Oggi, 10 maggio 2006
La disciplina e l’imperturbabilità, innanzitutto. «Nel 1962 il segretario del Partito comunista Palmiro Togliatti comunicò al Comitato centrale i nomi dei prescelti per entrare in direzione», ricorda Abdon Alinovi, 83 anni, già deputato e segretario della federazione comunista di Napoli. «Io ero seduto vicino a Giorgio Napolitano, e quando Togliatti fece il mio nome e non il suo mi dispiacque. Emozionato e contrariato, glielo dissi. Ma lui, tranquillo come sempre, mi rispose: “No, è giusto così”».
Aveva 37 anni allora, il nuovo capo dello Stato. Era già deputato da una decina d’anni, ma per un dirigente comunista il massimo del prestigio era far parte della direzione del partito. Poco dopo Togliatti morì e del nuovo segretario Luigi Longo, Napolitano divenne in pratica il vice. Fu proprio lui nell’agosto ’68, in una Roma deserta per le vacanze, a preparare il comunicato con cui il Pci per la prima volta osò muovere qualche timida critica all’Unione Sovietica, dopo l’invasione della Cecoslovacchia.
«Siamo rimasti in pochi di quella giovane schiera che fu ai vertici del Pci», aggiunge Alfredo Reichlin, coetaneo di Napolitano ed eletto come lui alla Camera nel ’53. Oggi presiede il Cespe (il Centro studi di politica economica dei Ds) ed è vice di Massimo D’Alema alla guida della Fondazione Italianieuropei. Ma alla fine della Seconda guerra mondiale era uno di quei ventenni borghesi di ottima famiglia come Napolitano e Berlinguer che Togliatti valorizzò, preparandoli a dirigere un partito dei proletari ancora stalinista: «Quei giovani, il meglio dell’Italia di allora, abbandonarono libri, studi, carriere e professioni per mobilitarsi in nome di un profondo bisogno di riscatto, dopo che la patria italiana era stata fatta a pezzi dal fascismo e dalla guerra».
Ad affascinare il giovane Napolitano, in contraddizione con le sue origini di classe, fu Giorgio Amendola, considerato il successore di Togliatti. Poi non andò così e, anzi, gli amendoliani venivano criticati da Pietro Ingrao e dai suoi seguaci (fra i quali Reichlin) perchè considerati troppo di destra. Ma in quel partito, come nell’esercito, gli ordini non potevano essere discussi. Massimo Caprara, ex segretario di Togliatti, nel ’69 consegnò proprio a Napolitano, suo coetaneo, concittadino, amico e migliore compagno da un quarto di secolo, la sua sofferta lettera di dimissioni: «Lui la lesse e se ne andò indifferente, senza una parola o un gesto». La politica può essere crudele. Ma dà anche soddisfazioni: come quella che gli Stati Uniti regalarono a Napolitano nel ’78, quando per la prima volta invitarono un comunista italiano a Washington.
Mauro Suttora
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