebbe essere un buon candidato al Colle di M5s e Pd. Si tratta però di un disegno che ha bisogno di due anni per realizzarsi e due anni in politica sono un’era geologica. Intanto, vediamo che cosa succede il 26 gennaio in Emilia.

Un pronostico?
Se il Pd perde, il governo cade. A maggior ragione se dovesse perdere con anche il supporto di M5s: sarebbe una bocciatura dell’intera coalizione di governo.

Di Maio dice: se ci presentiamo portiamo via voti alla Lega.
M5s al Nord è ormai sotto il 10 per cento; un accordo di desistenza aiuterebbe il Pd, ma senza accordo M5s può togliere al pd Bonaccini quei 4 punti che potrebbero essere decisivi in una sfida combattuta sul filo di lana.

Le sardine sono più grilline o più piddine?
Sono sceme. E in questo superano anche i grillini, che almeno nel 2008 raccoglievano le firme per tre referendum sull’editoria. Quando ho letto il manifesto “Benvenuti in mare aperto” mi è sembrato una via di mezzo tra i pensieri new age di Coelho e i propositi degli alcolisti anonimi. Nondimeno lo scopo è chiaro: andare contro Salvini.

Tuesday, November 20, 2018

Grillini nel caos per la Tav


È caos in M5s: il ritorno di Di Battista rischia di portare alla spaccatura interna mentre a Torino il sindaco Appendino non sa da che parte stare

20 novembre 2018intervista a Mauro Suttora per Il Sussidiario
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Chiara Appendino, sindaco di Torino (LaPresse)
Può una manifestazione spontanea di piazza di qualche decina di migliaia di persone ribaltare la linea politica di un comune come quello di Torino? Se il sindaco è Chiara Appendino sì. Dopo aver fatto votare Torino città No Tav alla giunta comunale, ha fatto un immediato dietrofront dichiarando che non ci sarà lo stemma del comune alla contromanifestazione No Tav in programma sempre a Torino
“Appendino fa parte di quel mondo di madamine, come sono state definite, che ha portato in piazza i Sì Tav, la borghesia torinese. Ma deve sottostare agli ordini del figlio di Casaleggio, che non vuol perdere le decine di migliaia di voti NoTav", ci ha detto Mauro Suttora.
 Il caos nel M5S è grande, anche grazie al prossimo ritorno di Di Battista.
La Appendino nega lo stemma del comune alla prossima contromanifestazione No Tav. E’ il sintomo di una difficoltà? E’ rimasta scottata dalla piazza del 10 novembre dei Sì Tav?
Certamente, lei fa parte di quel mondo lì, le cosiddette madamine, in senso positivo: è una di loro. E’ un tipico esponente della borghesia torinese.
Ma ora, come tutte persone che si erano intruppate con i 5 Stelle e No Tav, è in estremo imbarazzo.
Perché allora ha fatto votare alla giunta 'Torino città No Tav'?
Perché lei deve rispondere e ubbidire agli ordini del figlio di Casaleggio, più che a Di Maio. La Casaleggio & Associati non può permettersi di avere un disastro Raggi anche in Piemonte, visto che fra qualche mese ci saranno le elezioni regionali. Fino a qualche mese fa i sondaggi dicevano che i 5 Stelle avevano buone possibilità di prendere il Piemonte, adesso invece sono crollati.
Fino a che punto?
E’ già tanto se arrivano al 15%, anche perché hanno scelto con i loro metodi semi-mafiosi un candidato irrilevante. Rischiano di arrivare terzi dietro al centrosinistra e al centrodestra, e d’altro canto non possono neanche rischiare di  stare troppo con l’establishment, contro i movimentisti.
Ma Casaleggio non “la sgrida” per questi ondeggiamenti?
Il figlio di Casaleggio come appartenenza naturale sarebbe anche lui dalla parte dei Sì Tav perché anche lui fa parte della borghesia, dell’establishment. Però hanno preso decine di migliaia di voti in Val Susa schierandosi con i No Tav, e non possono rischiare di perderli. E’ come successe al Pci negli anni 70 quando sostenne il governo di solidarietà nazionale: perse le successive elezioni.
Salvini cerca lo scontro con Di Maio sulla questione rifiuti? Lo fa per mandare in tilt il M5s?
Certo, i grillini sono indifendibili sui termovalorizzatori. Già usare questa parola da parte di Salvini, invece del negativo 'inceneritori', la dice lunga.
 I termovalorizzatori sono presenti in città come Milano, permettono di risparmiare sui riscaldamenti e danno l’elettricità a 130mila famiglie.
Come andrà finire? I 5 Stelle molleranno lo scontro?
No, hanno aizzato per dieci anni la gente contro gli inceneritori. A Napoli e a Roma mandano migliaia di camion e treni verso la Germania a far incenerire i rifiuti, mentre stiamo pagando 120mila euro al girono di multa della Ue perché non riusciamo a completare il ciclo dei rifiuti.
 E’ un vicolo cieco ed è inutile che ciancino: un 50% dei rifiuti viene differenziato, ma l’altro 50% finisce o in discarica, o nei termovalorizzatori, o portato all’estero. Nessuno, neanche a casa sua, riesce a differenziare il 100% dei rifiuti.
Quanto tornerà Di Battista che farà? L’agit-prop? La spina nel fianco del governo? C’è un ruolo pronto per lui?
Ho rinunciato ad andare a teatro da quando c’è lui perché è troppo divertente. Come gli ha detto l’Annunziata, guarda che ci sono giornalisti seri che fanno il loro lavoro rischiando la pelle in Centro America, tu fai speculazione politica pagato decine di migliaia di euro dal Fatto Quotidiano. Il cui comitato di redazione è pure furioso per tutti questi soldi sborsati…
Seriamente, che succederà al suo ritorno?
Coprirà il ruolo dell’anti-Di Maio, il capo dei movimentisti contro il capo dei realisti. Ci sarà scompiglio, alla lunga si spaccheranno. Gli altri movimentisti, la Taverna e Fico, sono stati imbalsamati in cariche istituzionali. Fico riesce a dire ancora qualcosa dato il ruolo che copre, la Taverna è stata zittita.
Che cos’hanno in testa Casaleggio e Grillo?
Grillo si sta sganciando ormai da tempo, fa teatro, ha bisogno di guadagnare. Farà qualche intervento come ha fatto al Circo Massimo, qualche post qua e là.
E Casaleggio?
Casaleggio si è legato mani e piedi a Di Maio, cerca altri personaggi da imporre, ma non riescono a tirare dentro uno che sia normale. Non ci resta che sperare in Salvini a questo punto. E’ l’unico con un po' di senno. 
Quando i No Tav dicono cose come “la linea attuale è vecchia di 150 anni ma va ancora bene perché non è satura”, dici: certo che non lo è, non la usa nessuno visto che non puoi superare i 70 chilometri all'ora. Manca ogni percezione della realtà…
Paolo Vites

Saturday, December 24, 2016

Politici non laureati

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 24 dicembre 2016

Probabilmente Valeria Fedeli sarà una brava ministra dell’Istruzione, perché ha l’esperienza più preziosa per quel posto: è una sindacalista, quindi andrà d’accordo con il turbolento mondo dei professori. Non è laureata, ma è finita nei guai per non averlo detto, più che per non averlo fatto. Aveva spacciato come dottorato un corso triennale di assistenti sociali. In più ora si scopre che non ha neanche la maturità: i suoi tre anni di scuola magistrale non gliel’hanno fatta raggiungere.

Ma la simpatica signora bergamasca si trova in folta e ottima compagnia. La metà dei capi dei quattro principali partiti italiani, infatti, non ha la laurea: Beppe Grillo è ragioniere, Matteo Salvini ha la maturità classica. Così come illustri premier del passato: Bettino Craxi si iscrisse a ben tre università (Milano, Perugia, Urbino) senza cavare un ragno dal buco e facendo arrabbiare suo padre; Massimo D’Alema fu ammesso alla prestigiosa Normale di Pisa ma anche lui abbandonò gli studi per la politica a tempo pieno.

La precoce attività di partito ha amputato anche gli studi di Walter Veltroni (diploma di una scuola professionale per la cinematografia), del presidente del Pd Matteo Orfini (pochi esami di archeologia) e di tre ministri colleghi della Fedeli: alla Sanità Beatrice Lorenzin, 50/60 alla maturità classica, al Lavoro l’agrotecnico Giuliano Poletti, e alla Giustizia Andrea Orlando, liceo classico.

Francesco Rutelli si è da poco reiscritto a 62 anni ad Architettura: gli mancano due esami e la tesi, «mi laureo come voleva mio padre». Anche la senatrice grillina Paola Taverna vuole recuperare: si è iscritta a Scienze politiche. Esigenza non condivisa da Umberto Bossi, che per anni fece finta di andare all’università di Medicina a Milano, mentre in realtà andava ad attaccare manifesti della Lega Nord. 
A Giorgia Meloni basta il diploma di liceo linguistico, a Maurizio Gasparri il liceo classico, e anche Francesco Storace non è laureato. Così come il suo successore alla presidenza della regione Lazio, Nicola Zingaretti (Pd, fratello dell’attore Luca), e l’assessore Lidia Ravera, scrittrice.

Michela Vittoria Brambilla ha portato a casa molti randagi, ma solo qualche esame di filosofia. Sempre nel centrodestra, anche l’ex sottosegretaria Michaela Biancofiore si è accontentata del diploma magistrale. Hanno agguantato una laurea triennale Stefania Prestigiacomo a 40 anni nel 2006 (Scienza dell’amministrazione alla Lumsa, Libera università Maria Santissima Assunta), Gianni Alemanno a 46 (Ingegneria dell’ambiente a Perugia), Alessandra Mussolini a 32 (Medicina).

Ma il record della laurea attempata va agli ex ministri Claudio Scajola, Legge a Genova a 53 anni, e Mario Baccini, 110 e lode in Lettere a 52 anni alla Lumsa con tesi su Amintore Fanfani.

Daniela Santanchè, dottore in Scienze politiche a Torino a 26 anni, è scivolata su un «master» alla Bocconi che esibiva sul sito ufficiale del governo: in realtà era un corso serale di 24 giorni per diplomati con licenza media inferiore. Peggio di lei è capitato al giornalista Oscar Giannino, che si è ritirato dalla politica per aver millantato lauree in Legge ed Economia e Master a Chicago. Anche l’ex Fratello d’Italia Guido Crosetto ha sbandierato una finta laurea in Economia.

Marco Pannella si laureò in legge a 25 anni (come Silvio Berlusconi), ma per farlo nel ’55 dovette emigrare da Roma a Urbino e sfangò un 66 grazie a una tesi sul Concordato scritta da amici. La sua collega radicale Emma Bonino invece è bocconiana come Mario Monti e Corrado Passera. Ma è stata una delle ultime a laurearsi nel corso in Lingue straniere, soppresso nel 1972.

Gianfranco Fini ha una laurea in Pedagogia ottenuta a 23 anni con pieni voti a Roma, ma senza frequentare le lezioni: nel 1975 i neofascisti del Msi venivano picchiati se osavano mostrarsi a Magistero, feudo dell’ultrasinistra. Non sono laureati i grillini Luigi Di Maio (otto esami in cinque anni fra Ingegneria e Legge) e Vito Crimi (fuoricorso in Matematica).
Mauro Suttora

Thursday, June 30, 2016

Enciclopedia della Brexit

COSA ACCADRA' DOPO IL REFERENDUM CHE HA DECISO L'USCITA DEL REGNO UNITO DALL'UNIONE EUROPEA?

di Mauro Suttora

Oggi, 30 giugno 2016



E adesso, che cosa succederà? Il Regno Unito era nell'Unione europea dal 1973. Non aveva aderito all'euro e non aveva abolito le frontiere, ma stava in Europa. Ecco che cosa cambierà, dall'A alla Z.

ALBANIA. È il primo Paese in lista d'attesa per entrare nella Ue, con Serbia e poi Turchia. Ora sarà più dura, visto che proprio l'adesione 10 anni fa di Romania e Bulgaria, altri Paesi balcanici, è stata una delle cause scatenanti del Brexit (insofferenza verso gli immigrati comunitari).
BANCHE. "No all'Europa delle banche", è lo slogan dei NoEuro. Dimenticano che la Ue si occupa di tante altre cose, dalla protezione dei consumatori a quella dell'ambiente. E che se qualche banca è stata salvata dal fallimento, tanto meglio per i piccoli azionisti e risparmiatori, visti i disastri delle banche Etruria, Vicenza o Marche.
CAMERON. Come un politico può suicidarsi indicendo un referendum. Alcuni augurano lo stesso a Renzi in ottobre. Ma il premier britannico non è stato l'unico a illudersi che il Brexit perdesse: bookmakers e Borse di tutto il mondo ne erano convinti fino all'apertura delle urne.
DANIMARCA. Civilissimo Paese scandinavo modello di accoglienza per i profughi fino a un anno fa. Ma ora, dopo la moltiplicazione degli arrivi, ha chiuso le frontiere. Sequestra i soldi ai migranti, per mantenerli. Sono diventati troppi. Non illudiamoci quindi grandi aiuti per smaltire le migliaia di arrivi in Sicilia di questi giorni.
EURO. La Gran Bretagna non l'aveva voluto. E conservava anche dogane e frontiere, in barba alla libera circolazione del trattato di Schengen. Ma agli orgogliosi sudditi di Sua Maestà non è bastato. E ora molti europei incolpano la valuta comune per la crisi economica.
FINLANDIA. Ha già raccolto le firme per un referendum. Non per andarsene dalla Ue: soltanto dall'euro. Ma l'effetto sarebbe egualmente devastante. Se i Paesi ricchi del nord lasciassero l'Eurozona, rimarrebbero solo i Paesi mediterranei carichi di debiti. Che verrebbero travolti da inflazione e svalutazione, come negli anni 70.
GRILLO. I suoi 5 stelle sono indecisi: alcuni vogliono mollare l'Europa, come l'Inghilterra, altri solo l'euro. Per tenerli buoni, il suo blog un giorno dice una cosa, il giorno dopo un'altra. Ora che hanno conquistato Roma e Torino vorrebbero accreditarsi come politici responsabili. Ma la base è scatenata.


HOTEL. "La Ue non è un albergo, o dentro o fuori". Il presidente della Commissione Juncker forse pensava di intimorire gli inglesi facendo il duro. Ma ha ottenuto l'effetto contrario.
JUNCKER. Vedi Hotel. Un anno fa è riuscito a domare il greco Tsipras e a cacciare il suo compare Varoufakis. Chissà se ora riuscirà a galleggiare (la sua maggiore virtù) nelle turbolenze del Brexit, o ne sarà travolto come Cameron.
KO. Dopo un colpo così forte, si sperava in un'autocritica da parte dei burocrati di Bruxelles. Niente da fare: mantengono i loro superstipendi e privilegi, con sprechi di miliardi. Anzi, alcuni sono felici che quei criticoni di inglesi se ne vadano.
ISIS. Nessuno lo dice, perché è meglio non disturbare il can che dorme. Ma la paura dei terroristi islamici è il maggior propellente degli xenofobi (vedi) in Inghilterra come nel resto d'Europa. E non importa che quasi tutti gli islamisti siano autoctoni.
LE PEN. Marine non vede l'ora che arrivino le presidenziali 2017 in Francia. Sfiderà il presidente socialista Hollande e l'ex presidente di destra Sarkozy, sperando che l'onda nazionalista attraversi la Manica. Intanto, preme per un qualsiasi referendum (contro l'euro o la Ue).
MERKEL. La cancelliera tedesca diventa sempre più padrona dell'Europa senza Londra, uno dei suoi principali contrappesi. Con gli altri (Italia, Francia, Spagna se esprimerà un leader) si sta consultando, per non apparire padrona.
NO. Qualsiasi voto, in tempo di crisi economica e di rivolta contro le elites, premia chi è contro. Se n'è accorto Cameron, cosicché ora gli altri leader europei si guarderanno bene dall'organizzare altri referendum. Tempi duri per la democrazia diretta.
OLANDA. È la prossima candidata all'uscita dall'Europa, nonostante sia uno dei sei Paesi che la fondarono 65 anni fa (Ceca). I nazionalisti del biondo (anche se di madre indonesiana) Geerd Wilders hanno il 17%, e sono in ascesa. L'Olanda è il maggior contributore netto al bilancio Ue dopo la Germania (vedere la tabella a pag.xx).
POLONIA. Ha ricevuto molti contributi dalla Ue dopo la sua entrata nel 2004, ha raddoppiato il Pil, ma gli stipendi sono bassi e l'emigrazione ancora alta. Soprattutto verso la Gran Bretagna, con fastidio inglese. E fastidio polacco verso i profughi che Bruxelles le chiede di accogliere.
QUORUM. Molti i votanti al referendum Brexit: 72%. Ma minimo lo scarto dei sì: 51,9%. Con vittoria dei no in Scozia, Irlanda del Nord, a Londra e fra i giovani. Perciò c'è chi chiede un'altra improbabile consultazione, oppure l'indipendenza per la Scozia. 
RENZI. Ha approfittato del disastro inglese per chiedere alla Germania (pardon: alla Ue) di abbandonare l'austerità. Tradotto: potersi indebitare di più, nonostante il nostro immenso debito pubblico, anche per assicurarsi benemerenze presso gli elettori.
SALVINI. È il capofila degli antieuropeisti italiani. Ma le roccaforti leghiste sono Lombardia e Veneto, legate all'export europeo e quindi refrattarie a una secessione verso nord (verso Roma, magari sì). Infatti Milano ha punito la Lega all'ultimo voto il 5 giugno: solo 11%, contro il 20 di Forza Italia.
TENSIONI. Che fine faranno i duemila funzionari britannici che lavorano per la Ue  a Bruxelles e Strasburgo, ma che diventeranno extracomunitari? In teoria potrebbero essere perfino licenziati, oppure tornare in Gran Bretagna per essere riciclati.
URGENZA. Londra e Ue hanno due anni di tempo per trattare prima della separazione. Ma i capi europei vogliono accelerare, per spaventare e dissuadere altri Stati che intendessero secedere.
VANTAGGI. "Risparmieremo 350 milioni di euro alla settimana uscendo dalla Ue", avevano promesso i nazionalisti inglesi. Falso, sono 80. Ora vari elettori dicono di non aver capito bene. Sui presunti vantaggi del Brexit c'è stata anche propaganda fasulla.
WELFARE. Troppo generoso quello britannico: regala sussidi a tutti i giovani disoccupati che arrivano da qualsiasi angolo d'Europa. È anche per questo che gli inglesi anziani hanno votato a larga maggioranza per Brexit.
XENOFOBI. Gli eurodeputati del partito xenofobo inglese di Nigel Farage (alleato di Grillo) dovranno trovarsi un lavoro. Perderanno infatti il seggio a Strasburgo per aver raggiunto il loro obiettivo: l'"indipendenza".
YOUNG. I giovani inglesi, quasi tutti pro-Europa, dovranno subire la decisione contraria dei loro genitori e nonni per i prossimi decenni. Si apre un conflitto generazionale con i vecchi ex figli dei fiori, ribelli capelloni e fan di Beatles e Stones (Mick Jagger era per il Brexit).
ZAVORRA. Tutti in Europa sono convinti di essere zavorrati da qualcuno: i britannici dai burocrati continentali, i settentrionali dai Pigs meridionali (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), i meridionali dai tedeschi che beneficiano dell'euro forte.
Mauro Suttora

Wednesday, February 25, 2015

Pansa: «Salvini, volgare furbastro»

MATTEO SALVINI? UN FURBASTRO DI SUCCESSO

«Populista, volgare, sfida il ridicolo per far parlare di sé: è un politico di oggi». Così Giampaolo Pansa descrive il capo leghista. E lo confronta con i grandi conservatori, da Scelba ad Almirante. «Normale che si allei con Marine Le Pen». E Grillo? «Sembra il capo della X Mas»  

di Mauro Suttora

Oggi, 25 febbraio 2015

«Fa sembrare Silvio Berlusconi un matusalemme da ospizio. Ha spedito nel reparto anticaglie il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Ha annichilito i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Ha messo in guardaroba i vecchi capi leghisti Umberto Bossi e Bobo Maroni. Tutto in pochi mesi, con tanti blitz che ricordano il Berlusconi del 1994».

Giampaolo Pansa, l’ultimo capitolo del suo nuovo libro, La Destra siamo noi (Rizzoli), è tutto dedicato a Matteo Salvini.
«Il capo del Carroccio è davvero un esemplare politico del nostro tempo: furbastro, volgare, pronto a sfidare il ridicolo pur di far parlare di sé. In lui non c’è più nulla della vecchia destra. Che cosa ne avrebbero detto Scelba, Almirante o Montanelli? Ecco una domanda che non inquieta il ragazzone, il quale dalla copertina di Oggi ci ha offerto il capezzolo rosato, l’ascella pelosa e una posa da catalogo per incontri a luci rosse».

Per ora ha incontrato la Le Pen.
«Nella sua deriva populista contro l’euro e a favore di Putin, era fatale che incontrasse la signora con il carisma che ha sedotto la Francia».

E che ha distrutto D’Alema, in un duello tv a Di Martedì di Floris.
«D’Alema è da troppo tempo sulla scena. Come me, anche se io spero di salvarmi non annoiando i lettori».

Certo non con questo libro. Perché l’ha scritto?
«Perché, in un momento come questo in cui in Italia il centrodestra non esiste più e la destra è a pezzi, volevo raccontare la storia di una quarantina di “destri” che invece hanno fatto la storia: Fanfani, Rauti, Guareschi, Romiti, Gelli, Bisaglia, Rumor, Freda...»

Fascisti, dc, industriali, giornalisti.
«Alcuni possono apparire fuori posto. C’è perfino un eroe civile come Giorgio Ambrosoli, l’avvocato che si battè contro Sindona. Tutti accomunati dall’essere di destra, una parola che oggi però non puzza più di fascismo».

Come mai oggi la destra ha l’euro come suo principale bersaglio?
«Tutta l’Europa è minata alle fondamenta dalla crisi economica, che è diventata crisi sociale. Quindi chiunque proponga di fuggire dallo stato attuale  prende voti. C’è da dire che se l’Europa ha la faccia di Draghi, è ottima. Se invece ha quella del presidente della Commissione Juncker, sembra quella di un ubriaco».

Pure Grillo è antieuro. È di destra?
«Inclassificabile. Ma ormai è in curva discendente, i suoi deputati lo mollano. Nel mio libro c’è un personaggio che come lui ce l’aveva con la partitocrazia inefficiente e corrotta: Junio Valerio Borghese, capo della X Mas».

Grillo sta con l’inglese Farage.
«Quello mi sembra un cialtrone, anche se pare andrà bene al voto di maggio».

E il capo di Pegida, i tedeschi anti-Islam, che si è fatto fotografare in posa da Hitler?
«Guardi, l’unica che seguo in Europa  è la Le Pen. Anche perché nel fisico massiccio  mi ricorda mia madre, che faceva la modista».

Dei personaggi di destra che rievoca, chi potrebbe servire oggi?
«Almirante. Intelligente, astuto, forte. Sapeva stare al mondo. Oggi nella politica italiana mancano gli hombre vertical, quelli che rassicurano l’uomo della strada perché incutono rispetto».

E Renzi?
«È solo un bullo, un ganassa convinto di poter fare tutto. Autoritario: neanche lui immagina quanto lo sia, si farà brutte sorprese. Si sente senza limiti perché la destra è scomparsa. Ma non può fare tutte le parti in commedia. Oggi in Italia non c’è opposizione».

C’è Forza Italia.
«È diventata un ricovero per vecchi, guidata da un 78enne che non può competere con Renzi e Salvini. Il proverbio dice che “col sole al tramonto anche l’ombra del nano si allunga”, ma i fedeli di Berlusconi non possono tenerlo in vita politicamente imbalsamandolo come Lenin».

Nel suo libro ci sono molte storie di sesso. Compresi due premier della Dc chiacchierati come gay.
«La Democrazia Cristiana era la fotocopia dell’Italia: c’era dentro tutto. E liberale: si potevano scrivere le peggior cose contro di loro, senza troppe conseguenze. Il Pci, invece, ci avrebbe fucilati. Ma, soprattutto, la Dc è immortale. L’elezione di Mattarella a presidente dimostra che è ancora viva».

Cosa pensa di Mattarella?
«Lo stimo molto. Riuscirà a fare da argine a Renzi».
Mauro Suttora


Wednesday, December 17, 2014

Salvini non sfonda al Sud


Il guru del meridione risponde a Salvini

«La Lega Nord cerca voti sotto Roma? È come se il Ku Klux Klan volesse vincere fra i neri». Pino Aprile spiega perché il piano nordista non va. E sulla Germania dice...

di Mauro Suttora

Oggi, 19 dicembre 2014

Ogni anno, ormai, arriva un nuovo libro di Pino Aprile, già vicedirettore di Oggi e direttore di Gente : Terroni 'ndernescional . Dopo il grande successo di Terroni (2010, edizioni Piemme) il profeta del Meridione aveva proseguito con Giù al Sud, Mai più terroni e Il sud puzza. Totale: una mezza milionata di copie vendute.

Perché «'ndernescional», ora?
«Perché ho scoperto che lo stesso triste destino riservato al nostro Sud con l'unità d'Italia è stato riservato anche all'ex Germania Est con l'unità tedesca di 25 anni fa. Invece del riscatto economico magnificato dalla propaganda, i tedeschi dell'Est ora stanno, nella media, peggio di prima».

Pure lei contro Angela Merkel?
«La Germania e il Nord Europa riserveranno a noi Paesi europei del Mediterraneo lo stesso trattamento».

Attento Aprile, anche la Lega Nord ora è antieuropeista.
«Matteo Salvini non ha inventato nulla. Il piano della Lega, non più Nord perché vorrebbe sfondare anche al Sud, era chiaro già un quarto di secolo fa, con il regionalismo del professor Gianfranco Miglio».

E perché allora non funzionò?
«Perché la nascita di Forza Italia nel 1994 impedì il progetto di due partiti secessionisti, la Lega al Nord e un partito al Sud appoggiato dalla mafia».

Invece oggi?
«La speranza di Salvini è vana: la Lega non può raccattare molti voti al Sud. Sarebbe come se il Ku Klux Klan pretendesse di rappresentare i neri d'America».

Quindi, cosa succederà?
«Dobbiamo difendere il Mediterraneo, uno dei luoghi più comodi per la nostra specie, dalle mire del Nord Europa».
Mauro Suttora

Wednesday, December 10, 2014

11 portaborse per un grillino

OGNI EURODEPUTATO PUO' SPENDERE FINO A 21 MILA EURO MENSILI PER I PORTABORSE. COSI' IL 5 STELLE IGNAZIO CORRAO LI DA' AGLI ATTIVISTI SICILIANI. MA ANCHE SALVINI, CESA E LA MUSSOLINI...

di Mauro Suttora

Oggi, 3 dicembre 2014 

Undici portaborse. Tanti ne ha assunti, da solo, l’eurodeputato 5 stelle Ignazio Corrao. Li paga in tutto 21 mila euro al mese, cifra massima consentita dall’Europarlamento. Tre a Bruxelles e otto nella sua Sicilia. Ma il movimento di Beppe Grillo non prometteva di ridurre gli sprechi della politica?

I 16 colleghi grillini di Corrao rimangono nella media, tre-quattro collaboratori a testa. E quello del generoso Ignazio non è il record dell’affollamento: il suo corregionale berlusconiano Salvatore Cicu ha imbarcato ben tredici portaborse. Il piddino casertano Nicola Caputo, dieci. Ma della differenza con Pd e Pdl il Movimento 5 stelle aveva fatto una bandiera. Che ora non sventola più orgogliosa come prima.

L’assunzione dei portaborse, infatti, ha scatenato una bufera. Che rispetto al terremoto degli espulsi in Italia è minima, ma spiega la disaffezione di attivisti e votanti per Grillo: mezzo milione di voti persi su 650mila in Emilia al voto regionale del 23 novembre.

Agli eurodeputati 5 stelle la società Casaleggio & Associati aveva imposto 24 sconosciuti: più per controllarli che per assisterli, sembrava. Fra questi, vari riciclati: Cecilia Arvedi, ex assistente dell’Udc calabrese Gino Trematerra, Monia Benini, già segretaria provinciale dei Comunisti italiani a Ferrara, il portaborse di un’ex eurodeputata forzista e quello dell’ex europarlamentare dipietrista Pino Arlacchi.

Gli eurodeputati grillini si sono ribellati e in ottobre li hanno licenziati tutti, compreso il potente capo della comunicazione Claudio Messora. Ora però hanno dovuto riassumerne 17, accollandoseli singolarmente. Messora, per esempio, risulta a carico dell’eurodeputato bergamasco Marco Zanni.

Riciclati e fidanzate

La Arvedi è stata aiutata da Daniela Aiuto, abruzzese (è il caso di dirlo), la Benini è stata «salvata» dalla tarantina Rosa D’Amato.  Quanto all’eurodeputato veronese Marco Zullo, ha assunto autonomamente Alessandro Corazza, capogruppo Idv in regione Friuli fino al 2013. Anche la ex fidanzata di un pezzo grosso dei 5 stelle è stata recuperata.

Gli attivisti del movimento sono imbestialiti. Anche perché gli stipendi dei deputati (5.200 euro netti mensili) e assistenti a Bruxelles sono il doppio di quelli di Roma. In Italia gli eletti grillini, in Parlamento e nelle regioni, si autoriducono i compensi a 2.700-3.200 al mese (rimborsi esclusi). E i portaborse stanno sui 1.200.

Certo, nessuno dei collaboratori di Corrao è suo parente. L’eurodeputato Lorenzo Cesa (Udc) ha invece assunto la figlia del collega di partito Rocco Buttiglione. Alessandra Mussolini ha imbarcato il fidanzato 19enne della propria primogenita. 
Sulle orme del segretario leghista Matteo Salvini che dieci anni fa beneficiò il fratello di Umberto Bossi, mentre Francesco Speroni regalò uno stipendio al primogenito Riccardo (da non confondere con Renzo, il «trota»). 

Però i grillini promettevano di ripulire la politica. Invece si sono ridotti a distribuire «redditi di cittadinanza» a propri attivisti disoccupati. In fondo, fa parte del loro programma.
Mauro Suttora

Wednesday, October 09, 2013

Maroni con la moglie a Roma


L'ex ministro dell'Interno, ora presidente della Lombardia e capo della Lega Nord, fotografato per la prima volta a spasso con la consorte per turismo nella capitale

Oggi, 2 ottobre 2013

di Mauro Suttora

Era uno dei segreti meglio custoditi d’Italia: la moglie di Roberto Maroni, già ministro dell’Interno, da sei mesi presidente della regione Lombardia e segretario della Lega Nord. Mai un’apparizione in pubblico assieme al marito, mai un’intervista o una dichiarazione.

La riservatezza è assoluta. Di lei si conosce soltanto il nome, Emilia Macchi, e la longevità del legame col suo Bobo. Si sono infatti conosciuti sui banchi del liceo classico Caroli di Varese nei primi anni Settanta. Lei era la figlia di uno dei fondatori dell’Aermacchi, storica fabbrica di aerei; lui figlio della buona borghesia di un paese della provincia, Lozza, ma estremista di sinistra e iscritto a Democrazia Proletaria fino all’età di 24 anni, quando incontra Umberto Bossi.

Lei è dirigente dell’Aermacchi
La signora Maroni gli ha dato tre figli: la primogenita Chelo, oggi 26enne, Filippo, 21, e Fabrizio, 16. E lavora come dirigente del personale nell’Aermacchi, che si è fusa con Alenia e fa parte del colosso Finmeccanica. È finita sui giornali soltanto l’anno scorso, quando il presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi è stato indagato per corruzione.

Contrariamente alla famiglia Bossi, la famiglia Maroni si è sempre tenuta lontano dalla politica. Da un quarto di secolo Bobo è il numero due della Lega, da vent’anni è a Roma come deputato e ministro, ma non risulta che Emilia fosse mai scesa a visitare il marito nella capitale. Lacuna colmata: ecco la coppia visitare le vie del centro come normali turisti, senza scorta. 

Per Maroni non sono tempi tranquilli. La Lega infatti è sempre attraversata da tensioni interne, e lui si appresta a lasciare la carica di segretario. Probabilmente a Matteo Salvini, visto che il sindaco di Verona Flavio Tosi è particolarmente inviso a Bossi.