settimanale Grazia, 10 maggio 2006
Sette anni fa avrebbe potuto farcela: Emma Bonino vinceva tutti i sondaggi popolari per il Quirinale. Per disinnescarla, i professionisti (maschi) della politica dovettero ricorrere a Carlo Azeglio Ciampi. Questa volta, invece, l’ex commissaria europea non solo è sparita dalla lista dei presidenziabili, ma è stata esclusa anche da qualsiasi ministero di serie A, come la Difesa. Gli uomini politici (uomini, appunto: in inglese invece si dice “politician”, sostantivo neutro) si sono reimpadroniti di ogni poltrona che conta. Nessuna donna è mai stata in lizza per le tre poltrone più importanti dello stato: presidenza della Repubblica, Senato, Camera. E neanche per la quarta, la quinta o la sesta: premier, ministro degli Esteri, degli Interni...
“Però noi deputate di Forza Italia siamo raddoppiate rispetto alla scorsa legislatura”, si consola Paola Pelino di Sulmona (L’Aquila), imprenditrice dell’omonima azienda di confetti e neoeletta nel partito di Silvio Berlusconi: “Eravamo tredici su 170, ora siamo 23 su 134”. Il 17 per cento, quindi. In linea con la quota rosa dell’intera Camera: 108 deputate su 630. Contro il 42% in Svezia, il 37 in Finlandia, il 35 in Norvegia... Fra i ministri, poi, le donne in Svezia detengono la maggioranza assoluta. Ma non è detto che ci sia una corrispondenza le percentuali di elette e il potere effettivo detenuto al femminile. Negli Stati Uniti, infatti, nonostante le donne al Congresso siano in numero perfino minore che in Italia (15%), per il voto presidenziale fra due anni si profila uno scontro tutto rosa: la democratica Hillary Clinton contro Condoleezza Rice per i repubblicani. E se questi ultimi le preferissero Rudy Giuliani o John McCain come candidato, le verrebbe probabilmente offerta la poltrona di vicepresidente.
Già oggi la Rice ricopre la terza carica più importante del Paese più potente della Terra, dopo George Bush e il suo vice Dick Cheney: segretaria di stato, ovvero ministra degli Esteri. È lei, nel bene e nel male, il volto pubblico dell’America nel mondo, quella che va a farsi fischiare ad Atene o applaudire a Varsavia. E l’italoamericana Nancy Pelosi guida il partito democratico alla camera dei Rappresentanti. Qui da noi Anna Finocchiaro è riuscita a farsi eleggere capogruppo dell’Ulivo al Senato. Ma a molti questo è sembrato solo un premio di consolazione per la brava e autorevole diessina siciliana, mancata ministra della Giustizia (il suo nome era stato fatto anche come possibile capo dello stato, assieme alla Bonino e all’astronoma Margherita Hack).
Come mai le donne fanno così fatica a emergere nella politica italiana? La risposta è semplice: tutti i partiti oggi sono guidati da maschi, dopo rare eccezioni in passato come la compianta Adelaide Aglietta per i radicali e la verde Grazia Francescato. Con la nuova legge elettorale, il ritorno al proporzionale e l’abolizione delle preferenze, gli unici a decidere chi verrà eletto sono i segretari di partito. Coloro che conquistano un buon posto in lista, infatti, vanno automaticamente in Parlamento, senza dovere neppure farsi campagna elettorale. Si può quindi dire che il vero momento della verità non è quello del voto, ma quello della composizione delle liste. E qui le donne sono state tagliate fuori: sembra che non “portano voti”, come si dice, intendendo le clientele. E i volti famosi o piacevoli giocati per attrarre consenso (Manuela Di Centa, Mara Carfagna) sono un abbellimento che non scalfisce il duro nocciolo del potere.
“Io per fare politica ho dovuto letteralmente ammazzarmi”, confessa Sandra Cioffi, unica donna fra i 17 parlamentari dell’Udeur di Clemente Mastella, “e ce l’ho fatta solo perchè mi ha sempre sorretto una passione smodata prima per il volontariato cattolico e poi per la politica”. Sposata a vent’anni, mamma a 21, un cursus honorum cominciato come consigliere di quartiere a Napoli, l’onorevole Cioffi è il classico esempio della donna che a un certo punto (nel 1993) è stata costretta a rinunciare all’impegno pubblico per non sacrificare troppo il suo ruolo di moglie e madre. Per questo oggi invoca con decisione le “quote rosa”, cioè la percentuale obbligatoria di elette che ha fatto scattare la rivoluzione al femminile nei Paesi scandinavi: “Però, per non rischiare di nuovo la bocciatura da parte della corte Costituzionale, sarebbe bene che il famoso articolo 51 della costituzione si limitasse a prevedere che ogni assemblea elettiva non può essere composta per più dei due terzi da rappresentanti dello stesso sesso”.
Una quota minima garantita del 33%, quindi, che rappresenterebbe comunque un raddoppio rispetto alle percentuali italiane attuali. Ma osservando la composizione dell’attuale Parlamento, si nota subito che soprattutto a sinistra anche fra le debuttanti prevalgono le funzionarie di partito, oppure le detentrici di cariche elettive: ex sindache, ex consiglieri regionali. Insomma, fra i maschi come fra le femmine ormai in Italia si è creata una ‘nomenklatura’ di politici di mestiere. Un ceto separato di circa centomila persone, ha calcolato il senatore diessino Cesare Salvi in un suo recente libro, che cominciano lavorando come portaborse o in circoscrizione, e che poi sono costrette ad andare avanti semplicemente per salvaguardare lo stipendio. Esigenza legittima e comprensibile, ma addio passione (e indipendenza di giudizio).
In Italia, quindi, sarebbe impossibile un ‘fenomeno Condi Rice’, ovvero di una donna che avendo raggiunto importanti vette nella propria vita professionale (direttrice amministrativa dell’università di Stanford, consigliere d’amministrazione di multinazionali del petrolio), decide a un certo punto della carriera di “mettersi al servizio della comunità”. Capita anche in Italia, ma sempre più raramente. Nel suo piccolo, è rimasta stregata dalla politica l’onorevole Pelino, debuttante a 51 anni: “Le prime sedute alla Camera mi hanno talmente affascinato che durante i week-end a Sulmona non vedo l’ora di tornare a Roma. Sì, ormai sono ‘drogata’ di politica...”
2 comments:
diciamo che in qualsiasi posto che conta non ci sono donne.
quelle poche sono eccezioni da interviste impossibili della serie "guardate qua una DONNA" come fosse un marziano.
una bella risposta l'ha data il governo zapatero con la legge del 50% donne-uomini, in modo da obbligare anche in futuro un esecutivo paritario nei sessi.
inutile farci giri di parole, sono discriminate e solamente attraverso una "legge" si può risolvere il problema e poi, quando la base culturale lo permetterà, si arriverà ad una situazione "normale" di parità, senza ausilio di leggi ad hoc.
aggiungo che le donne ministro hanno ricevuto i soliti dicasteri famiglia, sport, pari opportunità sanità.
c'è da lavorare e tanto
grazie per l'attenzione. condivido
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