Conferenza tenuta il 18 febbraio 2002 a Milano, nella sede del partito radicale (corso di Porta Vigentina)
Mauro Suttora
I radicali non hanno un rapporto con l’informazione. I radicali SONO informazione, informazione pura, sempre e da sempre. Nascono nel ‘55 non con un congresso, ma con un articolo sul settimanale Il Mondo di Pannunzio che annuncia la nascita di un Comitato provvisorio composto da Pannunzio stesso, Carandini, Piccardi, dall’ex segretario del Pli Villabruna e Leo Valiani.
Scalfari dà una versione differente, nel suo libro «La sera andavamo in via Veneto: «Il Pr lo fondammo io, Pannunzio, Paggi e Libonati nella casa di Arrigo Benedetti a Marina di Pietrasanta nel maggio ‘55». Benedetti fondò l’Europeo nel ‘45, e l’Espresso con Scalfari nel ‘55. Un buon terzo dei dirigenti radicali erano giornalisti, da Ernesto Rossi ed Ennio Flaiano in giù.
Pannella è di professione giornalista, e così molti radicali degli anni 60: Gianfranco Spadaccia, Aloisio Rendi, Giuseppe Loteta, che diventerà editorialista del Messaggero. Il principale strumento della politica radicale è un’agenzia distribuita in ciclostile ai giornali, dal ‘63 al ‘67. Denunciarono le bustarelle dell’Eni alla stampa, anche di sinistra: ben 20 miliardi di allora in pochi anni.
Dal ‘65 al ‘70 è un settimanale molto popolare, quasi pornografico, Abc, a condurre la battaglia per il divorzio. Con grande successo, fra l’altro, perché passò da 100 a 500mila copie. Un altro volano lo avrà la campagna per l’aborto nel ‘75: l’Espresso si impegna nella raccolta di firme per il referendum, Pannella tiene una rubrica fissa, che però interrompe bruscamente quando Scalfari caccia Lino Jannuzzi dal settimanale.
Nel ‘68 e ‘72 i radicali non si presentano alle politiche con l’esplicita motivazione della mancanza di par condicio da parte della Rai nei confronti dei partiti non rappresentati in Parlamento. Nel ‘76 si presentano soltanto dopo uno sciopero della fame di Pannella per ottenere una Tribuna stampa di un’ora in prima serata, come tutti gli altri partiti. Nell’83 si presentano ma invitano a votare scheda bianca.
Il primo sciopero della fame di Pannella contro la Rai è del ‘74 - il più lungo fra i 17 della sua vita, 92 giorni. Il 22 giugno Lietta Tornabuoni rompe un silenzio di 50 giorni con un articolo sulla Stampa. E scrive: «Bernabei (il direttore generale dc, ndr) sa che, la notte del referendum, ben centomila persone sono andate a festeggiare con Pannella in piazza Navona, e teme che il suo successo s'allarghi. Ma i radicali sono una vecchia conoscenza della tv di Stato: nel 1966 Pannella era alla testa delle trenta persone che si ammanettarono davanti alla Rai, portando cartelli al collo con su scritto "Così è ridotta l'informazione". E nel '70 guidava i 19 divorzisti che occuparono per la prima volta la sede tv in via del Babuino».
Il 16 luglio '74 scende in campo Pasolini con un bellissimo articolo sul Corsera. E così il 19 luglio ‘74 Pannella, a 44 anni, debutta in Tv.
In uno studio di via Teulada, si registra il debutto televisivo del leader ancora in digiuno. Modera Gino Pallotta. Pannella è un uragano: «L'Italia non è diventata vittima di lesbiche e omosessuali dopo il referendum sul divorzio, come diceva Fanfani... Siamo contro una legge criminogena che provoca aborti clandestini di massa mentre le signore benestanti abortiscono con 500mila lire in cliniche private, con l'assistenza psicanalitica e magari anche quella religiosa...».
Pallotta è impietrito, inerte, non osa interromperlo. Aborto, lesbiche, omosessuali: è la prima volta che alla tv italiana si sentono queste parole. Alla fine della registrazione nello studio non vola una mosca. I tecnici di sala scoppiano in un applauso spontaneo: «Mejo de Kennedy, dotto'!». Ma Pannella non è contento: «Ho dimenticato di parlare degli otto referendum e del finanziamento ai partiti...»
La mattina dopo alla Rai scoppia un putiferio. Il direttore generale Willy De Luca visiona la registrazione e urla: «Dobbiamo bloccare questo pazzo a ogni costo!». Ma c'è poco tempo: il programma deve andare in onda la sera stessa. Bernabei manda immediatamente, con due motociclisti, la trascrizione completa — parola per parola — dell'intervento di Pannella al segretario dc Fanfani e al presidente del Consiglio Rumor. Ma il segretario psi Francesco De Martino e anche il presidente Leone si oppongono alla censura. Allora i vertici dc della Rai ordinano al capufficio stampa Giampaolo Cresci (che nel ‘98 diventerà direttore del Tempo, con il radicale Giovanni Negri come vicedirettore) di non comunicare l'orario del dibattito ai giornali. La trasmissione viene spostata dal primo al secondo canale, e dalle nove alle dieci di sera. Contemporaneamente a Pannella, sul primo canale viene trasmesso un programma di grande richiamo.
Tutto inutile. Come previsto, quando il capo radicale pronuncia quelle parole dallo schermo, i centralini Rai di tutt'ltalia vengono intasati di telefonate pro e contro. Intanto, sul Corriere della Sera il dibattito su Pannella va avanti. Per controbilanciare l'articolo di Pasolini ne viene pubblicato uno del comunista Maurizio Ferrara (padre di Giuliano),contrario a Pannella
Nel ‘74, nonostante questo exploit, i radicali non riescono a raccogliere le 500mila firme per 8 referendum. Di questi, la metà riguardano l’informazione. Uno è per la libertà d’antenna contro il monopolio Rai, e poi contro i reati d’opinione, l’Ordine dei giornalisti, la legge sulla stampa del ‘48.
Il 20 settembre '74 i radicali sfilano in marcia contro la Rai: chiedono la testa di Bernabei. Francesco De Gregori e un centinaio di altri artisti rifiutano di collaborare con la Rai finché durerà il monopolio Dc. Bernabei si dimette.
Qui, nella sede radicale di Milano, fra le foto appese ce n’è una col giovane Litta Modignani durante un sit-in del '76 davanti alla Rai in corso Sempione.
Nel ‘77 durante una Tribuna flash di un quarto d’ora Pannella non si ferma, continua a parlare e costringe i tecnici Rai a sfumarlo
Il 18 maggio '78, a una tribuna del referendum di Jader Jacobelli in tv, i radicali inscenano uno spettacolo che rimarrà nella storia mondiale della televisione: Pannella, la Bonino, Mellini e Spadaccia si fanno riprendere imbavagliati con cartelli di protesta. È il più lungo silenzio mai messo in onda da una tv: 24 interminabili minuti, dalle 20.53 alle 2l.17. La Rai riceve centinaia di telefonate di spettatori allibiti. «I radicali hanno violato le regole fondamentali della comunicazione, perché hanno mescolato politica e spettacolo», commenta il massmediologo Gianfranco Bettetini. «Non è vero che politica e arte sono mondi separati e incomunicabili: in America non è così», corregge Eco. E Sabino Acquaviva: «Pannella ha sovvertito i rituali della classe politica». «Trovata geniale», ammette Scalfari.
Nell’autunno '81 ci vogliono 53 giorni di digiuno a Pannella per conquistare 40 minuti di Ping pong in Rai, un dibattito con Biagi moderato da Vespa sullo sterminio per fame nel mondo.
All’inizio dell’83 l’Europeo pubblica una bella intervista a pannella di Galli della Loggia e Fiamma Nirenstein:
Perché ti lamenti sempre della censura? «I giornalisti hanno subito una vera e propria mutazione antropologica in questi anni. Non parliamo della Rai, che il Psi ha riempito con una schiera di killer dell'informazione ai suoi ordini… Una volta almeno c'erano editori borghesi come Crespi o Perrone che ogni tanto potevano fare i non conformisti».
Intanto, però, dal 1976 è nata Radio radicale, cui va il finanziamento pubblico che il partito rifiuta di incassare. Piano piano i ripetitori coprono tutta Italia. Valter Vecellio inventa le rassegne stampa mattutine che poi passeranno a Taradash e a Melega, grande giornalista, già direttore dell’Europeo fatto licenziare dalla P2 e caporedattore di Repubblica ed Espresso. Radio radicale inventa anche i fili diretti e le rassegne stampa di mezzanotte, che poi copieranno tutti. Ed è una fucina di eccellenti giornalisti:
Paolo Liguori, direttore di Studio Aperto, Stefano Andreani, finito all’Asca e a fare il segretario di Andreotti nell’era del Caf, Bruno Luverà, oggi inviato politico di punta al Tg1, Guido Votano, capo della redazione italiana di Euronews (la Cnn europea) a Lione, Giancarlo Loquenzi (Indipendente, vicedirettore di Liberal, poi alla radio del Sole 24 Ore e oggi capo delle relazioni esterne di Telepiù), Laura Cesaretti (Foglio e poi Giornale), Roberto Giachetti, oggi deputato della Margherita e braccio destro di Rutelli, Ivan Novelli, Gabriele Paci (Europeo, Indipendente, Voce di Montanelli), Stefano Anderson poi capufficio stampa del Csm, o Carlo Romeo, colonna della tv radicale Teleroma 56 e poi direttore delle sedi Rai di Aosta e Bologna.
Dal 1979 e fino alla metà degli anni ‘90 i radicali hanno avuto due canali tv a Roma, Teleroma 56 e 66, guardate anche da papa Wojtyla che così conosce Pannella. Per un certo periodo Stanzani era diventato anche azionista di rilievo del network nazionale Odeon, ma poi come sempre il sogno di un terzo polo tv si è infranto di fronte al duopolio Rai-Mediaset.
La polemica contro la Rai prosegue incessante.
Il 30 maggio '83 Pannella contesta Pippo Baudo a Montecatini (Pistoia) mentre trasmette Serata d'onore dell'Unicef in diretta tv. «Baudo è un buffone!», grida in sala, perché il presentatore ha propagandato in tv contributi contro la fame nel mondo annunciati per telefono da politici dc. Pochi giorni dopo se lo ritrova di fronte, assieme a Enzo Tortora, in una tribuna elettorale Fininvest registrata al teatro Eliseo di Roma. Il clima è gelido. La mattina seguente, all'alba, Tortora viene arrestato per camorra.
Nell’84 si attua una campagna di disobbedienza civile contro il canone Rai, coordinata da Gaetano Benedetto (oggi dirigente Wwf): aderiscono varie centinaia di persone, ma la proptesta non riesce ad avere uno sbocco politico.
Il 15 settembre '86, un anno dopo la condanna a dieci anni e 1185 giorni dopo l'arresto, per Tortora è il giorno della rivincita: assolto con formula piena in appello. Adesso il presentatore desidera tornare in tv. Silvio Berlusconi gli fa la corte, vuole strapparlo alla Rai. Così Canale 5 si apre ai radicali, che vengono invitati in ogni programma. Perfino Drive in, la trasmissione dedicata ai paninari, ospita un Pannella in doppiopetto stile Chicago anni '30, con al fianco Lory Del Santo. «Era il comico che ci mancava», commenta perfido l'autore Antonio Ricci. Ma Fedele Confalonieri, numero due della Fininvest, nega che gli inviti a Pannella servano per spianare la strada a Tortora: «Il Pr stava chiudendo, aveva bisogno di un megafono, e noi glielo abbiamo dato».
C'è un problema: se Tortora sceglie la Rai, non potrà candidarsi con i radicali. Accusa Luciano Violante, pci: «Il Pr è totalizzante. Per Pannella, Tortora è l'uomo che vale 200mila voti». Aggiunge Martelli: «Marco ha un rapporto nevrotico con i mezzi d'informazione, e sbaglia». Ma perfino la socialista Raidue apre improvvisamente le porte a Pannella, grazie a Tortora: Antonio Ghirelli, direttore del Tg2, gli fa un'intervista di ben sei minuti, e viene subito strigliato dal direttore generale dc Biagio Agnes. I radicali premono con Tortora perché scelga la Fininvest, tanto che la figlia del presentatore Silvia (giornalista di Epoca, sposerà l’attore Philippe Leroy) litiga con Pannella e straccia la tessera del Pr. Ma alla fine Tortora decide di tornare con Portobello su Raidue, e inizia la prima puntata del nuovo ciclo con la frase: «Dov'eravamo rimasti?». Fra Pannella e Tortora, comunque, i rapporti restano ottimi,
Nell’ottobre ‘89 Pannella si dimette da deputato, di nuovo in polemica esplicita contro Rai e giornalisti.
Nell’ ottobre ‘92 il capo radicale guida una marcia contro la Rai, ancora in mano al Psi e alla Dc del direttore generale Gianni Pasquarelli nonostante la bufera di Tangentopoli. «Marcio contro il marcio», proclama, 18 anni dopo il primo corteo anti Rai col quale fece fuori Bernabei.
Il 20 novembre ‘93 inizia la raccolta di firme con la Lega Nord per dieci referendum liberisti, fra i quali due sulla Rai: uno per abolire la pubblicità, l’altro per la privatizzazione. Il primo verrà fatto fuori dalla Corte Costituzionale, il secondo vince il 12 giugno 1995 con il 55% di sì. Ma non verrà mai attuato.
Con la Rai, comunque, è rottura totale. Pannella protesta: «Fanno comparire soltanto Occhetto e D'Alema, e contrapponendo loro solo la Lega. Ma D'Alema e Occhetto hanno il loro microfono, Bossi invece ha il gelato che Bianca Berlinguer gli tende e gli toglie con sofisticatissimo modo, per far fuori tutto quel che fa paura al Pds... Guardate le dichiarazioni riportate dal Tg1: 32 di Occhetto o D'Alema e nessuna mia. Questo significa eliminare gli avversari. È ora di indicare anche le "coperture nobili" del Pds. Il non plus ultra della faccia tosta è quell'abatino Gianni Riotta, minutante di segreteria, che con la sua faccia da prete fa scherzi da prete».
Nel ‘94 l’alleanza con Berlusconi viene spiegata anche con la maggiore apertura delle reti Fininvest rispetto a quelle Rai: i radicali non sono stati sempre a sinistra? «Io so che l’Italia», risponde Pannella, «ha potuto vedere le labbra secche di un digiuno della fame e della sete per i referendum grazie alle tv della Fininvest, e non della Rai». Candida Spadaccia per il cda Rai e Umberto Eco per la direzione generale, senza successo.
Taradash diventa presidente della Commissione di vigilanza, e come primo atto fa portare i bilanci Rai in Tribunale.
Il 26 maggio 95 un altro episodio che passerà alla storia: i fantasmi radicali, coperti da un lenzuolo, in tribuna politica. La direttrice dc Angela Buttiglione abolisce le dirette.
Nel dicembre ‘95 arrivano ai vertici Rai avvisi di garanzia per attentato ai diritti politici dei cittadini, su denuncia radicale. Ma non si arriverà mai ai processi.
Nel 95 e 97 scioperi della fame contro la censura tv.
Nel 98 battaglia contro la Rai che offre 25 miliardi per la Radio, cui si vogliono togliere i dieci miliardi annui di convenzione col Parlamento per la trasmissione delle sedute.
1998: appena risvegliatosi dall’anestesia dopo una serie di delicatissime operazioni al cuore, Pannella detta alle agenzie questa dichiarazione: «Spero possa iniziare e rapidamente avviarsi a conclusione, finalmente, il processo di convalescenza. I direttori dei telegiornali, l'associazione per delinquere Rai - che compiono volgari azioni in un unico disegno criminoso: lasciare al potere in Italia il sistema criminogeno della partitocrazia - non possono dunque stare tranquilli»
Oggi molti editorialisti dei quotidiani italiani sono ex radicali o simpatizzanti: Panebianco e Merlo (Corsera), Teodori (Giornale), Ignazi (Sole 24 Ore), Quagliariello (Messaggero), Prado e Farina (Libero)
Penso che l'unica soluzione per trasformare la Rai da quella fogna clientelare che è in qualcosa di decente sia la privatizzazione. Una, due, tre reti, in blocco, a spizzichi, qualsiasi cosa va bene.
Il «servizio pubblico» non esiste. L'informazione è una merce, come tutte le merci il suo valore è determinato dal mercato, e vale la legge della domanda e dell'offerta. Per esempio, se il comune di Milano o la regione Lombardia devono comunicare che il giorno dopo il traffico è vietato, possono diramare questa informazione di pubblica utilità attraverso tutti gli organi d'informazione privati, che saranno ben lieti di veicolarla perche' si tratta d'informazione utile (quindi con un alto valore di mercato), o perfino con gli sms sui telefonini.
Il «servizio pubblico» è solo un pretesto usato dal potere politico per controllare l'informazione e mantenere carrozzoni costosi e inutili. Negli Usa non esiste tv pubblica, solo un piccolo canale (Pbs) noioso che pochi guardano perche' trasmette trasmissioni cosiddette culturali o di pupazzi (Muppet show). Esistono però canali (C-Span) che trasmettono le sedute parlamentari via etere e internet, come Radio radicale
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Wednesday, February 20, 2002
Friday, April 04, 1997
Pannella e l'Ordine dei giornalisti
CINQUANT'ANNI DI ROSE E PUGNI TRA PANNELLA E I GIORNALISTI
IL REFERENDUM CONTRO L'ORDINE È L'ULTIMA FASE Dl UN RAPPORTO CONTRASTATO. L'ANTAGONISMO CON SCALFARI
Il leader radicale si innamorò della stampa a quindici anni. Comprava due copie al giorno di Risorgimento liberale, il quotidiano del Pli da dove Einaudi attaccava la corporazione. Gli anni del Mondo, del Giorno, e la comune militanza politica con il direttore di Repubblica
Di Mauro Suttora
Il Foglio, 4 aprile 1997
Milano. I milioni di italiani che andranno a votare per il referendum sull'Ordine dei giornalisti lo ignorano, ma quel voto è il risultato finale di un intenso rapporto di amore-odio: quello che da più di mezzo secolo lega Marco Pannella a giornali e giornalisti, e in particolare al più ricco (di gloria e di miliardi) fra loro, Eugenio Scalfari.
I giornali Marco li ha sempre amati. Da quando, studente 15enne al liceo classico Giulio Cesare di Roma nel '45, si imbatte in Risorgimento liberale, il quotidiano del Pli. Già eccessivo allora, non si limita a comprarne una copia: "Mi interessò talmente, che da quel giorno ne ho sempre prese due: una per me e una per i miei compagni di scuola".
Proprio su Risorgimento liberale Luigi Einaudi sferrava quelli che a oggi rimangono i più lucidi attacchi alla corporazione dei giornalisti.
Marco nel '49 viene folgorato da un secondo giornale: il Mondo, appena fondato da Mario Pannunzio. Pannella si affaccia sempre più spesso nella redazione a Campo Marzio. Ma non è l'unico giovane a essere attratto da quel cenacolo di galantuomini i quali, oltre a confezionare il settimanale più sofisticato dell'epoca, trasformano la redazione in un salotto intellettuale perenne.
In concorrenza con Marco per farsi notare dagli 'anziani' della cultura liberale italiana infatti c'è Scalfari. E come Marco anche Eugenio, più vecchio di sei anni, è un attivista della corrente di sinistra del Pli.
La competizione fra i due giovani galli nel troppo affollato (d'ingegni) pollaio liberal-radicale è inevitabile. Pannella negli anni 50 diventa il capo degli universitari italiani. Scalfari invece va a lavorare nella banca Commerciale a Milano, scrive articoli per l'Europeo di Arrigo Benedetti e sposa la figlia del direttore della Stampa. Nel 1955 fonda sia l'Espresso con Benedetti, sia il partito radicale con Valiani, Carandini e tanti altri. Compreso Pannella.
Intanto anche Marco nel '59 debutta nel giornalismo con una lettera aperta a Palmiro Togliatti su Paese Sera. Però esagera, calca troppo i toni e viene bocciato: dal Migliore, che lo liquida tre giorni dopo, sempre sul Paese ("Non accettiamo queste polemiche"), ma soprattutto da Scalfari che emette addirittura un comunicato pubblico per sconfessarlo, e perfino dal Mondo che gli dà del "cretino".
Disgustato, Marco lascia l'Italia. Approda a Parigi dove, a corto di soldi, si presenta alla redazione del Giorno in rue Saint Simon, 7° arrondissement. Comincia a collaborare con la corrispondente in carica Elena Guicciardi. Copre il turno di notte.
"Era già polemico - ricorderà l'allora caporedattore Angelo Rozzoni - invece di mandare il servizio richiesto inviava tre-quattro cartelle di 'controinformazione'. Era molto bravo e diligente, gli avrei dato un sette, ma aveva l'inveterata abitudine di fare a modo suo".
Nel dicembre '62, dopo i rituali 18 mesi di praticantato, Marco diventa giornalista professionista. Poi contesterà sempre l'Ordine e rifiuterà gli sconti su aerei, treni e autostrade. Il suo stipendio a Parigi è di 20 mila lire il mese.
Di politica non si può occupare, c'è già la Guicciardi. Ma nelle pagine di cronaca riesce a infilare un'intervista a Jean-Paul Sartre sulla tortura, viene inviato a Cannes al festival del cinema, va a Tolosa per un'inchiesta sulle caserme, si occupa di Dalida.
Una volta, da Milano lo incaricano di cercare Gina Lollobrigida a Parigi. "Le ho lasciato un messaggio in albergo", risponde sbrigativo con un telex che trasuda disinteresse.
Nel gennaio '63 Pannella si dimette dal Giorno. "Mi licenziarono dopo un'inchiesta sull'Eni e Mattei - è la sua versione - dopodiché fui messo all'indice. Ero vietato da tutti, sia come firma che come notizia".
Iniziano così 30 anni di giustificata paranoia, con giornali e tv sempre ossessivamente nel mirino. All'interno del Pr, Pannella guida l'opposizione a Scalfari con la propria corrente "Sinistra radicale", di cui fanno parte gli ex goliardi Massimo Teodori (futuro editorialista di Messaggero e Giornale), Gianfranco Spadaccia (giornalista dell'agenzia Italia) e Angiolo Bandinelli, collaboratore del Mondo.
Nel '63 Pannella conquista il partito radicale. Vuoto, però. In quegli anni l'attività ruota attorno a una battagliera agenzia di notizie, visto che la maggior parte del gruppo dirigente è formata da giornalisti. Memorabili le campagne contro l'Eni di Eugenio Cefis e il sindaco di Roma Petrucci (che finirà in galera), oltre a quelle per l'obiezione di coscienza (vinta nel '72) e per il divorzio (vinta nel '70 con la legge, e quattro anni dopo col referendum).
Ma quest'ultima, iniziata nel '65, ottiene solo l'appoggio del settimanale plebeo-erotico Abc, e anche le altre iniziative radicali vengono snobbate dalla grande stampa. Così lievita il livore di Pannella verso i "colleghi".
La direzione di Lotta continua
La situazione non migliora negli anni 70. Il Pci vede come il fumo negli occhi il referendum sul divorzio, perché rischia di "spaccare le masse" e ostacolare il "compromesso storico" con la Dc. Invece Pannella accentua il suo impegno anticlericale e si riavvicina a Scalfari.
Nel '71 fondano assieme la Lega per l'abrogazione del Concordato (cui aderiscono Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Alessandro Galante Garrone) e tengono comizi anticoncordatari in giro per l'Italia.
Sarà anche a causa di questa eccessiva vicinanza al libertario Pannella, oltre che per l'ostilità di Craxi, che nel 72 Scalfari perderà il seggio di deputato socialista conquistato nel '68 (per sottrarsi al processo sul caso Sifar).
Intanto a Pannella arrivano una ventina di denunce per avere diretto il giornale sessantottino Lotta continua. Lui concedeva la propria firma a qualsiasi pubblicazione avesse bisogno di un direttore responsabile. Unica condizione: "Non voglio vedere una riga di quel che pubblicate".
Per Lotta continua vengono incriminati anche Pier Paolo Pasolini e Marco Bellocchio. Umberto Eco, Lucio Colletti, Giovanni Raboni, Paolo Mieli, Natalia Ginzburg e altri intellettuali firmano un appello a favore degli imputati.
Ma il bastian contrario Pannella prende le distanze anche da loro: "Dubito che di 'pensiero', marxista o no, ce ne sia molto in chi pensa di 'fare la rivoluzione impugnando le armi contro lo Stato' [una delle frasi incriminate, ndr]. Questo non un reato: è un'imbecillità, coeva più alle spedizioni fiumane di D'Annunzio che alla lotta politica odierna".
Nel '73 Pannella torna alla professione di giornalista. Segue per l'Espresso le elezioni in Francia. Ma si arrabbia per i tagli e alcune censure subite dai suoi articoli. Due anni dopo l'Espresso aiuterà il partito radicale a raccogliere le firme per il referendum sull'aborto, e affiderà una rubrica settimanale a Pannella. Ma Marco la interrompe per protesta dopo il licenziamento da via Po del suo amico Lino Jannuzzi.
Nella seconda metà del '73, in vista del referendum sul divorzio, Pannella fonda il quotidiano Liberazione, sull'esempio del neonato Libération parigino diretto da Sartre (vent'anni dopo cederà la testata a Rifondazione).
Ma il compito è sovrumano, perché la redazione è composta soltanto da Pannella stesso, da Vincenzo Zeno-Zencovich (poi docente universitario, editorialista sul Sole 24 Ore, avvocato e autore del pamphlet 'Contro la libertà di stampa'), Rolando Parachini e Roberto della Rovere (poi al Corriere della Sera).
Dopo un mese Liberazione diventa bisettimanale, ma nel febbraio '74 chiude.
Le dimissioni del presidente della Rai
Nel 1974, sull'onda del referendum vittorioso che conferma la legge sul divorzio, i radicali propongono otto referendum. Uno di questi è contro l'Ordine dei giornalisti. Aderiscono Norberto Bobbio, Arrigo Benedetti, Adele Cambria, Gigi Ghirotti, Adriano Sofri, Giovanni Russo. Ma le firme raccolte si fermano a 170 mila.
In compenso, quell'estate Pannella è il primo a pronunciare alla tv italiana le parole "aborto", "lesbiche" e "omosessuali". Nonostante gli sforzi del capufficio stampa Rai Giampaolo Cresci (poi direttore del Tempo), lo scandalo è enorme. Alla fine il potentissimo presidente Rai Ettore Bernabei si deve dimettere.
Sul caso Pannella intervengono sul Corriere della Sera Pasolini, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini e Maurizio Ferrara, sull'Espresso Sciascia, Alberto Moravia e Giorgio Bocca. Il leader radicale diventa un personaggio nazionale, e nel '76 deputato.
Nelle liste del Pr abbondano i giornalisti: Enzo Marzo, Massimo Alberizzi, Riccardo Chiaberge e Cesare Medail del Corsera, Valter Vecellio (oggi inviato del Tg2) e Marco Taradash (per anni al mensile Prima Comunicazione), inventori delle rassegne stampa su Radio radicale.
Stefano Rodotà, allora editorialista della neonata Repubblica, simpatizza. Ma è l'attuale commentatore di punta del Corriere della Sera Angelo Panebianco, assieme a Teodori, Piero Ignazi (poi editorialista di Repubblica) e al docente universitario Lorenzo Strik Lievers, il teorico più raffinato del radicalismo.
I1 culmine dello scontro tra Marco ed Eugenio
Nelle politiche del '79 alla pattuglia radicale si aggiungono sul versante giornalistico Maria Antonietta Macciocchi, Gigi Melega, Gianni Vattimo, Alfredo Todisco, Fernanda Pivano e Barbara Alberti. Scalfari appoggia Pannella nella battaglia contro la fame nel mondo.
Ma l'ennesima rottura (mai più ricomposta) fra i due avviene nel 1981, sulla "linea della fermezza" durante il sequestro Br del magistrato D'Urso. Pannella scatena i militanti radicali, i quali mandano in tilt i centralini di Repubblica che rifiuta di pubblicare i comunicati brigatisti, condizione per la liberazione. Svela perfino i numeri di casa di Scalfari.
"I brigatisti hanno definito Pannella 'sciocco demagogo' - risponde furibondo Scalfari in un editoriale - demagogo lo è certamente, sciocco assolutamente no, come può testimoniare chi lo conosce da trent'anni. (...) Pannella è un sovversivo, ne più ne meno delle Br. Le Br usano le pistole, Pannella le parole e lo psicodramma di massa".
"Da Almirante a Valiani, da Scalfari a Berlinguer, si è ricostituito il partito della forca, come ai tempi di Moro. Hanno bisogno di un cadavere per fare un golpe", replica Pannella da Radio radicale mobilitata giorno e notte dal direttore Jannuzzi.
Nell'84 Scalfari viene condannato a risarcire Pannella con 70 milioni per un articolo diffamatorio sul caso Cirillo. Il direttore di Repubblica si vendica tre anni dopo, attaccando Pannella per la candidatura di Cicciolina.
Ma è soprattutto su Bettino Craxi che i due hanno posizioni opposte: Pannella lo corteggia; Scalfari, innamorato del segretario dc Ciriaco De Mita, lo detesta.
Il culmine dello scontro fra Marco ed Eugenio viene raggiunto nel '93, quando Pannella organizza addirittura un convegno ad hoc contro Scalfari, Caracciolo e De Benedetti: "Sono associati per delinquere - spara - Scalfari è un libertino mascherato da tartufo, che con una mano indica il dio della democrazia e con l'altra tocca le cosce dell'autoritarismo e della corruzione. Ha fornicato per anni con coloro che attaccava".
Finirà mai la rivalità fra il politico 67enne che non è riuscito a fare il giornalista e il giornalista 73enne che non è riuscito a fare il politico (anche se il primo si illude di distruggere i giornalisti con il referendum, e il secondo spera in un posto da ministro o da senatore a vita)?
Mauro Suttora
IL REFERENDUM CONTRO L'ORDINE È L'ULTIMA FASE Dl UN RAPPORTO CONTRASTATO. L'ANTAGONISMO CON SCALFARI
Il leader radicale si innamorò della stampa a quindici anni. Comprava due copie al giorno di Risorgimento liberale, il quotidiano del Pli da dove Einaudi attaccava la corporazione. Gli anni del Mondo, del Giorno, e la comune militanza politica con il direttore di Repubblica
Di Mauro Suttora
Il Foglio, 4 aprile 1997
Milano. I milioni di italiani che andranno a votare per il referendum sull'Ordine dei giornalisti lo ignorano, ma quel voto è il risultato finale di un intenso rapporto di amore-odio: quello che da più di mezzo secolo lega Marco Pannella a giornali e giornalisti, e in particolare al più ricco (di gloria e di miliardi) fra loro, Eugenio Scalfari.
I giornali Marco li ha sempre amati. Da quando, studente 15enne al liceo classico Giulio Cesare di Roma nel '45, si imbatte in Risorgimento liberale, il quotidiano del Pli. Già eccessivo allora, non si limita a comprarne una copia: "Mi interessò talmente, che da quel giorno ne ho sempre prese due: una per me e una per i miei compagni di scuola".
Proprio su Risorgimento liberale Luigi Einaudi sferrava quelli che a oggi rimangono i più lucidi attacchi alla corporazione dei giornalisti.
Marco nel '49 viene folgorato da un secondo giornale: il Mondo, appena fondato da Mario Pannunzio. Pannella si affaccia sempre più spesso nella redazione a Campo Marzio. Ma non è l'unico giovane a essere attratto da quel cenacolo di galantuomini i quali, oltre a confezionare il settimanale più sofisticato dell'epoca, trasformano la redazione in un salotto intellettuale perenne.
In concorrenza con Marco per farsi notare dagli 'anziani' della cultura liberale italiana infatti c'è Scalfari. E come Marco anche Eugenio, più vecchio di sei anni, è un attivista della corrente di sinistra del Pli.
La competizione fra i due giovani galli nel troppo affollato (d'ingegni) pollaio liberal-radicale è inevitabile. Pannella negli anni 50 diventa il capo degli universitari italiani. Scalfari invece va a lavorare nella banca Commerciale a Milano, scrive articoli per l'Europeo di Arrigo Benedetti e sposa la figlia del direttore della Stampa. Nel 1955 fonda sia l'Espresso con Benedetti, sia il partito radicale con Valiani, Carandini e tanti altri. Compreso Pannella.
Intanto anche Marco nel '59 debutta nel giornalismo con una lettera aperta a Palmiro Togliatti su Paese Sera. Però esagera, calca troppo i toni e viene bocciato: dal Migliore, che lo liquida tre giorni dopo, sempre sul Paese ("Non accettiamo queste polemiche"), ma soprattutto da Scalfari che emette addirittura un comunicato pubblico per sconfessarlo, e perfino dal Mondo che gli dà del "cretino".
Disgustato, Marco lascia l'Italia. Approda a Parigi dove, a corto di soldi, si presenta alla redazione del Giorno in rue Saint Simon, 7° arrondissement. Comincia a collaborare con la corrispondente in carica Elena Guicciardi. Copre il turno di notte.
"Era già polemico - ricorderà l'allora caporedattore Angelo Rozzoni - invece di mandare il servizio richiesto inviava tre-quattro cartelle di 'controinformazione'. Era molto bravo e diligente, gli avrei dato un sette, ma aveva l'inveterata abitudine di fare a modo suo".
Nel dicembre '62, dopo i rituali 18 mesi di praticantato, Marco diventa giornalista professionista. Poi contesterà sempre l'Ordine e rifiuterà gli sconti su aerei, treni e autostrade. Il suo stipendio a Parigi è di 20 mila lire il mese.
Di politica non si può occupare, c'è già la Guicciardi. Ma nelle pagine di cronaca riesce a infilare un'intervista a Jean-Paul Sartre sulla tortura, viene inviato a Cannes al festival del cinema, va a Tolosa per un'inchiesta sulle caserme, si occupa di Dalida.
Una volta, da Milano lo incaricano di cercare Gina Lollobrigida a Parigi. "Le ho lasciato un messaggio in albergo", risponde sbrigativo con un telex che trasuda disinteresse.
Nel gennaio '63 Pannella si dimette dal Giorno. "Mi licenziarono dopo un'inchiesta sull'Eni e Mattei - è la sua versione - dopodiché fui messo all'indice. Ero vietato da tutti, sia come firma che come notizia".
Iniziano così 30 anni di giustificata paranoia, con giornali e tv sempre ossessivamente nel mirino. All'interno del Pr, Pannella guida l'opposizione a Scalfari con la propria corrente "Sinistra radicale", di cui fanno parte gli ex goliardi Massimo Teodori (futuro editorialista di Messaggero e Giornale), Gianfranco Spadaccia (giornalista dell'agenzia Italia) e Angiolo Bandinelli, collaboratore del Mondo.
Nel '63 Pannella conquista il partito radicale. Vuoto, però. In quegli anni l'attività ruota attorno a una battagliera agenzia di notizie, visto che la maggior parte del gruppo dirigente è formata da giornalisti. Memorabili le campagne contro l'Eni di Eugenio Cefis e il sindaco di Roma Petrucci (che finirà in galera), oltre a quelle per l'obiezione di coscienza (vinta nel '72) e per il divorzio (vinta nel '70 con la legge, e quattro anni dopo col referendum).
Ma quest'ultima, iniziata nel '65, ottiene solo l'appoggio del settimanale plebeo-erotico Abc, e anche le altre iniziative radicali vengono snobbate dalla grande stampa. Così lievita il livore di Pannella verso i "colleghi".
La direzione di Lotta continua
La situazione non migliora negli anni 70. Il Pci vede come il fumo negli occhi il referendum sul divorzio, perché rischia di "spaccare le masse" e ostacolare il "compromesso storico" con la Dc. Invece Pannella accentua il suo impegno anticlericale e si riavvicina a Scalfari.
Nel '71 fondano assieme la Lega per l'abrogazione del Concordato (cui aderiscono Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Alessandro Galante Garrone) e tengono comizi anticoncordatari in giro per l'Italia.
Sarà anche a causa di questa eccessiva vicinanza al libertario Pannella, oltre che per l'ostilità di Craxi, che nel 72 Scalfari perderà il seggio di deputato socialista conquistato nel '68 (per sottrarsi al processo sul caso Sifar).
Intanto a Pannella arrivano una ventina di denunce per avere diretto il giornale sessantottino Lotta continua. Lui concedeva la propria firma a qualsiasi pubblicazione avesse bisogno di un direttore responsabile. Unica condizione: "Non voglio vedere una riga di quel che pubblicate".
Per Lotta continua vengono incriminati anche Pier Paolo Pasolini e Marco Bellocchio. Umberto Eco, Lucio Colletti, Giovanni Raboni, Paolo Mieli, Natalia Ginzburg e altri intellettuali firmano un appello a favore degli imputati.
Ma il bastian contrario Pannella prende le distanze anche da loro: "Dubito che di 'pensiero', marxista o no, ce ne sia molto in chi pensa di 'fare la rivoluzione impugnando le armi contro lo Stato' [una delle frasi incriminate, ndr]. Questo non un reato: è un'imbecillità, coeva più alle spedizioni fiumane di D'Annunzio che alla lotta politica odierna".
Nel '73 Pannella torna alla professione di giornalista. Segue per l'Espresso le elezioni in Francia. Ma si arrabbia per i tagli e alcune censure subite dai suoi articoli. Due anni dopo l'Espresso aiuterà il partito radicale a raccogliere le firme per il referendum sull'aborto, e affiderà una rubrica settimanale a Pannella. Ma Marco la interrompe per protesta dopo il licenziamento da via Po del suo amico Lino Jannuzzi.
Nella seconda metà del '73, in vista del referendum sul divorzio, Pannella fonda il quotidiano Liberazione, sull'esempio del neonato Libération parigino diretto da Sartre (vent'anni dopo cederà la testata a Rifondazione).
Ma il compito è sovrumano, perché la redazione è composta soltanto da Pannella stesso, da Vincenzo Zeno-Zencovich (poi docente universitario, editorialista sul Sole 24 Ore, avvocato e autore del pamphlet 'Contro la libertà di stampa'), Rolando Parachini e Roberto della Rovere (poi al Corriere della Sera).
Dopo un mese Liberazione diventa bisettimanale, ma nel febbraio '74 chiude.
Le dimissioni del presidente della Rai
Nel 1974, sull'onda del referendum vittorioso che conferma la legge sul divorzio, i radicali propongono otto referendum. Uno di questi è contro l'Ordine dei giornalisti. Aderiscono Norberto Bobbio, Arrigo Benedetti, Adele Cambria, Gigi Ghirotti, Adriano Sofri, Giovanni Russo. Ma le firme raccolte si fermano a 170 mila.
In compenso, quell'estate Pannella è il primo a pronunciare alla tv italiana le parole "aborto", "lesbiche" e "omosessuali". Nonostante gli sforzi del capufficio stampa Rai Giampaolo Cresci (poi direttore del Tempo), lo scandalo è enorme. Alla fine il potentissimo presidente Rai Ettore Bernabei si deve dimettere.
Sul caso Pannella intervengono sul Corriere della Sera Pasolini, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini e Maurizio Ferrara, sull'Espresso Sciascia, Alberto Moravia e Giorgio Bocca. Il leader radicale diventa un personaggio nazionale, e nel '76 deputato.
Nelle liste del Pr abbondano i giornalisti: Enzo Marzo, Massimo Alberizzi, Riccardo Chiaberge e Cesare Medail del Corsera, Valter Vecellio (oggi inviato del Tg2) e Marco Taradash (per anni al mensile Prima Comunicazione), inventori delle rassegne stampa su Radio radicale.
Stefano Rodotà, allora editorialista della neonata Repubblica, simpatizza. Ma è l'attuale commentatore di punta del Corriere della Sera Angelo Panebianco, assieme a Teodori, Piero Ignazi (poi editorialista di Repubblica) e al docente universitario Lorenzo Strik Lievers, il teorico più raffinato del radicalismo.
I1 culmine dello scontro tra Marco ed Eugenio
Nelle politiche del '79 alla pattuglia radicale si aggiungono sul versante giornalistico Maria Antonietta Macciocchi, Gigi Melega, Gianni Vattimo, Alfredo Todisco, Fernanda Pivano e Barbara Alberti. Scalfari appoggia Pannella nella battaglia contro la fame nel mondo.
Ma l'ennesima rottura (mai più ricomposta) fra i due avviene nel 1981, sulla "linea della fermezza" durante il sequestro Br del magistrato D'Urso. Pannella scatena i militanti radicali, i quali mandano in tilt i centralini di Repubblica che rifiuta di pubblicare i comunicati brigatisti, condizione per la liberazione. Svela perfino i numeri di casa di Scalfari.
"I brigatisti hanno definito Pannella 'sciocco demagogo' - risponde furibondo Scalfari in un editoriale - demagogo lo è certamente, sciocco assolutamente no, come può testimoniare chi lo conosce da trent'anni. (...) Pannella è un sovversivo, ne più ne meno delle Br. Le Br usano le pistole, Pannella le parole e lo psicodramma di massa".
"Da Almirante a Valiani, da Scalfari a Berlinguer, si è ricostituito il partito della forca, come ai tempi di Moro. Hanno bisogno di un cadavere per fare un golpe", replica Pannella da Radio radicale mobilitata giorno e notte dal direttore Jannuzzi.
Nell'84 Scalfari viene condannato a risarcire Pannella con 70 milioni per un articolo diffamatorio sul caso Cirillo. Il direttore di Repubblica si vendica tre anni dopo, attaccando Pannella per la candidatura di Cicciolina.
Ma è soprattutto su Bettino Craxi che i due hanno posizioni opposte: Pannella lo corteggia; Scalfari, innamorato del segretario dc Ciriaco De Mita, lo detesta.
Il culmine dello scontro fra Marco ed Eugenio viene raggiunto nel '93, quando Pannella organizza addirittura un convegno ad hoc contro Scalfari, Caracciolo e De Benedetti: "Sono associati per delinquere - spara - Scalfari è un libertino mascherato da tartufo, che con una mano indica il dio della democrazia e con l'altra tocca le cosce dell'autoritarismo e della corruzione. Ha fornicato per anni con coloro che attaccava".
Finirà mai la rivalità fra il politico 67enne che non è riuscito a fare il giornalista e il giornalista 73enne che non è riuscito a fare il politico (anche se il primo si illude di distruggere i giornalisti con il referendum, e il secondo spera in un posto da ministro o da senatore a vita)?
Mauro Suttora
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