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Friday, February 02, 2024

Confini e coerenza del peccatore Sinner

Trasferire il proprio domicilio fiscale oltre confine è furbo ma lecito. Non intacca minimamente il suo valore e il mio entusiasmo per lui (aumentato dopo il no a Sanremo). È un peccato che i ricchi pagano solo col piccolo dispiacere di sentirselo ricordare, ogni tanto

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 2 febbraio 2024 

Quando Jannik Sinner fa pipì nel suo paese di confine, Sesto Pusteria (Bolzano), neanche una goccia finisce in Italia. Va nel mar Nero, perché quella valle non fa parte del bacino del Po né dell'Adige, ma della Drava e poi del Danubio. Egualmente, dei guadagni di Sinner neanche un cent finisce in Italia, perché il paradiso fiscale che ha scelto, Monte Carlo (al confine opposto), garantisce ai miliardari che vi si rifugiano Irpef zero. Ripeto: zero. 

Sinner è coerente col proprio cognome ("peccatore" in inglese): l'elusione fiscale è un peccato che i ricchi pagano solo col piccolo dispiacere di sentirselo ricordare, ogni tanto. Ovviamente tifo Sinner e come tutti gli italiani rimango estasiato dalle sue imprese. Il mio entusiasmo per lui è aumentato dopo il no a Sanremo. E non accampi scuse: Monte Carlo sta lì accanto, quindi il rifiuto del Festival è mirato e consapevole. Bravo, niente circhi. 

Meno lucide sono apparse le spiegazioni del fantastico ragazzo sul suo trasferimento nel principato di Monaco: "Lì mi sento a casa, ci sono tante palestre per allenarsi, posso andare tranquillo al supermercato". Ma va. L'unico motivo per cui 8mila ricchi italiani sono fuggiti a Monte Carlo è la mancanza di tasse. 

La vera scusa che Jannik può accampare è che quasi tutti i tennisti più forti del mondo fanno come lui. Non tutti: Carlos Alcaraz è rimasto contribuente spagnolo, così come Rafa Nadal ("A Monte Carlo guadagnerei il doppio, ma qui in Spagna sono felice il doppio"); Roger Federer si è limitato a emigrare in un cantone svizzero con aliquota più bassa del suo.

Peccato che Sinner non abbia fatto lo spiritoso: "Sono nato in val Fiscalina, ovvio che scappi dal fisco". Il 31 gennaio il viceministro dell'Economia Maurizio Leo ha detto: "L'evasione fiscale è come il terrorismo". Dichiarazione impegnativa. Gli evasi a Monaco devono preoccuparsi? No, perché la loro elusione è legale se abitano nel principato per almeno 180 giorni all'anno. 

I Beatles nel 1966 scrissero la loro unica canzone di protesta, 'Taxman', quando scoprirono che stavano versando un incredibile 95% di imposta sul reddito: "There's one for you, nineteen for me". Unica via d'uscita: reinvestire i guadagni. Così fondarono la società Apple. Quel nome dieci anni dopo ispirò Steve Jobs, ma per loro si risolse in un bagno di sangue finanziario.

Stessa disavventura per i Rolling Stones, che per sfuggire al fisco britannico scapparono un anno in Francia, in un villone proprio vicino a Monte Carlo. Mick Jagger sposò Bianca a Saint-Tropez nel 1971, poi registrarono un bel disco: "Exile on Main Street", appunto.

Anche nei liberistissimi Stati Uniti fino agli anni '70 l'aliquota massima Irpef era al 90%. Ci vollero Ronald Reagan e Maggie Thatcher per dimezzarle.

Oggi il 43% dell'ultimo scaglione italiano (incredibilmente uguale per tutti i redditi oltre 50mila euro, anche 50 milioni) è reputato insopportabile dai nostri campioni dello sport. Il povero Valentino Rossi fu pizzicato con residenza fittizia a Londra e dovette versare una ventina di milioni all'Agenzia delle Entrate.

Trasferire il proprio domicilio fiscale oltre confine è furbo ma lecito. Non intacca minimamente il valore di Sinner. Perché il confine fra imprese sportive e scelte finanziarie personali è chiaro, penso, anche a Massimo Gramellini e Aldo Cazzullo, insultati dai fan solo per aver accennato al millimetro che gli manca per assurgere al ruolo di eroe nazionale. 

Christopher Hitchens ha potuto scrivere un libro persino contro madre Teresa di Calcutta, e Paolo Sorrentino l'ha presa in giro nella sua Grande Bellezza. Quindi qualche punzecchiatura non al superboy di Sesto Pusteria, ma ai suoi buffi adulatori che lo scambiano per la Madonna, sarà anche permessa.

Wednesday, April 29, 2015

Sinistra, destra? No, la Resistenza è di tutti

«Prima sembrava che i partigiani fossero solo comunisti. ultimamente li hanno dipinti come criminali. La verità è che tutta l’italia si è ribellata ai nazifascisti», dice il giornalista-scrittore Aldo Cazzullo. E lo dimostra con un libro

di Mauro Suttora

Oggi, 22 aprile 2015

Fanno venire i brividi, le lettere dei condannati a morte della Resistenza. «Babbo adorato, se la mia vita fu serena e facile lo devo a te, che mi hai guidato col tuo amore, col tuo lavoro, col tuo esempio. Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra terra a essere onorata e stimata nel mondo intero».

Franco Balbis non era comunista, non faceva politica. Era capitano di carriera dell’esercito, aveva combattuto con valore in Africa e Croazia. Dopo l’8 settembre 1943 era entrato in clandestinità per combattere l’invasore. I fascisti lo presero nel marzo ’44, nella sacrestia del Duomo di Torino.

Tutti fucilati alla schiena
Poche ore dopo quella lettera, Balbis viene fucilato alla schiena con altri otto partigiani comandati dal generale Giuseppe Perotti. Uno solo di loro era comunista.

«In nessuna delle lettere c’è un’espressione di odio o anche solo di rancore verso i loro carnefici», dice Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera.

Possa il mio sangue servire (Rizzoli) è il titolo del suo ultimo libro, che a 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale traccia un bilancio «non partigiano» della lotta di liberazione. 

«Gli uomini e le donne della Resistenza avevano ragione», dice Cazzullo, «fecero la scelta giusta, schierandosi contro l’invasore nazista e i suoi collaboratori. Eppure questa ovvietà, mai messa in discussione in nessuno dei Paesi occupati da Hitler, in Italia non viene accettata». 

Perché?
«Prima la Resistenza era considerata solo una “cosa di sinistra”: fazzoletto rosso e Bella Ciao. Poi, negli ultimi anni, i partigiani sono stati presentati come carnefici sanguinari che si accanirono su vittime innocenti, i “ragazzi di Salò”».

E invece?
«La Resistenza è patrimonio dell’intera nazione, non di una fazione. Fu fatta da comunisti, ma anche da cattolici, socialisti, liberali, monarchici, apolitici. E da donne, militari, suore, ebrei, preti, carabinieri. Case che si aprono nella notte, feriti curati nei pagliai, ricercati nascosti in cantina. Migliaia di episodi di eroismo che non si trovano nei libri».

Il 25 aprile ricordiamo 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il 24 maggio cent’anni dall’inizio della Prima.

«Entrambe hanno avuto pagine eroiche e vergognose. Dopo l’8 settembre, su 810mila soldati italiani fatti prigionieri, meno di 200mila si schiereranno con Salò. La grande maggioranza sceglie le sofferenze della prigionia, piuttosto che schierarsi con gli occupanti nazisti».

E la strage di Porzûs, in Friuli?

«Va raccontata anche quella: partigiani comunisti che assassinarono partigiani cattolici come Guido Pasolini, fratello dello scrittore Pier Paolo, e Francesco De Gregori, zio del cantautore che ne porta il nome».
Mauro Suttora